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Libia, perché un intervento non servirà a salvare i migranti

Le foto scattate dopo le tragedie del mare sembrano tutte uguali: ci sono gli uomini della Guardia Costiera che tendono le mani a chi scende dalla motovedetta, i superstiti infreddoliti avvolti nelle coperte isotermiche color oro ed argento e le orrende file di sacchi di plastica allineati sul molo del porto di Lampedusa. Ogni volta è come se sfogliassimo lo stesso triste archivio di repertorio. Nessuna di quelle immagini è capace però di raccontarci la scomoda verità che precede i naufragi, ultimo ma non unico rischio a cui vanno incontro i rifugiati. E’ una mappa di atrocità che rimane impressa nelle loro biografie, lunga quanto è lungo un percorso che passa per tre continenti e che fa tappa  “forzata” in Libia.

I soccorsi

In questi primi quaranta giorni del 2015 il numero dei dispersi in mare (oltre 300) ha già superato di venticinque volte quello dei primi due mesi dello scorso anno, quando furono 12. Ma per una cifra veritiera dovremmo spingerci oltre e contare i decessi nel deserto africano, nelle montagne del Sinai o nei campi profughi del Libano, dove le statistiche non riescono ad arrivare. Perché è lì, ben prima che nel Mar Mediterraneo che i confini (e gli accordi bilaterali) iniziano ad avere i loro effetti.

Nelle scorse ore intanto sono ripresi gli sbarchi nel Canale di Sicilia. 275 persone sono arrivate a Pozzallo, dodici imbarcazioni con a bordo 2.416 persone sono state invece intercettate al largo di Lampedusa e probabilmente a breve dovremo essere attrezzati per recuperarne altre. Ma Triton, l’operazione di Frontex iniziata tra le polemiche per la chiusura di Mare Nostrum, non è stata pensata per effettuare soccorsi e non ha neppure la consegna di coprire i 43.000 km quadrati battuti un tempo dalla Marina Militare, che si spingeva a volte fino a 12 miglia marittime dalle coste libiche. Così le intercettazioni dei natanti alla deriva è tornato ad essere un evento eccezionale.

I 3.400 morti registrati nel 2014, quando ancora Mare Nostrum era operativa, insieme ai 22.000 di questi vent’anni, ci sconsigliano di circoscrivere però il dibattito al tema, pur importante, dei salvataggi. Sembra averlo capito anche il premier Renzi che ha subito spostato la discussione sulla necessità di un intervento in Libia. Secondo il premier è necessaria una forte azione diplomatica per riunire in un governo di unità nazionale le fazioni che si combattono e costruire un’alleanza contro la minaccia dei sostenitori del Califfato. La partita ora passa nelle mani del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

La Libia

L’altra sponda del Mediterraneo è nel caos. Le forze jihadiste controllano gran parte dei territori nel nord del Paese, da Derna a Sirte. Il governo di Tobruk, l’unico riconosciuto internazionalmente, non smette di combattere contro i gruppi vicini ai Fratelli Musulmani che invece hanno in mano Tripoli e da questa diatriba sono proprio le forze dello Stato Islamico (diverse dai Fratelli Musulmani) a trarre benefici. Negli ultimi due giorni però una pesante serie di raid dell’Egitto, partiti dopo l’uccisione di 21 ostaggi egiziani catturati dagli jihadisti, hanno messo a dura prova l’Is; sempre negli scorsi giorni alcune motovedette italiane sono finite sotto i colpi dei miliziani sparati dalla costa.

Le testimonianze dirette dei superstiti del naufragio raccontano anch’esse di violenze e brutalità. I migranti, ascoltati da Giovanna Di Benedetto, portavoce di Save the children, dicono di aver raggiunto qualche mese fa un campo di raccolta allestito nella periferia di Tripolii dai combattenti. Alcuni di loro erano in Libia da anni, altri giusto il tempo di racimolare il denaro utile per partire. Nel campo hanno atteso a lungo, fino a sabato scorso quando sotto, la minaccia dei fucili, sono stati fatti salpare verso l’Italia nonostante il mare in burrasca.

Nessuna delle notizie che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo riesce però a spiegare fino in fondo le vere ragioni di quelle partenze. Solo pochi mesi fa l’Unhcr aveva lanciato l’allarme per la situazione di migliaia di persone provenienti da altri paesi intrappolate nelle zone del conflitto libico e sottoposte a pesanti violazioni dei diritti. L’appello perché fossero messe in condizione di lasciare la Libia rimane però tuttora inascoltato.

Fin dai tempi di Gheddafi la Libia è uno dei paesi di transito per eccellenza nei percorsi dei migranti in fuga. Si tratta di uno snodo, un crocevia a cui si approda per ripartire, divenuto “tappa forzata” per un motivo piuttosto semplice: le altre strade sono sbarrate. E’ per questo, per esempio, che migliaia di siriani seguono un percorso innaturale che, da molto lontano, li porta a farsi ingabbiare in territorio libico. Per evitare i viaggi nel mare e le tragedie è quindi ben più in là, verso gli ostacoli e le violenze che i migranti incontrano prima di arrivare in Libia, che dovrebbe spingersi il nostro sguardo.

I mercanti di uomini

Lo scenario libico preoccupa per diverse ragioni. Le brutalità dei trafficanti non sono però una novità degli ultimi tempi. Da almeno un decennio gli spari verso le barche e le violenze contro i rifugiati sono realtà quotidiana. Il fatto che i profughi fossero nelle mani dei miliziani ci racconta semmai la capacità di chi dirige il traffico di uomini di stringere nuove alleanze per gestire il mercato. Chi controlla la costa governa un punto fondamentale della tratta. I miliziani hanno bisogno di denaro per finanziare l’acquisto di armi, così è a loro che è affidata l’ultima tappa dei viaggi verso l’Europa.

Gli attori di questo enorme “business del confine”, secondo solo a quello del traffico di droga, si dimostrano evidentemente più versatili di quanto vogliano raccontarci le agenzie europee per il controllo dell’immigrazione irregolare. Come ci dicono Musumeci e Di Nicola in “confessioni di un trafficante di uomini”, i vertici di queste organizzazioni non indossano la tuta mimetica e non impugnano pistole, ma sono affabili uomini d’affari. Sanno cooperare tra loro, muovono milioni di dollari tra Nairobi e Khartoum, Teheran e Tripoli ed esprimono un’enorme riconoscenza verso l’Italia ed i governi europei che, con la loro fissazione per il controllo dei confini, consentono di dare un prezzo salato alle speranze di migliaia di donne e uomini in fuga. Sanno bene di essere l’unico mezzo possibile per raggiungere l’Europa: Non si sono fermati prima e non hanno dunque alcun motivo per fermarsi ora di fronte ai naufragi, a un’eventuale ritrovata stabilità della Libia (pure auspicabile), a Frontex o a Mare Nostrum, alle reti di Melilla o al muro che separa la Turchia dalla Bulgaria. Certamente non lo faranno neppure davanti ai 500 arresti di scafisti annunciati a gran voce dal Ministero Alfano lo scorso dicembre, che hanno coinvolto per lo più migranti a cui era affidato il timone in cambio della traversata gratuita.

Spostamenti di confine

Gli stessi governi europei, Italia in testa, sono consapevoli che il problema dei morti in mare non si risolverà ristabilendo l’ordine in Libia. Da tempo la strategia passa attraverso il tentativo di spostare i dispositivi di contenimento dei movimenti migratori sempre più a sud. Si tratta di un progetto di esternalizzazione dei confini che viene da lontano e che ha ritrovato negli ultimi mesi un nuovo slancio con il processo di Khartoum. Insieme ai governi africani, quelli sanguinari di Eritrea e Sudan compresi, gli Stati europei stanno negoziando la costruzione di campi profughi nei Paesi di transito e di partenza in cui i migranti dovrebbero presentare le domande d’asilo in attesa di essere autorizzati a spostarsi in Europa. Ma non è una novità, come non sarebbe nuovo il fallimento di questo piano. L’Africa e il Medio-Oriente sono costellati da lungo tempo di luoghi di contenimento che ospitano milioni di profughi e sfollati. Sono zone di attesa infinita in cui spesso si riproducono le stesse condizioni che hanno spinto i migranti a fuggire. Per questo, questo appalto del diritto d’asilo non ha mai funzionato e non potrà funzionare se non riproducendo ulteriori violenze, confinamenti e nuovi motivi per fuggire.

L’Europa e il diritto d’asilo

Chiunque si ponga perciò il problema di fermare le partenze dalla Libia, a meno di non voler consegnare i migranti ad altre violazioni e altri soprusi, deve fare i conti con la realtà di ciò che avviene ben prima, quando un’ambasciata rifiuta un visto di ingresso o lo vende a caro prezzo, quando il massiccio dispiegamento di forze e risorse per controllare le frontiere dell’Europa incontra la strada dei migranti. Il tema è quello spinoso ma evidentemente inaggirabile della costruzione di percorsi di arrivo garantito, sicuro e immediato per chi fugge dai conflitti e dalle miserie. Il resto avrà al massimo il confortevole effetto di non sbatterci in faccia scomode verità.

Le sfide del nostro tempo impongono alcune scelte. Una di queste è tra la dismissione definitiva del diritto d’asilo o la ricerca di un suo rinnovato riconoscimento. Per ridare corpo a questo istituto, oggi trasformato in un mero esercizio di caritatevole umanitarismo, l’Europa ha però bisogno di risolvere senza timidezze una delle più grandi contraddizioni che porta con sé.

La promessa di essere garante universale e incondizionata dei diritti, su cui si è fondata dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, ha via via dovuto fare i conti con uno dei principi cardine su ha ancorato la sua esistenza: la protezione dei confini. Questa coabitazione sembra però sempre meno possibile. Nelle scorse settimane il nuovo governo di Syriza ha annunciato di voler abbattere le reti che impediscono l’ingresso di migliaia di migranti in fuga verso la Grecia. Al pari della forzatura dei parametri di rientro del debito, anche questo segnale è una sfida importante ad alcuni pilastri dell’Europa moderna. Ancora una volta il problema non è quale politica metterà in campo l’Europa per far fronte a questo mondo pieno di insidie, ma se e come riuscirà a rinnovare un suo nuovo patto costituente. Perché un’Europa che non sa mantenere le sue promesse rischia di non aver più senso di esistere.

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Politica in serie, dai Tg ai telefilm trionfa il potere

Il 27 febbraio torna House of Cards. La serie racconta la scalata al potere di Frank Underwood e vanta tra i propri fan non pochi capi di stato. In primis Barak Obama che, in occasione del finale della seconda stagione, twittò «No spoilers please». Niente anticipazioni, solo un consiglio: guardatelo e, se vi siete persi le prime due serie, recuperate seguendole in chiaro su Sky TG24.

Proprio la decisione di trasmettere in prima serata su una all news la serie con Spacey, al posto del consueto tg, è l’occasione per riflettere sul filo che lega realtà e finzione. In quest’ottica è interessante ricordare le parole di Micheal Dobbs (politico britannico, ex membro dello staff della Thatcher e autore dei romanzi da cui è tratta la serie su Underwood): «Quando ho saputo che Renzi aveva acquistato una copia di House of Cards , ho ritenuto prudente inviargli una nota per ricordargli che il libro è solo intrattenimento e non un manuale d’istruzioni».

Facendo poi scorrere la mente all’indietro, fu proprio Renzi ad abbozzare l’idea, mai più riesumata, di dar vita alle Nuove Frattocchie, una scuola politica innovativa, nella quale – cit. del Rottamatore – «Si dovranno studiare anche le serie tv». In un continuo gioco di rimandi diventa sempre più difficile distinguere chi prenda spunto da chi.

L’unico dato certo è una politica alla ribalta del palcoscenico, protagonista di telefilm, romanzi e webseries. Un successo enorme che non si replicava dai tempi del Principe di Machiavelli, anch’esso tra l’altro ripescato e incorniciato nel piccolo schermo con il principe Valentino dei Borgia.

Dopo ben tre rivoluzioni mediatiche dall’avvento della stampa (radio, tv e, dulcis in fundo, social media), la cara vecchia politica si scrolla la polvere di dosso e diventa nuovamente à la page per il grande pubblico. Non perché catturi con i contenuti – quelli restano troppo verbosi per la maggior parte dei cittadini -spettatori – ma perché chi la racconta in tv ha imparato a dipingerne i lati comici e quelli intriganti e, se si parla di politica, lo si fa per parlare del suo stretto consorte: il Potere. Vera star della narrazione dai tempi della guerra di Troia, oggi declinato in molteplici stereotipi: dal vicepresidente incompetente di Veep – dove Julia Dreyfus nei panni della VP Selina Meyer è accerchiata da uno staff caricatura perfetta quanto verosimile di quello di molti politici – alla iper qualificata Olivia Pope di Scandal, ispirata alla storia vera di Judy Smith, per anni consulente in crisis management per la Casa Bianca e vicecapo ufficio stampa di George Bush.

Fiction o no, i riflettori si accendono sui corridoi di palazzo. Tanto che, anche nella realtà, i “retroscena” dell’azione di Governo finiscono per mescolarsi alla comunicazione istituzionale, come avviene quando a postare qualche foto su instagram con l’hashtag #cosedilavoro è Filippo Sensi, attuale portavoce del Presidente del Consiglio. Al centro del racconto anche lo staff, d’altronde: cosa dà l’idea del retroscena più dello staff?

E si passa dal collaboratore ingenuo interpretato ormai 24 anni fa da Silvio Orlando ne Il portaborse a Piero Zucca, politico ingenuo de Il Candidato manipolato da uno “spregiudicato” team di spin doctor. Come accade per House of Cards, a mettere in onda la miniserie è, ancora una volta, un programma di approfondimento informativo, Ballarò. È così che trionfa l’infotainment.

 

Le cinque delle 20.00

Tsipras: l’Eurogruppo ci provoca

L’ultimatum di Bruxelles: “decidano entro venerdì se accettare l’estensione del programma di aiuti”, la risposta di Atene: “non firmeremo. Non siamo una colonia”. Ma secondo Bloomberg la Grecia sarebbe intenzionata a chiedere domani un’estensione di sei mesi del programma di assistenza attuale, che scade il 28 febbraio.

LIBIA
Domani riunione all’Onu mentre proseguono i raid aerei
Decine le vittime nelle ultime ore, anche tra i civili. Il Cairo conferma l’asse con Parigi per l’intervento Onu e mantiene la linea della fermezza: è un nostro diritto di autodifesa. Hamas avverte l’Italia: si astenga, sarebbe una crociata.

RIFORME
Il presidente Mattarella riceve Vendola e Brunetta
Dopo la rottura in Aula sulle riforme, Il presidente della Repubblica incontra le minoranze. Oggi sono saliti al Colle Nichi Vendola, leader di Sel, e Renato Brunetta di Forza Italia, il quale ha dichiarato: il capo dello Stato auspica la ripresa del dialogo. Confermato in settimana l’incontro con il M5s.

RUBY TER
Ancora perquisizioni nelle case delle olgettine. Berlusconi paga ancora?
Trovati soldi in una cassetta di sicurezza nella disponibilità della showgirl Francesca Cipriani. E’ quanto emerge dalle indagini di Milano che hanno portato alle perquisizioni secondo cui Berlusconi starebbe continuando a retribuire le ragazze presenti alle serate di Arcore che hanno testimoniato nei processi su Ruby.

CRONACA
Taxisti contro Uber: blocchi e tensione a Torino
La protesta dei taxisti contro Uber ha paralizza via Nizza, con momenti difficili di fronte al Lingotto. Tra i manifestanti si sono accese furiose discussioni tra chi avrebbe voluto bloccare tutto, ad ogni costo, e altri che cercavano di convincere i colleghi a desistere.

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Al Mei gli Stati generali della musica del futuro

Una grande giornata quella degli Stati generali della nuova musica promossi a Roma l’8 febbraio dal Mei in collaborazione con Left.

Alla Pelanda Factory, Macro Testaccio, centinaia di persone hanno discusso su temi “caldi” e importanti per l’intero settore. Dalla produzione al diritto d’autore, dalla formazione ai festival, undici tavoli hanno fatto il punto su proposte e idee per rilanciare l’universo della musica.

  1. Il futuro della produzione indipendente
    Coordinatore: Giampiero Bigazzi e Andrea Pettinelli
    Parola chiave: PRODUZIONE
  2. Il futuro dei festival per emergenti
    Coordinatori: Roberto Grossi e Michele Lionello
    Parola chiave: FESTIVAL
  3. La musica live e le città (Arci e Arci Real)
    Coordinatori: Carlo Testini e Lorenzo Siviero
    Parola chiave: LIVE
  4. Cambiamo musica (Left)
    Coordinatrice: Donatella Coccoli
    Parola chiave: FORMAZIONE
  5. Dall’indipendenza all’autorganizzazione
    Coordinatrici: Tiziana Barillà e Cristina Brizzi
    Parola chiave: AUTORGANIZZAZIONE
  6. I lavoratori della musica (Cgil)
    Coordinatori: Enrico Massaro (Slc Cgil), Umberto Carretti (Slc Cgil), Tito Russo (Flc Cgil)
    Parola chiave: LAVORO
  7. Il futuro della gestione collettiva del diritto d’autore in Italia
    Coordinatore: Andrea Marco Ricci
    Parola chiave: DIRITTO D’AUTORE
  8. L’editoria indipendente, editoria e giornalismo nel rapporto con la musica (Exit Well)
    Coordinatori: Francesco Galassi e Riccardo De Stefano
    Parola chiave: EDITORIA
  9. La musica in video: il videoclip
    Coordinatore: Fabrizio Galassi
    Parola chiave: VIDEO
  10. L’Europa e la Musica
    Coordinatore: Pino Boccainfuso
    Parola chiave: EUROPA
  11. Scrivere La Tradizione. Lo stato dell’arte sulla ricerca nella musica tradizionale italiana
    Coordinatore: BlogFoolk
    Parola chiave: TRADIZIONE

Il report della giornata e i documenti finali dei tavoli di lavoro QUI

#DallaParteGiusta a Roma per la Grecia

ROMA. 14 Febbraio 2015. “Cambia la Grecia, cambiamo l’Europa”, la sinistra in piazza nella giornata europea di mobilitazione per il popolo greco e contro l’austerity imposta dalla Troika.

Le cinque delle 13.00

Opposizioni ricevute al Colle da Mattarella

Brunetta e Vendola al Quirinale. Il capo dello Stato incontra i rappresentanti di Camera e Senato di Forza Italia e di Sinistra Ecologia e Libertà. Sul tavolo il tema delle riforme, dopo lo strappo dei giorni scorsi. “Il presidente ha auspicato la ripresa del dialogo”, ha dichiarato l’esponente azzurro. Ora si attende anche il M5s mentre Beppe Grillo svela sul blog lo scambio di lettere con il capo dello Stato in cui chiede risposte su reddito di cittadinanza e anti corruzione.

LIBIA
Raid egiziani su Sirte e Bengasi. Decine di vittime
Altri sette raid con “decine di morti” sono stati compiuti nella notte scorsa dall’aviazione egiziana contro postazioni “roccaforti” dell’Isis a Derna, città nell’est della Libia. Lo segnalano media egiziani citando fonti ufficiali libiche. L’Egitto chiede all’Onu un intervento internazionale. In Italia, Renzi esclude interventi militari in Libia, mentre il Ministro Alfano convoca riunione al Viminale.

GRECIA
Atene rifiuta l’offerta dell’Eurogruppo
La Grecia boccia la mediazione europea sul debito. “Proposte inaccettabili”, le definisce il premier Tsipras. Le borse europee aprono negativamente. La replica di Bruxelles: decidete entro venerdì. Il presidente Dijsselbloem: la Grecia accetti l’estensione del programma e poi potremo applicare la flessibilità.

UCRAINA
Ucraina, sospeso il ritiro delle armi pesanti
In una telefonata con Vladimir Putin e Petro Poroshenko, Angela Merkel ha rivendicato “la realizzazione degli accordi di Minsk”. Da oggi dovrebbe iniziare il ritiro delle armi pesanti. Nel corso della telefonata i tre leader hanno “concordato passi concreti per rendere possibile una missione di controllo da parte dell’Osce” .

ECONOMIA
Fiducia al Milleproroghe, proroghe per sfratti e partite iva
Il governo porrà la questione di fiducia alla Camera sul decreto legge Milleproroghe, visto l’imminenza della scadenza fissata per il 3 marzo. Risolti i nodi relativi a sfratti e partite iva con la proroga per 4 mesi del blocco per i primi e la proroga del vecchio regime dei minimi Iva (al 5%), che coesisterà con il nuovo regime (al 15%) per tutto il 2015 per le seconde.

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Per la prima volta da decenni, in Europa

In queste settimane, si definisce il senso della vittoria di Syriza nelle elezioni politiche del 25 gennaio scorso in Grecia: in gioco è, innanzitutto, democrazia sostanziale dopo una lunga fase di ibernazione, dovuta a cause culturali e politiche prima che economiche. Sul piano culturale, viene sfidato il pensiero unico di matrice liberista.

Per la prima volta da decenni, in Europa, un governo legittimato dal voto popolare esprime un paradigma autonomo dal neo-liberismo, versione hard (destre) o soft (sinistre delle “Terze Vie”), e propone una ricetta alternativa e realistica alla svalutazione del lavoro: ristrutturazione di un debito pubblico insostenibile; stop alla svendita di asset pubblici strategici; riavvio di investimenti produttivi, rigenerazione di servizi sociali e difesa di asset di cittadinanza democratica per la marea di famiglie, anche delle classi medie, cadute in povertà, regole meno squilibrate per i licenziamenti, redistribuzione del reddito a cominciare da un livello di dignità del salario minimo.

Per la prima volta da decenni, in Europa, un governo legittimato dal voto popolare svela, oltre al conflitto economico tra Stati, la natura di classe del conflitto tra creditori e debitori, dove l’aristocrazia della finanza e dell’economia internazionale e interna, assistita dalle tecnocrazie presunte super-partes, afferma i propri interessi, in modo miope e feroce, contro le classi medie e il popolo del lavoro subordinato, dipendente, precario o autonomo.

Per la prima volta da decenni, in Europa, l’alternativa possibile al neo-liberismo è popolare senza essere populista e assume caratteri progressivi e non i segni nazionalisti e xenofobi.

Per arrivare a una risposta utile, i governi europei devono riconoscere i dati di realtà.

Primo, i programmi della Troika hanno avuto come obiettivo prioritario il salvataggio dei creditori della Grecia, non l’aggiustamento dell’economia greca: il 95% del bailout è stato assorbito dalle banche, in larga misura tedesche e francesi, disinvolte prestatrici di finanziamenti all’export dei campioni dell’eurozona.

Secondo: i programmi della Troika sono viziati da una esiziale contraddizione: la svalutazione interna per il surplus della bilancia commerciale mediante austerità e taglio dei redditi da lavoro raggiunge l’obiettivo ma al costo di brutali contrazioni del prodotto interno e dell’impennata, fino al default, del debito pubblico.

In sintesi, la Grecia dimostra in forma acuta l’insostenibilità della rotta mercantilista dell’eurozona. Indica, caso estremo data la gravità della malattia pregressa e le dosi abnormi di medicine nocive prescritte e ingoiate in sospensione di democrazia, problemi sistemici: l’altra faccia delle ripetute violazioni da parte della “virtuosa” Germania del limite ai surplus commerciali eccessivi fissato nel “six pack” (6% del Pil); l’altra faccia del mancato obiettivo statutario di inflazione (sotto ma vicino al 2%) da parte della “impeccabile” Bce.

Le principali soluzioni prospettate dal Governo Tsipras per portare la Grecia fuori dal tunnel hanno valore sistemico: una conferenza europea per ristrutturare debiti pubblici e privati, in un quadro di responsabilità condivisa tra debitori e creditori, e un “New deal europeo” per riavviare la domanda aggregata sono condizioni necessarie per la ripresa.

È ora di un compromesso di svolta democratica ed economica nell’eurozona. Soffocare la Grecia implica avvicinare il naufragio della moneta unica. I forti devono imparare alla svelta la differenza tra comando e egemonia.

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Le parole per un addio

L’invenzione della madre, esordio di Marco Peano (Minimum Fax) racconta l’agonia e morte per cancro di una donna – impiegata all’ufficio postale di un paesino, amante di Aznavour e delle moto – e soprattutto l’esperienza che riesce a farne il figlio Mattia, di scoperta di un nuovo senso della realtà (più romanzo di formazione che «storia d’amore» come recita il risvolto).

Libri, L'invenzione della madre, leftIl libro può suscitare sentimenti opposti. Da una parte ammirazione per la radicalità con cui l’autore tratta frontalmente il tragico (malattia, sofferenza, morte), solitamente espulso dalla cultura di massa. In ciò confermando la vocazione più autentica della letteratura. Dall’altra però, leggendolo non dimentichi mai che si tratta di letteratura: lo stile cerca platealmente – l’effetto, e sembra uscito dalle più sofisticate scuole di scrittura. Quella “esattezza” con cui i raggi del sole colpiscono il volto della madre è una parola più ammiccante che esatta.

La considerazione che il gerundio («Sto girando un film…») si contraddice (mica lo sto girando in quel momento lì) ed è un verbo «in cui passa la vita, in mezzo alle azioni soffia l’alito delle cose che accadono», nasconde l’ansia di essere inesorabilmente poetici. Come uno studiato alternarsi di dettagli iperrealistici, quasi splatter (il lettore partecipa ad una meticolosa autopsia) e frammenti liricheggianti. L’invenzione della madre sembra avvitarsi proprio nella ricerca di una lingua – non convenzionale e neanche “spettacolare” – per dire oggi il tragico.

Tentativo comunque lodevole. Né mancano pagine intense, là dove il dolore umano viene aggirato metaforicamente: le lumache di mare nel sacchetto in cucina che al mattino si risvegliano («tante minuscole agonie»). Alla fine Mattia scopre che la realtà non sta nelle immagini come ha sempre creduto, ma nelle parole. Giusto. Ma non interamente nelle parole. Qualsiasi scrittura dovrebbe accettare il proprio limite, e sporgersi su una alterità delle cose non del tutto formalizzabile.