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Portogallo, con Marisa Matias il Blocco di Sinistra si candida alle Presidenziali

Marisa Matias

«Sim, sou candidata». Con un post su facebook e un tweet l’eurodeputata portoghese Marisa Matias ha annunciato la sua candidatura alle Presidenziali che si terranno in Portogallo nel 2016. «Viviamo momenti di attesa e di speranza e, in momenti come questi, dobbiamo sapere ‘ interpretarli e correre rischi», scrive Matias. «Avrei preferito – ed è ciò per cui il Bloco de Esquerda ha lavorato – che esistesse una sola candidatura per la sinistra, che riunisse le forze. Ma in soli tre mesi questo non è fattibile, oggi questo scenario purtroppo non esiste». Ancora non è nota la data in cui si terranno le elezioni, dovrebbe essere a gennaio 2016. Ma il Bloco ha già cominciato a raccogliere le firme a sostegno della candidatura, in Portogallo ne servono almeno 7.500.


 

Left ha intervistato la bloquista Marisa Matias sul numero del 10 ottobre. Ecco cosa ci ha detto.

Dopo il greco, nelle prossime settimane la sinistra europea parlerà portoghese. La destra pro-austerità vince in Portogallo, ma non stravince. Anzi, al momento, non è neppure in grado di governare. In attesa che il capo di Stato portoghese Anibal Cavaco Silva conferisca l’incarico al fragile Pedro Passos Coelho, gli analisti della politica già dicono che si tornerà al voto nel 2016. La vittoria senza maggioranza della destra uscente, perciò, non dice affatto che i portoghesi hanno promosso le politiche di austerità. Per almeno due ragioni: l’alto astensionismo – quota 43% – e il risultato della sinistra radicale e antiausterità. Se i pro-Troika hanno registrato un calo di ben 14 punti, la sinistra seppur divisa è cresciuta. Il Bloco de esquerda (Be) ha raddoppiato i consensi raggiungendo un ampio 10%, i comunisti del Partido comunista portoghese (Pcp) hanno guadagnato un altro 1% e persino i socialisti del Psp – guidati per l’occasione dall’ex sindaco di Lisbona António Costa – ne hanno guadagnati 4. Nonostante il Partito socialista abbia l’onta di aver guidato il Paese durante le prime iniezioni di austerità, fino al 23 marzo del 2011 e cioè finché il loro ex leader ed ex primo ministro José Sócrates presentò le sue dimissioni (il Parlamento aveva respinto il suo piano di austerity su richiesta dell’Ue). Da lì la sconfitta e il passaggio del testimone al centrodestra di Coelho. E l’arresto di Sócrates, il 22 novembre del 2014, per frode e corruzione. Dopo tante turbolenze, quello che cresce a vista d’occhio, in Portogallo, è il bisogno di cambiamento. Il Parlamento neoeletto è stato, di fatto, rinnovato per metà: il 48% dei neoparlamentari che siederanno all’Assembleia da República non vi sedevano nell’ultima legislatura. I portoghesi reclamano aria di cambiamento e che a raccogliere il dissenso possa essere la sinistra non è ancora escluso.

Una sinistra antiausterità ma non antieuropea, come quella del Bloco de esquerda, presente tanto a Lisbona quanto a Bruxelles nel gruppo Gue/Ngl. I forti legami tra l’eurodeputata portoghese Marisa Matias e il leader di Podemos Pablo Iglesias non sono un mistero, e non poche volte i due hanno infiammato le piazze lusitane, cercando di innestare a Bruxelles la mina del cambiamento in entrambi i loro Paesi. Non a caso, il programma elettorale del Be pone al primo punto proprio la questione europea.

Per il Portogallo si prospetta un governo di larghe intese o una terza via di sinistra? Da che parte stanno i socialisti portoghesi? Da Bruxelles arriva l’apertura dei socialisti portoghesi. Dalle colonne del quotidiano greco Avgi, l’eurodeputata socialista Ana Gomez ha così osato: «I socialisti hanno una responsabilità storica di fronte ai cittadini del Portogallo e dell’Europa», auspicando, di fatto, un governo di sinistra dei socialisti insieme al Bloco e al Pcp. «Per rompere con l’austerità neoliberista di destra». Ma Marisa Matias, interpellata da Left, non ne è così convinta: «Siamo stati i primi a lanciare la sfida di un’intesa post-elettorale in caso ci fosse stata una maggioranza di sinistra. E il Bloco de esquerda mantiene la sua disponibilità. Mantiene questa sfida. Ma è proprio il Partito socialista a non avere ancora risposto. Anzi, le dichiarazioni del suo segretario generale sono state più propense a garantire il governo di destra che a mostrare disponibilità per un accordo con la sinistra».

Avete raggiunto un risultato storico, il 10%, superando persino il Pcp.

La nostra disputa non è certo con Pcp. Apprezziamo l’enorme crescita del Bloco, che ottiene il suo migliore risultato di sempre, ma per noi è molto positivo che tutte le forze politiche anti-austerità abbiano ottenuto una crescita con le elezioni e la rappresentanza parlamentare.

Del resto, la questione europea per voi è sempre stata centrale e di fondamentale importanza. È al primo punto del vostro programma elettorale.

Sì, una delle nostre linee guida è la dimensione internazionale dell’azione. In questo senso valorizziamo molto le relazioni con tutti i partiti politici che hanno una posizione di lotta contro l’austerità, per la giustizia sociale ed economica. Abbiamo una lunga storia di relazioni con Syriza e più recentemente con Podemos, ma tutti sono importanti e fondamentali per qualsiasi progetto di trasformazione. Questo è un cammino che non si fa isolatamente. La politica è anche relazioni di forza, abbiamo bisogno di rinforzarci in tutta Europa se vogliamo un’alternativa.

Adesso sarà necessario un referendum sulle politiche europee di austerità?

Siamo appena venuti fuori da un processo elettorale. La politica del governo sulla base di austerità aveva solo il 39% del sostegno popolare. Più del 60% degli elettori ha votato per i partiti di opposizione. Quello di cui necessitiamo adesso è avere una forza rappresentativa di questa maggioranza che vuole cambiare. In ogni caso, noi sosteniamo che tutte le scelte fatte in nome delle persone e che non sono sanciti dai programmi originali, devono essere oggetto di consultazione popolare. Questo governo ha promesso che non avrebbe più attuato l’austerità, ma sappiamo che non è vero.

Infine, come si spiega che i portoghesi abbiano votato ancora una volta Passos Coelho?

Paura, ricatto, e soprattutto un programma poco chiaro. La narrazione creata da Passos Coelho è stata quella che ci sono stati molti sacrifici da fare, ma che il peggio era finito. Ma è altrettanto importante notare che il risultato dei due partiti di destra che appoggiavano il governo è stato il più basso degli ultimi annie che hanno perso più di 700mila voti. In verità, i vincitori sono stati quelli che hanno perso nella notte delle elezioni.

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Marijuana, una coalizione della società civile lancia la campagna per la legalizzazione

C’è una serie Tv prodotta da Netflix (e che quindi presto si potrà vedere in Italia) che racconta vita e morte di Pablo Escobar, quello che fino ai primi anni 90 ha dominato il traffico internazionale di cocaina. Narcos, così si chiama, racconta anche la War on drugs statunitense e tutti i suoi disastri. Nelle sale italiane c’è ancora Non essere cattivo, gran film di Claudio Caligari che racconta Ostia negli anni 90 e vite in bilico tra spaccio, consumo di droga e tentativi di lavorare.

Due storie lontane anni luce che parlano di mondi diversi legati dalle droghe, un tema che impazza nella fiction e meno nella politica. Di droghe la politica parla in maniera rituale e poco informata da decenni. Negli Usa, dopo 40 anni, si è arrivati a capire che la War on drugs di Nixon, Reagan e Bush non ha prodotto altri effetti se non rafforzare i cartelli, riempire le prigioni e spendere soldi pubblici. E in diversi stati si è giunti alla legalizzazione della marijuana.


I fallimenti della War on drugs in numeri : i soldi spesi, l’aumento del numero di persone in carcere negli Usa dal 1971 (+800%) e i morti ammazzati in Messico tra 2012 e 2014 (22mila).

Mille miliardi,tanto è costata la war on drugs agli Usa

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In Italia, se non fosse stato per una sentenza della Corte costituzionale, saremmo ancora alla piena applicazione della legge Fini-Giovanardi. Ma la sentenza della corte non entra nel merito del tema droghe e, quindi, la filosofia di fondo che ispira la nostra legislazione resta quella punitiva della War on drugs. Sbagliata, disinformata, controproducente.

E’ di questi giorni il lancio di una campagna nazionale della Coalizione italiana per i diritti civili (di cui fanno parte tra gli altri Antigone, Arci, gruppo Abele, CittadinanzAttiva, Lunaria, Forum Droghe) dal nome Non me la spacci giusta. L’idea è quella di informare sulle sostanze e raccogliere storie e vicende legali che dimostrino quanto le leggi vigenti siano un male per i consumatori di droga (che si tratti di fumatori di canne finiti nei guai o di tossicodipendenti), per il sistema carcerario e persino per l’idea di un mondo senza droga, filosofia ispiratrice della guerra.

“Non me la spacci giusta” chiede cose poche semplici:

  • aumentare le politiche di riduzione del danno;
  • legalizzare la marijuana e depenalizzare l’uso delle altre droghe;
  • favorire il reperimento di medicine a base di cannabinoidi per i pazienti che ne abbiano bisogno.

Di queste cose avremmo bisogno perché anche in Italia e in Europa le droghe circolano libere come sempre e i narcotrafficanti vivono benissimo nonostante la logica punitiva. Al contrario, le leggi che hanno legalizzato o depenalizzato, negli Usa come in Uruguay, non hanno determinato problemi, non in materia di consumi, non in materia di aumento di problemi sociali o criminalità.

I dati europei sul consumo di droghe

In Europa, la sostanza più diffusa e utilizzata è la cannabis, con circa 23 milioni di cittadini europei che la fumano più o meno regolarmente (quasi il 7% della popolazione complessiva), seguita dalla cocaina, consumata da circa 4 milioni di persone. In calo il consumo di eroina, protagonista assoluta del mercato della droga europeo dalla fine degli anni ‘70 a tutti gli anni ‘80 e ‘90.

nel caso della cannabis ai primi posti per consumi sono la Polonia, la Repubblica Ceca e la Francia. Quest’ultima ha un consumo tra i giovani 15-24enni che arriva al 23% circa. La cocaina vede il Regno Unito seguire la Spagna ma è di gran lunga al primo posto per i consumi tra i più giovani che arrivano al 4,2% circa.

La stima dell’EMCDDA è che circa l’11,7% dei giovani europei, quindi poco più di 15 milioni di persone, abbiano provato la cannabis nel corso dell’ultimo anno.
Lo studio ESPAD, una ricerca europea che analizza il rapporto con le sostanze illecite e alcol e tabacco tra i 15-16enni, stima percentuali di utilizzatori nei vari paesi che variano dal 5% in Norvegia al 42% nella Repubblica Ceca.

E l’Italia?

Intanto c’è una proposta di legge sulla quale convergono più di 200 parlamentari di quasi tutti i gruppi, compendio di varie proposte presentate da singoli e la campagna (che ha un sito ben fatto e rappresenta pezzi importanti della società civile) può essere uno strumento di stimolo alle forze politiche, che su temi come questo (o le unioni civili) non si muovono senza una spinta dal basso.

Nel nostro paese, la cannabis è la sostanza più utilizzata e in aumento, soprattutto nelle regioni del centro-sud. In questi ultimi anni ne fa uso il 4% della popolazione, un dato che sale al 12% se consideriamo la popolazione giovanile, quella tra i 15 e i 34 anni. La cocaina viene consumata dallo 0,6% delle persone, ma anche qui il dato riguardante la popolazione giovanile è più alto e arriva all’1,5%.

15-19enni, sostanzialmente quella corrispondente agli studenti della scuola superiore. Lo studio ESPAD infatti dimostra che negli ultimi anni, con poche variazioni da un anno all’altro, più di mezzo milione di studenti italiani ha consumato cannabis (il 22%), poco più di 60mila hanno utilizzato la cocaina (il 4%), 30mila persone hanno fatto uso di oppiacei (1,7%).

Nelle regioni del nord Italia c’è stata però anche una maggiore diffusione, negli ultimi anni, di sostanze stimolanti come l’ecstasy. Come altre droghe di sintesi, l’ecstasy è molto difficile da quantificare e sfugge assai di più ai controlli, perché viene fabbricata in modi diversi e in numerosi laboratori.

Uno dei dati cui fare più attenzione, quando si parla di consumi di sostanze psicoattive, è però anche la progressiva diffusione del consumo di psicofarmaci utilizzati al di fuori delle prescrizioni regolari. Secondo diversi studi, ben l’8-10% delle persone, anche tra i più giovani, li assumono al di fuori delle prescrizioni mediche. Una percentuale che tende a essere più alta se si guarda alla sola popolazione femminile.

Cosa è successo negli Usa dopo la legalizzazione in molti Stati

Il primo è stato il Colorado, dove si consumava mediamente meno marijuana che in altri Stati e dove il consumo non è aumentato. In compenso nei prossimi anni ci saranno 10mila arresti in meno all’anno legati al consumo di erba, molte spese legali in meno ed entrate per le casse dello Stato: tra luglio 2014 e giugno 2015 le tasse pagate sulla vendita di marijuana sono 70 milioni, più di quelle generate dalla tassa sull’alcool. L’unica discussione sugli effetti negativi della legge è relativa agli incidenti di auto: sono lievemente aumentati quelli le persone al volante risultano positive al test sull’erba (ma non sono aumentati gli incidenti).

Il 57% degli Stati Usa – dove è nata la guerra alla droga – hanno cambiato le loro leggi depenalizzando l’uso di marijuana (una multa al posto del carcere) e altri stanno per discutere la legalizzazione.

In Senato e alla Camera degli Stati Uniti un comitato bipartisan sta per riformare il codice penale in maniera tale ridurre il numero di persone che finisce in carcere per reati non violenti legati alla droga. Già il Dipartimento di Stato ha dato mandato alle autorità giudiziarie di utilizzare i loro poteri discrezionali in maniera da ridimensionare il numero di azioni penali contro soggetti finiti nei guai per aver fumato o essersi scambiati marijuana in piccole dosi.

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Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo

(Un estratto del testo di Rosa Schiano che trovate qui sotto e alcune tavole di Guerrilla Radio. Vittorio Arrigoni e la possibile utopia, il libro-fumetto di Stefano “S3Keno” Piccoli edito da Round Robin, sono su Left in edicola dal 17 ottobre e sullo sfogliatore online)


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La situazione nei territori palestinesi torna al centro dell’attenzione mediatica dopo gli avvenimenti tragici che scuotono Cisgiordania e Gerusalemme. Il clima si è esasperato con un prevedibile aumento degli scontri tra dimostranti palestinesi e polizia israeliana. Le tensioni aumentano anche a causa dell’ininterrotta espansione coloniale, come denunciano i rapporti delle Nazioni Unite. L’inosservanza del diritto internazionale, le demolizioni di abitazioni, le minacce di trasferimenti forzati, le quotidiane umiliazioni inflitte dai check-point, la linea politica di destra al governo di Tel Aviv sempre più ostile a riconoscere i diritti dei palestinesi, le migliaia di detenuti politici nelle carceri israeliane, le migliaia di rifugiati nei campi profughi: l’assenza di continuità territoriale, creata da colonie e avamposti militari, ha reso oramai impossibile la realizzazione sul campo di quello che dovrebbe essere lo Stato di Palestina. E nonostante i rimproveri internazionali, il governo israeliano non ha intenzione di ritirare il proprio controllo dalla Cisgiordania. Il Parlamento europeo Un segnale ha lanciato un segnale nel mese di settembre, approvando una mozione che appoggia l’introduzione di etichette differenti per le merci importate provenienti da Israele e per quelle prodotte nelle colonie illegali nei Territori palestinesi occupati e nelle Alture del Golan per permettere al consumatore europeo di sapere e avere la possibilità di scegliere. Passi che, seppur importanti, non incidono nella realtà sul campo.  Al momento in cui si scrive, si prospetta l’ipotesi di una nuova Intifada.

Gaza, nel frattempo, segue le notizie sulla Cisgiordania con partecipazione. I muri creano distanze fisiche ma non separano gli animi. Gaza non è cambiata in questi anni, lavora in silenzio. Mi è sempre apparsa un cantiere eterno. Sempre, perennemente, in costruzione. È la stessa che sorrideva a Vittorio Arrigoni, attivista per i diritti umani e compagno dell’International solidarity movement, arrivato nella Striscia dopo diverse esperienze di volontariato in altri angoli del mondo. La sua scomparsa nel 2011 ha sconvolto italiani e palestinesi e generato reazioni di indignazione, dolore, commozione. Le anime nere che una sera l’hanno portato via pare che stiano nuovamente facendosi sentire nella Striscia: alcuni media riferiscono che membri di gruppi salafiti jihadisti si siano affiliati allo Stato Islamico e cerchino di destabilizzare il controllo di Hamas lanciando razzi verso il sud del territorio israeliano al fine di scatenare una nuova offensiva da parte del governo di Tel Aviv che non ha esitato a rispondere bombardando, senza per fortuna causare vittime. Si sa che miseria e disperazione e . nel caso della Striscia assediata – chiusura, possono favorire la crescita di estremismi.

Gaza soffre ancora le conseguenze dell’offensiva israeliana della scorsa estate, quella denominata “Margine Protettivo”. Uomini, donne e bambini hanno vissuto scene terribili, interi quartieri sono stati rasi al suolo. I ricordi di guerra restano indelebili nella mente dei sopravvissuti. Dati dell’Onu riportano di circa 2.205 palestinesi uccisi, di cui almeno 1.483 civili, di cui almeno 521 bambini, e 71 sono stati gli israeliani uccisi, di cui 4 civili e un coordinatore della sicurezza. Almeno 11.000 i feriti palestinesi, di cui tanti hanno subito disabilità permanenti, almeno 500.000 sfollati, 18.000 abitazioni demolite dai bombardamenti, 26 scuole distrutte e altre 226 danneggiate, 17 ospedali distrutti e 56 centri di assistenza sanitaria primaria danneggiati. Danni sono stati riportati anche all’unica centrale elettrica di Gaza, alla rete idrica e agli impianti delle acque reflue, a un impianto di desalinizzazione, mentre 220 pozzi di acqua per l’agricoltura sono stati distrutti o danneggiati insieme a centinaia di fattorie ed esercizi commerciali. Le promesse per la ricostruzione fatte alla conferenza del Cairo a ottobre 2014 non sono state ancora mantenute, solo una minima parte dei 3,5 miliardi di dollari promessi è stata donata.

Superare il trauma diventa difficile quando si continua a vivere  nello stesso scenario di rovine e devastazione. Su quest’ultima il celebre artista Banksy ha voluto richiamare l’attenzione del mondo, quest’anno, attraverso i suoi graffiti apparsi su ciò che resta di edifici crollati. Un gattino dal grande fiocco rosa appare sulla parete di un’abitazione abbattuta: Banksy ha spiegato di aver voluto mostrare la distruzione di Gaza mettendo una foto sul proprio sito, ma che le persone “guardano soltanto foto di gattini”.  Una sua scritta in inglese recita: «Se ci laviamo le mani del conflitto tra il potente e il debole ci schieriamo con il potente. Non restiamo neutrali».

05204La guerra a Gaza ha causato danni psicologici, soprattutto a donne e bambini. Tra i sintomi del disturbo : paura, ansia, continua sensazione di pericolo, nervosismo, reazioni sproporzionate, insonnia, problemi alimentari di origine nervosa, depressione, sensazione di ineluttabilità della morte sentita come imminente. Alcune associazioni provano a fornire, oltre al primo soccorso, sostegno psicologico e sociale. Per alcuni esperti, parlare di post o pre-trauma è inutile, dal momento che il trauma è costante e continuo: si vive una sofferenza psicologica collettiva, uno stato di stress post-traumatico permanente.

Tre offensive militari israeliane negli ultimi sei anni, in aggiunta a otto anni di blocco economico, hanno devastato la già indebolita infrastruttura di Gaza, ne hanno frantumato la base produttiva, non hanno lasciato il tempo per una ricostruzione significativa, né hanno permesso un recupero economico. L’ultimo rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo descrive uno scenario devastante: dal blocco imposto nel 2007, le esportazioni da Gaza sono state quasi totalmente vietate e le importazioni e i trasferimenti di denaro limitati. L’ultima offensiva nel 2014 ha colpito gravemente un’economia già paralizzata in un momento in cui le condizioni socioeconomiche erano ai livelli più bassi dal 1967. Nel 2014, la disoccupazione ha raggiunto il 44% e colpito soprattutto le donne. Qualche giorno fa Ewash (Emergency water and sanitation-hygiene group), ha raccomandato che garantito ai palestinesi il diritto all’acqua. Il governo israeliano mantiene il controllo sul 70% delle falde acquifere montane, mentre ai palestinesi ne viene destinato solo il 17%. E nella Striscia di Gaza nemmeno il 5% delle acque estratte dalla falda acquifera costiera – l’unica risorsa di acqua dolce disponibile – è potabile; il restante 95% è contaminato da nitrati e cloruro e ha un alto tasso di salinità. Il che crea non pochi problemi al settore agricolo, oltre a influire sulla vita quotidiana dei residenti. Dure crisi hanno colpito pure l’energia elettrica, quando è venuto a mancare il carburante. L’assenza di elettricità crea disagi soprattutto nei mesi invernali quando le temperature scendono vertiginosamente e non c’è modo di scaldarsi. E le interruzioni di energia elettrica colpiscono, tra l’altro, attività economiche del settore privato, ospedali, scuole, impianti per il trattamento delle acque. Lo sviluppo di giacimenti di gas scoperti nelle acque di Gaza potrebbe migliorare di molto la situazione ma l’occupazione israeliana, come riferito nel rapporto della Unctad, non permette lo sviluppo di questi bacini di gas.

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La presenza internazionale sul campo è molto importante al fine di migliorare la diffusione delle informazioni. È parte fondamentale del lavoro di noi volontari dell’International solidarity movement e si accompagna alle attività di interposizione, ovvero accompagnamento di contadini e pescatori. Lungo il confine della Striscia, all’interno del territorio palestinese, Israele ha imposto una buffer zone che copre circa il 35% dei terreni agricoli palestinesi. I soldati israeliani usano sparare contro chiunque si avvicini alla zona interdetta anche contro contadini che lavorano nei campi lungo il confine: la presenza degli internazionali in questo caso può  fare da deterrente contro gli attacchi. A volte funziona, altre volte no. Lo stesso avviene in mare, dove la marina militare israeliana continua ad aprire il fuoco contro pescherecci palestinesi anche dentro il limite delle 6 miglia imposto da Tel Aviv.
La presenza internazionale fa sentire i popoli oppressi meno soli nelle loro lotte. Ma non basta, servirebbero programmi di sviluppo a lungo termine. E anche un lavoro politico nel nostro Paese, per  premere sulle nostre istituzioni affinché compiano un atto di coraggio e decidano di agire concretamente per i diritti – incluso il rispetto del diritto internazionale –  e non siano complici nel silenzio della loro violazione, si potrebbe dire, attraverso una pratica del “restare umani”.

Roma e la profezia di Suburra

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Roma e il malaffare: speculazione edilizia, spaccio di droga, gestione del territorio da parte di clan malavitosi. A portare nelle sale, in questi giorni, la “mala” gente capitolina, è Suburra, diretto da Stefano Sollima, regista della serie tv Romanzo criminale e di Gomorra. La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, nulla tralascia dei già noti fatti di cronaca, sebbene sia stata ideata, sceneggiata e in parte girata già prima degli avvenimenti sfociati nell’inchiesta “Mafia capitale”.

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«Ricordo che un giorno, mentre andavo a girare, ho appreso la notizia e sono rimasta a bocca aperta», racconta Giulia Elettra Gorietti, protagonista femminile del film, a fianco di Pierfrancesco Favino, Elio Germano e Claudio Amendola. «Quando sono arrivata sul set non c’è stato bisogno di dire niente, ci guardavamo tutti, era una situazione surreale: avevamo cominciato a girare qualcosa che adesso stava accadendo sul serio». In questi giorni di scompiglio per la Capitale, dopo le dimissioni del sindaco Ignazio Marino, Suburra arriva al pubblico con tutta la sua verace intensità, assieme ai suoi personaggi spietati. Left ha incontrato Giulia Elettra, attrice giovane ma già nota al grande e al piccolo schermo, dopo il debutto nel film di Paolo Virzì Caterina va in città. E diverse parti in fiction tv. In Suburra il regista le fa indossare i panni dell’avvenente escort Sabrina.

Come sei stata scelta da Stefano Sollima?
Con un auto-provino che ho mandato a Laura Muccino e lei ha mostrato a Stefano. Solo successivamente l’ho incontrato. Ecco, sono stata scelta così. Recito da tanti anni, però solo adesso penso di aver incontrato la strada che voglio percorrere d’ora in avanti.

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Che tipo di regista è Sollima, com’è stato lavorare con lui?
Lavorare con un autore come lui è sempre stato il mio sogno. Da un po’ di anni guardavo i suoi film e, insomma, ho una grande stima per lui. Sa esattamente quello che vuole, ti trasmette la sua idea del personaggio e riesce a tirarti fuori il meglio. Ricordo una scena molto difficile per me, che ho girato con Favino, e che grazie a Stefano ho superato magnificamente. Mi trovavo in difficoltà, non riuscivo a capire quale emozione dovessi esprimere, lui se ne è accorto, ma non me lo ha fatto capire, mi si è avvicinato e mi ha detto, con estrema delicatezza, qualcosa che aveva a che fare con la mia vita. In questo modo sono riuscita a entrare nella dimensione giusta per girare.
Come hai vissuto, da romana, i fatti tristemente noti che racconta Suburra?
Non è esclusivamente una questione che riguarda Roma, perché la politica rappresenta l’Italia. Nel film si parla di Roma, ma vale per tutta l’Italia.

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Com’è stato preparare il personaggio di Sabrina?
Cerco di individuare le debolezze che un personaggio ha in comune con me, in modo da trovare subito una sorta di attrazione per quella personalità. E cerco anche un qualcosa per giustificare quello che di me vorrei giustificare. Per questo preferisco personaggi molto diversi da me, come di fatto è Sabrina. È una donna ormai fuori da ogni logica sana, è catapultata in una circostanza folle, ma lei non se ne rende conto, si sforza di trovare la normalità nella follia.
Tu, invece, che tipo sei?
Sono molto più razionale. Al tempo stesso e, quindi, a volte, ho una logica tutta mia. Sono di indole emotiva, ma anche molto riflessiva. Molto spesso mi trovo a essere combattuta tra quella che è la mia indole e quello che penso sia più giusto.

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A parte recitare, nella vita di tutti i giorni, che cosa ti piace fare?
Mi piace molto andare a cavallo. Ma attenzione non è equitazione, che è una cosa che detesto, le regole per andare a cavallo non le sopporto, mi sembra di usare il cavallo come un mezzo. A me piace andare a passeggio come si faceva una volta, seguendo l’impeto dell’animale, assecondandolo. È una forma di yoga, di rilassamento, perché devi ascoltare l’animale per muoverti, finendo per non pensare più alle tue cose. E poi mi piace leggere, andare al cinema, guardare i film drammatici, ma anche quelli che parlano di psicologia, mi interessa molto capire quello che mi succede intorno.

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L’intervista completa a Giulia Elettra Gorietti su Left n.40. In edicola e online 

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Up & Down | La Ferilli per Marino e il medico contro i down

le notizie della settimana

 

UP

Ultimo tango per Marino

Sabrina Ferilli prende le difese di Ignazio Marino. In un’intervista l’attrice dichiara: «Se Marino ci ripensasse, se facesse delle dimissioni una pallottola di carta e la puntasse contro chi adesso esulta, se le rifiutasse nel modo che sa, con la bizzarria di cui è capace, mi farebbe felice». Non solo: si dice anche disposta a rivotare l’ormai ex sindaco. «Anzi di più: diverrei una sua fan, ballerei il tango per una notte intera. Lo rivoterei perché Marino è quello che è, ma quegli altri sono iene a cui non frega nulla di Roma. Avevano bisogno di una preda, hanno ordito un agguato».

 

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DOWN

Opinioni geneticamente difettose

«I Down vanno bene in cucina, a fare giardinaggio, ma cambiare i bambini di pochi mesi proprio no: questa è platealità e cialtroneria». Massimo Masotti, vicepresidente dell’Ordine dei medici di Ferrara aveva commentato così il caso della bambina ritirata dalla madre dall’asilo nido perché seguita da una ragazza Down. «I miei nipoti me li sarei riportati a casa», aveva continuato insolente l’ex consigliere di Forza Italia. Poi le dimissioni dall’ordine e la cancellazione dall’albo – cosa che quantomeno ci tranquillizza: di medici così, si può fare a meno. Delle scuse invece, nemmeno una traccia.

È tempo di blue economy

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Abbiamo perso il controllo sul nostro cibo, e siamo nelle mani di pochi soggetti mossi da un unico imperativo: fare profitto. Se questo implica l’uso di ogm, che ogm siano, se richiede l’utilizzo di ormoni, allora via agli ormoni. E se c’è bisogno di prodotti chimici per dare al cibo di 21 giorni un aspetto fresco, nessun problema ad aggiungerli. Tutto deve apparire ultra-fresco, anche se in realtà tutto è stato appena scongelato, e così sia. E quando il cibo non è locale, spendiamo gran parte del denaro per farlo circolare, quotidianamente, nell’economia locale. Con l’importazione del cibo prosciughiamo tanto l’economia generale quanto le nostre condizioni essenziali di vita.
La blue economy si fonda su una logica di base: utilizzare ciò che abbiamo, generare valore da risorse esistenti e rinnovabili. Passare dalla scarsità e dalla globalizzazione – che lascia almeno il 25% della popolazione senza cibo e un altro 25% con cibo malsano – all’abbondanza è possibile. Lo possiamo dimostrare. È persino facile, se ci riappropriamo della produzione alimentare. Per farlo, non basta sostituire qualcosa con qualcos’altro – per esempio gli ogm con i semi non-ogm -, è necessario cambiare il sistema e il più grande ostacolo che incontriamo in tal senso è che noi non creiamo più né rigeneriamo suolo agricolo, necessario per assicurare la vita.


Passare dalla scarsità e dalla globalizzazione – che lascia almeno il 25% della popolazione senza cibo e un altro 25% con cibo malsano – all’abbondanza è possibile. 


L’unico modo per ottenere il cambiamento è educare i bambini. Quando le ragazze sanno che tutti i pesci nel laghetto sono stati alimentati con ormoni maschili, al punto che le femmine hanno subito un cambiamento forzato di sesso, e che tutte le femmine in mare sono state uccise e le loro uova sono vendute come caviale, allora si rendono conto che queste pratiche sono barbare. Quando i ragazzi e le ragazze sanno che il 50% dei polli ibridi vengono uccisi nelle camere a gas a un solo giorno di vita, perché non depongono sufficienti uova o producono meno carne, allora in classe si scatena l’orrore!
Ora, però, è tempo di smetterla con l’orrore e di dare qualche buona notizia: possiamo produrre abbastanza per tutti anche senza “forzare” un cambiamento di sesso, senza uccidere le madri per le loro uova, e lasciando vivere gli animali meno produttivi ma che possono dare comunque un meraviglioso contributo alla vita.

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Trovi questo articolo su Left n. 40 all’interno della cover story “Semi di Resistenza”

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Cominciamo producendo il cibo vicino ai luoghi in cui verrà consumato. Se mangiamo un’insalata fresca e abbiamo le uova delle nostre galline, allora avremo anche un’economia diversa. La sfida è questa: le persone hanno dimenticato che loro stessi possono produrre cibo, anche se vivono in città. In realtà, il 90% del cibo di cui le città hanno bisogno può essere prodotto sui tetti, a partire da quelli dei centri commerciali, di alberghi e di uffici. Abbiamo bisogno di ripensare il modo in cui produciamo e anche di ripensare a ciò che consumiamo. Se vogliamo soltanto la bistecca e gli hamburger allora ci troveremo in difficoltà. Se il salmone è il nostro pesce preferito, allora non dovremo pescare un’eccessiva quantità di sardine e acciughe perché sono il loro pasto principale. Ma questo non è il punto. Sarebbe molto più giusto mangiare aringhe e sardine per coprire i due terzi del nostro fabbisogno di proteine, invece di mangiare soltanto pesci come il salmone, anche perché per avere una tonnellata di salmone servono ben tre tonnellate di pesce azzurro. Abbiamo costruito tante storture ed è incredibile come riusciamo a tollerarle in nome della “produttività”.
Dovremmo tornare ai fondamentali, abbracciando contemporaneamente una moderna concezione di nutrizione. E dovremmo combinare i cinque regni della natura – piante, animali, funghi, alghe e batteri – facendo sì che la materia, l’energia e la nutrizione siano continuamente upcycled, in riuso creativo. Così come facciamo con la blue economy: utilizziamo gli scarti del caffè per coltivare i funghi e, dopo, riutilizziamo anche gli scarti di questi funghi. Lo scarto dello scarto è un prodotto ricco di aminoacidi che può essere utilizzato per creare mangimi per animali. Quando impareremo a pescare come i delfini, che indirizzano le loro prede con delle bolle d’aria?

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Left n.40 è in edicola. Leggi il sommario

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17 ottobre 1931, Al Capone finisce al fresco

Al Capone in una immagine di archivio. E' morto da piu' di sessant'anni ma il mito di Al Capone continua a vivere e a scatenare passioni. Stavolta si tratta dello scontro tra i suoi discendenti, raccontato in prima pagina dal Wall Street Journal. Al centro della guerra tra i 'Capones', non c'e' alcun patrimonio da ereditare. Le enormi proprieta' di 'Scarface' furono infatti tutte confiscate dallo Stato. Piuttosto, a provocare la faida familiare e' un altro bene altrettanto prezioso: la memoria, il marchio, e i possibili guadagni conseguenti. ANSA/ARCHIVIO

17 gennaio 1899 Alphonse Capone nasce a Brooklyn, New York
1920 Al Capone entra a far parte della banda di Johnny Torrio membro della famiglia Colosimo.
1925 Torrio si ritira, elevando Capone a capo. Capone estende il controllo della banda sul commercio della birra illegale, la distillazione, e distribuzione di birra e liquori.
27 aprile 1926 Il procuratore di Chicago Billy McSwiggin viene ucciso davanti al un bar. McSwiggin aveva tentato di portare a giudizio Capone per omicidio nel 1924.
14 febbraio 1929 Massacro di San Valentino. Sette soci della Gang Moran uccisi da uomini vestiti con uniformi della polizia.
27 febbraio 1929 viene citato in giudizio a comparire davanti a un gran giurì di Chicago Heights che indaga su possibili violazioni della legge sul proibizionismo.
11 marzo 1929 Gli avvocati di Capone presentano una petizione per rinviare la comparizione in tribunale  allegando una dichiarazione giurata del medico, il dottor Kenneth Phillips, che attesta che Capone soffre di broncopolmonite. Quella notte Capone viene visto all’incontro di boxe Sharkey-Stribling.
17 maggio 1929 Capone e la sua guardia del corpo vengono arrestati a Philadelphia per il trasporto di armi nascoste. Verranno condannati a un anno di carcere.
17 marzo 1930 viene rilasciato per buona condotta dopo nove mesi.
23 aprile 1930 La Crime commission di Chicago emana la lista dei pericoli pubblici. Capone è in cima alla lista.
5 giugno 1931 viene incriminato con l’accusa di evasione fiscale per gli anni 1925 al 1929.
16 giugno 1931 Capone decide di dichiararsi colpevole di tutte le accuse di evasione fiscale. Viene negoziata una condanna a 2 anni e mezzo.
6 ottobre 1931 Il processo evasione fiscale contro Al Capone inizia. Il Giudice Wilkerson cambia la giuria dopo aver avuto notizia di una possibile corruzione della giuria originale.
17 ottobre Capone viene giudicato colpevole delle accuse mossegli
24 novembre 1931 viene condannato a undici anni di carcere, a una serie di multe e a sei mesi per oltraggio alla corte.
27 febbraio 1932 L’appello di Capone viene negato.
4 maggio 1932 inizia a scontare la pena ad Atlanta.
22 Agosto 1934 viene trasferito ad Alcatraz.
16 novembre 1939 esce dal carcere dopo aver scontato 7 anni, 6 mesi e 15 giorni e dopo aver pagato tutte le multe e tasse arretrate dovute.
25 gennaio 1947 muore per un ictus a Palm Island, in Florida.

Palestina, TTP, Playboy e gli altri: le foto della settimana

epa04977276 Palestinian protesters throw stones during clashes in the West Bank city of Bethlehem, 14 October 2015. Meanwhile, hundreds of troops were being deployed in Israeli cities following a series of shooting and stabbing attacks by Palestinians. EPA/ABED AL HASHLAMOUN

 

Israeli border police check the ID of a Palestinian woman, next to newly placed concrete blocks in an east Jerusalem neighborhood, Thursday, Oct. 15, 2015. Israel erected checkpoints and deployed several hundred soldiers in the Palestinian areas of the city Wednesday as it stepped up security following a series of attacks in Jerusalem. (AP Photo/Oded Balilty)
Poliziotti israeliani a un checkpoint (AP Photo/Oded Balilty)

 

A man blows a whistle as tens of thousands of protestors attend a demonstration against the free trade agreements TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) and CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) in Berlin, Germany, Saturday, Oct. 10, 2015. (AP Photo/Markus Schreiber)
10 ottobre, centinaia di migliaia a Berlino contro il TTP (AP Photo/Markus Schreiber)

 

Democratic presidential candidate Hillary Rodham Clinton, center, arrives to speak to the United States Hispanic Chamber of Commerce, Thursday, Oct. 15, 2015, in San Antonio. (AP Photo/Eric Gay)
15 ottobre, Hillary Rodham Clinton prima di un comizio a San Antonio, Tecas. Questa settimana Clinton ha vinto il primo dibattito Tv tra candidati democratici (AP Photo/Eric Gay)

 

Youths hang from the rear bumper of a vintage American car as they play in a flooded street, after a heavy rain in Havana, Cuba, Wednesday, Oct. 14, 2015. (AP Photo/Ramon Espinosa)
14 ottobre, nubifragio a l’Havana (AP Photo/Ramon Espinosa)

 

A soldier looks at decorative flowers outside of a shop Friday, Oct. 9, 2015, ahead of Saturday's anniversary celebrations in Pyongyang, North Korea. The country is preparing for the 70th anniversary of the founding of the North Korea Workers' Party on Oct. 10, 2015. (AP Photo/Charles Dharapak)
10 ottobre, 70esimo anniversario della fondazione del partito dei lavoratori della Nord Corea. Grandi celebrazioni a Pyongyang (AP Photo/Charles Dharapak)

 

A protester kicks off a tear gas canister during clashes with Kosovo police in front of the central police station in Kosovo capital Pristina after the arrest of a prominent opposition politician Albin Kurti on Monday, Oct. 12, 2015. The main opposition parties have been protesting government’s recent EU-sponsored deal with authorities in Serbia that give Kosovo’s Serb minority greater rights in areas where they live. Albin Kurti, who is a leader of the nationalist Vetvendosje movement, set off a teargas canister inside Kosovo’s Parliament in an attempt to halt the proceedings. (AP Photo/Visar Kryeziu)
Pristina, Kosovo, 12 ottobre, proteste dei nazionalisti albanesi contro l’accordo mediato dall’Ue che concede più autonomia al serbo-kosovari  (AP Photo/Visar Kryeziu)

 

Runners participate in the Chicago Marathon, Sunday, Oct. 11, 2015, in Chicago. (AP Photo/Nam Y. Huh)
11 ottobre, Maratona di Chicago (AP Photo/Nam Y. Huh)

 

FILE - In this April 5, 2007 file photo, Playboy Enterprises founder Hugh Hefner poses with a copy of Playboy magazine featuring Anna Nicole Smith as Playmate of the Year, at the Playboy Mansion in Los Angeles. The magazine that helped usher in the sexual revolution in the 1950s and '60s by bringing nudity into America's living rooms announced this week that it will no longer run photos of completely naked women. Starting in March, 2016, Playboy's print edition will still feature women in provocative poses, but they will no longer be fully nude. (AP Photo/Damian Dovarganes, File)
Dal marzo 2016 Playboy smetterà di pubblicare foto di donne nude. Nella foto del 2007, il fondatore Hugh Heffner con in mano la copertina che ritrae Anna Nicole Smith come Playmate dell’anno (AP Photo/Damian Dovarganes, File)

 

New York Mets relief pitcher Jeurys Familia celebrates a 3-2 win over the Los Angeles Dodgers in Game 5 of baseball's National League Division Series, Thursday, Oct. 15, 2015, in Los Angeles. (AP Photo/Gregory Bull)
Il campionato di baseball Usa è alle battute finali. I New York Mets e i Chicago CUBS si affronteranno nella semifinale. Sono due tra le squadre con più storie che negli ultimi anno erano finite in basso. Qui la gioia del lanciatore dei Mets Jeurys Familia  (AP Photo/Gregory Bull)

 

L’agricoltura sostenibile nelle foto di Peter Caton per Greepeace

Una mostra fotografica a sostegno dell’agricoltura sostenibile e in opposizione al sistema fallimentare dell’agricoltura industriale, basato su monocolture, OGM e impiego massiccio di sostanze chimiche.

Le venti immagini in mostra sono l’accurata selezione di un progetto più ampio commissionato da Greenpeace a Peter Caton, fotografo di caratura internazionale, per documentare le diverse realtà dell’agricoltura sostenibile in sei Paesi del mondo (Brasile, Cina, Kenya, Francia, California, Cambogia). Canton ha ritratto soprattutto piccoli agricoltori che ogni giorno con il loro lavoro sfamano il Pianeta producendo il 70 per cento del cibo consumato a livello globale.

«Viviamo in un sistema malato di produzione del cibo, basato sull’agricoltura industriale. La maggior parte di noi non sa da dove proviene il cibo che consuma, chi lo coltiva o quali sostanze pericolose contiene. (…) Un sistema controllato da grandi aziende il cui unico interesse è il profitto, che non si preoccupano delle implicazioni sanitarie di lungo termine, della sicurezza alimentare e dell’ambiente».

«Le fotografie di Peter Canton mostrano il volto più umano dell’agricoltura, in contrapposizione al sistema attuale, anonimo e industrializzato. Vorremmo che le scene di vita che abbiamo raccolto in questa mostra potessero avvicinare le persone a questa realtà bellissima e in pericolo, da cui per troppo tempo ci siamo allontanati. Tutti possiamo diventare parte del cambiamento», conclude Ferrario.

La mostra è allestita all’aperto dal 15 al 29 ottobre, in una zona pedonale del centro di Milano (Corso Vittorio Emanuele, adiacente a piazza San Carlo), e per l’illuminazione delle strutture vengono impiegati dei pannelli solari. 

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Organic farmer Fu and his wife Feng feed their little girl, in the bowl is a special kind of porridge made of fried rice and tea-oil.

Organic farmer Fu collects organic Tea at his farm in Heli Village.
All’agricoltura sostenibile dedichiamo la copertine del numero di Left in edicola (e su sfogliatore online qui).
Oltre al tema del cibo vede scritti di Nadia Urbinati, Ascanio Celestini, Stefano Fassina e interviste con il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e l’attrice Giulia Elettra Gorietti. Qui il sommario

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I ragazzi stanno bene. Parlano i figli delle coppie omosessuali

Qualche anno fa uscì un film The Kids Are All Right, tra le protagoniste c’era anche Julienne Moore. Al di là della trama e delle vicende narrate, la pellicola colpì molto l’opinione pubblica perché al centro c’era una famiglia composta una coppia lesbica. Le due donne in particolare erano madri di due ragazzi concepiti tramite inseminazione artificiale. Era il 2010 e il titolo in maniera provocatoria specificava appunto “i ragazzi stanno bene”. Ma com’è la realtà fuori dalle sale cinematografiche? E nelle aule del Parlamento italiano dove il ddl Cirinnà per le Unioni Civili approderà solo l’anno prossimo? 
Per raccontarvelo meglio, partiamo da lontano. Da oltre oceano, dagli Usa, dove ormai, dopo la sentenza della Corte Suprema, le coppie omosessuali sono ufficialmente riconosciute in tutti gli Stati. Anche negli Stati Uniti per anni giudici, accademici, esperti e attivisti si sono chiesti e continuano a chiedersi in che modo i bambini siano influenzati dal matrimonio gay. Quanto si sentano non accettati e in difetto nei confronti di una società eterosessuale.
La fotografa newyorkese Gabriela Herman ha pensato che fosse arrivato il momento di chiedere direttamente ai ragazzi e ha realizzato un foto reportage intervistando decide di giovani cresciuti da coppie omosessuali. La ragione che l’ha spinta a scegliere questa strada è più semplice di quello che si potrebbe immaginare: la madre di Gabriela infatti è omosessuale e questo era per la fotografa il modo migliore per raccontare la sua storia e soprattutto mettere a confronto la sua esperienza con quella degli altri, senza pretendere che il suo punto di vista particolare dovesse essere quello di qualunque figlio di una coppia o di un genitore gay.
«Ho passato gli ultimi 4 anni a fotografare e intervistare ragazzi che avevano uno o due genitori LGBT» ha spiegato la Herman. «Le loro storie personali sono molto varie. Alcuni sono stati adottati, altri sono stati concepiti tramite inseminazione artificiale. Molti altri sono figli di gentitori divorziati. Sono ragazzi cresciuti nelle zone urbane come nelle campagne del Midwest o in altri posti sparsi per la mappa del Paese. Molti di loro si sono destreggiati in giochi di prestigio fra il silenzio e la solitudine per la necessità di difendere le loro famiglie al parco giochi, in chiesa o ai ritrovi alla fine del campi estivi».


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Hope, vive a New York, ha due padri gay.

Per esempio c’è Hope, che ha due padri gay ed è cresciuta a New York. Hope è stata adottata quando aveva solo 4 mesi da uno dei suoi padri che all’epoca dell’adozione era già apertamente dichiarato. Questo perché all’epoca l’adozione non era permessa alle coppie omosessuali e quindi il mio secondo padre ha potuto regolarizzare la sua posizione solo in seguito. «Sapevo che esistevano altre tipologie di famiglie – racconta Hope – perché vedevo le famiglie dei miei amici e quelle dei miei zii e delle mie ziee e sapevo che le persone avevano qualcosa che chiamavano madre che io non necessariamente avevo, ma non mi sentivo come una minoranza e non ricordo di aver mai sofferto per questa cosa. Credo che i miei genitori abbiano fatto un lavoro fantastico, che mi abbiano aiutata a crescere e ad essere una donna forte. Per quanto riguarda quella domanda, quella su da dove sia arrivata, chi sia mia madre, a volte ci rifletto, mi interrogo altre invece sembra che in termini di importanza questa cosa scompaia».

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La storia di Lauren invece è diversa, figlia di una coppia eterosessuale divorziata viene a sapere solo dopo qualche anno dalla rottura dei genitori che suo padre ha in realtà scoperto di essere omosessuale e ha intrapreso una relazione.

 

Lauren, cresciuta nel Missuri da sua madre e suo padre che fece coming out quando lei aveva 7 anni

 

«Il fatto che i miei fossero divorziati, – specifica Lauren – non mi ha fatto più di tanto focalizzare sul pensiero che mio padre fosse gay. Ora penso che è stato bello per mio figlio poter crescere con ben due nonni e non percepire in alcun modo la differenza. Mio padre e il suo compagno, per mio figlio, sono nonni l’uno tanto quanto l’altro».

 

Zach è cresciuto Iowa non con due padri, ma con due mamme. E una sorella. Per lui la parola giusta per descrivere la sua famiglia non sia LGBT, ma semplicemente “famiglia”. Aron invece è cresciuto in California, fino a quando aveva 7 anni è stato cresciuto dalle sue due madri, poi, quando tra le due è finita e la sua madre biologica si è risposata con un uomo, si è trasferito a vivere con lei. «Sapevo che la mia famiglia era differente dalle altre, ma non lo trovavo strano. Eravamo solo un diverso tipo di famiglia. Tutto qui».

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Zach, cresciuto da due mamme pensa che il termine giusto per descrivere la sua famiglia sia semplicemente “famiglia”

Elizabeth, cresciuta in una coppia eterosessuale, ha partecipato in prima persona al coming out del padre. «Ricorso che mi disse:” per me è venuto il momento di essere a mio agio con la mia identità” – racconta Elizabeth – allora io gli chiesi: “sei gay?” e lui mi rispose “Beh ancora non ho fatto nessuna esperienza per esserne certo”. Credo che le parole successive che gli dissi siano state: “Papà, sono abbastanza sicura che tu sia gay”».

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Elizabeth, il padre fece coming out quando lei frequentava il college. È stata cresciuta a Boston dalla madre e dal padre.

Significativa è anche l’esperienza di Allison. Cresciuta fra il Vermont e il Connetticut dalla madre e dalla sua compagna, Allison, oggi quasi trentenne, racconta con emozione di quando, dopo essersi trasferita da uno Stato all’altro e aver cominciato un’altra scuola, scoprì che all’interno del nuovo istituto esisteva addirittura un’associazione a favore dei diritti dei gay dove militivano anche persone eterosessuali, pronte a lottare per la parità di diritti della comunità LGBT.

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Un fatto che sarebbe piuttosto strano in Italia, se si considera non solo il non riconoscimento dei matrimoni o delle unioni civili, ma anche il fatto che negli ultimi mesi proprio il mondo della scuola viene messo a ferro e fuoco dai detrattori di una presunta teoria gender che predicherebbe la confusione sessuale fra i bambini a colpi di libri pericolosi e perversi come “Piccolo blu e piccolo giallo”.

 

Aron cresciuto in California dalle sue due mamme fino ai 7 anni. Poi con la madre e il suo nuovo compagno.

 

E solo di due giorni fa la notizia, al limite dell’incredibile, per cui, secondo il cardinale della Guinea, Monsignor Sarah, il gender sarebbe più pericoloso si Isis. Ora andateglielo a spiegare voi al cardinale che Sarah potrebbe essere inteso come un nome femminile. Insomma, ironia a parte, il Bel Paese sembra ancora fermo ai primordi della civiltà per quanto riguarda i diritti delle coppie omosessuali. E se il ddl Cirinnà da un lato sta causando una forte rottura nei soliti Giovanardi vari dell’ala destra che supporta il governo Renzi, creando non pochi problemi allo stesso Alfano – impegnato in giochi acrobatici per indignarsi, ma non rompere troppo con il Premier – è pur vero che, dall’altro, siamo ancora ben lontani dall’ottenere matrimoni egalitari che prevedano anche la possibilità di adottare.

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Annie è cresciuta in Ohio con sua madre e suo padre. Il padre ha effettuato la transizione da uomo a donna quando lei aveva 4 anni. «Non ho ricordi di papà come uomo. È stato come crescere con due mamme. Quando sono cresciuta ho solo avuto un po’ di difficoltà nel sapere come spiegarlo alle persone.

Al momento infatti il ddl Cirinnà ( che non arriverà in discussione al Senato prima del prossimo mese) prevede solo la Stepchild Adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner. Un primo passo – fortemente osteggiato negli ultimi giorni da Ncd – che servirebbe più che altro a regolarizzare una situazione di fatto già esistente e che coinvolge numerosi nuclei famigliari. In Italia ci sono infatti più di 100 mila figli di coppie omosessuali. Il dato è aggiornato al 2014 e si suppone sia orientato a crescere, così come l’urgenza di trovare una soluzione legislativa adeguata per, ahimè, inseguire una realtà che già di fatto sussiste. Insomma nel panorama italiano attuale ci sarebbe chi è pronto a giurare che le vite di Gabriela, Zach, Hope, Allison e gli altri sono pura fantascienza.
Come d’altronde devono esserlo anche questa mappa interattiva realizzata dal Guardian, dove l’Italia in fatto di diritti sembra essere molto arretrata.

 

INFOGRAFICA

La mappa è stata realizzata dal Guardian e può essere consultata nella sua versione completa e interattiva qui

 

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