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Le cinque delle 13.00

Calcioscommesse, nuovo scandalo. Maxioperazione della Dda di Catanzaro nei confronti di due associazioni che avrebbero truccato decine di incontri di Lega Pro e serie D. Coinvolti dirigenti e calciatori di oltre trenta squadre. Nelle organizzazioni anche il ruolo della ‘Ndrangheta.

Scuola, si discute l’articolo sull’assunzione dei precari. Accantonato l’articolo 10 del ddl scuola sulle assunzioni alla Camera proseguono le votazioni sul ddl ma, dopo l’ok di ieri all’articolo sul ruolo del preside e sull’assorbimento dei prof che hanno vinto il concorso nel 2012, per il momento non è stato affrontato il nodo del piano per i precari. Continua la protesta fuori dalla Camera.

Fitto battezza l’associazione Conservatori e Riformisti. «Abbiamo costituito un’associazione che si chiama Conservatori e Riformisti e che si ispira al gruppo del Parlamento europeo». Lo dice Raffaele Fitto in conferenza stampa.

Pensioni, la Commissione Ue promuove il decreto del governo. Nota di Bruxelles dopo il provvedimento con cui il Cdm ha dato il via libera ai rimborsi: accogliamo con favore l’impegno dell’Italia a mantenere gli obiettivi di bilancio per il 2015.

Devastazioni all’inaugurazione di Expo, un uomo è stato arrestato con le accuse di resistenza aggravata e lesioni aggravate per aver pestato un poliziotto, il vice questore Antonio D’Urso, durante i disordini al corteo dello scorso primo maggio contro l’Expo.

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Da Obama a Vincenzo De Luca, gli abbracci di Matteo Renzi

Tra due settimane si vota in alcune Regioni. Questa campagna elettorale passerà alla storia soprattutto per la Campania. Il 18 aprile il premier Matteo Renzi, appena lasciata Washington, si trova in visita a Pompei. Sui giornali ci sono ancora le foto degli abbracci con Obama in America, mentre Renzi stringe a sé in un gesto di piena legittimazione, Vincenzo De Luca.

L’altro abbraccio. Con il candidato a governatore della Campania, in passato guardato con fastidio dal potere renziano, anche per una condanna (abuso d’ufficio) che, causa legge Severino, con tutta probabilità creerà un conflitto tra possibile risultato elettorale di vittoria e legittimo esercizio del potere, in quanto l’ex sindaco di Salerno sarebbe ineleggibile. L’8 maggio l’Huffington Post pubblica un’intervista a Roberto Saviano che commentando la composizione delle liste campane a sostegno di De Luca, polverizza il muro di gomma dei vertici del Pd sulla questione morale. «Le liste di De Luca – accusa – ricalcano le solite vecchie logiche di clientele».

La straordinaria drammaticità di quell’intervista è in un preciso passaggio. Il giornalista Alessandro De Angelis domanda secco: «Nelle liste del Pd e della coalizione che sostiene De Luca c’è Gomorra?». E Saviano risponde: «Nel Pd e nelle liste c’è tutto il sistema di Gomorra, indipendentemente se ci sono o meno le volontà dei boss». In quelle ore De Luca è ad Avellino, tappa importante della sua campagna, perché capitale del regno irpino di Ciriaco De Mita, il vecchio notabile della fu Dc imbarcato nel carrozzone del centrosinistra campano all’ultimo minuto possibile, proprio per drenare pacchetti di voti in più.

Raggiunto dalla notizia dell’intervista, De Luca scalcia: «Faccia nomi e cognomi ». Peccato che Saviano li ha fatti, a cominciare da quell’Enrico Maria Natale la cui «famiglia è stata più volte accusata di essere in continuità con la famiglia Schiavone». Nel Pd, al quartier generale del Nazareno e soprattutto a Palazzo Chigi, per giorni sul tema vige il silenzio, secondo la consolidata tattica renziana che prescrive di non affrontare argomenti spiacevoli.

Tra il 10 e l’11 maggio prima De Luca, poi il vicesegretario Lorenzo Guerini, ammettono: «Alcune persone avremmo potuto non candidarle, per opportunità politica certo, ma non sono mostri, anche se in passato sono state al fianco di Nicola Cosentino (l’ex ras campano di Forza Italia arrestato un anno fa per aver agevolato i sanguinari Casalesi, ndr)». E il 12, finalmente, Renzi ammette: «Alcuni nomi imbarazzano, non li voterei neanche sotto tortura».

Ma la questione morale stritola il Pd, già consolidato Partito Unico della nazione. Davide Mattiello, deputato dem, nel libro in uscita L’onere della prova (Melampo) sul lavoro della commissione Antimafia della passata legislatura, scrive: «È talmente interessante da farmi pensare che non sia stato un incidente il fatto di non riuscire a votare la relazione per il sopraggiunto, più che prevedibile, scioglimento anticipato delle Camere». Quella commissione, presieduta da Giuseppe Pisanu (Fi), lavorò sulla trattativa Stato-mafia e il periodo delle stragi negli anni 90. Pisanu spiegò che, a Camere ormai sciolte, non avrebbero potuto approvare una relazione. Ma la commissione era nel pieno dei suoi poteri e un’altra commissione d’inchiesta nello stesso periodo approvò una sua relazione. Per Mattiello quello scenario è stato «il preludio delle larghe intese: la prudenza forse allora ha suggerito a qualcuno di togliere di mezzo una possibile pietra d’inciampo, evitando di lasciare in eredità alla nuova legislatura un voto così ingombrante». Con questo peccato originale, forse, la questione morale non è un problema.

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Dimentica il mio nome di Zerocalcare, fra Disney e lo Strega

Il fumetto si può considerare letteratura? Probabilmente no. È un linguaggio che, come il cinema o la canzone, appartiene alla cultura di massa e ne segue le logiche. Del cinema il critico Debenedetti diceva che era «fatica senza fatica». Perché? Perché con il cinema, o con il fumetto, non devi fare la fatica, lo sforzo di immaginazione che la letteratura sempre comporta.

Libri, Zerocalcare, Dimentica il mio nomeNon si tratta di gerarchia di valori: Kubrick è meglio di Bevilacqua, però Maus di Spiegelmann, benché straordinario graphic novel sull’Olocausto, non può essere assimilato a Primo Levi per la ragione che visualizza la realtà, te la mostra, non si limita a evocarla, e dunque dà alla tua immaginazione una forma predefinita, bloccata. Perciò il fumetto non deve essere “nobilitato”. È bello anche perché un po’“volgare”, inclusivo. Corto Maltese di Pratt non è un racconto di Conrad perché ha una immediatezza emotiva volutamente ingenua,  che nasce da una semplificazione infantile: è Conrad più l’immaginario pubblicitario più un depliant turistico più tanti altri ingredienti pop.

Questo lungo preambolo per parlare di Zerocalcare e di Dimentica il mio nome, graphic novel in corsa per lo Strega. Una scelta che stravolge lo statuto del premio (perché allora non ammettervi la migliore fiction Tv?), però freghiamocene e leggiamolo come letteratura disegnata.

La prima impressione è che si collochi nel cuore della nostra epoca: narrazione frammentaria, iperbolica, spettacolare, al tempo stesso dura e sentimentale, composta di gerghi coatti, citazioni trasversali (da Walt Disney a Philip Dick, da Freddy Kruger a “300”, dal cinema di genere ai videogame).

L’autore ha disegnato, con nitidezza visionaria, una autofiction illustrata che ha ritmo e coerenza narrativa. E ha dato espressione a fantasmi, paure e utopie più e meglio di tanti romanzieri attuali. Anche se presentare la madre del protagonista con le fattezze di Lady Cocca del Robin Hood disneyano mi solleva sì dalla fatica di rappresentarmela, però fatalmente deprime la magia allusiva della parola scritta.

Le cinque delle 20.00

Via libera del consiglio dei ministri al decreto legge sulle pensioni dopo la sentenza della Consulta. Nella conferenza stampa dopo la riunione il premier ha fornito alcuni numeri sui rimborsi che arriveranno ai pensionati interessati. Il #bonusPoletti come è stato definito dal web varierà a seconda dell’entità dell’assegno.

A Bruxelles via libera all’operazione contro le reti di trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Mogherini: «Il quartier generale sarà a Roma». Intanto Parigi si sfila dalla politica di redistribuzione dei rifugiati

«Ormai sono fuori dalla politica, sono soltanto qualcuno con un grande senso di responsabilità nei confronti del mio Paese…». Lo ha detto Silvio Berlusconi a Saronno (Varese). Durante il suo intervento un uomo ha cercato di salire sul palco ed è stato bloccato dalla forze di polizia.

Quaderni e libri strappati, ma soprattutto messaggi di disprezzo per il colore della pelle: destinataria una ragazzina quattordicenne di origine senegalese che studia in un istituto tecnico di Pisa e il cui padre ha ora denunciato i fatti ai carabinieri.

Il presidente Barack Obama ha il suo account Twitter @POTUS e lo annuncia scherzando: «Ciao, sono proprio io: Barack!». Pochi minuti dopo, è stato già retwittato più di 7mila volte. Non è un fake, ma il primo account personale di Obama, che si definisce «papà, marito e il 44esimo presidente degli Stati Uniti».

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Guai a chi tocca il ddl #buonascuola! Contestazioni bollate come pregiudizio ideologico

Il rifiuto del ddl da parte di tutte le componenti della scuola non poteva essere più chiaro. Eppure nei commenti dei media è oscurato dalla priorità di «non disturbare il manovratore ». Il dissenso, ancorché maggioritario, viene interpretato come un riflesso sindacale automatico per l’accelerazione al cambiamento di verso. La contestazione è rigettata perché viziata da un presunto pregiudizio ideologico o politico (secondo la reprimenda del ministro Giannini), quando da mesi i docenti hanno passato al setaccio anche le virgole delle proposte del governo e presentato dettagliate obiezioni.

Circolano nei commenti fastidio e stanchezza di fronte alle ragioni altrui. C’è voglia di stringere lo spazio di discussione e di ridurre al silenzio gli oppositori.

Perfino la professoressa Paola Mastrocola, già autrice di pamphlet al vetriolo contro le riforme che hanno preparato il terreno al ddl, ha spostato il suo severo giudizio contro la mobilitazione dei colleghi, affermando che «dobbiamo dare il potere a qualcuno, altrimenti non faremo mai un passo avanti» (Il Mattino, 5 maggio). Sul Venerdì di Repubblica” (8 maggio), Michele Serra ha dato risalto alla lettera di un docente già pentito di aver contestato una riforma definita «violenta e impacciata, autoritaria e idiota» e, invece di rintuzzarlo, il giornalista ne ha assecondato il fatalismo concludendo che è meglio l’azione dell’inerzia. Un altro paladino della giustizia come Sergio Rizzo, a Prima pagina su Radio3, sul ddl ha deposto le armi della critica e sorvolato sul fatto che lo strapotere dei presidi sarà inevitabilmente la fonte di innumerevoli ingiustizie, anche lui predicando la necessità di uscire dalla palude.

La stessa logica forse deve aver spinto Il Messaggero a cestinare un articolo del professor Giorgio Israel, che già aveva espresso posizioni radicalmente critiche nei confronti del ddl. Lo ha denunciato Israel sul suo blog, dove ha pubblicato l’intervento, “censurato” forse perché entra nel merito delle questioni sollevate dal ddl. Infatti dice che non è vero che la scuola è rimasta immobile; negli ultimi vent’anni è stata messa sottosopra più volte, con riforme più o meno epocali che hanno peggiorato le condizioni di lavoro dei docenti e, conseguentemente, la qualità della scuola; poi elenca le ultime assurdità, come il successo scolastico garantito per decreto, l’aumento del lavoro burocratico (a scapito di quello didattico) con l’autovalutazione d’istituto, l’importanza crescente dell’Invalsi (Istituto nazionale di valutazione, al di sopra di ogni controllo), le varie contraddittorie forme di reclutamento (che hanno ingigantito il problema del precariato), la trasformazione delle scuole in centri sociali (con il “via libera” alle occupazioni da parte del sottosegretario Faraone), l’assenza di veri contrappesi ai superpoteri del preside. Al posto dell’articolo di Israel, Il Messaggero ha pubblicato un pezzo sulla difesa del riconoscimento del merito a scuola, scritto da Oscar Giannino, noto per aver millantato il possesso di titoli mai conseguiti. Alla fine, il quotidiano ha involontariamente rappresentato un apologo sui guasti di una meritocrazia da azzeccagarbugli.

India, muore dopo 42 anni di coma vegetativo Aruna Shanbaug, l’infermiera violentata che commosse il mondo

Alla fine se ne è andata. Un attacco di polmonite ha posto fine il 18 maggio 2015 alla straziante vicenda di Aruna Shanbaug di cui la cui storia aveva appassionato i lettori di Left qualche anno fa.

Infermiera presso il King Edward Memorial Hospital di Mumbai e prossima alle nozze con un medico della stessa struttura, nel 1973 Aruna subì uno stupro bestiale da un addetto alle pulizie le cui negligenze la donna aveva segnalato. Fu un guinzaglio per cani strettole al collo per immobilizzarla a provocarle, con l’asfissia, danni permanenti al cervello.

L’aggressore la fece quasi franca, con una condanna a soli 7 anni di carcere, dopo essere stato denunciato per rapina e tentato omicidio senza menzione della violenza sessuale al fine di salvaguardare l’onore della vittima. Attorno ad Aruna invece, caduta in un coma vegetativo, si raccolsero in molti con straordinaria fraternità. Il personale dell’ospedale, le sue colleghe, iniziarono ad assisterla pronti anche a difendere il suo letto dal management sanitario che voleva porre fine alla lunga degenza. La difesa ebbe successo, ma intanto ad Aruna venivano inibite le analisi e le terapie speciali che avrebbero potuto giovarle. Formalmente la donna era solo stata vittima di una tentata rapina e questo, col passare degli anni, aveva “banalizzato” il suo caso, che rischiò d’essere del tutto dimenticato.

Solo nel 1998, il libro Aruna’s Story della giornalista Pinki Virani pose all’attenzione dell’opinione pubblica indiana la vicenda. Virani rivelò la storia e reclamò un indennizzo per Aruna sottolineando il diritto della donna ad essere curata adeguatamente. Virani finì col presentare il caso alla Corte Suprema di Delhi chiedendo l’autorizzazione a porre fine allo stato vegetativo dell’infermiera, stato che violava il suo diritto ad una vita dignitosa. Nel 2009 la Corte Suprema affrontò la questione e dispose verifiche che accertarono l’irreversibilità della condizione di Aruna. Nel 2011 respinse però la richiesta di applicarle l’eutanasia, accogliendo però il principio dell’eutanasia passiva. In assenza di una legge ad Aruna potevano insomma essere sospesi su richiesta di parenti o, in loro assenza, di amici, tutti i trattamenti, compresa l’alimentazione e idratazione forzati.

La sentenza sollevò un acceso dibattito, alimentato preventivamente nel 2010 dal film di Bollywood Guzaarish, dal cast stellare, incentrato sulla richiesta di “dolce morte” presentata alla Corte Suprema da parte di un uomo paralizzato a sostenere il diritto all’eutanasia. Il caso non ha però mai assunto le tinte della guerra di religione. Per più motivi: per i tabù legati alle violenze sessuali, di cui solo negli ultimi anni in India si è iniziato a discutere sul serio; perché la storia di Aruna era comunque troppo piccola per poter sollevare clamore. Fatto è che l’infermiera non si è trovata difesa da religiosi interessati a cavalcare ideologicamente la faccenda, ma bensì dalle sue e dai suoi colleghi, che continuavano amorevolmente a curarla.

Le reazioni alla sua scomparsa, che appaiono in queste ore sui media indiani sono di grande commozione di fronte ad un dramma durato 42 anni. Incondizionati sono gli elogi alle amiche e agli amici della donna che l’hanno tenuta in vita. La prova straordinaria di solidarietà ha finito per creare un legame fortissimo tra tutti quelli che hanno partecipato al dramma di Aruna. E in ogni caso l’India, sul delicato tema, per via di questa storia, è molto più avanti dell’Italia.

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Europa e migranti. Scontro sulle quote, convergenza sulla guerra

Dopo gli annunciati «Grandi passi in avanti» in materia di immigrazione (parole del capo della diplomazia europea Federica Mogherini). E le annunciate «assunzioni di responsabilità da parte dell’Europa (parole del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker). A un mese dalla strage del 19 aprile, quella che ha contato 950 morti in fondo al Mediterraneo e messo con le spalle al muro l’Europa, è giunta l’ora della verità.

A tirarla fuori è la Francia, per bocca del suo primo ministro Manuel Valls: «Sono contro l’istituzione di quote di migranti», ha detto senza giri di parole, ribadendo che la sua è anche la posizione del presidente François Hollande. A frenare sulle quote ci avevano già pensato l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, i Paesi Baltici, la Polonia e il Regno Unito.

Dopo l’importante posizione della Francia, questa mattina – 18 maggio – si è tenuto a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli Esteri e della Difesa dell’Ue per discutere dell’emergenza migranti. Da 12 anni non si teneva un summit del genere.

L’Agenda migranti, approvata lo scorso 23 aprile, definisce il sistema delle quote di redistribuzione che riguardano gli immigrati già in Europa. Si tratta di 20.000 posti (qualcuno propone 40.000) per i rifugiati in tutta Europa, a fronte di 300.000 arrivi ogni anno. I criteri per il calcolo delle quote sono principalmente tre: Pil, popolazione e tasso di disoccupazione. Le quote vanno dallo 0,85% del Lussemburgo al 18,42% della Germania.

In Francia – Paese che in queste ore guida la protesta contro la politica delle quote – deve essere accolto il 14,17% dei migranti, in Italia l’11,84%, in Spagna il 9,10%, in Polonia il 5,64%. Percentuali obbligatorie, mentre a Danimarca, Gran Bretagna e Irlanda è data la possibilità di chiamarsi fuori dal sistema delle quote.

Se sulle quote c’è divisione, così non è per la guerra agli scafisti. I ministri, infatti, hanno dato il primo via alla missione navale europea nel quadro della politica di difesa e sicurezza comune contro i trafficanti di esseri umani. La missione, in attesa dell’ok dell’Onu, ha lo scopo di individuare, catturare e distruggere (o sequestrare) i barconi dei trafficanti nelle acque e nei porti libici, prima che siano usati per trasportare i migranti, e di distruggere i depositi di carburante e le strutture di attracco.

Lo scorso 11 maggio Federica Mogherini, in veste di alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza comune, ha illustrato il piano al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Adesso gli europei restano in attesa di ricevere il mandato per poter operare in acque libiche. E il quotidiano britannico Guardian, denuncia – in esclusiva- che all’interno del piano ci sono pure le forze di terra in Libia.

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Le cinque delle 13.00

Migranti, a Bruxelles si incontrano i ministri della Difesa e degli Esteri dei Paesi membri per varare una strategia comune per la lotta ai trafficanti. Sul tavolo anche le quote di migranti richiedenti asilo che i singoli Stati dovrebbero ospitare.

I Cobas confermano il blocco degli scrutini e di tutte le attività della scuola per due giorni consecutivi alla fine delle lezioni. È la risposta dei Cobas “alle minacce di precettazione” dell’Autorità di garanzia degli scioperi. Nel frattempo alla Camera riprende da stamattina la discussione sul disegno di legge sulla scuola.

Baghdadi avverte: libereremo anche Baghdad e Karbala. L’esercito siriano ha respinto l’attacco dell’Isis a Palmira ma in Iraq gli jihadisti si sono impossessati di altre aree nel centro di Ramadi, prendendo ormai il controllo di gran parte del capoluogo.

500 euro al mese ai pensionati. L’annuncio del presidente del Consiglio Renzi ieri in tv: il “tesoretto” di 2 miliardi di Euro servirà per rimborsare i pensionati – sotto ai 3mila euro lordi mensili – ai quali la riforma Fornero aveva negato l’indicizzazione Istat. Il provvedimento domani al Consiglio dei ministri.

Morto uno dei più grandi acrobati al mondo. Dean Potter, meglio noto come “Daredevil” nome tratto dal celebre personaggio della Marvel è stato rinvenuto senza vita nello Yosemite national Park in California. L’ultima impresa è costata cara a Dean Potter, uno tra i più conosciuti pionieri americani degli sport estremi.

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Scuola: si compie l’opera della Gelmini, senza nemmeno sporcarsi la punta delle dita

Quando parliamo di istruzione, non stiamo trattando una questione corporativa, né di un conflitto sindacale. In gioco c’è uno dei pilastri della nostra Repubblica. Per questo, prima di qualunque azione nel sistema educativo, bisogna meditare sulle conseguenze a lungo termine. Invece, lo stile del presidente del Consiglio è stato più o meno quello di un elefante in una cristalleria. Un ddl sofferto perfino nella redazione che, nonostante la propaganda su una fantomatica consultazione pubblica, non ha tenuto conto delle numerosissime critiche avanzate sugli aspetti organizzativi e pedagogici. Se aggiungiamo il fatto che su assunzioni e disciplina contrattuale non c’è stato il coinvolgimento delle parti sociali, possiamo concludere che il dialogo è stato pari a zero.

Venendo al testo: è il compimento dell’opera iniziata dalla Gelmini senza sporcarsi neanche la punta delle dita. Gli interventi più consistenti hanno riguardato gli artt.1 e 2, che definiscono i compiti della scuola e i suoi doveri nei confronti della società. Qui si sono sbizzarriti, precisando con grande abbondanza tutte le discipline che ricadranno sul sistema d’istruzione: lingua italiana agli stranieri, lingue straniere, diritto, pace, dialogo interculturale, educazione all’autoimprenditorialità e al risparmio… Chi più ne ha più ne metta: con interlocutori di ogni tipo, Camere di Commercio, Università, cooperative sociali, musei, qualunque cosa si muova sul territorio nel pubblico e nel privato. Magnifico. Tutto a costo zero. Infatti puntuale arriva la formuletta: senza oneri aggiuntivi per lo Stato, senza variazioni di costi, nei limiti delle risorse disponibili.

In compenso, sono penetrati nel testo qua e là i segnacoli d’interessi molto specifici: equipollenza alle lauree di istituzioni che non sono Università, coinvolgimento di cooperative, tutele e riconoscimenti speciali a quelle fondazioni che sono la testa di ponte della nuova visione privatistica dell’istruzione. Restano alcuni nodi che fanno saltare sulla sedia tra cui quello sul dirigente scolastico che continua a scegliere gli insegnanti. Insanabile è il concetto di fondo, ovvero che il corpo docenti, per la Costituzione, non lavora per il progetto discrezionale di un singolo, ma per il valore nazionale dell’istruzione e dell’educazione, nella varietà, nel senso critico, nella laicità.

Il paradosso è che i dirigenti diventano autonomi nella scelta dei loro insegnanti, ma loro sono selezionati e assegnati alle scuole in una trafila che è tutta politica, che passa dal ministro, attraverso la catena dei dirigenti dipendenti dalle nomine governative, dal Miur agli uffici scolastici regionali e provinciali. Una selezione che riproduce il peggio della tradizione italica. Basta vedere cosa è successo negli ultimi concorsi: una serie di contenziosi infiniti dalla Lombardia alla Campania, graduatorie annullate, commissari che hanno esaminato mogli…

C’è poi la valutazione del merito dei singoli docenti. L’art.11 che lo istituisce lo fa in modo alquanto sibillino. Infatti, se al Ds è stato affiancato un comitato di valutazione, resta intatto il problema di come e quanti valuteranno. Né si accoglie l’idea che nella scuola non esiste il merito individuale, ma l’azione è efficace solo se è collegiale e condivisa tra tutti, studenti e famiglie compresi. Insomma, nella scuola si sta consumando la distruzione del concetto dei diritti. E quando il diritto diventa qualche cosa che solo chi ha i soldi può farsi riconoscere, vuol dire che abbiamo perso tutti.

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*senatrice Gruppo misto, prima firmataria della Lip (legge di iniziativa popolare per la Buona scuola della Repubblica)