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Il conflitto tra medici e pazienti non si risolve in tribunale

Il ministro Nordio, come è noto, prendendo atto che, nonostante le leggi fatte in questi anni per proteggere i medici dalle loro responsabilità, i contenziosi legali intentati dai cittadini contro di loro hanno continuato a crescere in modo esponenziale acuendo il fenomeno deteriore della medicina difensivistica, ha deciso di istituire la “Commissione per lo studio e l’approfondimento delle problematiche relative alla colpa professionale medica”.

Le finalità, sono due:
• esplorare l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inscrive la responsabilità colposa sanitaria per discuterne i limiti e le criticità
• proporre un dibattito in materia di possibili prospettive di riforma e un’approfondita riflessione e un accurato studio sul tema della colpa professionale medica ai fini di ogni utile successivo e ponderato intervento, anche normativo.

Personalmente ho salutato questa decisione, in modo molto favorevole giudicando la proposta del dibattito senz’altro una grande opportunità sia per i medici che per i cittadini ma consapevole anche che senza un altro modo di pensare i problemi e le contraddizioni, questo dibattitto resta difficile e persino rischioso.

Medico vs cittadini. Un conflitto da risolvere

Al fine di dare come si suol dire “una mano” mi sono deciso a scrivere notte tempo un istant book (I.Cavicchi Medico vs cittadini. Un conflitto da risolvere Castelvecchi 2024) e a chiedere a Left considerando l’importanza della questione uno spazio per aprire una discussione .

L’idea è di giocare di anticipo quindi di non aspettare, come in genere avviene con le commissioni, la fine dei lavori.

Il mio scopo è suggerire spunti di riflessione e nuovi approcci analitici sia per tentare di interferire con certi errori di impostazione, sia per allargare lo sguardo e segnalare il pericolo di infognarci ancora di più nelle contraddizioni che non riusciamo a rimuovere perché privi di un pensiero adeguato. Cioè prigionieri delle leggi sbagliate fatte fino ad ora.

Nel mio pamphlet (appena un centinaio di pagine) al quale ovviamente rimando, sono descritte e documentate tutti i dubbi, tutte le perplessità, tutte le paure e tutte le questioni di merito più importanti, e anche tutti i rischi che anche la commissione, appena istituita, rischia di correre e ovviamente le proposte che a mio giudizio sono più adatte ed adeguate alla soluzione della questione complesse che si devono affrontare.

L’equilibrio perduto

Nello spazio di questo articolo mi limiterò ad affrontare due questioni in particolare, che mi preoccupano molto rispetto alle quali vedo sia grandi rischi per la professione medica sia grandi rischi per i cittadini

La prima è l’errore che rischia di commettere la commissione appena istituita, di ridurre un conflitto sociale vero e proprio come è quello tra medici e cittadini ad una semplice lite giudiziaria.

La seconda è la miopia dei medici che indisponibili al cambiamento per pararsi le terga dai rischi professionali sono disposti a tutto anche a rompere il rapporto fiduciario con la società che fino ad ora li ha legittimati con l’eventualità di essere, come professioni intellettuali, socialmente declassati (downgrade) .

L’obiettivo dichiarato dalla commissione è ritrovare l’equilibrio perduto tra gli interessi dei medici e gli interessi dei cittadini, anche se, l’equilibrio vero da trovare, in realtà, è tra “interessi e diritti” e la logica da usare non è quella che immagina la commissione, cioè “la compatibilità” ma quella ben diversa della “compossibilità”.

Con la prima si tratta di adattare i diritti dei malati ai problemi legali dei medici con la seconda si tratta di rimuovere le contraddizioni che contrappongono gli uni agli altri e quindi di trovare equilibri più avanzati cioè non contraddittori.

Il medico imperseguibile

Ma da quel che si vede, quindi dalle anticipazioni della commissione, dalla discussione in corso, dalle audizioni fatte sembrerebbe che l’unico, nel conflitto sociale dato, che dovrebbe cambiare è il cittadino che niente meno dovrebbe rinunciare o limitare i suoi diritti o pagare le spese dei processi o dover dimostrare la sua buona fede (lite temeraria) , per permettere al medico di restare quello che è sempre stato, anzi, per permettergli addirittura di essere giuridicamente depenalizzato per essere giuridicamente infallibile evitando così di essere legalmente perseguibile.

Se l’equilibrio, al quale punta la commissione , è come mi sembra di capire assicurato a medico invariante ma “imperseguibile”, (nessuno parla di ridefinire giuridicamente il medico) proprio come erano i funzionari ai tempi di Napoleone,  dubito che questo equilibrio possa essere credibile . Rendere il medico “imperseguibile” e, al contrario, il cittadino “perseguibile” vale come scoraggiare il cittadino in tutti i modi a intraprendere cause legali. Cioè azzerare di fatto i suoi diritti.

Nella teoria dei giochi si definisce “equilibrio di Nash” un profilo di strategie rispetto al quale nessun giocatore ha interesse ad essere l’unico a cambiare. Secondo Nash il matematico statunitense a cui si deve l’omonima teoria, a volere il cambiamento bisognerebbe essere almeno in due ma se uno dei due è a priori imperseguibile e l’altro no ma di quale equilibrio stiamo parlando?

Il conflitto sociale non è riducibile alla lite giudiziaria

Vi è conflitto sociale quando i malati, in ragione dei loro diritti, avanzano delle pretese nei confronti dei medici, e chiedono prassi diverse, approcci diversi, relazioni dialogiche per partecipare alle scelte che li riguardano e i medici, dal canto loro, restano fermi nel loro status professionale, senza fare nessun sforzo per rispondere ai nuovi bisogni delle persone, e cercano, come possono, di difendersi dai malati come se questi fossero i loro nemici dichiarandosi senza colpa, senza responsabilità e rifugiandosi in un paternalismo legale ormai di altri tempi nel tentativo di riproporsi comunque come i benefattori che non sono più.

Sbaglierebbe la commissione se riducesse il conflitto sociale, cioè una “quasi” guerra civile, a una lite giudiziaria alla ricerca di una transazione come se tra i medici e i cittadini, vi fossero solo banali interessi contrapposti.

Fino a quando i medici, per primi, non capiranno che il conflitto sociale nel quale sono coinvolti non è riducibile a una lite giudiziaria la questione per me resterà aperta.

Questo conflitto sociale definisce i contrasti con i cittadini prima di tutto non, come probabilmente pensa la Commissione D’Ippolito, riguardo solo a valori materiali, ma riguardo soprattutto a valori immateriali come i diritti, lo status sociale, l’autodeterminazione, la vita, la sua quantità e la sua qualità, la libertà, la giustizia.

Il diritto di non essere più un paziente

Oggi, anche se i medici continuano a non capire, la posta in gioco per i malati e per i cittadini è alta, molto alta e riguarda i loro diritti costituzionali, il loro status di malati, la loro emancipazione da un’idea vecchia e superata di paziente riguarda la loro auto-determinazione e quindi il loro modo di essere cittadini. Tutto questo non è facilmente monetizzabile.

I medici ancora non hanno capito che oggi i loro “pazienti” hanno il diritto di non essere più “pazienti”, per cui non vogliono più fare i pazienti, non vogliono più essere trattati e riparati come delle motociclette rotte, non vogliono più dipendere dai meccanici come se fossero i loro benefattori, ma in ragione dei loro diritti vogliono essere i protagonisti delle cure che li riguardano perché curarsi e autodeterminarsi praticamente à la stessa cosa. Il “prendersi cura” significa che non è più il medico che cura il cittadino ma è il cittadino che si prende cura di se stesso utilizzando strumentalmente il medico e la medicina di cui ha bisogno. Cioè la scienza che gli è utile.

Questa è la vera ragione per la quale in questa società abbiamo conflitti sociali e non solo liti giudiziarie e che tanto i medici che i giuristi ancora, dopo mezzo secolo di contenzioso legale, e di leggi farlocche per proteggere i medici non hanno capito e non vogliono capire.

La colpa e l’indennizzo

Costoro credono che, il conflitto sociale, sia indennizzabile cioè riducibile a una transazione economica, esattamente come sostiene la teoria “no fault”, come pure la teoria della depenalizzazione proposta dalla Fnomceo quella che ci dice che la depenalizzazione non è impunità perché la colpa del medico è comunque pagata con l’indennizzo, come se i diritti del cittadino fossero monetizzabili.

Secondo me, ancora non si è capito che, il conflitto sociale tra medici e cittadini oggi più che mai ha la funzione importante di affermare i diritti delle persone ed ha comunque un ruolo centrale nell’ambito del mutamento sociale, cioè ha un peso rilevante nei confronti di tutta l’organizzazione sociale e nei confronti della nostra convivenza sociale. Per cui non è facilmente eliminabile. Ma insisto, soprattutto non può essere ridotto ad una lite giudiziaria.

Oggi i tribunali sono diventati, loro malgrado, estensioni degli ospedali, degli ambulatori, dei pronto soccorso, nei quali i cittadini recuperano gli effetti di una medicina che continua a curare le malattie ma che si dimostra terribilmente incapace di avere relazioni con le persone. Oggi sembra incredibile, ma i tribunali offrono ai malati le relazioni che i medici non sono capaci di offrire perché continuano ad essere formati sulla malattia e non sul malato. E come diremo tra un po’, citando Rousseau, continuano a operare nella logica del diritto naturale perché incapaci di adeguarsi alla logica del diritto politico. È un paradosso enorme, che ai medici non farà piacere ma è così e non certo solo per colpa loro. Penso alle università che di fatto sono ancora ferme proprio a prima di Rousseau. Oggi molti cittadini, per avere relazioni con i medici, per avere delle spiegazioni esaurienti, è come se fossero costretti ad andare in tribunale. Abbiamo dimostrato che basta avere una buona relazione con il malato per ridurre il contenzioso legale ma nessuno, compresa la commissione D’Ippolito parla dell’importanza strategica della relazione e di come prevenire il contenzioso legale e di come formare il medico all’uso della dialogica e della intersoggettività .

La negazione del contratto sociale

Fino ad ora la regola che ha definito la responsabilità del medico era chiara e semplice : per un medico bastava avere un “contatto” con il malato, quindi una semplice relazione, quella da me chiamata “giustapposizione” per contrarre degli obblighi contrattuali. Il che vuol dire che, fino ad ora, gli obblighi del medico e quindi anche le sue responsabilità professionali sono nate da un contratto sociale.

Sono anni che i medici per evitare di andare in tribunale tentano di disattivare le loro responsabilità contrattuali cioè tentano di uscire e di liberarsi dal contratto sociale. Quella che i giuristi e i medici legali chiamano la “responsabilità extracontrattuale”.

Se si ripercorre la discussione sulla natura giuridica della responsabilità medica – dalla Balduzzi del 2012, passando per la Gelli Bianco del 2017 è come vedere una parabola discendente nella quale i medici, a un certo punto, cominciano per via legale a fare di tutto per uscire dagli obblighi giuridici loro imposti dal contratto sociale.

La recente proposta sulla depenalizzazione dell’atto medico che la Fnomceo ha avanzato in audizione alla commissione D’Ippolito è un modo per uscire dal contratto sociale

Da mascalzoni a santi

Detto in altri termini i medici, o meglio la Fnomceo, per non andare in tribunale, tenta di recidere, alla radice, la fonte dei suoi obblighi professionali, e delle sue responsabilità sociali, cioè di cancellare il contratto sociale.

Secondo la regola transitiva, se quello che fa il medico è senza colpa allora è come se il medico non avesse più alcun obbligo di nessun tipo.

Depenalizzato il medico viene di fatto parificato al pontefice cioè il dogma dell’infallibilità dalla chiesa passerebbe alla medicina.

La commissione D’Ippolito, da quello che si è capito sino ad ora, sembrerebbe voler continuare sulla strada della “de-contrattualizzazione” perché è un modo per depenalizzare il medico limitando la responsabilità solo alla colpa grave , una strada che se immaginata a regime, comporterà inevitabilmente in un non lontano futuro la rottura del “contatto sociale”, tra medici e società cioè la sostituzione di una relazione medico/malato con una banale giustapposizione tra interessi diversi, quindi la sostituzione del “contratto sociale” con un banalissimo “contratto di opera” corredato da un nomenclatore di prestazioni.

Personalmente credo che, uscire dal contratto sociale si corra il rischio di rompere una storica relazione fiduciaria con il cittadino perdendo di fatto, come professione, la più potente fonte della propria legittimazione sociale.

Il problema, a parte rompere, è come e con cosa sostituisco ciò che rompo.

Fino ad ora i medici sono stati legittimati, in questa società attraverso la fiducia, ma se non ci sarà più la fiducia per i medici l’unico modo che resta ai medici sono le assicurazioni, i contratti di opera e i nomenclatori e i tariffari.

Oltre la fiducia

Rompere il contratto sociale ci ricorda la storiella che racconta del marito tradito che per far dispetto alla moglie decide di evirarsi .

Se i medici uscissero di fatto dal contratto sociale cambierebbe inevitabilmente il modo in cui i medici sino ad ora sono stati legittimati. Se le assicurazioni prenderanno il posto del contratto sociale i medici non sarebbero più i medici che sono sempre stati e sarebbero inevitabilmente equiparati a qualifiche tecniche quindi ai meccanici agli idraulici, agli elettricisti, cioè a professioni tecniche rispettabili ma che non hanno nulla di speciale. Quindi infallibile come il papa ma declassabile socialmente come un meccanico o un idraulico.

Se ciò accadesse, la frittata sarebbe fatta. Se non c’è contratto sociale, non c’è relazione; se non c’è relazione, il medico è solo un meccanico che aggiusta corpi naturali malati. Fuori da un contratto sociale, il medico non è più il medico che abbiamo avuto sino ad ora. Diventerebbe un’altra cosa. Se il meccanico deve aggiustare la moto per lui non è necessario avere una relazione con il proprietario della moto. Ma senza questa relazione egli resta solo un meccanico. Ma nulla di più.

Il lato oscuro dei diritti

Con le vicende legate alla responsabilità professionale quindi con la commissione D’Ippolito è emersa quella che potrei definire richiamandomi ad una letteratura precisa “il lato oscuro dei diritti” cioè il difficilissimo rapporto tra gli interessi di una professione e i diritti delle persone e dei cittadini. Ragionare sui diritti dei cittadini e dei malati oggi significa ragionare su uno spazio giuridico che proprio questa letteratura ha definito “in sofferenza”. Una sofferenza legata indissolubilmente alla loro importanza costituzionale ma anche agli enormi problemi che essi creano e in particolare alla professione medica. Più aumentano i diritti dei cittadini e più si complica la vita ai medici e il mestiere della medicina diventa super complesso. Cioè sempre più impareggiabile. Il lato oscuro dei diritti è proprio questo ed è quel lato che prima ricordando i funzionari al tempo di Napoleone abbiamo indicato con il termine “imperseguibilità” rischio verso il quale la commissione D’Ippolito dovrebbe prestare la massima attenzione. Che equilibrio è il suo se a pagare il prezzo più alto nel conflitto sociale sono i diritti dei cittadini?

Droits naturels e droits politique

La contraddizione nella quale oggi sono i medici, viene da lontano e esattamente viene molto tempo prima dell’art 32 della Costituzione e sorge per essere precisi nel momento in cui Rousseau nel 1762 sostituì il termine droits naturels con droits politique .

Un passaggio che ancora oggi i medici ma anche le facoltà di medicina non hanno ne digerito e ne capito. I medici sono ancora culturalmente fermi alla malattia quindi al “droit naturels” . Per arrivare al “droits politique” essi più che mai oggi dovrebbero fare ciò che non vogliono fare come dimostra la Fnomceo che dopo essersi impegnata nel 2018 pubblicamente a ridefinire giuridicamente il medico per non avere rogne al suo interno, ha rinunciato all’impresa e al grido “invarianza e imperseguibilità” per fare tutti contenti ha imboccato a testa bassa la pericolosa strada del corporativismo più miope .

La commissione D’Ippolito da quel che si capisce si dimostra sensibile alle esigenze corporative della Fnomceo e dice di voler cercare l’equilibrio, ma ripeto a medico “invariante e imperseguibile” .

Il lato oscuro della faccenda è tutta qui.

Server

Quella medica è una professione che per la sua indubbia miopia se non ablepsia politica è destinata per forza al declino proprio come un sole al tramonto.
Giocare con la regressività oggi come ci hanno spiegato tanto Lakatos che Feyerabend è pericoloso. Il rischio per i medici di essere spiazzati come professione in una società in costante cambiamento è molto forte. Una volta spiazzati come paradigma professionale in questa società si conta intanto molto di meno e siccome siamo in una società capitalistica si vale anche molto meno. Se regressivi si è inevitabilmente declassati e sostituiti da altro perfino dai robot e dalle app sui telefonini. Si è giuridicamente infallibili e imperseguibili ma socialmente si conta poco e quindi si vale poco.
La professione medica a dire il vero, nel giro di un secolo circa, è passata, suo malgrado dal bel tempo andato della professione liberale, quella del benefattore puro, praticamente quasi un santo, a quella che ormai prova a salvarsi le terga come può scappando dagli obblighi del contratto sociale, tanto caro a Rousseau accettando di consegnarsi mani e piedi al mondo delle assicurazioni, sottomettendosi al procedurarismo come scudo sociale e che senza rendersene conto sta spianando la strada al “medico server “di cui parlo nel mio pamphlet .
Dopo che la Fnomceo liquidando la questione medica ha rinunciato ad una strategia di riforma della professione, il futuro del medico se le cose andranno avanti, sarà probabilmente quello del server cioè di un operatore sempre più entro sistemi tecnologizzati che non essendo riuscito a rimodellarsi socialmente nella società che cambia rinforzando i suoi legami fiduciari sarà radicalmente rimodellato da due cose :
• quella che gli esperti di futurologia chiamano la “quarta rivoluzione industriale” (4RI) una rivoluzione che è già in atto da anni
• dalle coperture assicurative che ai medici costeranno un occhio della testa quindi da precisi contratti di opera che prescriveranno al medico cosa deve fare e cosa non deve fare togliendogli quel poco di autonomia intellettuale che gli è rimasta

Un ex dio
Il futuro del medico mutatis mutandis per come lo vedo io è quello di un ex dio che diventa suo malgrado poco più di un meccanico specializzato. Come può un ex dio, pensare di poter continuare ad essere un dio senza esserlo più e per giunta da un bel pezzo?
Perché è, questo “ex”, (prefisso e sostantivo), il problema dei medici oggi .
La grande responsabilità politica della Fnomceo ma anche di tutto il sindacalismo medico e di tutte le società scientifiche è che siccome per tante ragioni ripetutamente descritte altrove e perfino oggetto di ben due manifesti (qui e qui) chi rappresenta i medici ha capito di essere incapace di definire un altro “medico più medico”, si è di fatto rassegnato ob torto collo a gestire l’ex medico cioè a negoziarne il declino.
Oggi i medici senza una idea di professione più avanzata più moderna di fatto stanno negoziando le condizioni per la loro resa.

Un futuro senza futuro
In tutto il panorama politico non c’è una sola proposta in campo in grado di rilanciare veramente questa professione. Tutto, per ragioni prima di tutto culturali, è drammaticamente al ribasso
Ex come ho già scritto a proposito di antiriformatori è di fatto un conservatore perché indica la condizione di chi ha cessato di essere quello che è sempre stato ma non lo sa o non se ne accorto o rifiuta di accettare l’evidenza del cambiamento, ma che in barba a tutto continua ostinatamente a credere di non essere per niente un ex.
Questo oggi è il medico un ex che non sa di essere ex che continua a credersi un intellettuale senza esserlo più. Un ex che è diventato un tecnico ma che della tecnè di Ippocrate non ha più niente a che vedere, perché la tecnica ormai è al servizio di algoritmi prescrittivi indiscutibili, delle assicurazioni e dei contrati d’opera e come vedremo dei costi standard.
Oggi il medico è uno che si difende dai suoi malati dietro gli scudi legali o assicurativi ma nulla di più.

Difendersi le terga è un diritto ma quale diritto è quello che distrugge la professione?
Sono anni ormai che il medico, l’ex dio, chiede alla politica di risolvergli i suoi problemi legali e siccome non vuole cambiare proprio perché nonostante tutto continua a considerarsi un dio oggi tenta di cavalcare la nuova onda neocorporativa del governo quindi chiedendo alla commissione D’Ippolito di rimettere le cose a posto come erano quando non era ex.
Cioè chiede alla politica di contenere i diritti dei cittadini, di renderlo imperseguibile senza rendersi conto di cadere dalla padella alla brace cioè di finire in pasto alle assicurazioni e al loro implacabile proceduralismo senza rendersi conto di mettersi contro il cittadino contro Rousseau contro il contratto sociale cioè contro chi lo può aiutare.
Per chi come me crede che la medicina sia una “scienza impareggiabile” è insensato compromettere il rapporto fiduciario con i cittadini al solo fine di proteggersi legalmente le terga.

Io mi sono sbagliato ma voi …
La “questione medica” che la Fnomceo ha fatto propria nel 2018 e dopo per ragioni interne ha rinnegato, è nata nel 2015 perché la crisi del medico era innegabile e si sperava che il medico davanti al cambiamento cioè soprattutto per salvare la propria professione e il proprio futuro non si tirasse indietro. Anche le 100 tesi scritte per conto della Fnomceo nel 2019 per organizzare gli stati generali della professione e ridefinire il suo profilo giuridico sono state rinnegate. La stessa fine ha fatto la proposta elaborata dall’ordine dei medici di Trento sulla riforma della deontologia del tutto ignorata dalle kermesse fatte anche recentemente sulla deontologia.
Evidentemente mi sono sbagliato. Evidentemente ho fatto i conti senza l’oste. I medici ormai per ragioni anche comprensibili appaiono rassegnati ad essere sempre più ex medici. Il che mi fa dire che se io mi sono sbagliato allora va detto senza peli sulla lingua che chi rappresenta i medici sta portando la professione verso il downgrade. Che si svaluti socialmente la professione per salvarla dal contenzioso legale non mi pare che sia un gran risultato.

Anche il nemico ha dei diritti

Mi dispiace che il primo che pagherà il prezzo di questa follia giuridica sarà proprio il cittadino e la credibilità della medicina alla quale tengo più di ogni cosa perché davvero essa è un bene pubblico come l’acqua. Mi dispiace davvero molto
Se poi penso che comunque anche se si diventa un ex medico i diritti dei malati restano per cui essi in qualche modo dovranno essere riconosciuti dal momento che oggi come ha scritto Gunter Jakobs perfino i nemici hanno diritti, mi chiedo ma come farà l’ex dio a considerare il proprio malato solo come il titolare dei propri interessi e per giunta riducendo i diritti oggi solo a diritti naturali ? O a interessi? O a prestazioni? O come propone il governo con la sua proposta di regionalismo differenziato a costi standard?
Se per Jakobs, il nemico per definizione, è una non-persona ‘giuridica’ come farà il medico a considerare il malato una non persona cioè solo un interesse o peggio una prestazione descritta nel tariffario delle prestazioni o nel nomenclatore di prestazioni delle assicurazioni? Cioè costi standard. Ma vi immaginate cosa voglia dire per i medici essere standardizzati come propone il governo e le assicurazioni?

Apologia del coraggio
Rassegnarsi a fare la fine degli ex medici non sarà solo un drammatico svantaggio per i cittadini ma sarà la condanna di una professione che principalmente a causa dei propri errori rischia di perdere la sua dignità il suo onore e il suo prestigio.
I medici loro malgrado hanno dovuto fronteggiare un grande cambiamento storico sociale e culturale che come ho cercato di mostrare viene da lontano, e rispetto al quale fino ad ora non hanno dato il meglio ma il peggio e che oggi ha suggerito al governo di istituire la commissione D’Ippolito.
Se ho scritto “Medici vs cittadini. Un conflitto da risolvere” è perché sono molto preoccupato della piega che sta prendendo la discussione e perché non intendo rassegnarmi a quello che nel mio libro precedente riferendomi alla situazione grave in cui versa la sanità pubblica nel sottotitolo ho chiamato “il cinismo delle incapacità”.
“Il successo” ha detto Churchill “non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta.”
Il punto quindi è il coraggio, al quale considerando la posta in gioco per quanto mi riguarda non mi pare sia il caso di rinunciare.

L’autore: Ivan Cavicchi è filosofo della medicina, sociologo e antropologo, insegna presso la facoltà di Medicina dell’Università Tor Vergata di Roma

«Erano una minaccia»: le parole della vergogna del governo di Israele

«Erano una minaccia». Chissà per quanto ancora la comunità internazionale potrà sopportare questa risposta falsa, stupida e disumana da parte dello Stato di Israele ogni volta che il sangue cola sulle coscienze dell’Occidente. 

Sono almeno 112 i morti e centinaia i feriti tra le persone che nella notte si sono accalcate spinte dalla disperazione della fame intorno a un camion nella speranza di ricevere aiuti alimentari. Testimoni e il corrispondente di Al Jazeera sul posto hanno riportato che le persone sono state attaccate con proiettili di artiglieria, missili di droni e colpi di arma da fuoco.

L’esercito israeliano si difende dicendo che i morti sarebbero dovuti «alla calca». Nella stessa notte alcuni raid aerei hanno colpito il campo di Nuseirat e altri centri urbani di Gaza. Vista la difficoltà nel far accedere gli aiuti umanitari nella Striscia, Stati Uniti e Canada stanno pensando di eseguire una serie di lanci aerei.

Sparare sui civili che si accalcano per strappare un pezzo di pane è l’ultimo stadio di un diritto a difendersi che ormai indigna anche i difensori più strenui. Sono almeno 13.230 i bambini rimasti uccisi dall’inizio della guerra nella Striscia di Gaza, lo scorso ottobre, tra cui sette morti negli ultimi giorni per fame. Le vittime sono più di 30mila. Tra questi ci sono 8.860 donne, 340 operatori sanitari, 132 giornalisti e 47 operatori di protezione civile. I registri ufficiali dei morti non comprendono le circa 7.000 persone che risultano disperse, ha precisato l’ufficio media citato da Al Jazeera. Chissà se erano tutti «una minaccia». 

Buon venerdì.

 

Venti di guerra nel Mar Rosso. Qual è il vero ruolo della missione Aspides?

La missione “Aspides” appena varata sotto l’egida dell’Unione europea e della Politica estera di sicurezza comune (Pesc) e della durata prevista di un anno ha sollevato alcuni dubbi al momento del suo lancio. La missione è la risposta dell’Unione europea agli attacchi del governo Huthi dello Yemen verso vascelli commerciali dei Paesi membri. Le perplessità della maggioranza dei commentatori sono sull’inquadramento generale della missione, che ha visto un solerte intervento dell’Unione e una decisiva proattività del governo italiano solo nel momento in cui le intemperanze degli Huthi dello Yemen hanno iniziato a mettere in crisi il commercio internazionale. Tuttavia si ricorda, a ragione, la guerra civile in Yemen è in corso dal 2014, e procede sull’onda lunga delle rivolte arabe del 2011 e per anni la crisi tramutatasi in guerra civile è stata considerata un territorio dello scontro fra la potenza regionale araba e quella iraniana. Al contempo la non ingerenza occidentale, in particolare europea, ha portato a sottostimare e non dare evidenza mediatica a quanto avveniva nel Paese della penisola araba, salvo dare campo libero a Paesi come l’Italia autentico freerider del commercio internazionale di armi. Imprese italiane infatti, agendo come appaltatrici o fornitrici dirette hanno rifornito per anni la Coalizione a guida Saudita che bombardava indiscriminatamente i ribelli e i civili. Pertanto la critica principale mossa alla reattività italiana, ed europea, è che ad esempio mentre la fornitura di armi utilizzate contro gli Huthi è durata per anni la soluzione militare contro la fazione yemenita è stata presa con estrema solerzia alle prime avvisaglie e minacce.
Tuttavia a questa prima evidente incongruenza si devono purtroppo aggiungere alcuni dubbi che sorgono da un esame degli atti che autorizzano il lancio della missione “Aspides” e dalla situazione geopolitica dell’area.

Le regole d’ingaggio della missione “Aspides” e l’impegno italiano
L’impegno del governo italiano ha un carattere positivo di facciata e mette in evidenza le capacità di Marina e Aeronautica militare (probabilmente interessata alla missione) che sono sempre state attive nell’antipirateria e che dimostrano le competenze tecniche e strategiche per condurre un’importante attività alle porte dell’Area dell’Indo-Pacifico.Vale la pena di rammentare l’importanza geopolitica del teatro delle operazioni.
La guida della missione è affidata ad un Ammiraglio greco (Commodoro) mentre la guida del comando operativo sarà, o dovrebbe essere, come vedremo, italiana. La catena di comando internazionale è chiara, tuttavia restano dei dubbi sulle Regole di ingaggio della missione: la decisione del Consiglio degli esteri dell’Unione europea che istituisce la missione (Decisione 583 del febbraio 2024), all’Articolo 1- Missione afferma che la missione dovrà, per quanto nelle sue capacità, scortare vascelli commerciali dei Paesi dell’Unione nell’Area di operazione. La suddetta area è però tutt’altro che circoscritta, essendo definita come lo spazio di mare tra Bab el-Mandeb e Hormuz, incluse le acque (internazionali) del Mar rosso, del Golfo di Aden, del Mare arabico, del Golfo persico e del golfo di Oman. Un’area pressoché enorme se paragonata alle forze che si intendono schierare: l’Italia intenderebbe inviare un solo cacciatorpediniere, così come anche gli altri Paesi partecipanti sembrano intenzionati a esprimere forze risicate. Ma il documento istitutivo, oltre a dubbi di fattibilità riguardo all’area da garantire, instilla forti dubbi anche sul tipo di forza che dovrà essere utilizzata. Nella Decisione 583/2024 infatti viene affermato che l’utilizzo della forza è possibile nei canonici principi di necessità e proporzionalità in un «sub-area dell’Area di Operazioni» (sic!). Orbene è solo ipotetico affermare che la forza possa essere utilizzata nelle aree antistanti lo Yemen (minaccia principale per la quale la missione è stata lanciata), tuttavia quest’area potrebbe essere estesa dai Paesi partecipanti, in teoria, pur rimanendo in quella definita o nelle sue adiacenze avverso qualsiasi altra minaccia. È certo complesso quindi definire nel particolare le Regole d’ingaggio da impartire ai militari impegnati e questo potrebbe portare a problemi non secondari.

I Paesi limitrofi, l’interesse per l’Europa e… il Parlamento?
Nel documento istitutivo dell’operazione viene incoraggiata altresì la cooperazione con Paesi esterni all’Unione con riferimento anche a Paesi del Golfo, come l’Arabia saudita. Riad d’altronde è impegnata in una de-escalation del conflitto in Yemen a seguito dell’accordo con l’Iran del marzo 2023, ma, perché no, potrebbe vedere, in futuro, una finestra di opportunità per rinfocolare il conflitto nelle pieghe di una missione guidata dall’Italia.
L’interesse dell’Unione è certo quello di una stabilità marittima nella regione, porta dell’Indo-Pacifico come detto, tuttavia, è certamente scontato ma va ripetuto, la stabilità andrebbe ottenuta partendo dai nodi principali dell’area: l’invasione militare che Israele sta perpetrando a Gaza e la crisi/conflitto che oppone l’Arabia all’Iran. Seppure infatti una missione di stabilizzazione, con una connotazione e delle regole di ingaggio chiare, possa essere un corollario importante, è fondamentale un’azione politica, come ad esempio la ricerca di un “cessate il fuoco” a Gaza.

Intanto anche sul sito del Ministero della difesa (che peraltro molto correttamente precisa l’attesa del voto) vengono definite le predisposizioni e le unità che verranno più probabilmente impiegate nella missione e manca solo un piccolo particolare da espletare, una formalità insomma: il Parlamento italiano non ha votato la missione né sembra che sia in procinto di tenere alcuna seduta per farlo sino al 5 marzo. Così mentre il governo appare indaffarato a risolvere nodi legati alla politica interna e il Parlamento temporeggia, navi francesi che dovrebbero essere sotto il controllo dell’operazione “Aspides” e del comando italiano (ci ricorda anche l’agenzia cinese Xinhua News) hanno iniziato a combattere abbattendo droni Huthi da oltre una settimana.

In conclusione lo stato dell’arte della missione “Aspides” consiste nella presenza di navi nella zona di operazione senza una guida operativa sul campo (che dovrebbe essere quella italiana), azioni militari già in corso a cura dei singoli Paesi e una generale abnorme libertà di movimento della missione. Questo fa pensare più a squadre di navi di vari Paesi indipendenti l’uno dall’altro e asserviti alla volontà nazionale più che ad una missione dell’Unione con comune intento discendente dalla Politica estera di sicurezza comune.

L’autore: Francesco Valacchi, cultore della materia e dottorato in Scienze politiche presso l’Università di Pisa

Nella foto: un cacciarpediniere della Marina militare italiana (wikipedia)

Robert Capa e Gerda Taro. Lo sguardo nella storia

Gerda Tarzo e Robert Capa, fotografati da Fred Stein, courtesy Camera

Robert Capa e Gerda Taro: La fotografia l’amore e la guerra. L’esposizione allestita da Camera a Torino e curata da Walter Guadagnini e Monica Poggi, si propone di raccontare il rapporto sentimentale e professionale tra queste due personalità straordinarie, che hanno rivoluzionato la storia della fotografia del Ventesimo secolo. Centoventi scatti per ripercorrere l’incontro e la complessa relazione tra Endre Friedmann e Gerta Pohorylle, questi i loro veri nomi. E un catalogo edito da Dario Cimorelli.
Tutto ebbe inizio a Parigi nel 1934. Endre Friedmann, un fotografo ungherese in difficoltà, viene incaricato di scattare foto pubblicitarie per la brochure di una compagnia svizzera di assicurazioni. Alla ricerca di modelle, conosce in un caffè sulla Rive Gauche una giovane rifugiata svizzera, Ruth Cerf, e la convince a posare per lui in un parco di Montparnasse. Ma Ruth non si fida del ragazzo, così decide di portare con sé la sua amica Gerta Pohorylle, attivista antinazista di origine polacca, fuggita da Stoccarda. Dopo questo primo incontro le strade di Endre e Gerta si sarebbero incrociate per sempre.
Una cosa è certa: nulla fu semplice nella relazione tra i due. Poco dopo il loro primo incontro, il giovane Friedmann fu mandato in Spagna per un incarico commissionato da una rivista fotografica con sede a Berlino. In quell’occasione immortalò la processione della Settimana santa a Siviglia e descrisse le festività a Gerta in una lettera che menzionava anche quanto pensasse a lei. Al suo ritorno, trascorse le vacanze estive nel sud della Francia con Gerta e i suoi amici. «La coppia si innamorò nel sud della Francia, nonostante lei lo vedesse come un brigante e un dongiovanni», secondo quanto dichiarato da Ruth Cerf. Se la giovane Gerta era affascinata dalla sregolatezza di lui, Endre fu catturato dall’indipendenza e la personalità ribelle di lei.

Cagliari, 1905. Una storia femminista, raccontata da Francesco Abate

Lo scrittore Francesco Abate

Una storia di femminismo dove non pensi di trovarlo: Cagliari 1905. Il nuovo libro di Francesco Abate, romanzo seriale arrivato al terzo volume racconta molto del passato che è stato cancellato dalla cultura patriarcale. Personaggi inventati o “ispirati”, ma eventi storici, cronaca caduta nell’oblio e che sono venuti a galla grazie a una scrittura essenziale, precisa, diretta mai superflua, frutto di ricerche e scoperte. Un’opera non fiction, che racconta con fedeltà giornalistica tutti i fatti.
Il misfatto della tonnara, edito da Einaudi, si confronta con la contemporaneità riportando un quasi femminicidio indagato dalla protagonista di tutta la serie, Clara Simon, giovane e affascinante giornalista, metà italiana e metà cinese.
Appena rientrata a Cagliari da Napoli in compagnia della governante ed ex sigaraia Maria Boi e dell’amato capitano dei carabinieri Rodolfo Saporito, Clara si trova subito travolta da una terribile notizia: la maestra Costanza Pes è stata brutalmente picchiata mentre tornava a casa dopo una manifestazione di suffragette guidate dalla collega Floriana Lepori, e rinvenuta in coma nella tonnara di Cala Regina. I medici sostengono che sarà difficile si riprenda.
Intanto un colpevole la polizia lo ha arrestato. È Camillo Cappai, cugino del più noto Conte Roberto Cappai Pinna, nemico giurato di Clara e suo primo denigratore: le donne non dovrebbero fare le giornaliste. Eppure, stavolta è proprio il conte a chiedere l’aiuto di Clara, sicuro che il giovane Camillo sia innocente. La sera dell’aggressione alla Pes, infatti, era con l’amante, peccato si rifiuti di rivelarne il nome accettando di restare in galera. Solo Clara, secondo il conte, riuscirà a strappargli il segreto. Lei, a malincuore e per amore della verità, accetta e insieme all’amico d’infanzia e collega giornalista all’Unione, Ugo Fassberger, dà inizio alle indagini. Intanto, Rodolfo Saporito viene incaricato di fare lo stesso dal procuratore capo Pimentel anche lui convinto che l’arresto sia stato frettoloso e maldestro. I tre amici alla fine, con difficoltà e un fantasioso stratagemma, verranno a capo del mistero.

Fenomenologia del fascismo. Il nuovo libro di Luciano Canfora

il filologo Luciano Canfora

«Con tutto il rispetto, è possibile professore che anche lei cada nella trappola di ricordare il fascismo? Noi oggi abbiamo ben altre preoccupazioni. Il fascismo non tornerà mai più».
Mostrando Il fascismo non è mai morto (Dedalo edizioni), che reca in copertina l’iconico profilo bianco di Mussolini in campo nero, Corrado Augias accoglie l’autore Luciano Canfora a La torre di Babele (sul canale tv La7, il 5 febbraio). Da qualche anno molti democratici dell’attuale sinistra, chiamati a parlare della crisi politica, si affrettano a ripetere il ritornello come uno scongiuro, scacciando l’apparizione di un fantasma.
«L’affermazione è priva di senso – replica il professore – il fascismo è vivo, e prospera accanto a noi». E citando autori greci, prende a delinearne con tratti decisi l’isomorfismo, ovvero la proprietà di essere, attraverso diverse trasformazioni, sempre uguale. La caratteristica, documentata con efficacia nel piccolo libro, è chiaramente enunciata nella dedica in quarta di copertina: «Per tutti quelli che sono impegnati a convincere soprattutto sé stessi che il fascismo “è finito nell’aprile 1945”».
Il ruolo di forze apertamente neofasciste nell’opera di demolizione della Repubblica, combinato con quello occulto dei terrorismi di destra e di una sedicente “sinistra”, è stato evidente. A partire dalla nascita dell’Msi, fondato il 26 dicembre del 1946 da fascisti che avevano militato nella Rsi e che fin dalla sigla prescelta si presentavano in continuità come baluardo anticomunista, l’azione corrosiva – scrive Canfora – è ad oggi ininterrotta. Il processo ha subìto una continua accelerazione a partire dalla caduta del muro di Berlino, e con la successiva crisi, agonia e morte dei partiti. Il lettore è messo davanti alla cruda evidenza: la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza assieme alla Costituzione, di fatto non è più tale. Il re è nudo, la diagnosi è spietata.

Marco Polo, il sogno di mondi diversi

opera di Jacob Gospel in mostra a Venezia dal 6 aprile

Chi era costui? Chi non ha mai sentito questo nome? In qualunque città del mondo forse esiste almeno un albergo, una agenzia di viaggio o una libreria che porta il suo nome. Ma come è stato possibile per questo italiano del Duecento, mercante veneziano, di diventare uno degli italiani più famosi al mondo? Più famoso di Leonardo o Cristoforo Colombo? Si il più famoso, secondo solo – forse – a Dante Alighieri, che pure aveva scritto davvero una formidabile opera letteraria, dando vita ad una lingua nuova.
Marco Polo era nato a Venezia nel 1254; quando aveva sette anni, nel 1261 suo padre Niccolò, in compagnia dello zio Matteo partirono per uno dei tanti viaggi che a quel tempo i mercanti veneziani compivano lungo le coste del Mediterraneo fino a sbarcare in Medio Oriente, per poi da lì spingersi nel continente, attraversare la Persia e il Karakorum fino a raggiungere i confini dell’impero cinese, dove i mongoli stavano insediando la loro dinastia Yuan (1279-1368). Durante il Duecento i mongoli avevano conquistato tutte le vastissime praterie che separano l’impero cinese dai confini dell’Occidente cristiano, fermandosi alle porte di Vienna nel 1242. Gengis Khan aveva fondato il più vasto impero della storia dell’uomo e suo nipote Kublai Khan, oltre a controllare l’impero cinese, tentò di espandersi anche verso sud in Vietnam e condusse due tentativi, falliti, di invadere perfino il Giappone, unico caso in tutta la storia millenaria di quell’impero.
L’Asia centrale era talmente pacificata, che gli storici hanno parlato di Pax Mongolica, per indicare che, per oltre un secolo, tutto quel grande continente era governato da un unico regno, capace di assicurare via di comunicazione e scambi come mai era accaduto prima nella storia. Forse insieme al breve periodo della Pax Romana, fu questa uno dei primi casi di globalizzazione delle vie terrestri del continente euroasiatico. Famosa la frase di uno scrittore del Seicento: “una vergine con un piatto d’oro poteva girare indisturbata da un angolo all’altro dell’impero”. Sicuramente esagerata, ma certamente sensazionale.
Cosa spingeva al viaggio a quell’epoca? Pochi forse erano quelli che si imbarcavano in viaggi così lunghi e pericolosi come free rider; due erano i principali motivi per viaggi così rischiosi: diffondere la propria religione e quindi estendere il proprio potere politico, oppure il commercio, la mercatura.

L’arte della rivolta, al femminile

murales di Shamsia Hassani

Iran, Palestina, Afghanistan: la rivolta delle donne e la creatività artistica. A stimolare questa mia riflessione è stata la mostra a Roma dell’artista e attivista iraniana Maryam Pezeshki in un evento dal titolo Il coraggio delle donne. Il tema è l’identità di donna artista in particolare laddove sistematica è la violazione dei diritti umani, specie nei confronti delle donne. Un’altra artista è la fotografa gazawi Nidaa Badwan, il cui libro – Diagonale di luce è stato presentato all’Università di Siena. Nidaa Badwan, ricordo, era stata arrestata dalla polizia di Hamas durante l’allestimento di una mostra a cui partecipava insieme a dei colleghi artisti senza indossare il velo. Come Maryam Pezeshki, Nidaa incontra l’Italia grazie alla sua passione per l’arte, così nel 2015 riuscì a uscire da Gaza e giungere in Italia attraverso il valore riconosciuto a livello internazionale della sua arte. Liberandosi dal regime maschilista e dalla violenza di una forza occupante israeliana grazie agli scatti fotografici della sua camera. Le donne, come sappiamo, erano già scese in piazza con gli uomini negli anni 2010 -2011, durante la cosiddetta Primavera Araba.

Nidaa Badwan, serie “100 giorni di solitudine, 2014

Con l’arresto da parte della polizia morale di Mahsa Amini a Teheran e la sua uccisione il 16 settembre 2022, c’è stata una vera e propria ondata di rivolte, l’insorgere di movimenti di libertà dai regimi dittatoriali portati avanti soprattutto dalle donne, in particolare in Iran ma anche in Afghanistan dove il ritorno al potere dei Talebani nell’agosto del 2021 ha causato la perdita da parte delle donne di ogni diritto. Malgrado l’intensificarsi della repressione, dopo oltre un anno le donne in Iran continuano a rischiare la loro vita scendendo in piazza rifiutandosi di indossare l’hijab. Purtroppo l’attenzione mediatica internazionale sulle loro lotte si è nel frattempo affievolita, nonostante sia stato assegnato il prestigioso Premio Sakharov alla memoria di Mahsa Amini e alle donne iraniane del movimento Donna Vita Libertà che portano avanti la lotta nel suo nome.

Vincenzo Musacchio: Ma quale legittima difesa di Israele

Vincenzo Musacchio è criminologo forense, giurista, associato per il settore del diritto penale presso Rutgers University. Gli abbiamo posto delle domande sull’applicazione del diritto internazionale penale nella guerra israelo-plestinese
Professor Musacchio, il diritto internazionale penale come si può applicare a entrambe le parti in conflitto e quali violazioni potrebbero essere state commesse?
Chiariamo subito che il diritto internazionale penale, inteso in senso stretto, è costituito da norme internazionali che disciplinano la responsabilità penale individuale per la violazione di norme rilevanti per la Comunità internazionale. L’insieme di queste norme è concepito per essere applicato equamente a tutte le parti di un conflitto armato, indipendentemente da chi ha iniziato il conflitto, da chi sta agendo illegalmente o in altro modo invadendo un altro Paese, o da chi stia attaccando o difendendo. Le regole di condotta delle ostilità si applicano allo stesso modo a entrambe le parti. Questo serve davvero a garantire che ci siano sempre vincoli umanitari sul modo in cui le guerre sono combattute, in modo che una parte non affermi di combattere una causa giusta, come l’autodifesa o l’autodeterminazione, e poi faccia di tutto senza fermarsi nei confronti di civili completamente innocenti.

E relativamente a questo conflitto cosa ci può dire?
Penso che sia evidente che Hamas all’inizio ha commesso una serie di gravi violazioni del diritto internazionale penale. Ha ucciso oltre 1.200 persone nell’attacco iniziale, ne ha ferite altre migliaia e ha preso in ostaggio più di 200 persone, il che costituisce un crimine di guerra secondo il diritto internazionale penale. Da parte israeliana, è altrettanto evidente che rifiutarsi per più di due settimane di consentire l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza è un gravissimo crimine contro l’umanità previsto dal diritto internazionale penale. Gli Stati hanno l’obbligo di consentire e facilitare il flusso rapido e senza ostacoli degli aiuti umanitari necessari per garantire la sopravvivenza dei civili. Affamare intenzionalmente, come ha fatto Israele, una popolazione civile è un crimine di guerra senza se e senza ma. Non si possono far morire di fame i civili, giustificandosi con il diritto all’autodifesa. Sussistono a mio parere argomentazioni sostenibili di genocidio nella misura in cui questo modello di guerra era inteso a distruggere deliberatamente una parte del popolo palestinese (la Corte internazionale di giustizia il 26 gennaio scorso ha ordinato a Israele di prendere misure per prevenire atti di genocidio a Gaza ndr). Sono quasi trentamila le morti tra i palestinesi mentre gli israeliani sono meno di un decimo. L’idea della legittima difesa non regge.

Cile, l’onda di Plaza Dignitad

Nel giro di un anno, in Cile si sono tenuti due referendum per sostituire la Costituzione di Pinochet del 1980. Tuttavia, in entrambi i casi, i testi proposti da due diverse assemblee costituenti non hanno convinto il popolo cileno che, per due volte consecutive, ha optato ampiamente per il rechazo (rifiuto). Come ha affermato il presidente Boric, a margine del secondo plebiscito a fine 2023, «si chiude il processo costituzionale», perché «le urgenze sono altre». Sì, perché molta acqua è passata sotto i ponti del Paese andino da quando, nell’ottobre del 2019, sono scoppiate le proteste al grido di no son treinta pesos, son treinta años. Quattro anni di luci e di ombre che vengono raccontati benissimo e in forma inedita nel reportage a fumetti Cile. Da Allende alla nuova costituzione: quanto costa fare una rivoluzione?, realizzato da Elena Basso, giornalista freelance, e dall’illustratrice Mabel Morri, pubblicato da Becco Giallo. Ma perché raccontare ciò che è accaduto in Cile con un graphic novel? «Cercavo una forma che fosse diversa, che potesse arrivare soprattutto ai più giovani, perché comunque l’estallido social (le proteste in Cile del 2019-2020 ndr) è stato portato avanti soprattutto da persone giovanissime e quindi mi faceva piacere che quelle storie venissero lette da adolescenti in Italia, dato che è difficile che l’adolescente medio italiano vada a comprare un giornale la domenica», spiega Elena Basso. Dunque, un’operazione, non solo stilisticamente inedita, ma che cerca di esportare storie accadute dall’altra parte del mondo.

Ma perché portarle in Italia? «Il Cile viene raccontato in Italia come una democrazia pienamente riuscita, dove tutto funziona bene, e anche quello che è successo nel 2019 è stato molto appiattito a livello mediatico: si è parlato molto della nuova Costituzione, tralasciando lo scoppio di tutto quel sistema neoliberista cileno. Con le mie inchieste giornalistiche sono andata ad approfondire le storie delle vittime che ci sono state durante l’estallido e con questo fumetto volevo raccontarle agli italiani, soprattutto ai giovani, perché non si conoscono molto», afferma la giornalista. Storie di persone comuni che hanno partecipato alle proteste contro, appunto, un sistema diventato insostenibile, che taglia il futuro ai giovani e che rende pesante il presente per gli anziani. Proprio in quei mesi, purtroppo, diversi ragazzi che uscivano per manifestare pacificamente si sono ritrovati ad essere vittime della violenza efferata dei carabineros. Molti hanno perso la vista, altri hanno perso la vita. Non possono essere dimenticate queste vicende, in particolare se si vuole ricomporre quella frattura politica all’interno di una società, come quella cilena, che è fortemente polarizzata.