2 giugno 1940, scudetto all’Ambrosiana contro il Bologna, mentre Hitler invade la Francia
Il primo settembre ’39, Hitler invade la Polonia e, dopo due giorni, francesi e britannici dichiarano guerra alla Germania. La Francia sospende il suo ottavo campionato e lo stesso accade in Inghilterra dove l’edizione interrotta è già la numero 65. Nell’Italia fascista, invece, la Serie A ’39-’40, undicesima a girone unico, parte regolarmente domenica 17 settembre, stesso giorno in cui le truppe sovietiche entrano in Polonia così come previsto dal patto Molotov-Von Ribbentrop.
L’Ambrosiana (non più Internazionale) benché orfana per sempre del Balilla Meazza con un piede fuori uso, batte la Juventus 4-0 all’esordio e vola in testa con il Genova (non più Genoa) del signor (non più mister) William Garbutt e il Bologna dell’ariano Hermann Felsner al quale, l’anno prima, l’ungherese Arpad Weisz aveva dovuto lasciare panchina e scudetto a causa delle leggi razziali. Stesso motivo per cui il collega Ernst Erbstein era tornato con la famiglia a Budapest da dove continuò a lavorare per costruire il Grande Torino.
La Roma gioca l’ultimo campionato a Testaccio, prima di essere trasferita al Flaminio, lo Stadio intitolato al Partito nazionale fascista. Il numero 10 giallorosso non è più il professor Fulvio Bernardini, ormai ritiratosi in serie C e privato della patente di guida per aver speronato la macchina del Duce appena partito da palazzo Venezia.
Al giro di boa, in gennaio, il Bologna ha un punto di vantaggio sull’Ambrosiana e sul Genova che tuttavia perde terreno sul finire dell’inverno. Il Bologna rimane in testa grazie ai gol di Puricelli e Reguzzoni prima di andare in crisi a primavera. L’ultimo giorno di marzo, infatti, la squadra di Felsner pareggia a Bari e viene agganciata dai nerazzurri che sbancano Firenze.
Tre turni di sosta e si torna in campo il 21 aprile: Juventus-Bologna 1-0 e Ambrosiana-Genova 2-1. È il sorpasso. L’Ambrosiana le vince tutte tranne la penultima quando cade a Novara. Il Bologna batte il Liguria e si ritrova a un solo punto dalla capolista. L’ultima giornata è il 2 giugno 1940 e il calendario prevede proprio Ambrosiana-Bologna all’Arena civica. L’ordine pubblico tuttavia impone di giocare nel più capiente San Siro, lo stadio del Milano (non più Milan) agli ordini dell’arbitro Generoso Dattilo della sezione di Roma.
Un gol di Pietro Ferraris dopo 9 minuti regala partita e titolo ai padroni di casa: Ambrosiana 44 punti, Bologna 41. L’esercito tedesco è alle porte di Parigi e l’ora delle decisioni irrevocabili è giunta. Meazza, risolto il problema al piede, è pronto a tornare sulla sponda nerazzurra.
Fulvio Bernardini ha riavuto la patente dopo una partita a tennis nel giardino di Villa Torlonia contro Benito Mussolini che, adesso, urla dal balcone l’entrata in guerra al fianco della Germania. Il progetto dell’Eur resta sulla carta, così come l’Esposizione universale voluta da Giuseppe Bottai, ex governatore di Roma, ora ministro dell’Educazione e firmatario del Manifesto della Razza e della riforma scolastica che, dal primo luglio, adegua l’opera di Gentile alle esigenze del cosiddetto “umanesimo fascista”. Nella stagione ’40- ’41, lo scudetto si gioca ancora tra Milano e Bologna e la religione cattolica sarà obbligatoria anche al liceo.
Il Paese di Sinistra, Left in edicola da sabato 16 maggio
Il video di presentazione del nuovo numero di Left in edicola da sabato 16 maggio e online acquistabile nello Sfogliatore. Animazione a cura di VVVVID.
Il bambino nel trolley contro tutti i muri
Il bambino nel “trolley” alla frontiera spagnola, fotografato sullo schermo di polizia come un feto nel ventre materno; e il dito minaccioso del sindaco di Padova verso l’appartamento dato in uso gratuito a immigrati: ecco due fotografie recenti che resteranno nella nostra memoria. La generosità di una persona esposta all’odio dei cittadini, la volontà caparbia di portare i propri figli in Europa radiografata dalla macchina del rifiuto.
Le due immagini dicono in modo diverso la stessa cosa: siamo nel mezzo di una guerra civile di dimensioni globali: da una parte c’è la pressione disperata di una massa umana in cerca di luoghi dove sia possibile vivere, dall’altra la fortezza assediata del mondo ricco, pronto alle sortite militari, abituato all’indifferenza per l’umanità che annega o viene respinta all’origine – dove morirà in altro modo. «Ognuno ha il diritto di andarsene da qualunque Paese incluso il suo» diceva nel 1948 la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Nel 1989 la caduta del muro di Berlino fu vissuta come il trionfo della libertà di muoversi in tutto il mondo.
Ebbene, contare i muri che sono stati eretti nel mondo da allora in poi chiederebbe un libro intero. C’è quello della frontiera meridionale degli Stati Uniti, dove non si contano le astuzie e le sofferenze di genitori che mandano i figli al di là della frontiera con ogni mezzo e con tutte le astuzie immaginabili. E ci sono i tanti muri interni all’Europa: lo spazio comunitario di libera circolazione definito dalla direttiva Schengen è stato molto presto sospeso e negato con misure di controllo alle frontiere dei singoli Paesi che il programma definito all’Aia nel 2004 ha definito con l’eufemismo di «gestione concertata dei flussi migratori». Fu una misura intesa a mettere sotto controllo la porta italiana all’Europa, visto che da noi l’apparenza ipocrita dell’ospitalità si è tradotta normalmente o nelle mura carcerarie dei Cie o nel lasciare aperta ai richiedenti asilo – senza dirlo – la via di fuga verso il nord.
Muri e altri muri, sempre: anche all’interno delle città. Da noi, Padova ebbe anche allora un primato in materia. Ma il più feroce e terribile è il muro d’acqua del Mediterraneo. E l’informazione che cosa fa per creare una cultura dell’apertura o almeno per elaborare una conoscenza della realtà non dominata dal potere, per sua natura portato a stimolare le paure per guadagnarsi il consenso di massa? Su Le Monde diplomatique di questo mese il sociologo Rodney Benson racconta i risultati di un suo spoglio sistematico dei media americani e francesi in materia di immigrazione lungo il corso dell’ultimo quarantennio. Se ne ricava che di fatto il giornalismo d’informazione ha dato voce in prevalenza al potere politico trascurando di esplorare le opinioni dei diversi gruppi sociali. Gli immigrati vi sono stati presentati per lo più come una minaccia – per i sindacati -, come ladri di posti di lavoro, per il “buon cittadino” come potenziali criminali. Minoritaria è la voce di chi ne parla come di vittime. Bisognerebbe fare anche per l’Italia un’inchiesta dello stesso tipo.
E intanto si dovrebbe studiare meglio il modo in cui le direttive europee sono state accolte da noi. Parliamo per esempio della cosiddetta “direttiva accoglienza” (2013/33/Ue) che dovrebbe applicarsi «a tutti i tipi di procedure relative alla domanda di protezione internazionale, in tutti i luoghi e i centri di accoglienza dei richiedenti». Basta leggerne il dispositivo e misurarlo con la realtà corrente nel nostro Paese per rendersi conto dell’abisso esistente tra legge e prassi. Dunque, anche qui, c’è bisogno di più Europa.
Pistoletto sulle orme di Piero della Francesca alla Galleria Continua
Non solo Expo. Per il quale Michelangelo Pistoletto ha realizzato una gigantesca mela, ricostruita nella sua integrità, per simboleggiare un nuovo, auspicato, equilibrio fra tecnologia e natura, (detto, con ironia, Terzo Paradiso). Il maestro dell’Arte Povera e promotore di un’ idea di scultura pubblica accessibile, capace di dialogare con il contesto e di invitare la gente a pensare, è anche – da sempre – pittore. Di autoritratti prima di tutto. Fin dagli anni Cinquanta. Dapprima concentrandosi solo sul volto senza riprodurre la propria esatta fisionomia e poi dipingendo figure intere, a dimensione naturale, con cui cercava di rappresentare ciò che è universale negli esseri umani. Una interessante serie di quadri di quel periodo è ora radunata nella mostra Michelangelo Pistoletto, prima dello specchio, realizzata da Galleria Continua a San Gimignano (Si) e aperta fino al 5 settembre. In un antico palazzo nella storica piazza della Cisterna (con affacci mozzafiato sul borgo medievale e sulla campagna senese) risplendono ritratti, quasi astratti, su fondo argento oppure oro, evocando la tradizione delle icone bizantine. Sono tele di differenti dimensioni e intensità che l’artista realizzò tra il 1956 e il ‘58.
In una, in particolare, si intravede la sagoma di un pittore che lavora su una tela stesa a terra. Un quadro che rivela l’attenzione dell’allora giovanissimo Pistoletto verso l’Action painting americana: nella Torino anni Cinquanta era una novità assoluta. Più che il risultato finale, ovvero quel groviglio di linee che divenne il segno inconfondibile di Pollock, era il gesto artistico del dripping ad affascinare Pistoletto; protagonista di un’avanguardia capace di esprimersi in forme essenziali, eleganti, quasi classiche.
In questa teoria di dipinti appesi a pareti su cui appaiono lacerti di affresco si coglie nettamente l’importanza della lezione arcaicizzante di Piero della Francesca. E in particolare la seduzione di un quadro misterioso e in certo modo eterodosso come la Flagellazione (1455-1460) che Pistoletto diciottenne aveva visto in Palazzo Ducale ad Urbino durante un viaggio con il padre. Ma questi quadri esposti a San Gimignano, fatti di immagini e luce, di paesaggi astratti ed evocativi – per ammissione del loro stesso autore – rimandano anche al cinema di Michelangelo Antonioni, a sua volta grande amante della pittura umanista e insieme primitiva di Piero. Proprio in questo gioco di influenze, rimandi, ricreazioni nacquero poi i celebri quadri specchianti di Pistoletto e questa mostra curata da Galleria Continua ci permette di comprenderne meglio la genesi.
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Renzi svende le meraviglie d’Italia. Al Salone del libro la denuncia di Settis e Montanari
“Italia, salone delle meraviglie” è il titolo della fiera del libro che entra nel vivo al Lingotto di Torino con decine di conferenze dedicate al patrimonio d’arte, alla conoscenza e alla tutela di una tradizione unica al mondo e straordinariamente fusa con il paesaggio. Di tutto questo, e da varie prospettive, parlano al Salone del libro 2015 critici e storici dell’arte, scrittori, archeologi e divulgatori, fino a lunedì 18 maggio.
A emergere non sono solo la storia, la fantasia creativa, la lingua viva dell’arte italiana. Ma anche l’ignoranza e le scellerate politiche liberistiche di “de-tutela” messe in atto negli ultimi vent’anni e senza soluzione di continuità dai governi Berlusconi e ora dal governo Renzi.
La denuncia parte da voci autorevoli come quella di Salvatore Settis, già direttore della Normale e oggi alla guida del comitato scientifico del Louvre. Nel libro Se Venezia muore (Einaudi) denuncia la distruzione della laguna causata in primis dalle grandi navi, vere e proprie navi grattacielo che inquinano e deturpano il paesaggio. Di questa emergenza, ma anche della bellezza di Venezia le cui mura, come un palinsesto, recano iscritti secoli di storia umana, il professore ha parlato domenica 17 in una una lectio applauditissima.
Svolge una critica serrata alla riforma Franceschini voluta dal governo Renzi nel suo intervento al Salone lo storico dell’arte Tomaso Montanari, che sabato 16 maggio ha presentato il suo nuovo, sferzante, pamphlet Privati del patrimonio (Eianudi). Un libro in cui il docente dell’Università Federico II di Napoli critica aspramente il modo in cui il governo Renzi apre all’ingresso dei privati nella gestione dei beni culturali, contemporaneamente indebolendo le soprintendenze e il loro ruolo strategico nella tutela, e con lo Sblocca Italia esponendo il paesaggio al rischio di nuove colate di cemento.
Negli anni Novanta provvedimenti di cartolarizzazione e di svendita caratterizzarono le politiche ultra liberiste del centrodestra, ricorda Montanari nel suo libro, richiamando Italia Spa (Einaudi) scritto da Settis nel 2002. Allora anche grazie alla “finanza creativa” di Tremonti fu messo in atto un assalto al patrimonio pubblico che pareva senza pari. Ma ora – denuncia Montanari – è l’attuale consigliere di Renzi, Marco Carrai, a rilanciare l’idea di Italia Spa. «È un circolo vizioso – rileva Montanari -. Si svende il patrimonio pubblico perché non c’è alcuna intenzione di recuperarlo e riutilizzarlo. E la svendita genera nuovo bisogno di costruire. Senza contare che la dismissione di questo tipo di monumenti non va a detrimento delle classi alte. Chi non ha una casa aveva almeno delle case pubbliche: adesso non avrà più neanche quelle».
La traduzione in legge dello Sblocca Italia, di fatto, ha ulteriormente peggiorato il quadro, denuncia lo storico dell’arte: «Perché è stato abrogato il comma di una legge del 2013 che permetteva al ministero dei Beni culturali di intervenire nella scelta dei beni da alienare. Ora il Mibact non ha più nemmeno diritto di parola. Di fronte a tutto questo il ministro Franceschini si sarebbe dovuto dimettere, invece non ha nemmeno protestato. Per assurdo ora gli Uffizi potrebbero essere messi in vendita senza che il ministero possa nemmeno fiatare».
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Le cinque delle 20.00
Napoli, strage della follia: il 48 enne Giulio Murolo, incensurato, infermiere nell’ospedale Cardarelli spara dal balcone e uccide 4 persone. Tra le vittime il fratello e la cognata dell’uomo. Dopo aver minacciato di farsi saltare in aria, si è consegnato alle forze dell’ordine.
Mentre alla Camera arrivano i primi sì alla riforma della scuola, in piazza del Pantheon a Roma manifestano i sindacati, con contestazioni ai politici. Molti parlamentari si sono affacciati e hanno ascoltato le ragioni della protesta. Contestata la renziana Simona Malpezzi, componente della Commissione Cultura.
Forza Italia, Berlusconi a Lecce: Fitto per me è fuori. Duro affondo del leader azzurro nei confronti del suo “ex delfino” Raffaele Fitto: “C’è chi ha fatto un operazione di disturbo, una piccola operazione senza alcun senso politico e senza speranza. Qualcuno voleva andare oltre, ma per me è andato fuori”.
Iraq, l’Isis conquista Ramadi. La bandiera nera dell’autoporclamato stato Islamico sventola sul complesso degli edifici pubblici di Ramadi, città nella provincia di Anbar, nell’Iraq occidentale.
Cannes, 7 minuti di applausi per Garrone. Il regista, primo dei 3 italiani in gara al Festival, presenta “Il racconto dei racconti” e trova un’accoglienza calorosa al termine della premiere del suo ultimo film.
Giustizia, sulla prescrizione accordo al ribasso. Governo schiacciato tra Alfano e sinistra Pd
Ancora una volta la prescrizione si rivela un tema in grado di dividere la politica e mettere in difficoltà il Governo diviso tra le sue stesse componenti. La cosiddetta “prescrizione lunga”, voluta dal Premier, viene giudicata troppo lunga dal ministro Alfano e dai suoi di Ncd che minacciano di non votare il testo così com’è al Senato. Ieri la retromarcia dunque dei democratici che promettono di accorciare i tempi: «una prescrizione che dura 18 anni è più che sufficiente per garantire il processo», afferma David Ermini, responsabile Giustizia del Pd. Sulla stessa linea il ministro Orlando (Pd) che giudica il nuovo testo «un buon compromesso».
Un compromesso che invece è criticato e giudicato “al ribasso” da buona parte della fronda di sinistra del Partito Democratico e che viste le continue pressioni degli alfaniani potrebbe ridurre ancora i tempi di prescrizione per il reato. In attesa dello scontro in aula ecco i punti fondamentali per capire di cosa si tratta:
- Dopo la sentenza di condanna di primo grado la prescrizione viene sospesa per due anni in Corte d’appello e per uno in Cassazione.
- La nuova prescrizione non sarà retroattiva, varrà solo per i processi che si svolgeranno successivamente all’approvazione della legge.
- I tempi di prescrizione previsti nel nuovo testo per i reati di corruzione sono pari al massimo della pena più la metà. Attualmente è in discussione la legge anti-corruzione che prevede un inasprimento della pena per questo tipo di reato, per cui la condanna massima passerebbe da 8 a 10 anni, e sulla base di questo il tempo di prescrizione sarebbe di a 15 anni. A questi verranno aggiunti, come avviene anche oggi, un quarto dei 15 anni, cioè 3 anni e 9 mesi, per tenere conto degli atti del processo. La prescrizione lunga insomma secondo il testo rivisto dovrebbe essere al massimo di 18 anni e 9 mesi.
Compromesso bocciato dal Procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, che non ha digerito l’accordo raggiunto dalla maggioranza: «rischia di trasformarsi non solo in una legge spot, ma favorirebbe ulteriormente la corruzione. Ecco perché bisogna agire subito e cambiare il contenuto del testo».
Per capire meglio l’importanza di una revisione del testo basta tornare con la mente ai fatti di qualche anno fa e ricordare che i tempi di prescrizione fin ora stabiliti in Italia sono gli stessi che, per esempio, hanno permesso – aiutate non poco dal lodo Alfano (sempre lui) – a Silvio Berlusconi di essere assolto dal reato di Corruzione per aver comprato il silenzio dell’avvocato David Mills sulle tangenti pagate Guardia di Finanza e All Iberian.
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Il Paese di sinistra
“Il Paese di sinistra” c’è. Movimenti, comitati, associazioni sono ben presenti nei territori. Una rete dal basso che non si limita a contestare ma lancia proposte evidenziando una visione della politica molto spesso in contrasto con quella del governo guidato dal segretario del Pd Matteo Renzi. Left in edicola dal 16 maggio indaga questo mondo reale che non si sente più rappresentato dalla politica, neanche da quella del Partito democratico.
Libertà e Giustizia, Arci, il Forum per l’acqua pubblica sono solo alcuni esempi di voci che rappresentano una democrazia partecipativa lontana del decisionismo amato dal premier. Legge elettorale, riforme costituzionali, Buona scuola, immigrazione e beni comuni, sono i temi caldi su cui questi movimenti non convergono con le scelte politiche adottate dal governo. Left si esercita anche in una “prova di immaginazione” e cerca di costruire una nuova fotografia della sinistra: volti nuovi che potrebbero superare (non rottamare) i vecchi e stanchi leader della sinistra. Incontriamo così giovani politici impegnati nelle regionali come Tommaso Fattori e Luca Pastorino ma anche sindaci come Paola Natalicchio, giovani attivisti come Maria Pia Pizzolante e Claudio Riccio e molti altri. Poi c’è la Coalizione sociale lanciata da Maurizio Landini. E i transfughi delusi dai 5 stelle che hanno creato decine e decine di liste civiche sparse per l’Italia. Una ipotetica nuova forza di sinistra, chissà, forse potrebbe coagulare attorno a sé anche i milioni di italiani che da decenni popolano tutti i Movimenti del No.
Inoltre, con le elezioni regionali alle porte, Left pubblica un primo speciale dedicato alla Campania con Vincenzo De Luca e il suo “capolavoro Dc” (cioè l’aver candidato riciclati e destrorsi, con la benedizione di Ciriaco De Mita) e la Puglia di Michele Emiliano che imbarca il centrodestra. In una regione già provata dagli anni di guida Vendola, con la disoccupazione giovanile alle stelle (58%) e con problemi per la sanità, il lavoro e l’ambiente, come dimostrano il caso Taranto e l’approdo del Tap (il gasdotto transadriatico).
Left si occupa poi di carcere e del suo fallimento con due lunghi articoli di Luigi Manconi e Ascanio Celestini. E ancora: approfondimenti sulla Grecia, sulla Podemos di centro in Spagna, sulla violenza dell’Is contro le donne. Mentre in Cultura apre il festival di Cannes, segue una approfondita intervista all’antropologa Amalia Signorelli che presenta il suo nuovo libro su Ernesto de Martino e per la scienza un’inchiesta sulla medicina del futuro: quella “ad personam”. Buona lettura!
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