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Via D’Amelio è un buco

Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia

Via D’Amelio è un buco. In questi anni ci è caduta dentro la verità del più imponente e vergognoso depistaggio di Stato. Mentre sventolano il santino di Paolo Borsellino non raccontano le stragi contro la verità avvenute dopo la bomba. A scuola bisognerebbe studiare Paolo Borsellino, la strage di via D’Amelio e le stragi senza bombe degli anni successivi.

Via D’Amelio è un buco. Lì sotto ci sta la vigliaccheria di chi non trova la voce (o non trova la penna) per ricordarsi di ricordare che un partito oggi al governo sia stato fondato da chi ha pagato in modo continuativo la mafia che ha ucciso Paolo Borsellino dopo Giovanni Falcone. Lì sotto c’è il brodo degli onori riservati ai morti e ai vivi che con quella mafia si è seduta al tavolo.

Via D’Amelio è un buco. lì entro ci sono le spoglie di un movimento antimafia che si è normalizzato – come la mafia – involvendosi in una celebrazione funebre vuota e trascinata. Lì dentro ci sono gli assassini dell’entusiasmo considerato brigatismo. Lì dentro ci sono i commentatori che oggi sfiancheranno la verità usando il cadavere di Paolo per bastonare i loro avversari.

Via D’Amelio è un buco. Lì sotto dice un giornalismo arrendevole, vigliacco e maggiordomo dei potenti di turno. Lì dentro ci sono i fautori di una “pacificazione” rosolata da trentuno anni di favoreggiamento culturale alla mafia rivenduto come “moderazione”.

Via D’Amelio è un buco. Lì sotto ci sono i denti di coloro che Paolo Borsellino l’hanno logorato da vivo e ora ne vorrebbero essere i cantori. Come hanno fiaccato Borsellino vivo oggi delegittimano i magistrati che non si accontentano di commemorare. Del resto, pensateci, come si può commemorare una storia che non ci è stata raccontata per intero?

Buon mercoledì.

foto: Di ignoto – elab. da v. (info da corriere.it), Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=5085211

Ultimora: Zaki finalmente libero

Patrick Zaki, Egyptian Initiative for Personal Rights - https://eipr.org/en/press/2020/02/mansoura-prosecution-sets-hearing-saturday-15th-february-look-leave-appeal-patrick

Ultimora: Zaki finalmente libero

Così scrivevamo ieri

Quella inaccettabile condanna di Patrick Zaki ci riguarda da vicino

Patrick Zaki è stato condannato a tre anni, con l’accusa di diffusione di notizie false. «Il peggiore degli scenari possibili», ha commentato Riccardo Noury.

«Urgente: Patrick George Zaki, ricercatore presso l‘Egyptian Initiative for Personal Rights, è stato condannato a tre anni di carcere dal Tribunale per la sicurezza dello Stato di emergenza, sulla base di un articolo di opinione pubblicato nel 2020. La sentenza non è soggetta ad appello o cassazione», ha scritto l’avvocato di Zaki, Hossam Bahgat. La sentenza del tribunale di Manusura in altre parole non è impugnabile ma il  presidente Al Sisi potrebbe intervenire, non firmandola. Per questo è importante la pressione dell’opinione pubblica internazionale. In assenza di pressioni dai governi, a cominciare da quello italiano guidato da Meloni, che acquista gas dall’Egitto e gli vende armi. Ma su questo torneremo più avanti. Intanto torniamo ai fatti:

Sono passati pochi giorni dalla laurea di Patrick Zaki all’Università di Bologna, il 6 luglio scorso, con una tesi su “giornalismo, media e impegno pubblico”. Neanche il tempo della festa per questo coronamento degli studi avvenuto da remoto (perché Zaki era costretto a casa per divieto di espatrio) ed ecco di nuovo il buio, la negazione di ogni futuro. Il tribunale egiziano gli impone tre anni di carcere, oltre i mesi già previsti.

«Un verdetto scandaloso. Dopo 22 mesi di detenzione durissima e un processo iniziato più di un anno fa, l’immagine di Patrick trascinato via dall’aula del tribunale di Mansura è terrificante. Ora più che mai #FreePatrickZaki», scrive Amnesty International.
Si riapre dunque la profonda ferita inferta con il processo farsa che in Egitto va avanti dal 2020 quando lo studente egiziano dell’Università di Bologna è stato messo alla sbarra a Mansura per essersi impegnato a favore dei diritti umani e per aver espresso opinioni politiche sui social. Dopo quasi due anni di detenzione preventiva era stato scarcerato nel dicembre 2021.
Più volte in passato attivisti e politici avevano sostenuto l’idea di conferire la cittadinanza italiana a Zaki, che sognava di poter proseguirei suoi studi con il dottorato a Bologna.

Nel 2021, nonostante l’astensione di Fratelli d’Italia, passò anche alla Camera (dopo il sì del Senato) la mozione presentata dal Pd per conferire a Zaki la cittadinanza italiana. Ma il governo Draghi rimase inerte. «È un’iniziativa parlamentare, il governo non è coinvolto al momento», ebbe a dire il premier. «Qual è la ragione del silenzio assordante del governo Draghi sul caso di Patrick Zaki? C’è da domandarselo», incalzava nel settembre 2021 l’europarlamentare Pierfrancesco Majorino. «La vicenda terrificante dello studente egiziano lascia sbalorditi. Siamo di fronte a un accanimento giudiziario che non fornisce alcun plausibile elemento che lo giustifichi».

Le ragioni del silenzio assordante del governo Draghi, come è del tutto evidente, sono le stesse ora del governo Meloni: gli affari e la vendita di armi e l’acquisto di gas. Per non inficiare i traffici con il Cairo i governi che si sono succeduti non hanno provato nemmeno a risolvere la questione dell’ergastolo cautelare di Patrick Zaki, così come non si sono imposti per ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano torturato e ucciso dai servizi egiziani. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini del governo Draghi, ricordiamo, riaffermò il ruolo dell’Italia come fornitore del governo di Al-Sisi, celebrando l’Egypt Defense Expo: c’era anche l’Italia fra i 400 espositori internazionali accorsi in Egitto per vendere armi a capi di Stato e contractor. Il principale sponsor della fiera d’armi egiziana era la holding della cantieristica nazionale Fincantieri S.p.a., controllata dallo Stato italiano tramite la Cassa depositi e prestiti. Tra i clienti di Fincantieri c’è proprio l’Egitto dell’autocrate Al-Sisi. Immancabile alla fiera del Cairo la presenza di Leonardo (ex Finmeccanica), controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze. Da quel mondo viene l’attuale ministro Crosetto del governo Meloni, mentre l’ex ministro Minniti del governo  ne è oggi top manager. Gli affari e la vendita delle armi, per questa classe politica italiana, vengono prima dei diritti umani.
Ma non la pensano così tantissimi cittadini e sono decine i Comuni di cui Patrick è cittadino onorario con deliberazioni trasversali. Come cittadini ora alziamo la voce.

19 luglio 2023 ore 17,18 Al Sisi concede la grazia a Patrick Zaku

 

Per approfondire Left, La ricerca non si ferma 

Il grande inganno sul grano ucraino

L’accordo che un anno fa aveva portato allo sblocco dell’export di grano dall’Ucraina al Mar Nero verso il resto del mondo si è rivelato del tutto inadeguato a fronteggiare l’aumento della fame globale, acutizzato dalla crescita esponenziale dei prezzi di cibo ed energia. Scioccanti i dati: i Paesi ricchi si sono accaparrati l’80% del grano e dei cereali usciti dall’Ucraina, mentre agli Stati più poveri e colpiti dalla crisi alimentare (a un passo dalla carestia come Somalia e Sud Sudan) è andato appena il 3%.

A rivelarlo è una nuova analisi di Oxfam, diffusa in occasione del mancato rinnovo del patto a causa dell’uscita della Russia.

“L’accordo che ha consentito di riprendere le esportazioni di cereali dall’Ucraina ha certamente contribuito a contenere l’impennata dei prezzi alimentari –  aumentati comunque del 14% a livello globale nel 2022 – ma non ha rappresentato la soluzione alla fame globale che oggi colpisce almeno 122 milioni di persone in più rispetto al 2019 – ha detto Francesco Petrelli, policy advisor sulla sicurezza alimentare di Oxfam Italia – Centinaia di milioni di persone soffrivano la fame prima che la Russia invadesse l’Ucraina e centinaia di milioni continuano a soffrire la fame oggi: 783 milioni in totale l’anno scorso, secondo i recentissimi dati Fao. Paesi come il Sud Sudan e la Somalia, a cui è andato appena lo 0,2% del grano ucraino dall’entrata in vigore dell’accordo, sono ad un passo dalla carestia. Tutto questo è semplicemente vergognoso e descrive un mondo in cui la disuguaglianza di accesso al cibo continua a crescere sempre di più invece che diminuire”.

La scorsa settimana è stato pubblicato il Rapporto Fao sullo stato della sicurezza alimentare. Da esso è emerso che: oltre 3,1 miliardi di persone – pari al 42% della popolazione mondiale – non hanno potuto permettersi una dieta adeguata nel 2021; 2,4 miliardi di persone nel 2022 erano moderatamente o gravemente insicure dal punto di vista alimentare – quasi il 30% della popolazione mondiale; in Somalia, 1 persona su 3 soffre di malnutrizione acuta e il Paese sta affrontando la più grave siccità degli ultimi 40 anni, nonostante sia uno dei Paesi meno responsabili della crisi climatica; nella sola Africa orientale, oltre 8 milioni di bambini sotto i cinque anni – quasi l’intera popolazione della Svizzera – soffrono di malnutrizione acuta.

Dove sono gli sforzi del “mondo occidentale”?

Buon martedì.

Davide Piacenza: «Il genere umano può sopravvivere anche senza i sette nani»

screenshot dal film scattato nel 1958, fonte wikipedia

Biancaneve in versione politically correct senza principe azzurro e senza i 7 nani. Al loro posto compare un gruppo di creature magiche, di ogni colore e genere. Apriti cielo. È bastata una foto dal set del nuovo film targato Disney apparsa sul tabloid inglese Daily Mail per scatenare la bagarre contro la cosiddetta “cultura woke”, rea di volere una cultura libera dal razzismo e dagli stereotipi di genere.

Conservatori europei e d’oltreoceano si lanciano in difesa della “vera Biancaneve”. Come se ne esistesse solo una, ignari che la prima versione, dei fratelli Grimm, del 1812, nasceva già su un sostrato di fiabe popolari e che ve ne furono poi varie versioni compresa quella Disney del 1937.

A chi lancia crociate contro la cultura woke Davide Piacenza ha dedicato il libro La correzione del mondo (Einaudi). Ma come, gli chiediamo? Mentre misoginia e stereotipi sessisti dilagano come nulla fosse  (il caso Facci docet, insieme a quello di La Russa, solo per fare qualche esempio made in Italy) c’è si preoccupa di Biancaneve?

«A prescindere dal fatto che lo “scoop” arriva dal Daily Mail, che è sempre smanioso di trovare casus belli su vere o presunte scorribande del “politicamente corretto – dice Piacenza continuando idealmente la conversazione pubblicata su Left di giugno (che vi proponiamo di seguito integralmente) – penso che, se confermata, questa notizia porrebbe la nuova Biancaneve al livello del caso Roald Dahl di qualche mese fa: modifiche cosmetiche che nessuno aveva veramente chiesto, e che una grande produzione (cinematografica, in questo caso) si intesta cercando di ottenere applausi e stellette al merito. Non fosse che, in questo caso come in quello, otterrà solo ripercussioni negative e strumentalizzazioni da destra: e questo a prescindere dal fatto che il genere umano può sopravvivere anche senza i sette nani”.

Per approfondire. Ecco l’intervista uscita su Left il 7 giugno:

 Se i reazionari gridano:«Al lupo!»

Gridano al lupo al lupo facendo le vittime perché la “razza bianca e cristiana” sarebbe – a loro dire – minacciata. Lanciano proclami paranoici farneticando di complotti e di sostituzione etnica. Rovesciano la realtà parlando di dittatura delle minoranze. Benvenuti nel mondo delle cultural wars della destra reazionaria di cui è stato campione Trump e che ha fatto scuola anche in Italia, con la leader di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio Giorgia Meloni cresciuta a pane e Trump, a acqua e Orbán, che lancia crociate contro «i liberal – progressisti neomarxisti, intossicati dal sogno della wokeness, quelli a libro paga di Soros e che vogliono abolire lo stile di vita occidentale» (cit. del presidente ungherese). Ma davvero va fermata l’onda woke che negli Usa dopo la barbara uccisione di George Floyd, ci ha aperto gli occhi sul razzismo strutturale delle istituzioni Usa? Esiste una dittatura del politicamente corretto imposta dall’egemonia di sinistra? Esiste davvero una prevalicante “cancel culture” che ci ruba il bacio di Biancaneve? Lo abbiamo chiesto a Davide Piacenza, collaboratore di Esquire e di altre riviste, ma soprattutto autore di una newsletter e di un brillante volume su questi temi, La correzione del mondo.

Davide Piacenza, quale pensiero, o per meglio dire quale ideologia, c’è dietro l’ossessione del governo Meloni per la risemantizzazione di parole chiave, per la rinominazione dei ministeri, per l’ostracizzazione dell’inglese (salvo poi incappare in vistosi incidenti come la campagna «open to meraviglia»)?

Non so se «Open to meraviglia» sia un esempio a esse ascrivibile, ma di certo il governo italiano ha sposato quelle che Oltreoceano vengono definite culture wars, appunto: scontri culturali che sfruttano la mediatizzazione caotica di questi tempi per imporre temi del dibattito divisivi e simbolici. Perché tutte queste uscite sulla carne sintetica, su nuove pene per gli attivisti per l’ambiente che deturpano i monumenti, sui rave e persino sull’uso dei termini anglofoni nella comunicazione pubblica? Perché su questo Giorgia Meloni e sodali sono andati a scuola, e non da oggi: al di là dell’Atlantico Donald Trump e il suo attuale primo sfidante alle primarie repubblicane, il governatore della Florida Ron DeSantis, hanno perfezionato l’arte di sviare l’attenzione pubblica incanalandola in questioni secondarie ma che accendono il loro elettorato (basti pensare che ultimamente è accaduto persino con le cucine a gas, che la propaganda martellante della destra americana ha indicato come le prossime vittime dell’amministrazione Biden).

Razza, etnia, sostituzione etnica, che dire delle esternazioni del ministro Lollobrigida? La toppa che poi ha cercato di metterci è stata peggiore del buco?

Sì, tenderei a inquadrarla in questi termini. Anche perché, anche in questo caso, l’uscita sulla «sostituzione etnica» non è solo un inciampo, ma un riferimento evidente a una teoria complottista di grande rilievo in seno alla destra internazionale, a cui sia Meloni che Salvini – come spiego nel mio libro – hanno attinto ampiamente negli ultimi anni. Non si può cadere dal pero e dire «non sapevo nulla»: se Lollobrigida non avesse veramente saputo nulla in merito al cosiddetto presunto Great Replacement, se non avesse contribuito a diffonderne la velenosa propaganda reazionaria, non si fatica a immaginare che verosimilmente il suo partito non avrebbe vinto le elezioni e lui oggi non sarebbe ministro.

In che modo il conservatorismo ha imboccato la strada delle politiche intimidatorie non solo in Italia, ma prima ancora negli Usa con Trump, in Brasile con Bolsonaro, in Russia con Putin e Dugin?

La destra ha problemi con l’intimidazione, per dirla con una battuta, da un secolo. L’amara novità degli ultimi anni, però, è che sembrano completamente scomparsi i liberal-conservatori, o meglio ancora lo stesso concetto di una “destra moderata”: come si fa ad annoverare fra i moderati chi sostiene e ripete su un palco teorie complottiste di stampo razzista? I Paesi che citi hanno storie molto diverse fra loro, ma un fil rouge che li lega è anzitutto la polarizzazione accelerata che piaga la nostra epoca: Trump, Bolsonaro e Putin hanno dalla loro parte non soltanto messaggi semplici e falsi con cui sedurre l’elettore, ma anche imponenti piattaforme comunicative che vanno a nozze col loro penchant per la disinformazione. In questo senso, credo che la radicalizzazione reazionaria sia anche e soprattutto figlia delle camere dell’eco dei social network, oltre che dell’intolleranza tipica delle forze politiche xenofobe.

Ron De Santis, il governatore repubblicano che vuole correre per la Casa bianca, ha varato lo Stop woke act, come lo leggi?

Lo leggo come un tentativo di ergersi a paladino di una «cara vecchia America» che non esiste più, e in certi termini non è nemmeno mai esistita: DeSantis ha puntato tutte le sue fiches sul modus operandi di cui parlavamo pocanzi, quello che rende più profittevole dimostrarsi accaniti e spietati di fronte a questioni simboliche e secondarie (rimanendo allo Stop woke act, nessuno è davvero convinto che la Florida avesse un’emergenza di corsi ottusamente antirazzisti insegnati nelle sue scuole pubbliche), rispetto a dover – faccio un esempio – giustificare in una conferenza stampa trasmessa in diretta i numeri deludenti di un’economia in flessione.

Le destre sostengono che esista una dittatura del politically correct, è davvero così in un’Italia che – come tu ricordi nel libro – ha visto un ministro condannato per appellato come «orango» una collega nata in Congo un Paese che ha visto un vice premier ammonire una contestatrice dicendo «stai buona zingaraccia» e parlare impunemente di «Rom e topi»?

No, la «dittatura del politically correct» agitata come un fantoccio dai reazionari a caccia di qualche voto spaventato non esiste. Attenzione però a non incappare nell’errore speculare, quello per cui allora il cosiddetto “politicamente corretto” è un’invenzione di destra non nel suo significante, ma nel suo significato: in risposta agli «al lupo» reazionari c’è chi a sinistra giura e spergiura che non stiamo vivendo nulla di sostanzialmente nuovo, che le cacce alle streghe sui social tutto sommato non sono un grave problema e che beh, se anche due libri classici vengono riscritti che sarà mai? Parliamo d’altro. Ecco: è una prospettiva sbagliata e controproducente, perché lascia praterie alle destre e perché sottovaluta l’aspetto più importante: il mondo sta cambiando davvero, e noi dobbiamo imparare a convivere nelle nuove società senza renderle far west ostaggio di rese dei conti algoritmiche.

Perché, come tu scrivi, quella dei conservatori sulla Sirenetta nera è stata propaganda reazionaria?

È propaganda perché è l’ennesimo diversivo interessato. Nemmeno Andersen stesso avrebbe perso il sonno di fronte alla possibilità che la Sirenetta potesse essere interpretata da un’attrice afroamericana: sono polemiche inesistenti, animate da piattaforme digitali regolate da algoritmi di cui non sappiamo niente, che generano numeri di pubblico enorme su cui è quasi impossibile indagare e poggiano su viralità di cui molto spesso non conosciamo l’origine. Poi sì, certo: ci sono i razzisti, quelli che vorrebbero vedere meno persone nere in generale: ma non concediamogli il lusso di orientare la nostra attenzione.

C’è anche un whitewashing da rifiutare perché esprime solo un antirazzismo di facciata?

Quanto al whitewashing, rispondo più a monte: sono persuaso del fatto che una considerazione di casting che diventa una casella da spuntare in un riquadro identitario sia una considerazione di casting anti-artistica, controproducente e persino un po’ triste. La Sirenetta nera è una cosa buona e giusta, così come è cosa buona e giusta un personaggio originariamente nero interpretato da un attore bianco: se gli attori sono bravi e ci fanno emozionare, che ci importa di che colore è la loro pelle?

Che ne pensi di casi come quello della diatriba sulla traduzione dei versi della poetessa Amanda Gorman. Lo scrittore maliano Soumaila Diawara ha scritto su Left che la traduzione è un fatto di sensibilità non una questione genetica che riguardi il colore della pelle, che ne pensi?

Sono del tutto d’accordo con Diawara, e mi sembra che completi ciò che stavo dicendo: se una traduttrice ha studiato, approfondito e amato una tradizione diversa dalla sua – o, appunto, una poetessa di un’altra etnia – per quale motivo non dovrebbe poterla trasmettere? Una visione così piatta e a compartimenti stagni dell’esperienza umana e della cultura produce soltanto mostri: e invece così tanto di ciò che di buono e di buonissimo è venuto dalla storia dell’arte è il risultato di esperienze diverse che si mescolano. Non illudiamoci di fare del bene mettendo dei paletti strettissimi attorno a ciò a cui è lecito sentirci affini.

Anche per questo piuttosto che star chiuso a discutere nella tua bolla sui social ha pensato a una newsletter e a un libro?

Culture Wars è nata da un’urgenza personale, per così dire: ero stufo di discutere di cose come la rappresentazione delle minoranze, l’appropriazione culturale e la fantomatica “cancel culture” nello spazio di un tweet o un post su Facebook, perché ne nascevano solo malintesi a cascata, accuse a priori e assenza di dialogo, sostituito da un incasellamento farraginoso e sempre manicheo. Nei primi mesi ha raccolto prima centinaia e poi più di un migliaio di iscritti: oggi sono circa 2000, e non posso che esserne orgoglioso, perché mi arrivano con frequenza email di persone che dicono – riassumendo – di essermi in un certo senso grate, perché finalmente hanno trovato punti di vista ragionati, informati e sensibili su temi su cui si leggono quasi soltanto urla belluine e certezze granitiche da like. Il libro è arrivato nel modo più inatteso: un editor di Einaudi Stile Libero era tra i primi iscritti della newsletter, ne ha intuito il potenziale e mi ha chiesto di renderla un approfondimento più ampio. (Simona Maggiorelli)

in foto: Screenshot of Snow White from the 1958 Reissue trailer for the film Snow White and the Seven Dwarfs. WARNING All the movie trailers released before 1964 are in the Public Domain because they were never separately copyrighted.

Veni, vidi, Facci

Scrive Antonella Baccaro sul Corriere della Sera che oggi sarà il giorno in cui la Rai annuncerà la cancellazione della striscia quotidiana “I facci vostri”, che da settembre avrebbe dovuto precedere il Tg2 dell’una. L’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio – scrive la giornalista – avrebbe preso questa decisione un minuto dopo avere letto il contestassimo fondo dell’editorialista su Libero che ha fatto scoppiare un pandemonio.

Se oggi si realizzerà ciò che scrive il Corriere della Sera potremo avere l’opportunità di analizzare ex ante le modalità di vittimismo di questa destra. Accadrà – segnatevelo – che il polemista Facci indosserà (o verrà rivenduto da certi giornali) i panni del partigiano “vittima della cancel culture della sinistra”. Potremmo già fare i nomi e i cognomi di quelli che dal centro useranno la “vicenda Facci” per rimestare la “cancel culture” nei loro editoriali. Qualcuno proverò a fare notare che qui l’opposizione, la sinistra, e il perbenismo non c’entrano un fico secco: Facci ha fatto tutto da solo.

Qualcuno scriverà – o dirà – che “la Rai è ancora in mano alla sinistra”, segnatevelo, lamentando una “mancanza di libertà”. Qualcuno dirà che è “eccessivo punire qualcuno per una frase sbagliata” – è già stato scritto nei giorni scorsi – dimenticando che la matrice di Facci è visibile in decine di uscite infelici e non certo per una singola frase. Complottismo, vittimismo, opposizione all’opposizione. Andrà così.

Buon lunedì.

 

Foto:

Niccolò Caranti – Opera propria

Filippo Facci al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia

Chat GPT non ha creato l’intelligenza artificiale, ma ha fatto un salto come Dick Fosbury

Mia madre continua a chiamare “Google” internet. Io, che mi sforzo di insegnare, dico: “Ma intendi dire un browser?”. No, no Google , mi risponde. La mia è una vana speranza di costruire la differenza tra la prestazione specifica e il suo “ambito” prestazionale. Vana battaglia. D’altronde per esempio in America le fotocopie si chiamano Xerox (che in realtà è solo il brand vincente tra i tantissimi produttori di macchine).
La questione della differenza tra “brand vincente” e “sostanza” della prestazione che appare di lana caprina non lo è affatto se si ha il desiderio di capirci qualcosa.
Cominciamo da ChatGPT, che è arrivato come un ciclone. Ne ho parlato per la prima volta alla mia classe nel dicembre del 2022 perché ero stato avvertito in piena notte da uno dei miei spider oltreoceano.
Subito i miei ragazzi ci sono saltati su come su un treno in corsa. Ma poco dopo mi è stato necessario spiegargli che ChatGPT non è l’intelligenza artificiale, cosi come Google non è internet.
Entrambi usano una base dati sostanzialmente aperti, cioè quello che noi stessi riversiamo nella rete. Google nel 1998 creò per prima volta degli algoritmi (diciamo probabilistici) per fornire risposte logiche. Lo faceva raccogliendo continuamente tutte le informazioni in internet e mettendole in dei server già precotte. Così la risposta era istantanea anche se (esattamente come la luce che ci arriva dal sole) era di qualche tempo prima.
Ma l’intelligenza della risposta e la sua rapidità, sbaragliò tutti gli avversari. Il salto compiuto da Google fu un poco come quello dell’altista Dick Fosbury, che lo faceva di schiena e quando vinse nel 1968 quelli che saltavano a sforbiciata diventarono come dei dinosauri e si estinsero immediatamente (E’ bellissima questa dell’arrivo del salto di schiena come dimostrazione di cosa sia la modernità, un concetto che devo a Zevi, ma il richiamo a Fosbury è di Baricco).
Ora Chat GPT ha fatto la stessa cosa di Google che nel 2001 ormai aveva vinto la battaglia per la supremazia tra gli avversari. Non è che prima di Google non esistessero motori di ricerca (e alcuni di noi se li ricordano pure) cosi come non è che GPT ha creato l’intelligenza artificiale.
Interrogato su quale sia il suo funzionamento ChatGPT ci risponde: “Sono addestrato su una vasta gamma di dati provenienti da internet”… “Sono… compresi testi, articoli, libri e altro ancora”. Una meraviglia questo “altro ancora”. Evidentemente cosa che sappiamo ormai tutti, siamo costantemente “ascoltati”. Non è solo Alexa, ricordate ne abbiamo tanto parlato ( Io e il web, breve storia della rete. Da Arpanet a internet delle cose, ma anche i telefoni sono sempre in ascolto e tutti abbiamo ormai fatto la prova di parlare di un prodotto bizzarro “sai mi vorrei comprare dei mocassini da indiano”. E ritrovarceli sul nostro social preferito. Ora nell’altro ancora c’è questo. I sistemi di intelligenza artificiale oltre a tutto quello che abbiamo messo più o meno volontariamente in rete noi stessi (documenti pdf, blog, pagine html se non mail) adesso usano anche i nostri dialoghi. C’è bisogno di mostruosi ingegni e grandi velocità per gestire questo ecco a cosa servono le bande sempre più larghe ed ecco dove è la battaglia tra noi e la Cina. Noi non siamo certi che le nostre conversazioni What’s up si riversino in dei server cui attingere (anche se dubbi io ne avrei) ma i dialoghi contenuti nei corrispondenti programmi cinesi di What’s up, Facebook e Instagram lo sono di sicuro accessibili al governo. Circa due miliardi di persone. Fatevi qualche calcolo.
Ma torniamo al punto. Non è che ChatGPT abbia inventato l’intelligenza artificiale. L’ha portata soltanto a un livello tale che ha sbaragliato tutto.
Sbaragliato? Forse sì, forse no. Come sapete è arrivato Bard, il nome vero sarebbe Assurancetourix, il bardo di Asterix dalla vocazione poetica. Google infatti vuole combattere la razionalità di Chat GPT. La battaglia è aperta, e non è avversario da poco la indole creativa di Bard (cosi commercializza la sua AI Google). “Commercializza? Ma – vi chiederete – non è gratis? No non è gratis e devo tornare a Marx per essere chiaro.
To be continued

Da leggere anche della serie “Io e internet” di Antonino Saggio, architetto, docente universitario ed editore: Io-e-internet-al-tempo-del-covid-19-mi-vede-mentre-dormo-mi-vede-mentre-veglio/

In foto: Dick Fosbury By Los Angeles Times, 1968

Nel nome di Amelina, la scrittrice e attivista ucraina uccisa da un missile russo

la scrittrice ucraina Viktoria Amelina

La sera di martedì 27 giugno (due giorni dopo il tentato putsch del gruppo Wagner) a Kramatorsk, una località dell’Ucraina orientale a circa 25 chilometri dal fronte, il caffè Ria era frequentato, come tutte le sere, da volontari, paramedici e da quei ragazzi che avevano scelto di rimanere in città. Alle 19,35, quando venne colpito da un missile balistico Iskander, gli avventori erano numerosi; tra loro c’era la scrittrice, volontaria e attivista civile Viktoria Amelina insieme a un suo amico, il noto scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince (più volte intervistato da Left, traduttore di Calvino e di molti altri autori italiani ndr), che aveva deciso di andare in Ucraina per promuovere sue traduzioni e documentare i crimini di guerra dell’esercito invasore; suo padre, Héctor Abad Gomez, medico, professore dell’università di Medellin, presidente del comitato per i diritti umani, fu ammazzato il 25 agosto 1987 a due passi da casa. Héctor junior però è molto più fortunato del padre: una scheggia ferisce Viktoria, che perde quasi subito conoscenza (morirà tre giorni dopo in ospedale), seduta proprio di fronte a lui, che invece rimane illeso. Insieme alla scrittrice, tra le vittime ci sono 7 dipendenti della pizzeria (tra cui due minorenni) e altri 5 avventori (tra cui due gemelle di 14 anni). Oltre alle 13 vittime dell’attacco, rivendicato subito con orgoglio dai media russi, bisogna aggiungere 61 feriti, 18 edifici e 65 case private distrutte.
Viktoria aveva 37 anni. Era nata a Leopoli nel 1986 in una famiglia russofona (all’anagrafe il suo cognome è Šalamaj) e a quattordici anni era emigrata in Canada; qualche anno dopo era tornata nella sua città natale per laurearsi in informatica presso la locale università. Cominciò così a lavorare come programmatrice, quando nel 2014 alcune sue poesie le valsero il premio “Koronacija slova”, così l’anno dopo decise di lasciare il lavoro per dedicarsi interamente alla scrittura. Ha pubblicato esclusivamente in ucraino, anche se alcune sue opere sono state tradotte anche in russo. Nel 2014 uscì il suo primo romanzo La sindrome di novembre ovvero l’Homo Compatiens (con l’introduzione dello scrittore Jurij Izdryk), finalista al premio Valerij Ševčuk. Nel 2016 pubblicò il libro per bambini Qualcuno o un cuore d’acqua  e nel 2017 il romanzo Una casa per Dom (che nel 2021 si aggiudicò il premio Joseph Konrad Korzeniowski), nel quale narra la vita della famiglia dell’aviatore che si era stabilita nella casa di Leopoli dove aveva trascorso la sua infanzia lo scrittore polacco Stanisław Lem, al centro del suo libro di memorie Il castello alto da cui la scrittrice ucraina riprende alcuni spunti sviluppandoli in modo originale.
Il 24 febbraio del 2022 quando la scrittrice si trovava in Egitto e stava per prendere un aereo per tornare a Leopoli come tutti venne a sapere dell’inizio dell’invasione. Il volo era stato cancellato, ma riuscì a raggiungere a Cracovia, dove lasciò il figlio di dieci anni, per tornare finalmente nella sua città natale. Da quel momento Viktoria ha lavorato per l’organizzazione Truth Hounds, che documenta i crimini di guerra dell’esercito invasore. A lei si deve la scoperta del diario, seppellito nel cortile di casa sua, di Volodymyr Vakulenko, il poeta ucraino sequestrato il 23 marzo del 2022 dai militari russi nei pressi di Izjum (regione di Kharkiv, allora sotto l’occupazione russa) e successivamente trucidato; il suo corpo è stato riesumato e identificato solo dopo la liberazione della regione e si è potuto così acclarare che era stato ucciso con due pallottole sparate in testa.
La sua ultima creazione letteraria è legata all’esperienza di volontaria nelle retrovie e nelle città colpite dai bombardamenti e può essere considerato una sorta di “diario lirico” dei fatti di cui è stata testimone a Leopoli, Kyjiv, Hostomel, Buča e Irpin (“non scrivo poesia / Scrivo prosa / Ma la realtà della guerra / si mangia la punteggiatura” scrive a proposito Amelina in Non poesia). Eccone un esempio tratto da Poeti d’Ucraina (a cura di Yaryna Grusha e Alessandro Achilli, Mondadori, 2022):

UNA STORIA PER IL RITORNO

Mira esce di casa e prende dalla scatola una perla
Tim esce dal borgo e raccoglie un sasso per strada
Jarka esce dal giardino e prende un nocciolo d’albicocca
Vira esce di casa e non prende niente
tanto torno presto, dice
e non prende niente

Mira dalla perla ha coltivato una scatola
e ci fa crescer dentro una nuova casa
Tim da quel sasso ha fondato una città
Una città quasi sua
ma non si vede il mare
Jarka ha piantato il nocciolo dell’albicocca
il nuovo giardino è il suo giardino ormai

E Vira,
lei che non ha preso niente,
racconta questa storia

Quando lasci la casa,
dice,
La casa si fa più piccola
per conservarsi

La casa diventa
un sasso grigio
una perla
un nocciolo dell’albicocca dell’anno scorso
un vetro che ti taglia la mano per strada
un pezzo di Lego
una conchiglia della Crimea
un seme di girasole
un bottone della divisa di tuo padre

Così la casa ci sta in una tasca
e dorme

Tirala fuori
in un posto sicuro
Quando sei pronto

La casa crescerà piano piano
E tu mai,
ricordatelo, mai
sarai senza la tua casa

E tu cosa hai preso?

Solo questa storia
sul ritornare
Eccola che vede la luce del sole
E cresce

8 maggio 2022

il primo luglio l’ospedale di Dniprò ha dato la notizia della sua scomparsa. Pochi mesi prima aveva scritto: «C’è il rischio concreto che i russi riescano ad annientare un’altra generazione di cultura ucraina, questa volta con missili e bombe» (con riferimento alla generazione degli intellettuali ucraini fucilati nel 1933 nel corso delle purghe staliniane) – una frase che suona tristemente profetica. Negli ultimi mesi stava lavorando al saggio che uscirà presto in inglese War and Justice Diary: Looking at Women Looking at War dedicato alle donne che documentano i crimini di guerra e che pensava di terminare di scrivere a Parigi, dove aveva ottenuto una borsa di studio della Columbia University. Il 4 luglio, in occasione del suo funerale a Kyjiv, tutta l’intellighenzia ucraina si è radunata per tributarle un ultimo saluto. Oltre a una giovane e talentuosa scrittrice, già tradotta in molte lingue, l’Ucraina perde una instancabile attivista (prima dell’invasione era riuscita a organizzare un bizzarro festival letterario in una cittadina del Donbas chiamata Niu Iork, oggi a ridosso del fronte, proprio per via della curiosa e ironica assonanza). Non possiamo dimenticare le sue parole, tanto più significative oggi: «Uno scrittore è vivo fino a quando viene ancora letto».
In un tweet qualche settimana prima della sua scomparsa aveva scritto: «La guerra è quando non puoi più seguire tutte le notizie e piangere tutti i vicini che sono morti al posto tuo a un paio di chilometri da te. Non smetterò di tenere a mente i loro nomi». Anche per questo è necessario ricordare il suo nome, uno tra le 9000 vittime civili ucraine (stima dell’Alto Commissariato Onu per i diritti umani) nei primi 500 giorni di guerra. Ricordando Viktoria Amelina, una donna coraggiosa e intelligente, una scrittrice di talento destinata a diventare forse un’icona grazie anche al suo bel viso di porcellana e i suo tratti gentili ed eleganti non dobbiamo dimenticare le altre ottomilanovecentonovantanove vittime civili ucraine (tra cui cinquecento bambini), che per noi rappresentano forse solo una singola unità, un singolo pixel che, insieme agli altri, restituiscono l’immagine di una folle barbarie della quale non si vede ancora la fine, vittime di una strategia politica e militare che ricorre in modo deliberato all’annientamento fisico della popolazione di un intero Paese come parte di un piano finalizzato alla sua annessione.

 

La foto di Viktoria Amelina, tratta da Wikipedia è di Osabadash CC BY-SA 4.0, 

A proposito del Decreto Piantedosi: ora il reclamo arriva alla Commissione europea

L’associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Emergency, Medici Senza Frontiere (MSF), Oxfam Italia e SOS Humanity hanno presentato un reclamo alla Commissione europea per chiedere un esame della nuova legge italiana in materia di gestione dei flussi migratori (15/2023). 

Le Ong evidenziano come la nuova normativa sollevi gravi preoccupazioni riguardo la sua compatibilità con il diritto dell’Unione Europea (Ue) e gli obblighi degli Stati membri ai sensi del diritto internazionale in materia di attività di ricerca e salvataggio in mare.  

«La Commissione europea è la custode dei trattati dell’Ue e garantisce che gli Stati membri rispettino il diritto internazionale e comunitario» afferma Giulia Capitani, policy advisor su immigrazione e asilo di Oxfam Italia. «Dovrebbe sostenere e proteggere i diritti fondamentali di tutte le persone in Europa. Invece, sono le Ong a riempire il vergognoso vuoto in mare lasciato dagli Stati membri dell’Ue. Invece di ostacolare il loro lavoro, le Ong andrebbero coinvolte nella creazione di un sistema adeguato di ricerca e soccorso in mare».

La nuova legge italiana prevede che le imbarcazioni si dirigano senza ritardi verso il porto assegnato dopo la prima operazione di salvataggio, limitando così l’azione delle imbarcazioni nel fornire assistenza ad altre barche in difficoltà. La norma obbliga, inoltre, i capitani a fornire alle autorità italiane informazioni non meglio specificate sul salvataggio effettuato, portando a una richiesta di informazioni eccessive.

La nuova legge è aggravata dalla recente prassi delle autorità italiane di assegnare porti lontani per lo sbarco. Questa politica non è prevista da alcuna normativa, ma è diventata una pratica comune dal dicembre 2022, facendo aumentare significativamente i tempi di viaggio e limitando di conseguenza la presenza delle navi umanitarie nella zona di ricerca e soccorso.

Le cinque Ong ritengono che la combinazione di queste misure imponga restrizioni ingiustificate alle operazioni di ricerca e soccorso e limiti drasticamente la loro capacità di salvare vite in mare.

«Ogni giorno trascorso lontano dalla zona di ricerca e soccorso, sia se sotto fermo sia se in navigazione verso un porto lontano, mette a rischio vite umane», afferma Djoen Besselink, responsabile delle operazioni di MSF. «La legge colpisce le Ong, ma il prezzo più alto sarà pagato dalle persone in fuga attraverso il Mediterraneo che si ritroveranno su un’imbarcazione in difficoltà».

L’aumento dei tempi di percorrenza verso porti più lontani comporta anche rischi per la salute fisica e mentale delle persone soccorse a bordo. «Assegnare luoghi sicuri a più di 1.000 km di distanza dal luogo del soccorso danneggia il benessere fisico e psicologico dei sopravvissuti», afferma Josh, capitano della nave di soccorso Humanity 1 di SOS Humanity. «Le 199 persone che abbiamo salvato recentemente, tra cui donne incinte e neonati, sono state costrette a percorrere circa 1.300 km prima di sbarcare in Italia, anche se altri porti italiani erano molto più vicini».

«Le persone soccorse provengono da paesi colpiti da guerre, cambiamenti climatici e violazioni dei diritti umani», spiega Carlo Maisano, coordinatore Life Support di Emergency «Spesso sono in condizioni di estrema fragilità, aggravate da altro tempo trascorso in mare».

Il 23 febbraio 2023, la legge 15/2023 (al tempo ancora decreto-legge) è stata applicata per la prima volta quando l’Autorità portuale di Ancona ha notificato a MSF un ordine di fermo di 20 giorni per la sua nave (Geo Barents) e una multa di 5.000 euro per non aver fornito informazioni che non erano mai state chieste prima.

Da allora, le autorità italiane hanno fermato altre quattro navi umanitarie di ricerca e soccorso – Aurora, Louise Michel, Sea-Eye 4 e Mare*Go – per un periodo di 20 giorni ciascuna per violazione della nuova normativa. Questo significa un totale di 100 giorni persi per le navi umanitarie di ricerca e soccorso, mentre non si sono interrotti i pericolosi viaggi in mare e i naufragi nel Mediterraneo.

«Le persone salvate in mare sono giuridicamente naufraghe, prima che migranti, ed il loro ingresso sul territorio nazionale attraverso il salvataggio in mare non può essere considerato in contrasto con la normativa sull’immigrazione. L’obbligo di soccorso è, infatti, inderogabile e non limitato e, vale ribadire, prescinde dalla qualifica soggettiva della persona soccorsa» conclude l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente Asgi.

Il grosso rischio di fronte a leggi criminogene è l’effetto della rana bollita. Ci stiamo dentro ormai da così tanto che non ci accorgiamo che finiamo cotti. Il Decreto Piantedosi è legge ma contestare le leggi ingiuste è un dovere.

Buon venerdì.

 

All’Europa serve chi lotta per la pace

Neanche la riunione della Nato a Vilnius ha cambiato granché il corso degli eventi. Di fronte ad una guerra che rischia di non finire mai sarebbe bello se dall’Italia, per le prossime elezioni europee, arrivasse una forte spinta per la pace. Ancora i recenti sondaggi dicono di una maggioranza di italiani che non vuole continuare sulla strada dell’escalation. D’altronde in Italia ci sono state le manifestazioni più grandi per la pace. E c’è una storia pluridecennale di movimenti pacifisti. In un Paese ormai in profonde sofferenze sociali e politiche questa eredità è preziosa. A pensarci colpisce, o dovrebbe farlo, quanto di ciò che il movimento dei movimenti diceva si sia, purtroppo, realizzato. La guerra mondiale permanente, preventiva, economica, sociale e militare va in scena ormai da un trentennio. Con varianti sempre diverse. E una costante, quella che Luciano Gallino (del quale Einaudi ora ripubblica Una società in crisi) chiamava la lotta di classe rovesciata.

Che significa? Che ciò che non cambia è il continuo spostamento di ricchezze e potere dai dominati ai dominanti. Qualsiasi sia lo stato dei conflitti o la crisi che si attraversa se ne esce con i ricchi, ovunque collocati, più ricchi e potenti. Dai fatturati di tutte le multinazionali, da quelle delle armi a quelle farmaceutiche ed energetiche, tutti in ascesa, alle vicende italiane del salario minimo negato mentre l’eredità di Berlusconi praticamente non paga tasse, tutto ci dice che Gallino aveva ragione.

Cominciò con la “spirale guerra terrorismo”, protagonisti l’Occidente, e non solo, contro i “fondamentalismi”. Se guardiamo a quanto succede oggi con le aristocrazie arabe a comprarsi il calcio vediamo come questo versante del conflitto abbia sì cambiato forme ma permanga.

Abbiamo vissuto le “guerre umanitarie” e con la dissoluzione della Jugoslavia l’Unione europea ha abbandonato la prospettiva dell’Europa casa comune dall’Atlantico agli Urali che era cara a Gorbaciov per “mettersi in proprio” nelle dinamiche di guerra e imperiali che arrivano fino a quelle attuali. Tre gravissime crisi, finanziaria, pandemica, climatica, hanno messo in grandi ambasce la globalizzazione che rimane quella dei profitti (tutti i ricchi li fanno, escono dalle crisi più ricchi di prima) ma non più quella dello sviluppo che mette d’accordo tutti. USA e Paesi UE vivono indebitati e al di sopra dei loro mezzi. I loro dominanti non intendono rivedere la loro parte di “bottino”. Gli altri dominanti vogliono accrescere la propria parte e sanno anche di essere nel mirino. Il conflitto in corso appare ricercato da molti per ridisegnare le spartizioni. La guerra in Ucraina, sul terreno resta circoscritta ma purtroppo non nei morti. Devono evitare l’escalation nucleare ma per il resto ognuno fa i suoi giochi. Le multinazionali delle armi. Putin. La Nato la Ue, la Turchia del “dittatore utile”.

Niente di decisivo sul terreno militare e ognuno lavora per sé geopoliticamente, dalla Nato alla Russia, alle altre potenze, grandissime o medie. Tutti i documenti strategici ufficiali di tutti i grandi parlano, quasi in fotocopia, di come avere la supremazia. Sembra che, nei fatti, quasi nessuno in realtà  voglia che la guerra, per ora, finisca, o operi sul serio per questo.

Intanto per i dominati tutto è sempre più duro. Sotto le bombe. Nelle banlieue francesi. Nel lavoro schiavistico degli Emirati.

Siccome a tutti i ricchi serve la guerra sarebbe bene che tutti quelli che ne soffrono si unissero per combatterla. È persino strano che chi, come il movimento dei movimenti, aveva previsto molto ora fatichi a proporsi. Addirittura si divida a volte tra improbabili “antimperialisti con la Nato” e “campisti con Putin”.

In Italia si può riprendere ciò che il movimento pacifista aveva seminato. Sarebbe bello, importante, che le forze contro la guerra e tutti i suoi signori, si trovassero insieme per le elezioni europee del prossimo giugno in una grande “lista per la pace”.

Nient’altro che un’oligarchia

Spiegata semplice. Lo scorso 12 gennaio Dimitri Kunz e Laura Di Cicco hanno comprato una villa a Forte dei Marmi e dopo 58 minuti l’hanno rivenduta, guadagnando un milione di euro. La notizia l’ha scovata il quotidiano Domani: i due personaggi di questa curiosa storia sono il compagno della ministra del Turismo Daniela Santanchè e la moglie del presidente del Senato, Ignazio La Russa. A gennaio sia Kunz che Santanchè sono già indagati dalla Procura di Milano per via del tracollo di Visibilia, la società editoriale già amministrata dalla ministra. Il compagno della ministra, nel momento in cui porta a termine la plusvalenza da un milione, è  l’amministratore unico di Visibilia editrice.

Guadagnare un milione di euro in meno di un’ora accade in pochi casi. Potresti essere un genio, un talento ineguagliabile in un campo molto ristretto per cui sei un fenomeno a livello mondiale e quindi ti meriti un guadagno stratosferico perché la stratosfera è il luogo in cui pascoli. Non è questo il caso. Siamo di fronte ai “coniugi di” politici di lungo corso che non hanno mai dimostrato grandi talenti.

I pochi che collezionano guadagni spropositati hanno un nome: oligarchi. L’oligarchia, dice il dizionario, è un regime politico o amministrativo caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo nelle mani di una minoranza, per lo più operante a proprio vantaggio e contro gli interessi della maggioranza. Da mesi gli oligarchi per eccellenza sono i russi, spinti come rozzi e primitivi rispetto al luminoso occidente. Dalle nostre parti l’oligarchia propone come modelli di imprenditoria nomi plurifalliti oppure “unti” dalla vicinanza di qualche imprenditore di qualche generazione fa.

Ieri sera Kunz ha scritto un comunicato in cui ci spiega che  “l’effetto scandalistico basato sui ’58 minuti’ tra l’acquisto e la rivendita è intenzionalmente impressionistico e sostanzialmente falso. L’operazione immobiliare in oggetto, durata più di un anno, nasce su precisa richiesta del venditore professor Alberoni, assistito da una avvocatessa milanese. Il prezzo di vendita è esattamente quello richiesto dallo stesso professore per l’immobile che era frutto di una eredità non chiusa con sette coeredi, legatari e asseriti creditori. Al professore, sono stati versati molti mesi prima (e non 58 minuti) durante il preliminare di vendita, una parte del prezzo richiesto e accettato”. Poi “è stato individuato, dopo lavori di miglioria dell’immobile, un compratore fortemente interessato che ha provveduto a sua volta a rogitare non appena è stato giuridicamente possibile (i famosi 58 minuti). Compratore che era consapevole del prezzo pagato al professore e della continua crescita del valore delle case in Versilia. Il guadagno infine, risulta assai minore di quello riferito dal quotidiano Domani tenuto conto dei non lievi costi sostenuti per l’immobile, la alta tassazione sul reddito e sulla plusvalenza”.

Buon giovedì.