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Tra Imu e limite per il contante, nuovi imbarazzi per la minoranza dem. Che farà?

Andrea Orlando e Dario Franceschini hanno detto no in consiglio dei ministri alla scelta di togliere ogni tassa sulla prima casa, a tutti, indiscriminatamente, ricchi e poveri, case di lusso o no. La scelta è però rimasta nella manovra, ed è stata fortemente rivendicata da Matteo Renzi in conferenza stampa.

E se molti renziani quando al governo c’era Enrico Letta si dicevano contrari a una scelta del genere («È una mossa da Robin Hood al contrario», diceva nel 2013 l’economista Yoram Gutgeld, oggi consigliere economico di Renzi: «È un cedimento alla destra populista»), chi dice di non voler cambiare idea è la minoranza del Pd, imbarazzata dal fatto che a destra siano tutti così contenti, orgogliosi di poter rivendicare una primogenitura del provvedimento. Silvio Berlusconi ha in effetti tute le ragioni, in questo caso, per fare il simpatico: «Mi sembra», dice, «di essere tornato ai tempi della scuola, dove i miei compagni mi copiavano sempre: Renzi ha copiato l’innalzamento del limite del contante, il ponte sullo Stretto, e l’abolizione dell’imposta sulla casa».

La lettura di Bersani&co è invece opposta, chiara ed è quella spiegata anche a Left dall’ex ministro Vincenzo Visco («Lo potrebbe fare un partito di destra», ci disse, appunto). E se Visco però può star tranquillo, non essendo parlamentare, per gli altri l’interrogativo sarà sempre il solito. A un certo punto bisogna votare, sì o no. L’esame della finanziaria comincia dal Senato. Che si fa?

Per adesso, ovviamente, l’idea è che si possano strappare modifiche: «La manovra non è un testo sacro», dice un deputato a Left. Una mediazione potrebbe essere prevedere una soglia di esenzione, più che un’esenzione indifferenziata. Tipo: da 400 euro in giù non si paga, gli altri continuano. Costerebbe anche meno, ovviamente, che in una finanziaria un po’ debole sulle coperture (prevalentemente in deficit), come argomento non è male.

A palazzo Chigi per ora però sembrano voler tenere il punto. E Renzi non teme ovviamente anche il passaggio in una direzione Pd – richiesta dalla minoranza. Sulle tasse sulla prima casa, come sul limite per i pagamenti in contanti. L’Unità è già partita nella difesa della scelta, ponendo l’accento su chi il limite proprio non ce l’ha.

Berlusconi di suo rilancia. Siccome l’idea è sempre sua, dice che si potrebbe però fare meglio: «Portiamolo a 8mila euro». Bersani, invece, per ora conferma la sua posizione: «In Italia abbiamo il record di evasione, corruzione e nero. È strano pensare a incoraggiare l’uso del contante». Corradino Mineo ritwitta Stefano Fassina (che ha parlato anche con Left).

Ma Mineo è uno dei quattro senatori che già non hanno votato la riforma del Senato. E gli altri? Nessuno anticipa risultati. Per il momento si pensa a un pacchetto di richieste di modifiche, che toccano altri aspetti, come il taglio dell’Ires, che è rimandato alla bontà di Bruxelles, ma sarebbe comunque non progressivo, a vantaggio quindi delle grandi imprese. La speranza è che si riesca a strappare fosse anche solo una riformulazione come nel caso della riforma del Senato.

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No alla nuova legge bavaglio sì alla possibilità di scegliere

Il disegno di legge sulle norme in materia di intercettazioni telefoniche, a favore del quale il Pd ha votato compatto, può essere letto come una gemmazione della tentazione recidiva di chi gestisce il potere di celare quel che fa e sa, ostacolando il lavoro di chi acquisisce informazioni per farle conoscere ai cittadini. Il ddl recepisce un emendamento passato in Commissione giustizia, relatrice Donatella Ferranti (Pd), che espone questo provvedimento a una giustificata contestazione e a una motivata petizione. Il testo approvato elimina la possibilità di un’udienza filtro nel corso della quale le parti (il giudice e gli avvocati) avrebbero dovuto decidere le intercettazioni rilevanti da portare al processo, prima di poterle depositare e quindi renderle un documento pubblico e, soprattutto, pubblicabile.
La modifica del ddl con questo emendamento, sul quale il Pd – ripeto – ha fatto quadrato, limita il diritto all’informazione ed è in questo senso figlio minore della legge bavaglio che il governo Berlusconi ha invano cercato di far passare. Berlusconi fallì grazie a una mobilitazione straordinaria di cittadini, di rappresentanti degli organi di informazione e dell’editoria. Allora si fecero barricate; ora si tratta di vedere se l’appello lanciato da Stefano Rodotà riuscirà ad attirare la stessa attenzione.
Figlio minore della legge bavaglio, perché in questo caso non vengono ostacolati, come nell’altro, gli organi giudiziari nel reperimento per mezzo di intercettazione delle informazioni come strumento d’indagine; ma perché, anche in questo caso, viene impedito di dar notizia delle inchieste giudiziarie sino all’udienza preliminare (che in Italia può richiedere anni). Questo provvedimento fa proprio uno dei due aspetti della proposta di legge bavaglio: mette in discussione il principio del rendere pubblico, del far conoscere ai cittadini il contenuto delle intercettazioni. Interviene, limitandolo, sul diritto all’informazione.
L’argomento usato dal Pd per giustificare questo provvedimento è che la possibilità di pubblicazione potrebbe essere lesiva dei diritti di coloro che sono, in qualche modo, coinvolti nelle indagini benché il prosieguo delle stesse ne dimostri poi l’estraneità al reato. Ma si tratta di un argomento ingannevole perché l’udienza filtro serviva proprio a ovviare a questo problema, che è serio. Come lo è il mettere a repentaglio la dignità della persona con il rischio palese di consegnare il suo nome alla gogna mediatica. L’udienza filtro doveva servire a evitare questo, a «selezione del materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine». Perché toglierla? Viene da sospettare che la si sia tolta per poter meglio giustificare questo giro di vite sull’informazione.
Il Pd si trincera dietro il nobile principio della privacy. Sostiene che mentre le intercettazioni non si devono impedire, si devono tuttavia conciliare due diritti: quello all’informazione e quello alla privacy. Il fatto è che il testo approvato alla Camera più che conciliare questi due diritti è tutto sbilanciato a favore del secondo e contro il primo. Il governo prevede una pena punibile con la reclusione fino a quattro anni, «la diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente».
Questo provvedimento è lesivo dei diritti civili e politici. È in nostro nome che dobbiamo chiedere che venga modificato. In nostro nome perché, per esempio, la conoscenza preliminare di un candidato incluso nelle liste è un diritto politico – il diritto civile all’informazione dà agli elettori dati di conoscenza che consentono loro di fare una scelta politica libera, non condizionata da quel che viene loro celato. La dignità della persona nel nome della quale questo provvedimento è stato giustificato, deve essere rispettata anche in relazione al cittadino: la sua dignità di essere trattato come un attore autonomo al quale non si nascondono informazioni che possono essere essenziali nella formulazione delle sue scelte.

L’Italia alla Buchmesse e il solito mercato con il segno meno

Mentre in Italia continua a far discutere l’acquisizione di Rcs da parte di Mondadori, ovvero il neonato colosso che la stampa nostrana ha battezzato Mondazzoli, colpisce l‘assenza di Mondadori alla Buchmesse in corso a Francoforte fino a domenica 18 ottobre. La casa editrice milanese non ha un proprio stand come nelle edizioni passate. Ma a rappresentarla ci sono però, in ordine sparso, un buon numero di editor e  PR.

Quest’anno sono in tutto circa duecento gli editori italiani che partecipano alla kermesse tedesca, che non prevede solo vetrine e incontri con gli autori ma – a differenza del Salone del libro di Torino – si presenza come la più grande piazza europea di compra vendita di diritti. E se  (come piccoli e medi editori denunciano su Left in edicola da sabato 17 ) anche su questo terreno in futuro Mondazzoli potrà far la voce del padrone sbaragliando ogni altro competitor italiano, ancora per quest’anno, la variegata schiera di case editrici italiane presenti in Fiera provano a giocarsela. Molti di loro fanno base nello Spazio Italia, nel padiglione 5. Il clima che si respira? Secondo il presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Federico Motta, non è dei peggiori. Anche se i problemi sul tavolo sono ancora molti «si intravede un miglioramento per l’editoria italiana nel 2015 che tuttavia registra ancora il segno meno». Per cambiare davvero direzione di marcia occorrono «investimenti, innovazione, cambiamenti nel modo di essere editore. E a tutto questo stiamo lavorando con impegno, ma – avverte Motta – resta un problema di fondo: è arrivato il momento di smetterla con i proclami d’amore per il libro e la lettura che non si traducono in azioni serie ed efficaci». Per cambiare ritmo di marcia bisogna aver chiaro quali sono le priorità. In Francia  le hanno ben chiare, lascia intendere il presidente dell’associazione editori italiani ricordando che «33milioni di euro è il budget del Centre national du livre francese, meno di 1 milione quello del nostro Centro per il Libro. La verità – denuncia Motta – è che la classe dirigente, politica ma non solo, non sa cosa è un libro perché non legge nemmeno un libro all’anno: è così per il 39,1 per cento dei dirigenti e professionisti italiani, contro il 17 per cento di francesi e spagnoli. Il segno più o meno del nostro mercato, al netto di ciò che possiamo fare noi come settore, è solo una conseguenza».

In Italia il segno meno riguarda il numero dei lettori che, secondo dati Aie e Nielsen, si restringe di 848mila (-3,4 per cento), mentre si ridimensiona il mercato (-3,6 per cento) e si conferma l’andamento negativo nel numero di titoli pubblicati (-3,5 per cento) . Di fatto sono 97,5milioni di euro di minori ricavi. E se il mercato dell’e-book supera il 5 per cento del mercato librario totale contro il 15 per cento atteso da previsioni del 2010. A fronte di tutto questo però l’anno scorso si è registrato in Italia un aumento di titoli per ragazzi (+5,9 per cento) ma interessante è anche il fatto che la vendita di diritti di autori italiani all’estero registra un +6,8 per cento nel numero di titoli trattati e l’export di libri italiani all’estero segna un fatturato di 40milioni di euro (+2,6 per cento sul 2013).

Vista da Francoforte tuttavia l’Italia continua a distinguersi molto dal resto d’Europa, posizionanandosi gli ultimi posti della classifica per quanto riguarda il numero di lettori. La Francia è uno dei Paesi che si sono presentati in forma migliore questa Buchmesse aperta da un discorso di Salman Rushdie,che vede L’Indonesia ospite d’onore e schiera 7300 espositori di oltre 100 paesi. Il mercato editoriale Oltralpe sta vivendo un momento di rilancio, con il mercato della fiction che segna +13,9 per cento mentre il settore bambini segna +10,5 per cento.

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Università, assunzioni e diritto allo studio ancora in alto mare

Il giorno dopo la prima finanziaria spiegata via Twitter, dei reali provvedimenti previsti nel Def sull’università si sa ben poco. Certo, ci sono gli annunci del premier Renzi a Che tempo che fa, la slide mostrata ieri durante la conferenza stampa e oggi informazioni filtrate dal Sole 24 ore che è sempre molto solerte nel diffondere news sui provvedimenti del governo. Ma di scritto per ora non c’è nulla. «E io preferisco commentare qualcosa che vedo nero su bianco», afferma Manuela Ghizzoni, deputata Pd e che da sempre ha seguito i temi della formazione terziaria (è stata anche presidente della Commissione Cultura e Istruzione della Camera). Dalle anticipazioni filtrate dal quotidiano della Confindustria sarebbero previsti oltre ai 500 “cervelli” da far rimpatriare anche 1000 ricercatori di tipo b, cioè che attraverso la tenure track, potrebbero diventare docenti a tutti gli effetti, mentre per gli altri di tipo a (a tempo determinato) il turn over dovrebbe passare nel prossimo anno dal 60 al 100 per cento. Si parla di investimento di risorse per 300 milioni, ma siamo ben lontani per esempio dalla cifra che aveva auspicato lo stesso presidente della Crui Gaetano Manfredi (qui l’intervista)

«Questa mattina si rincorrevano le voci, ma non c’è niente di sicuro» continua la deputata democratica alla sua nona finanziaria. «E poi c’è tempo per modificarla, non è un decreto e quindi possono arrivare gli input anche dal Paramento», continua Ghizzoni. Per esempio, il provvedimento annunciato dei 500 prof esteri, già sarebbe cambiato, si tratterebbe di un bando aperto a tutti. Ma al di là delle voci e degli annunci, quello che è certo è che «500 professori sono insufficienti», dice Ghizzoni.

Diritto allo studio in alto mare

Così come sono insufficienti, afferma l’esponente democratica, i 162 milioni che pure sono stati stabilizzati per il diritto allo studio. Di questo tema il premier Renzi non ha detto nulla, né nelle slide, né in televisione. Eppure è un nodo cruciale. Secondo i dati del Miur, in dieci anni si sono persi 80mila iscritti all’Università e nel 2015 il nuovo certificato Isee ha escluso migliaia e migliaia di studenti dalla possibilità di avere borse di studio. È chiaro che l’alto costo delle tasse universitarie non facilita il proseguimento degli studi.

«Sull’aumento delle risorse per il diritto allo studio negli ultimi mesi c’è stato un balletto di cifre e di dicharazioni», ricorda Alberto Campailla, portavoce della rete studentesca Link. «Prima il ministro Giannini aveva parlato di 100 milioni, poi il sottosegretario Faraone di 200 milioni, invece adesso non appare nulla nel Def», continua. Secondo Campailla occorrerebbero almeno 400 milioni per permettere a tutti gli aventi diritto il diritto allo studio.

Il tavolo tecnico al Miur

Oggi comunque un primo passo c’è stato. Al Ministero si è riunito un tavolo tecnico proprio per tentar di trovare soluzioni ai problemi derivanti dal nuovo certificato Isee. All’incontro, racconta Campailla, hanno preso parte il capo dipartimento del diritto allo studio Marco Mancini, il presidente del Cnsu (Consiglio nazionale studentesco universitario) Andrea Fiorini, il presidente Andisu (associazione dei diritti allo studio regionali) Carlo De Sanctis e Monica Barni assessore regionale della Toscana alla cultura e responsabile del diritto allo studio per la Conferenza Stato Regioni.

Che cosa è accaduto? «È positivo che sia stato intrapreso un percorso condiviso, ma non c’è certezza, perché a proposito del certificato Isee, è stato detto che c’è la possibilità di un decreto che innalzerebbe il tetto del reddito, in modo da far rientrare anche gli studenti esclusi, quest’anno. Ma, ripeto, si parla di “possibilità”. E poi, l’altro grave problema: la mancanza di risorse. Il Miur non ha i soldi e quindi dovrebbero pensarci le Regioni. Ma anche in questo caso, nulla di sicuro, visto che dovremo aspettare la convocazione della Conferenza Stato-Regioni», dice Alberto Campailla che conclude: «Il tema cruciale non è solo risolvere l’emergenza dei certificati Isee, quanto il fatto che nel Def non figurano risorse per il diritto allo studio».

A questo proposito, lapidario il commento di Domenico Pantaleo, segretario nazionale Flc Cgil: « Si eliminano le tasse sulla prima casa anche per i ricchi, si concedono tagli di imposte sostanziosi alle imprese ma nulla per cambiare la legge sulle pensioni, per i contratti pubblici, per il diritto allo studio, per il precariato e per gli investimenti nei settori della conoscenza».

La rivoluzione economica si tinge di blu

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Economista, imprenditore e saggista belga, Gunter Pauli è il teorico dell’economia blu. Ha fondato Ecover, la prima fabbrica di detersivi biodegradabili, oggi è presidente di Novamont. È fondatore di Zero Emissions Research Initiative, rete internazionale di studiosi che si occupano di trovare soluzioni innovative, progettando modi di produzione e di consumo a minor impatto ambientale.
Per Edizione Ambiente è uscita nel 2014 la nuova edizione italiana del suo libro Blue economy.

Cos’è la blue economy?

La blue economy è un modello di business che si occupa della creazion, a livello globale, di un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. È un’evoluzione della green economy: mentre questa infatti prevede una riduzione di CO2 entro un limite accettabile, l’economia blu prevede di arrivare ad emissioni zero. Inoltre l’obiettivo della blue economy non è investire di più nella tutela ambientale, ma innovare l’economia utilizzando i benefici prodotti da sostanze già presenti in natura, effettuare minori investimenti, creare più posti di lavoro e conseguire un ricavo maggiore. Le basi di questo principio si fondano sulla biomimesi, lo studio e l’imitazione delle caratteristiche delle specie viventi per per trovare nuove tecniche di produzione e migliorare quelle già esistenti.



 Parliamo di Blue economy su Left n. 40

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Le unioni civili possono aspettare, tanto aspettiamo solo da 30 anni

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E così le unioni civili possono aspettare. Lo ha spiegato il ministro Maria Elena Boschi nel salotto clericale-democristiano di Rai Uno: «Temo slitteranno i tempi. Eventualmente riprenderemo a gennaio». La legge non la vogliono i centristi, i moderati del Pd la digeriscono male, mentre, sembra di capire, il Movimento 5 Stelle è diviso sulle adozioni.
Prima c’è da fare le riforme, poi c’è da approvare la manovra. Come si è detto spesso in materia di diritti: non è questa la priorità del Paese, abbiamo ben altri problemi. Già.
Come ha scritto il Fatto Quotidiano sono 30 anni che si aspetta e i progetti di legge presentati e mai arrivati in fondo sono 47. Da quando se ne è cominciato a discutere è cambiato il mondo: un tempo il problema da risolvere era quello delle coppie non sposate eterosessuali mentre era meno pressante il tema di garantire diritti eguali a tutte le persone che decidono di costituire un nucleo familiare.
In 30 anni, appunto, il mondo è cambiato e una qualche forma di legge che regoli diritti e doveri di due persone che decidono liberamente di stare assieme la hanno approvata in decine di Paesi. Quei governi e Parlamenti che le hanno approvate negli stessi anni hanno votato, pensate, finanziarie, approvato missioni militari, cambiato politiche energetiche, varato riforme. Eppure il tempo lo hanno trovato.
Non è difficile: si decide che status giuridico si sceglie di dare a una coppia di persone dello stesso sesso che sta insieme e se si sceglie che questo non deve essere identico dal punto di vista nominale a quello di due persone sposate in Comune, si equiparano i suoi diritti a quelli degli sposati utilizzando il diritto civile esistente.
In Italia no. In Italia l’influenza di piccoli partiti di centro, senza consenso popolare, ma legati a doppio filo alle gerarchie cattoliche, impedisce passi in avanti alla civiltà dei diritti. Perché una famiglia sono un uomo e una donna, perché due genitori sono un papà e una mamma. E perché, evidentemente, Giovanardi, Alfano& Co. non hanno mai visitato un orfanotrofio e non hanno mai chiesto a un adulto che ha vissuto l’esperienza della casa famiglia o dell’istituto cosa avrebbe preferito tra l’avere due madri che ti amano e passare la propria infanzia in un’istituzione religiosa o laica. Un amico molto religioso che ci ha vissuto, una volta mi ha detto: «Due uomini, due donne, qualsiasi cosa è meglio di quello».
Abbiamo un governo che rottama tutto: cambia il lavoro, cambia la costituzione, cambia persino (in meglio) il diritto di cittadinanza. Ma questo no: quattro cattolici con pochi voti, dentro e fuori dal Pd, sono in grado di tenere il Parlamento in ostaggio. In America o in Spagna ci sono la destra e la sinistra, da un lato la sinistra, promuove i diritti, dall’altro, la destra conservatrice lo osteggia. In Italia siamo tutti di centro (oppure, nella formula postmoderna e populista del M5S, non di destra e non di sinistra) e, per questo, rinviamo al 2016. Un giorno una legge che riconosca le coppie dello stesso sesso si farà, arrivare ultimi e farla peggio degli altri, sarà stato abbastanza umiliante. Una cosa di cui vergognarsi, su cui mandare in rete dei tweet furibondi e sdegnati come per, che so, gli scioperi al Colosseo. Che sono quelli ad essere anti-europei, non i crociati.

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Così è stato ucciso Stefano Cucchi: un’indagine medica indipendente

«In conseguenza dell’aggressione violenta di cui è stato vittima, Cucchi ha sviluppato una grave reazione psicopatologica post-traumatica. Questa è stata caratterizzata da un insieme di sintomi tra cui una serie di alterazioni neurovegetative come l’iporessia (riduzione del senso di fame) che, in concomitanza con altre reazioni post-traumatiche come la chiusura e la sospettosità, è stata determinante nel provocare una severa riduzione dell’apporto alimentare e una conseguente drastica perdita di peso. Ciò in un paziente che, per il suo stato nutrizionale, si presentava già vulnerabile al momento dell’arresto».

Medici per i Diritti Umani (Medu), stamattina in Senato, ha presentato “Il caso Cucchi”, un’indagine medica indipendente di Alberto Barbieri e Massimiliano Aragona (che insegna Psicopatologia Fenomenologica alla Sapienza, elementi clinici ancora non presi in considerazione nel corso dei due processi che hanno riguardato la morte di Stefano Cucchi. Accadeva sei anni fa e ora una nuova indagine sta individuando responsabilità finora mai emerse.
Cinque carabinieri sono iscritti nel registro degli indagati dopo la conclusione, con un nulla di fatto, del processo d’appello.
 L’indagine di MEDU si basa sullo studio e l’analisi della documentazione processuale tra cui deposizioni, perizia, consulenze, documentazione sanitaria, memorie, motivazioni delle sentenze. 
Dalla narrazione cronologica degli eventi all’analisi delle conseguenze fisiche e psichiche del trauma, dalla riflessione sulla natura degli atti violenti alle considerazioni sulle causa della morte, l’indagine cerca di restituire una ricostruzione dei fatti compatibile, tanto con la logica clinica, quanto con la verità «umanamente accertabile e umanamente accettabile» del caso Cucchi. A Palazzo Madama, tra gli altri, Luigi Manconi (Presidente Commissione Diritti Umani del Senato), Patrizio Gonnella (Presidente Antigone e CILD-Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili ), Barbieri e Aragona, Ilaria Cucchi e l’avvocato Fabio Anselmo, Acad.

E’ evidente, per i medici di Medu, la catena causale che collega aggressione, trauma psichico e la sindrome di inanizione che ha provocato la morte di Stefano Cucchi. «In altre parole – si legge nelle conclusioni – le violenze subite da Stefano sono state il primum movens che ha portato a una sequenza di eventi patogeni terminata solo con il decesso del paziente. Nel caso Cucchi le conseguenze del trauma psichico, le spine nello spirito, hanno avuto effetti ancora più profondi e devastanti delle ferite provocate dalle lesioni fisiche».

Questa indagine non è una consulenza di parte ma un lavoro realizzato da Medu in assoluta indipendenza e punta ad analizzare eventuali quadri clinici che abbiano avuto una rilevanza nella tragica vicenda e che non siano ancora stati presi in considerazione. Se infatti nel corso dei due processi, sono state analizzate minuziosamente le possibili cause e le conseguenze delle lesioni traumatiche subite da Cucchi e con altrettanta attenzione sono stati presi in considerazione gli altri possibili quadri patologici di natura organica, né le numerose consulenze né la stessa perizia disposta dalla Corte d’Assise hanno in alcun modo indagato il quadro psichico del paziente.

 

Ecco la sintesi della ricostruzione di Barbieri e Aragona:

1) Dopo essere stato arrestato e prima di giungere all’udienza, Stefano Cucchi è certamente vittima di un’aggressione: viene percosso o è comunque sottoposto a violenza intenzionale, così come riconosciuto dalle Motivazioni della sentenza d’appello.

2) Dalla ricostruzione dei fatti è altamente probabile che l’aggressione abbia avuto luogo nel periodo intercorso tra la fine della perquisizione domiciliare (ore 2.00 del 16 ottobre) e la chiamata del 118 da parte del carabiniere di guardia nella caserma di Tor Sapienza (ore 4.30 del medesimo giorno). E’ inoltre possibile ipotizzare che prima dell’udienza di convalida abbia avuto luogo un’ulteriore aggressione fisica, come testimoniato dal teste Samura Yaya (si veda il capitolo 3 per le ragioni che, in difformità dalle sentenze di primo grado e d’appello, ci fanno propendere per un riconoscimento di affidabilità del suddetto testimone).

3) In conseguenza dell’aggressione, Cucchi riporta, oltre a probabili lesioni minori, certamente lesioni contusive importanti in regione frontale sinistra e parieto-temporale destra e una frattura in regione sacrale (S4). La presenza di una concomitante frattura alla terza vertebra lombare (L3) è sostenuta dai consulenti tecnici delle parti civili.

4) In conseguenza della violenza subita, Cucchi non solo riferisce vivi dolori a livello sacro coccigeo in corrispondenza della frattura sacrale, ma anche alla schiena, agli arti inferiori, mal di testa e dolori generalizzati.

5) Nelle ore susseguenti all’episodio (o agli episodi) delle percosse Cucchi inizia a manifestare diversi sintomi e comportamenti provocati dal trauma psichico innescato dalla aggressione subita: sofferenza psicologica intensa e prolungata e marcate reazioni psicofisiologiche quando esposto ad aspetti che simbolizzano o ricordano il trauma subito; incapacità di ricordare con coerenza l’episodio delle percosse ed evidente volontà di non parlare dello specifico evento; persistente condotta ritirata ed evitante; ipervigilanza e sospettosità simil-paranoidea, con diffidenza e paura nei confronti dei rappresentanti dell’autorità, medici compresi; umore deflesso; comportamento irritabile, aggressività verbale e manifestazioni di rabbia; disinteresse nei confronti di se stesso e della propria salute e comportamenti a rischio; episodi di insonnia; importante diminuzione dell’appetito con perdita di peso; nausea e astenia;

6) Tale sintomatologia è inquadrabile in un “Disturbo correlato a eventi traumatici e stressanti con altra specificazione” del tipo specifico “Disturbo Acuto da Stress sottosoglia” (DSM-5);

7) La sofferenza psicologica di Cucchi è esacerbata dal dolore fisico e da fattori ri-traumatizzanti quali la detenzione (il reparto protetto del Pertini è dotato di celle come un carcere) e l’isolamento, dal momento che gli viene negata la possibilità di comunicare con persone di fiducia;

8) L’importante diminuzione dell’appetito, la mancata percezione del bisogno primario di alimentarsi, provocata dal trauma psichico e dal dolore persistente, in concomitanza con altre reazioni post-traumatiche come la chiusura e la sospettosità, ha un ruolo causale determinante sulla condotta alimentare di Stefano Cucchi, caratterizzata da un’assunzione di cibo e liquidi gravemente insufficiente;

9) La condotta alimentare del paziente, con conseguente drammatico calo ponderale, contribuisce in modo decisivo a sostenere una sindrome da inanizione in un soggetto che già al momento dell’arresto risultava sottopeso.

10) Il progredire della sindrome da inanizione, senza la messa in atto di interventi terapeutici efficaci, porta in successione, ad un severo squilibrio metabolico-elettrolitico, ad un probabile arresto cardiaco aritmico e, infine, alla morte di Stefano Cucchi.

Tale ricostruzione degli eventi patogeni va valutata in un contesto in cui possono aver agito altri fattori causalmente complementari nel determinismo della morte, come quelli, ad esempio, prospettati dai consulenti tecnici di parte civile. In ogni modo, essa riordina in un insieme coerente, completo e leggibile il mosaico degli innumerevoli, e a volte apparentemente contraddittori, dati clinici del caso Cucchi.

Kenya, il cambiamento climatico potrebbe prosciugare un enorme lago

La contea di Turkana è una delle più povere del Kenya, ci vivono un milione e 200mila persone, per la maggior parte pastori e pescatori. Una regione semi arida, che lotta spesso contro la siccità e che ha come massima fonte di approvvigionamento il lago Turkana. Ma per quanto ancora?

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Un rapporto di 96 pagine di Human Rights Watch mette in guardia sul pericolo di possibile scomparsa del lago. Un nuovo lago di Aral in Africa, dicono a HRW facendo riferimento a quello che un tempo era il quarto bacino naturale del pianeta e che progetti di irrigazione voluti ai tempi dell’Unione Sovietica hanno ridotto al 10% la superficie.

La regione è anche un esempio di come i cambiamenti climatici, l’aumento delle temperature e il cambiamento dei modelli delle precipitazioni, colpisca in modo sproporzionato le aree del pianeta e le società più vulnerabili. Joseph Amon, direttore dell’area salute e diritti umani di Human Rights Watch spiega: «Il Lago Turkana è a rischio di scomparire, e la salute e la vita delle popolazioni indigene della regione con esso»

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(Human rights watch)

Tra il 1967 e il 2012, le temperature medie massime e minime nella contea ai confini con l’Etiopia, sono aumentati di 2-3 gradi e le stagioni sono cambiate: quella lunga delle piogge è diventata più breve e meno intensa e quella breve più umida e lunga.
Allo stesso tempo, i progetti idroelettrici e le piantagioni di zucchero nella valle del fiume Omo (in Etiopia) minacciano di ridurre ulteriormente i livelli di acqua nel lago Turkana, fonte di sostentamento per 300mila persone. HRW mette in guardia sui rischi che, senza un intervento deciso del governo di Nairobi, la regione rischi una catastrofe ambientale con conseguenze drammatiche sulla popolazione.


 

Tre testimonianze raccolte da Human Rights Watch (e in basso un video, in inglese) che racconta la situazione
«La carestia ha prodotto sfollati. I ragazzi che guardavano le mandrie di bestiame hanno perso tutto, ora non hanno nulla da fare. Non abbiamo altra scelta che alzare le mani e chiedere aiuto. Dove andremo ora?»
– Herder O.L., 46 anni, allevatore

«Durante il periodo di siccità vado spesso [al fiume] non solo una volta al giorno, ma di mattina e poi la sera tardi, e domani di nuovo la stessa cosa. Tutto il villaggio dipende da questo corso d’acqua, umani e animali. Qualche tempo fa, quando la pioggia era abbastanza, l’acqua durava durare anche quattro mesi [nel fiume adiacente]. Ma ora le cose sono cambiate e  i pozzi si prosciugano molto velocemente».
– PO, una donna 9 mesi di gravidanza che cammina a 18 chilometri al giorno per l’acqua

«La siccità colpisce sia le persone e gli animali in questi ultimi anni. Uno dei miei figli si ammalò durante il precedente periodo di siccità, e morto a causa di fame e malattia. Abbiamo fame durante la siccità e quando sarà il governo, aiuta solo poche persone. ”
– BC, donna, 28, che vivono vicino Todonyang, Turkana County


 

 

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L’anticipazione del venerdì | Semi di resistenza

La copertina di Left questa settimana è dedicata all’agricoltura. Che ricette esistono per cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo cibo? E che danni fanno le multinazionali dell’Agribusiness ad ambiente e società? Ecco qualche assaggio, molto piccolo, di quel che trovate nel numero in edicola

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Brevetti e Multinazionali chi privatizza il cibo?

L’analisi di Raffaele Lupoli

Cosa mangeremo quando saremo 10 miliardi? La sfida è tra l’agroindustria, che punta sui brevetti e la conquista dei mercati, e i piccoli produttori locali che vogliono rimanere liberi di utilizzare e scambiarsi i semi a loro piacimento (…) Monsanto, Syngenia, Bayer e compagnia hanno già preso di mira grano, mais, soia e palma da olio, canna da zucchero e caffé. Il contadino che pianterà i semi brevettati dovrà pagare i diritti d’uso.

È tempo di Blue economy

La proposta di Gunter Pauli (economista, imprenditore, saggista)

Passare dalla scarsità della globalizzazione all’abbondanza è possibile. Come? Riprendendo in mano la produzione alimentare. Dovremmo fare in modo che materia, energia e nutrizione siano continuamente upcycled, in continuo riuso creativo

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La mia rivoluzione per la terra e l’umanesimo

Tiziana Barillà intervista Pierre Rahbi, pioniere dell’agro-ecologia

Se i camion smetessero di portare vibo a Parigi, la città resisterebbe 4 o 5 giorni prima di piombare nella fame. Noi sperimentiamo la nostra autonomia: orto, animali e collettività (…) Ci lamentiamo delle multinazionali ma diamo loro ogni giorno il nostro denaro. E’ importante capire che nel comportamento individuale di ciascuno c’è una responsabilità morale. Poi occorrerà chiedersi se esiste un modo diverso di organizzare le cose.

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La regola del “quai”

di Daniele De Michele aka Donpasta

Dove sono cresciuto vigeva la sola regola utile, quella del buon senso, che dice che meno si condiziona nascita e crescita del cibo e più questo sarà buono. Alla faccia delle leggi stupide e degli interessi delle lobby

 

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Left n.40 lo trovi in edicola da sabato 17 ottobre 

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Vaccini: che fanno gli altri Paesi?

vaccini negli altri paesi

I nostri bambini sono più sicuri vaccinati o no? A cadenza stagionale (in linea con l’inizio della scuola e l’arrivo della stagione invernale), in Italia come America, scoppia l’epidemia della paura da effetti collaterali. Pura che purtroppo si traduce in un calo delle immunizzazioni. È di due settimane fa l’allarme lanciato dall’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) nei confronti del nostro Paese, che starebbe battendo in negativo gli Stati dell’est (ne abbiamo parlato qui).

Ma, superando gli italici confini e le italiche facili credenze, come viene affrontata la questione negli altri Paesi?

Troppo facile sarebbe ricordare che l’origine di tutti i mali fu in Inghilterra, quando, nel 1998, il medico Andrew Wakefield pubblicò sull’autorevole rivista scientifica Lancet, uno studio che collegava il vaccino alla comparsa dell’autismo. Il medico venne successivamente radiato, ma il germe era ormai depositato, e nonostante numerosi studi autorevoli e l’instancabilità di medici, ricercatori e scienziati nello spiegare la questione, la psicosi si è diffusa in tutti i continenti.

In Francia, pare abbia attecchito: il ministero si dice preoccupato perché, stando a un sondaggio Ifop reso pubblico il 12 ottobre scorso e realizzato per l’Associazione nazionale Groupement de pharmaciens, il 74% dei francesi non avrebbe intenzione di vaccinarsi contro l’influenza, ritenendolo rischioso per il 22% (inutile il 54%).
L’anno scorso invece, ben 420 medici hanno promosso una petizione contro il vaccino anti-HPV (papilloma virus) Gardasil. Il fatto che siano medici e i problemi riscontrati più volte dal farmaco, fanno facilmente dedurre che sia questo e non il vaccino in sé a essere pericoloso. Sul farmaco infatti, si è basata l’interrogazione parlamentare che ne è seguita.

Tutt’altro registro per la Germania, invece, dove non sono sempre molto attenti a contenere le psicosi: da oltre un anno (come riportava un servizio di Der Spiegel lo scorso febbraio), il Bundesland sta vivendo una vera e propria epidemia di morbillo (oltre 100 casi) dovuta alla scarsità di vaccinazioni. Tuttavia, il tasso di vaccinazione è cresciuto costantemente negli ultimi dieci anni, superando nel 2015 il 95% dei bambini coperti. La Germania avrà tanti difetti, ma sicuramente non quello dell’irresponsabilità. E difatti, è bastato il caso di un bimbo di 18 mesi, non vaccinato, e morto a causa della malattia esantematica, ad allarmare e attivare i politici, tanto che il ministro della Salute, Hermann Gröhe, dopo aver tuonato contro gli “anti-vaccinatori”, definendoli degli irresponsabili che mettono in pericolo non solo i propri figli, ma tutta la comunità, ha immediatamente proposto di rendere obbligatorio per legge le immunizzazioni. Legge che è stata poi discussa e approvata in estate (a luglio), ed entrerà in vigore dal 2016.
La problematicità di pregiudizi e false leggende di cui sono vittima i genitori – e soprattutto i loro figli – le aveva denunciate anche l’assessore alla Salute di Berlino, Mario Czaja.

Il pugno duro lo hanno usato anche in Australia, dove per legge, chi non vaccina la propria prole, non potrà utilizzare alcuni servizi statali e può scordarsi qualsiasi tipo di agevolazioni fiscali (salvo eccezioni per ragioni medici). Le legge, dal titolo che non lascia adito a malinterpretazioni – «Niente puntura, niente soldi» -, prevede che dal 1°gennaio 2016, le famiglie perdano in questo modo fino a 9500 euro a bambino. «Se alcune famiglie scelgono di non proteggere i propri figli, questo comportamento non verrà appoggiato né dalla ricerca medica, né tantomeno vedrà il sostegno dei contribuenti», ha dichiarato il ministro delle Politiche sociali Scott Morrison. Evidentemente è l’unica moneta di scambio che a certi oscurantismi accende la lampadina della ragionevolezza.
Nel Commonwealth oceanico il numero dei bimbi sotto i 7 anni protetti con le vaccinazioni, è salito sa 24mila a 39mila in dieci anni, raggiungendo quota 90%.

In Svizzera invece la situazione è più controversa e si fatica ad approvare una legge di prevenzione analoga a quella della Germania, a causa dell’ostruzionismo in Senato di una forte controparte “liberale”. La proposta di legge è stata bocciata nel 2012.
In compenso, dal 1987 è stato introdotto l’obbligo di notifica per le reazioni da vaccino anomale [Legge sulle Epidemie, art 27 comma 1]. Ma le notifiche ammontano approssimativamente al 5%.

Diversa naturalmente è la situazione per Paesi come la Romania o la Bulgaria, dove le vaccinazioni non sono un fatto di fissazioni, ma fondamentali per la salute, essendo più facile entrare in contatto con malattie come la rabbia o febbri tifoidi.
Tanto per ribadire: secondo l’Oms, la vaccinazione contro il morbillo ha provocato un calo del 75% dei decessi per morbillo tra il 2000 e il 2013 in tutto il mondo. «Tra il 2000 e il 2013, la vaccinazione contro il morbillo ha impedito una stima di 15,6 milioni di morti, che fanno morbillo vaccino uno dei migliori acquisti nella sanità pubblica».

Paesi con Vaccinazioni Obbligatorie (14 su 29):
Belgio (solo per Polio), Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Lettonia, Malta, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Ungheria.

 

Vaccinazioni Non Obbligatorie (15 su 29):
Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Irlanda, Islanda, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, UK.

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