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Il governo conferma i 10 miliardi per gli F-35. Ma Renzi da sindaco diceva “basta, dai”

Nessuno tocchi gli F-35. Anche quest’anno, continueremo a finanziare cospicuamente il programma di armamenti JSF (Joint Strike Fighter). Restano infatti intatti i 10 miliardi messi a bilancio nella legge di Stabilità 2016 attualmente al vaglio al Senato.
Questo nonostante agli atti ci sia una mozione approvata alla Camera nel settembre 2014 che impegnava il governo al dimezzamento del budget riservato ai discussi (e inutilmente dispendiosi) caccia. Riduzione che avrebbe comportato anche la diminuzione del numero di aerei da guerra costruiti. Un impegno che il governo, ora appare evidente, non ha mai ritenuto di dover prendere in considerazione – come numerose interrogazioni e le altrettanto evasive risposte dei ministri interpellati lasciavano intendere.

Leggi anche: Marcon: «Pinotti farebbe meglio a dimettersi» 

A dimostrazione di questo, basti rileggersi gli intenti pluriennali delineati dei Documenti di Programmazione Pluriennale della Difesa, scandagliate da Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo e pubblicate da Altreconomia, che tracciano intenzioni e strategie anche di procurement militare. Per tre anni consecutivi la riconferma: “oneri complessivi stimati in circa 10 miliardi di Euro”.

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In realtà, questo è un andamento del tutto prevedibile, purtroppo,  a causa degli accordi contrattuali presi dal ministero della Difesa del programma di acquisto degli F-35 con la statunitense Lockheed Martin (d cui non si è ancora riusciti a prendere visione). Il “Memorandum of Agreement” per la fase concettuale-dimostrativa con un investimento di 10 milioni di dollari è stato firmato nel ’98, e nel 2011 vengono definite le partecipazioni industriali, l’impegno economico e i requisiti dei singoli partner, i quali verranno coinvolti nello sviluppo, produzione e test fino a poter operare efficacemente il nuovo sistema d’arma. L’Italia “prenota” 131 velivoli e per quelli si impegna.

Leggi i dettagli sul sito della Camera.

Però forse potrebbe servire ricordare quello che diceva, rispetto alle spese annunciate dal governo Monti, il nostro poliedrico e camaleontico presidente del Consiglio e allora semplice sindaco Matteo Renzi (rigorosamente a mezzo Twitter) nel giugno del 2012: “non capisco perché buttare via così una dozzina di miliardi per gli F35”.

«Continuo a non capire perché buttar via così tanto sulle spese militari, a partire dalla dozzina di miliardi necessari a comprare i nuovi F-35. Anche basta, dai».

Anche basta, dai Matteo. Ora che sei tu decidere.

Messico, ancora violenze sugli studenti

Città del Messico – Il video mostra l’attacco frontale dell’esercito contro gli studenti. Il bilancio dei feriti è ancora incerto. La dinamica dei fatti da verificare.

Il copione, però, su ripete: giovani studenti, disarmati, che vengono attaccati dalla polizia e dall’esercito.

Scene tragiche in uno Stato che è immerso in una guerra civile non dichiarata. E per qualche ora le notizie che giungevano nella capitale del Guerrero erano tragiche: 50 studenti desaparecidos, scomparsi. In una notte la storia sembra assumere contorni meno foschi. Gli ultimi comunicati ci confermano la versione degli studenti che sono riusciti a fuggire dalle rappresaglie: non ci sono scomparsi, otto i feriti e tredici gli arrestati, ora tutti rilasciati.

Il 12 novembre 2015, gli autobus erano otto e gli studenti viaggiano lungo l’autostrada che unisce la città di Tixtla a Chilpancingo. Da quando sono scomparsi i loro 43 compagni, gli studenti della Scuola rurale sono in protesta permanente. Organizzano occupazioni di autostrade, manifestazioni, sit-in. Questa volta stavano occupando questo pezzo di autostrada e, in mancanza di benzina, avevano sequestrato un camion che la trasportava, dando così il via alla rappresaglia dell’esercito che ufficialmente reagisce per liberare il camion.

Quelli che sono riusciti a fuggire raccontano: gli autobus vengono attaccati quando passano sotto il tunnel dell’autostrada, el túnel de Libramiento. La polizia inizia a sparare e lanciare gas lacrimogeni sugli ultimi autobus che sono in fila. Riescono a romperne i vetri e ad attaccarli. Alcuni studenti escono dalla trappola tra i vetri rotti delle finestre e fuggono verso le montagne, altri rimangono dentro, svenuti tra il gas e la paura.

Sono stati attaccati direttamente dalla polizia federale. Ci sono immagini, prove e testimoni a certificarlo. Il tono tragico rimane perché i fatti di Tixtla dimostrano che quello che è successo in Ayotzinapa un anno fa, può ripetersi ancora, in qualsiasi momento e più nessuno è al sicuro. Soprattutto quando il tono delle proteste sta crescendo e il dibattito nel paese si polarizza sempre di più.

I giorni che hanno preceduto l’attacco, sono stati densi di eventi significativi. Al centro della scena il segretario di Governo, Miguel Ángel Osorio Chong, che annuncia in una intervista su un quotidiano nazionale, Milenio, che il governo ha le prove per testimoniare la relazione tra gli studenti della Escuela normal rural Raúl Isidro Burgos de Ayotzinapa e la criminalità organizzata. A rispondergli è stato il viceprocuratore per i Diritti Umani della Procuraduría General de la República (PGR, fiscalía), Omar Betanzos, che afferma l’inesistenza di prove che relazionino gli studenti di Ayotzinapa a un qualsiasi cártel del narcotráfico. Secondo molti attivisti per la difesa dei diritti umani in Messico, il gioco è facile da capire: “prima di colpire l’avversario devi screditarlo, deligittimare la sua voce. Se ci riesci, quando lo colpisci non ci sarà più nessuno a difenderlo”.

 

 

Caso De Luca, Renzi blinda il governatore: «Ha diritto di governare la Campania»

Il governatore della Campania Vincenzo De Luca durante una conferenza stampa in Regione, Napoli, 11 novembre 2015. ANSA/ CIRO FUSCO

Matteo Renzi erige una barriera di protezione attorno a Vincenzo De Luca: la magistratura faccia il suo lavoro, ma intanto il governatore della Campania «ha la titolarità, il diritto e il dovere di governare quella terra. Siamo assolutamente certi che il mandato sia pieno e quindi De Luca lavori se capace». Caso chiuso, dunque, almeno per il capo dell’Esecutivo. Ma i dubbi, non solo di natura politica, restano eccome di fronte a un’inchiesta complessa e con risvolti opachi. Ma qualche punto fermo c’è nell’indagine che coinvolge il governatore della Campania Vincenzo De Luca e parte del suo “cerchio magico”. Vediamo quale.

Dagli atti si evince che l’avvocato Guglielmo Manna, manager dell’ospedale Santobono e marito del magistrato Anna Scognamiglio – relatrice del provvedimento che ha “sospeso la sospensione” di De Luca in base alla legge Severino -, ha tentato di approfittare del ruolo della moglie per ottenere un incarico dirigenziale nella sanità regionale. «Io non farò il direttore generale, ma lui perde la Regione»: avrebbe detto Manna, relazionandosi – per avere l’incarico in cambio di presunte agevolazioni – con il braccio destro di De Luca, Nello Mastursi, dimessosi prima che l’indagine fosse di dominio pubblico.

Oggi De Luca – indagato per corruzione per induzione con, tra gli altri, Mastursi, Manna, Scognamiglio e Giuseppe Vetrano (organizzatore della lista “Campania libera” in Irpinia) – spiega che quello di Mastursi «sicuramente è stato un comportamento sbagliato ed infatti non c’è più». Ma al momento delle sue dimissioni, il presidente della giunta regionale campana aveva avallato la tesi dei «motivi personali», minimizzando e spiegando che il suo collaboratore «faceva fatica a reggere il doppio lavoro, quello di segreteria – qui non si respira – e il lavoro di responsabile dell’organizzazione del Pd alla vigilia di una campagna amministrativa impegnativa». Oggi, di fronte alle accuse, De Luca annuncia ritorsioni a suon di «olio bollente» ai danni dei suoi accusatori e si dichiara parte lesa.

Ma al di là degli esiti delle indagini, resta a suo carico l’accusa di aver nascosto di essere a conoscenza delle indagini e di aver mentito rispetto al vero motivo delle dimissioni di Mastursi. Già prima che il suo braccio destro lasciasse, infatti, De Luca chiedeva ai magistrati di essere ascoltato. «Una bugia che ha indubitabilmente un enorme rilievo politico» commenta il consigliere regionale M5s Vincenzo Viglione. «Abbiamo chiesto un consiglio straordinario, perché De Luca deve riferire in aula su questa vicenda. Riteniamo che in queste condizioni non si può legiferare su proposte di legge provenienti dalla giunta e su questioni rilevanti come il riordino del servizio idrico o la riforma dello statuto regionale».

Come confermano le parole del presidente del Consiglio, l’affaire De Luca non si ferma alle porte di Palazzo Santa Lucia. Fin dall’inizio della vicenda, era chiaro che la sua permanenza alla guida della Regione Campania dipendeva direttamente dalle scelte di Matteo Renzi. Entrambe le maggioranze, quella parlamentare e quella campana, sono appese al filo tessuto da Denis Verdini e dai suoi. I “responsabili” verdiniani avrebbero potuto mettere a repentaglio la permanenza di Renzi a Palazzo Chigi se quest’ultimo avesse scelto di staccare la spina al governatore campano, di cui sono alleati.

Ecco perché il premier – dopo un paio di giorni di travaglio interno al partito – ha tagliato corto («Non mi muovo di una virgola») confermando la fiducia a governatore: «Se c’è una persona capace di governare la Campania con la Terra di Fuochi e Bagnoli è De Luca», al quale arriveranno – annunci ali premier dopo il Consiglio dei ministri – 150 milioni per la Terra dei fuochi. Non c’è più bisogno, dunque, si arrampicarsi sugli specchi per individuare dei distinguo rispetto al caso degli scontrini e delle dimissioni di Ignazio Marino a Roma. Il premier segretario ha parlato. Ora resta soltanto da capire se la vicenda provocherà qualche reazione interna o nuovi fuoriusciti e, a livello regionale, che ne sarà della segreteria campana del Pd guidata da Assunta Tartaglione, sotto accusa per aver subito gli impresentabili e aver ceduto su tutta la linea a De Luca.

Ma resta un fatto: l’indagine e le accuse di aver mentito, nel caso dell’ex sindaco sceriffo di Salerno assumono un significato politico ancor più rilevante, spiega il consigliere Viglione: «Ha improntato il suo mandato alla logica dell’uomo solo al comando, ha fatto arrivare in aula una riforma dello statuto che esautora il Consiglio e accentra i poteri nelle sue mani ergendosi ad alfiere della legalità. Ora si scopre che ha mentito ai cittadini campani. Aspettiamo l’esito delle indagini prima di esprimere giudizi definitivi – prosegue l’esponente del Movimento Cinquestelle -, ma quello politico è chiaro: De Luca ha detto una bugia e probabilmente ha omesso di denunciare un ricatto subito: non può più guidare la Regione».

All’asta preziosi volumi dell’Istituto degli studi filosofici

Gerardo Marotta
Gerardo Marotta

Lo straordinario patrimonio librario della Biblioteca dell’Istituto di studi filosofici di Napoli finisce all’incanto. L’avvocato Gerardo Marotta, che per lunghi anni ne è stato mentore garantendo generosamente l’accesso pubblico a tutti gli studiosi, oggi vede andare all’asta alcuni testi antichi che fanno parte del patrimonio librario messo insieme in quarant’anni di ricerche condotte in fondi e archivi di tutto il mondo. E questo per non essere riuscito a pagare l’affitto del locale dove aveva depositato i volumi quando è stato sfrattata la biblioteca dell’Istituto era stata sfrattata. Tra le sedici opere  in più volumi oggi in vendita  ci sono testi di medicina, storia, filosofia, diritto e poesia, editi tra il XVI e il XIX secolo. Fra questi due cinquecentine e poi una Gerusalemme liberata del 1888. Nella lista figura anche un testo di Antonio Genovesi, edito a Napoli nel 1760. Un autore, molto caro a Marotta perché ebbe la prima cattedra di economia politica in Europa e lottò per ideali di giustizia sociale e laicità.

Biblioteca Girolamini
Biblioteca Girolamini

Così, a pochi giorni dalla riapertura della Biblioteca Girolamini, la storica biblioteca di Vico saccheggiata dal suo ex direttore, ora agli arresti, un’altra parte del patrimonio librario italiano rischia di essere disperso.

Su questa vicenda la deputata Annalisa Pannarale aveva fatto un’interrogazione parlamentare sollecitando il ministero dei Beni culturali a intraprendere iniziative per scongiurare la dispersione del patrimonio librario dell’Istituto, denunciando il rischio che i preziosi volumi provenienti dalla biblioteca dell’Istituto italiano per gli studi filosofici potessero finire in qualche ricco salotto in Italia o all’estero e sparire dalla consultazione pubblica con la vendita giudiziaria ordinata dal Tribunale di Napoli. Ieri, al termine del question time, la vicepresidente del gruppo Sinistra italiana ha denunciato la sostanziale indifferenza e il rimpallo di responsabilità da parte del ministro per i Beni culturali.

biblioteca ist«Parlando dell’Istituto italiano per gli studi filosofici l’Unesco ha detto che questa istituzione culturale d’eccellenza “non ha  paragoni al mondo”», ricorda Pannarale. «Malgrado vanti crediti nei confronti del Miur, confermati anche da una recente sentenza del Consiglio di Stato, l’Istituto non riesce a far fronte alla condizione debitoria che rischia di comprometterne per sempre la fruizione pubblica e la stessa esistenza». «È paradossale – sottolinea Pannarale – che lo stesso governo che in tutta fretta decreta l’apertura del luoghi della cultura come “servizio pubblico essenziale” consenta con disinvoltura la dispersione, se non la scomparsa, di un bene finora fruito liberamente da migliaia di studiosi e ricercatori da tutto il mondo. Mibact e il Miur hanno la primaria responsabilità di tutelarne l’integrità e difenderne la natura di bene comune che ne consente la fruizione pubblica». Per fermare questo ennesimo attacco alla cultura e alla produzione di sapere pubblico «intendo intraprendere da subito ogni possibile iniziativa parlamentare, a partire da una risoluzione in commissione cultura che richiami il governo alle proprie responsabilità, perché ricerchi una soluzione urgente e finalmente definitiva per impedire un’ulteriore grave ferita alla comunità scientifica e al Paese».

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Beirut in lutto dopo la strage rivendicata dall’Isis

A Lebanese soldier opens fire into the air to disperse people who gathered around a man (on the ground) whom they claimed was a suspected attacker in Burj al-Barajneh, southern Beirut, Lebanon, Thursday, Nov. 12, 2015 in a double suicide bombing that struck a Shiite suburb killed and wounded dozens, a Lebanese official said. (AP Photo/Bilal Hussein)

Giornata di lutto nazionale in Libano, dopo gli attentati che a Beirut hanno ucciso 41 persone nei quartieri sciiti a sud di Beirut. La strage è la peggiore dal 1990 e dalla fine della guerra civile e a rivendicarla è stato l’IS, che colpendo Hezbollah, contro il quale combatte in Siria, spera di far riemergere le fratture confessionali che hanno lacerato il Paese per decenni.
Il primo ministro libanese Tammam Salam ha fatto un appello all’unità di fronte ai tentativi di far saltare il Paese per aria. Washington e Teheran (principale alleato di Hezbollah) hanno condannato l’attacco.

Nei cinema ritorna Troisi con “Ricomincio da Tre”

Con la sua disarmante comicità e le sue storie picaresche che hanno come protagonisti personaggi timidi e irresistibili Massimo Troisi conquistò l’Italia. Il suo film d’esordio Ricomincio da tre fu il maggior successo della stagione cinematografica del 1981 ( incassando ben 14 miliardi di lire al botteghino). Ora torna in sala, nella versione restaurata dal Centro Sperimentale di Cinematografia. Il 23 e 24 novembre sarà distribuito da Microcinema.

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La pellicola prodotta dalla IIF di Fulvio Lucisano e dalla Factory Film, vinse allora due David di Donatello, quattro nastri d’argento e due Grolle d’oro.. La storia del ragazzo di San Giorgio a Cremano, che un giorno decide di fare il grande passo e trasferirsi a Firenze lasciando la vita in famiglia, conquistò infatti il pubblico sin dal suo esordio, dando inizio all’avventura cinematografica di Troisi. Oltre alla coppia Troisi-Arena, che nel film è l’amico problematico del protagonista Gaetano (Troisi), nel cast Fiorenza Marchegiani, Marco Messeri, Renato Scarpa. Ricomincio da Tre segnò anche il debutto della collaborazione con Pino Daniele che ne firmò la colonna sonora.
Indimedicabili le battute di questo film entrato nell’immaginario popolare, frasi che sono diventate un tormentone (“Quando c’è l’amore c’è tutto!”. “No, chella è ‘a salute!”. … “Secondo me, è colpa ‘e San Francesco, si è nata ‘a migrazione ‘e gli uccelli”.… “Voi siete napoletano?”. “Sì, ma non emigrante, eh”).

Il produttore Fulvio Lucisano ricorda che “Troisi all’inizio non voleva girare il film e ci ho messo un po’ a convincerlo, ma ero sicuro che fosse la scelta giusta, perché si trattava di una storia molto personale”. Prima dell’uscita, anche gli esercenti non erano sicuri delle potenzialità della pellicola. «Sia a Torino che a Milano, c’era la paura che il pubblico del nord non lo capisse e che il film non incassasse nulla. Per questo, ho garantito ad alcune sale il loro incasso normale per un periodo di cinque settimane, in modo che, in qualsiasi caso, avrei coperto io i mancati guadagni. Ma non è stato necessario, visto che anche in quelle città Ricomincio da tre ha ottenuto dei risultati trionfali». Da lì, il film è stato presentato con successo in tutto il mondo, compresa «una bellissima proiezione a New York all’aperto. In occasione di quel viaggio con Troisi, gli ho presentato Martin Scorsese, molto interessato a conoscerlo».

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Ricomincio da tre ha anche rappresentato la prima collaborazione tra Massimo Troisi e Pino Daniele, che dopo aver composto le musiche di questo film, si è occupato anche de Le vie del signore sono finite e Pensavo fosse amore invece era un calesse.

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La proposta Piketty per finanziare la lotta al cambiamento climatico: una tassa sulla business class

Thomas Piketty ha contribuito a tornare a far parlare il mondo di diseguaglianze e in queste settimane, a ridosso del vertice di Parigi, pubblica assieme a un suo collega Lucas Chacel un breve paper sulle diseguaglianze planetarie guardate dal punto di vista delle emissioni di CO2 (qui lo trovate sia in inglese che in francese), un bell’esercizio che si conclude con una proposta: istituire una tassa sui voli di business per scoraggiare i comportamenti inutili (viaggiare un po’ meno) e con i soldi ricavati finanziare la lotta al riscaldamento climatico.

Il ragionamento dei due economisti francesi parte da una constatazione semplice: l’industria del trasporto aereo è uno dei grandi inquinatori dell’atmosfera terrestre. Non parliamo delle scie chimiche che ossessionano alcuni gruppi di complottisti grillini sui social network, ma di emissioni di CO2. Se fosse un Paese, l’industria aerea sarebbe il settimo inquinatore del pianeta, sopra la Corea del Nord e sotto la Germania. Anche per questo i costruttori di aerei (Boeing, Rolls-Royce ed Airbus), in vista della conferenza mondiale sul clima di Parigi, promettono di tagliare i livelli di inquinamento dei loro aerei della metà entro il 2050. aeree hanno promesso Disincentivare o far pagare, come ai Paesi grandi inquinatori, queste emissioni ha senso, dicono i due economisti. Che partono da un assunto: il modo in cui calcoliamo le emissioni oggi – partendo dalla geografia, ovvero da quanto inquina ciascun Paese – è in parte fuorviante. Non solo le emissioni pro-capite divergono molto (un americano inquina in media 3 volte la media mondiale, un europeo una volta e mezza, un africano meno della metà), ma succede anche che alcune produzioni che avvengono in un Paese siano in realtà generate, commissionate, pensate e finanziate da un altro (le fabbriche asiatiche producono per noi e al posto nostro, almeno in parte).

Schermata 2015-11-13 a 9.33.47 AMLe emissioni per scaglioni di reddito: il 10% più ricco, la middle class e il 50% più povero in ciascuna regione del pianeta per emissioni di CO2.

Perché non partire dai redditi di chi emette per finanziare la lotta al riscaldamento globale  e l’adattamento dei nostri sistemi al cambiamento climatico? In questo modo coloro che già forniscono i fondi (figura 1a qui sotto: Europa e Usa, poi Giappone, Australia e Nuova Zelanda) continueranno a farlo e, individuando strumenti appropriati, cominceranno a farlo anche quei ceti medio alti e i ricchi dei Paesi emergenti che sono quelli che più stanno beneficiando della globalizzazione e il cui inquinamento pro-capite è più aumentato negli ultimi decenni.Schermata 2015-11-13 a 9.19.41 AML’idea è allora quella di istituire una tassa da  196 dollari per i biglietti aerei di business class, e una tassa di 21 su quelli della classe economica che potrebbe generare 160miliardi l’anno da spendere in fondi globali per la lotta ai ai cambiamenti climatici. A pagare sarebbero quei ricchi che in media emettono molto più degli altri: l’1% americano, lussemburghese o arabo saudita emette in media 25 volte di più di un cittadino medio mondiale.

«Tassare voli è un modo per indirizzare gli stili di vita ad emissioni elevate, soprattutto se decidiao di tassare la business class più della classe economica», ha detto Chancel in un’intervista a Climate Home. «Una tassa sui biglietti aerei per finanziare programmi di sviluppo esiste già in alcuni paesi. Ciò di cui abbiamo bisogno è di aumentare il suo livello e generalizzarla».

Gli economisti elaborano tre scenari con livelli diversi di tassazione progressiva in base al reddito (e alle conseguenti emissioni), che vedete qui sotto. Non è una cattiva idea.

Schermata 2015-11-13 a 9.27.46 AM [social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/minomazz” target=”on” ][/social_link]@minomazz

Scontrini Renzi, lunedì manifestazione per richiedere trasparenza

«Siamo alla pazzia più totale in questo Comune». Tommaso Grassi è allegro al telefono, dopo il clamore suscitato dalla notte passata dentro Palazzo Vecchio. La sua è stata  una forma di protesta particolare ma l’obiettivo era chiaro: ottenere la trasparenza sugli scontrini dell’amministrazione Renzi che rimangono invece ancora top secret – secondo una nota del Comune – fino alla fine dell’inchiesta della Corte dei Conti.  Grassi, il giovane consigliere di Firenze riparte a sinistra, era entrato in Palazzo Vecchio alle 12 di sabato 7 novembre e se n’è dovuto andare la domenica alle 13.  «Dopo che mi avevano chiuso l’acqua, i bagni ed era stato impedito ai miei compagni consiglieri di venirmi a trovare e di portarmi anche un po’ d’acqua», dice ricordando quella notte.  Ora è in attesa della notifica della denuncia penale per occupazione abusiva. «L’hanno messa come una questione di ordine pubblico, ma noi volevamo sollevare solo una questione politica».  Come infatti a Roma il sindaco Marino era stato messo in croce per le sue spese al ristorante, perché non si può conoscere nei dettagli le spese di Matteo Renzi quando era sindaco a palazzo Vecchio? «Sono tre anni che chiedo di vedere gli scontrini dell’amministrazione Renzi, per la precisione dal marzo 2012. E invece adesso l’ultima notizia è la lettera del direttore generale che ci ha detto che c’è troppo materiale, sparso per troppi anni e che poi c’è la riservatezza da tutelare perché l’indagine della Corte dei Conti è in corso», racconta Grassi. «Ma mi sembra un po’ una “bischerata” – dice in fiorentino stretto – perché quella della Corte dei Conti  non è un’inchiesta penale», continua il giovane consigliere d’opposizione.

Intanto lunedì è in programma di nuovo il Consiglio comunale, in Palazzo Medici Riccardi, sede della Provincia d Firenze «perché a Palazzo Vecchio ci hanno sfrattato, c’è una mostra…».  Molti cittadini e compagni politici di Tommaso Grassi e degli altri due consiglieri dell’opposizione di sinistra Giacomo Trombi e Donella Verdi, si sono dati appuntamento per una manifestazione di solidarietà a Grassi e testimoniare ancora una volta la richiesta di far luce sulla questione scontrini. Grassi non esclude anche un ricorso a vie legali e comunque la protesta continuerà: « Chiederemo ancora la documentazione. Adesso abbiamo deciso che quando non siamo in commissione o impegnati in attività istituzionali passeremo la giornata davanti alla segreteria, sede del direttore generale, è lui che ci deve dare i documenti. Staremo là davanti e aspetteremo…».

«La questione scontrini è da cosiderarsi su diversi piani – spiega il consigliere -. Il Comune ha pubblicato – rispettando la legge 78 del 2010 – in sintesi quanto è stato speso e per quali categorie. Ma mentre la Corte dei conti indaga per verificare se le motivazioni di quelle spese rientrano nei compiti istituzionali, noi vogliamo porre la questione meramente da un punto di vista politico o morale, come è successo per Marino a Roma. Per esempio le trasferte: quando Renzi, nel 2012, andava a Roma per partecipare a trasmissioni televisive è moralmente accettabile che spendesse somme mensili per auto a noleggio? C’è anche il treno… E in tv parlava di Firenze come sindaco o già veniva interpellato per la sua candidatura alle primarie per segretario?», si chiede Grassi. Il quale della “notte brava” passata in palazzo Vecchio ha un ricordo preciso: «A parte il fatto che un consigliere dentro Palazzo Vecchio secondo me ci può rimanere, io quella notte l’ho passata a lavorare, a scrivere gli emendamenti per gli alloggi Erp. E lo si è visto perché lunedì in consiglio hanno discusso quattr’ore su quegli emendamenti…».

La tracciabilità delle merci prodotte nei Territori fa infuriare Israele

È deciso: chi compra prodotti israeliani provenienti dai territori occupati illegalmente d’ora in poi sarà cosciente del suo acquisto. La Commissione europea ha infatti approvato le nuove linea guida per la tracciabilità delle merci derivanti dagli insediamenti in Palestina, e non più, com’era fino adesso, in Israele. Un obbligo che copre l’intera filiera: dal produttore all’importatore, fino al dettagliante. L’unica cosa che può variare, a discrezione di ciascun Paese, è la dicitura adottate, purché sia chiaro che si “di provenienza da insediamenti”. La norma sarà pubblicata immediatamente sulla Gazzetta Ufficiale della Ue e sarà subito operativa.

Alla base, il riconoscimento del fatto che questi territori, essendo – secondo il diritto internazionale – occupati illegalmente, non sono riconosciuti a livello europeo. Oltre al fatto che, in generale, e sempre stando alle norme europee, l’etichettatura con l’indicazione d’origine è obbligatoria per tutti i prodotti agricoli e per i cosmetici.

«Non si tratta di nuovi obblighi, ma del chiarimento necessario per uniformare l’applicazione nei 28 Paesi Ue», e soprattutto: «È una misura tecnica, non politica», ha dovuto immediatamente specificare Bruxelles, per rispondere all’ira funesta del premier Benjamin Netanyahu, che dagli Stati Uniti tuona: «L’Europa dovrebbe vergognarsi». Il governo israeliano ha bollato la decisione come «inaccettabile discriminazione», e ha poi deciso di sospendere alcuni «dialoghi diplomatici» con l’Ue, su «temi politici e diritti umani», e per bocca del suo ministro degli esteri ha poi fatto sapere che con questa mossa, l’Unione Europea non «farà avanzare il processo di pace, al contrario potrebbero rafforzare il rifiuto dei palestinesi a tenere negoziati diretti con Israele». Come a dire, “insomma, è colpa vostra se i palestinesi non vogliono sottostare alle nostre regole, che invece vorremmo la pace”. Un’uscita a dir poco contraddittoria della realtà dei fatti, soprattutto considerando che l’Unione ha più volte sostenuto che la permanenza di insediamenti e colonie in territori palestinesi ostacola, di fatto, proprio il processo di pace in Medio Oriente.

A ruota, è arrivato l’appello di Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (Ucei) al ministro degli Esteri Federica Mogherini, secondo il quale questa misura rischia di fomentare estremismi e «odio» verso lo Stato di Israele, chiedendole di «adoperarsi nei modi più opportuni ed efficaci per risolvere questa spiacevole e pericolosa situazione».

Di parere inevitabilmente opposto Nabil Shaath, esponente del movimento palestinese Fatah, che giudica il procedimento della Commissione «in linea con le posizioni dell’Ue, che cerca di trovare strumenti per fare pressione su Israele, in particolare sulla questione degli insediamenti, che considera distruttivi per il processo di pace».

Più di 550 israeliani, tra cui l’ex portavoce Knesset Avraham Burg e politologo Zeev Sternhell, ha pubblicato una petizione a sostegno della decisione dell’Ue, sostenendo che la distinzione tra Israele e gli insediamenti è un «passo che potrebbe contribuire alla promozione di un accordo di pace e che rafforzerà lo stato di Israele nel mondo e minerà i tentativi di delegittimarlo». Altri intellettuali israeliani sostengono invece che la misura europea rischia di rafforzare l’occupazione e dare più determinazione a coloni e destra israeliana.

In generale, il volume del commercio tra Ue ed Israele è di circa 30 miliardi di euro l’anno, un terzo del quale è costituito dall’export verso il Continente di cui, stando alle cifre pubblicate dalla Commissione, il valore del commercio con l’Europa di prodotti dei territori occupati rappresenta meno dello 0,5%, l’equivalente di 154 milioni di euro nel 2014.

Da oggi al via “Paris Photo”, la più grande fiera di fotografia al mondo

Dal 12 al 15 novembre al Grand Palais di Parigi si terrà la 19esima edizione di Paris Photo, la più grande fiera fotografica al mondo, dove sarà possibile vedere le opere di chi dall’800 a oggi ha fatto la storia della fotografia. L’esposizione conta ben 147 gallerie internazionali e l’obiettivo è quello di garantire altissimi standard di eccellenza per soddisfare il pubblico sempre più ampio di collezionisti e appassionati. Alle gallerie si aggiungono 27 stand dedicati all’editoria e ai libri fotografici. Tra i fotografi esposti “mostri sacri” come Vivian Mayer, Henry Cartier Bresson, Herb Ritts, Gilbert Garcin e il fotografo di moda Guy Bourdin (al quale abbiamo dedicato la cover cultura del numero di Left in edicola sabato) convivono a fianco di giovani promesse come Christiane Feser, Marina Gadonneix e Natsumi Hayashi.

Tante anche le esposizioni sparse per tutta la città durante i 4 giorni di Paris Photo qui tutti gli eventi da non perdere se siete appassionati di fotografia e vi trovate nella Ville Lumiere.

E in primavera l’appuntamento replica oltre oceano a Los Angeles.

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