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La resa

È ormai chiaro che nella gestione dell’emergenza sanitaria operata dal governo Draghi c’è un prima e un dopo. Lo spartiacque temporale coincide con l’arrivo in Italia della variante Omicron. Se infatti nei suoi primi dieci mesi di attività l’esecutivo “dei migliori” ha mostrato di saper lavorare con discreta efficienza sul fronte delle vaccinazioni, rendendo l’Italia uno dei Paesi europei maggiormente immunizzati (non il migliore, come incautamente dichiarato dalla viceministra Bellanova a fine 2021), ad inizio dello scorso dicembre le cose hanno preso una piega del tutto diversa. Di fronte al primo vero banco di prova pandemico del governo, ossia la quarta ondata di Covid segnata dalla diffusione di un ceppo del virus molto più contagioso del precedente, l’ex banchiere della Bce e i suoi ministri hanno sacrificato la salute dei cittadini sull’altare dell’economia, evitando di adottare le adeguate contromisure per proteggere la popolazione.

Una Caporetto sanitaria
Consideriamo innanzitutto alcuni dati. In un mese in Italia abbiamo contato circa 5mila decessi di positivi al Covid. Non stiamo parlando solamente di “no vax”. Senza dubbio – è bene ribadirlo – l’efficacia dei vaccini nel prevenire la malattia severa è altissima: parliamo del 98% per i vaccinati con dose booster, del 95% per gli immunizzati con ciclo completo da meno di 90 giorni, del 93% per chi ha ricevuto l’iniezione tra 91 e 120 giorni fa, dell’89% per chi l’ha ricevuta da oltre 120 giorni (secondo i dati dell’Istituto superiore di sanità). Ancora più elevata poi è la protezione rispetto al decesso. Per questo i vaccini restano lo scudo più solido contro il virus. Ma – anche questo va ricordato – una quota non trascurabile di morti ha riguardato persone vaccinate, magari fragili e con comorbidità. E non per forza stiamo parlando di anziani o di malati terminali. Per farci un’idea, su un totale di 3.141 morti positivi al Covid nel periodo tra il 19 novembre 2021 e il 19 dicembre 2021 (l’ultimo intervallo temporale per cui l’Iss ha divulgato dati disaggregati di questo tipo), 1.443 erano non vaccinati, a fronte di 1.698 vaccinati. Ora, occorre evidenziare due fatti. Primo, dobbiamo fare attenzione a non essere ingannati dai valori assoluti, e tenere sempre a mente l’assai diversa incidenza di malattia e decessi tra gli immunizzati e i non immunizzati.

Nell’ultimo mese preso in esame dall’Iss, tra i vaccinati con booster l’incidenza di ospedalizzazioni, ricoveri in terapia intensiva e decessi è rispettivamente di 13,4, 0,7 e 1,4 casi su 100mila. Mentre se si guarda alla platea dei non vaccinati, l’incidenza sale a 202,3, 26,7 e 42,4 casi. Secondo, i dati assoluti delle morti che abbiamo citato sono relativi ad un periodo in cui la variante maggiormente diffusa in Italia era la Delta, che secondo gli ultimi studi causerebbe più spesso una patologia seria rispetto ad Omicron, e in cui il tasso di somministrazione delle terze dosi era inferiore. La proporzione tra decessi di vaccinati e non vaccinati potrebbe dunque essere variata nelle scorse settimane. Ciò nonostante, in base a queste cifre possiamo ragionevolmente supporre che anche nell’ultimo mese una porzione di coloro che ha perso la vita a causa del Covid fosse vaccinata.

Inoltre, i problemi per tutti i cittadini, “sì” e “no vax”, non si limitano alle conseguenze “dirette” del Covid. Gli ospedali, infatti, sono in sovraccarico. Migliaia di interventi chirurgici, in particolare quelli più delicati, sono stati rimandati a causa della ridotta disponibilità delle terapie intensive. La cosiddetta sanità territoriale è in affanno e i medici di medicina generale faticano a occuparsi delle patologie non Covid. Parte del personale sanitario, soprattutto quello in prima linea nella lotta al virus, è letteralmente allo stremo. La sanità, insomma, non riesce a fornire le prestazioni di cui i cittadini necessiterebbero. Le reali conseguenze di questo diritto negato sulla pelle delle persone le vedremo nei prossimi mesi e anni.
Ora, davvero…

*In apertura, illustrazione di Chiara Melchionna per Left


L’inchiesta prosegue su Left del 21-27 gennaio 2022 

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Polvere sotto il tappeto

Il coronavirus «sta diventando endemico», «ormai si può trattare come un’influenza», «la variante Omicron è contagiosa ma non è pericolosa». Tv e media mainstream propalano sempre più «narrazioni distorte e ottimistiche» che non sono basate su dati epidemiologici né su evidenze scientifiche.
La realtà dice ben altro: solo nell’ultimo mese sono morte 5mila persone in Italia a causa del Covid. I bollettini quotidiani (che alcune Regioni chiedono di abolire) riportano dati agghiaccianti, con punte anche di oltre 400 morti al giorno. Mesi fa Draghi parlò di «rischio calcolato». Ma gli effetti di anteporre le ragioni dell’economia a quelle della salute, nell’affrontare l’ondata Omicron, sono stati drammatici. Sono gli stessi operatori sanitari a denunciare: terapie intensive in affanno, pressione sugli ospedali, medici di base, infermieri, personale ospedaliero che dopo due anni di pandemia fanno ancora turni massacranti e si trovano alle prese con no vax che rifiutano il vaccino e le terapie e che li boicottano.

Se siamo in questa situazione è colpa dei no vax ha sostanzialmente detto Draghi nella conferenza stampa del 10 gennaio scorso. Ma se il presidente del Consiglio pensa questo perché allora il suo governo non si è assunto la responsabilità politica di imporre per legge un obbligo vaccinale generalizzato, dacché la Costituzione lo consente? Perché tardivamente si è posta la questione dell’obbligo e solo agli over 50? Perché non si è incentivata la campagna di vaccinazione dei bambini fra 5 e 11 anni, che procede ancora a rilento? Perché non sono state fatte massicce campagne di informazione anche attraverso i pediatri per convincere i genitori esitanti? Andando a studiare i dati, in particolare quelli dell’ultimo mese, come ha fatto puntualmente il collega Leonardo Filippi nell’inchiesta che apre questa storia di copertina, si deduce che molte delle persone morte di Covid in questi giorni si erano infettate durante le feste di fine anno.

In nome dello shopping natalizio e delle tavolate senza limiti al numero di persone il governo ha lasciato che il virus corresse. Lo ha fatto anche “liberalizzando” le quarantene e riportando le persone a lavorare in ufficio, come se la strada dell’uscita della pandemia fosse tutta in discesa. È vero, per fortuna ora abbiamo i vaccini, ma ci sono ancora ampie fasce della popolazione che non sono vaccinate. A questo proposito la commissaria europea alla salute Stella Kyriakides, intervistata da Marco Bresolin per La Stampa il 17 gennaio ha detto che il quadro europeo è preoccupante: «è troppo presto per trattare il Covid come endemico». Non solo in Italia sta aumentando la pressione sugli ospedali e c’è il rischio di nuove varianti, dal momento che la gran parte dei Paesi a basso e medio reddito non sono stati messi in condizione di vaccinare la propria popolazione. E se i cittadini africani e di altri Paesi sono “no vax” loro malgrado, non per scelta, ma perché non hanno le possibilità economiche e materiali per vaccinarsi, in Europa, ci ricorda la commissaria, ci sono ancora milioni di cittadini non vaccinati e «dunque avrebbe senso discutere di obbligo vaccinale». «La persuasione è meglio – precisa Kyiriakides – ma se non funziona e la salute pubblica è gravemente a rischio gli Stati dovrebbero valutare tutte le opzioni».

Ma in Italia invece di procedere per questa strada si preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto, far finta di nulla, addirittura arrivando a ipotizzare di diradare i bollettini, per non spaventare la popolazione. Ma come? Durante la fase più drammatica della pandemia, in nome del diritto alla conoscenza abbiamo battagliato perché il governo Conte divulgasse tutti i dati e ora si accetta che il governo Draghi non divulghi informazioni determinanti per capire lo stato reale delle cose? Due anni fa ci scandalizzavamo giustamente per i discorsi anaffettivi di certi politici come l’ultra liberista e conservatore Boris Johnson che consigliava di abituarsi «all’idea di perdere i propri cari» e ora che abbiamo maggiori strumenti per affrontare la pandemia ripercorriamo le orme di quelle sciagurate politiche?

Nei giorni scorsi Johnson ha annunciato la fine delle restrizioni, asserendo che la pandemia è ormai giunta alla fine e che in Gran Bretagna i casi di contagio sono crollati. Bene, se anche così fosse come ci auguriamo, il costo in termini di vite umane è stato altissimo. In Italia non abbiamo neanche un numero così alto di vaccinati come la Gran Bretagna e gli ospedali e le terapie intensive nel nostro Paese sono di nuovo al limite. Moltissime operazioni chirurgiche, anche oncologiche, sono state rimandate. L’ordine dei medici della Campania ha lanciato un allarme da codice nero. E non sono i soli. Certo abbiamo ben presente che un servizio sanitario nazionale massacrato da vent’anni di tagli non potesse essere magicamente rimesso in sesto durante un’emergenza pandemica di questa portata.
Ma non ci saremmo davvero aspettati, dopo aver maturato così dolorosamente la consapevolezza dell’importanza della salute pubblica che – come si evince dal Nadef 2021 – il governo Draghi preveda per il 2024 una spesa per la sanità pari al 6,1% del Pil, ovvero meno di quanto spendevamo per la sanità nel 2019.

*Illustrazione di Carlina Calabresi per Left


L’editoriale è tratto da Left del 21-27 gennaio 2022 

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Il solito Cingolani

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 19-01-2022 Roma Camera dei Deputati - Question time Nella foto Roberto Cingolani (ministro Transizione Ecologica) Photo Roberto Monaldo / LaPresse 19-01-2022 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Question time In the pic Roberto Cingolani

Audito in Parlamento il cosiddetto ministro della Transizione ecologica Cingolani ancora una volta ha ipotizzato un intervento contro il caro bollette che passa da una riduzione del sostegno alle fonti rinnovabili e da una maggiore estrazione di gas dai giacimenti italiani. Forse il ministro non ha capito ancora bene quale avrebbe dovuto essere il suo ruolo.

I principali interventi ipotizzati da Cingolani per recuperare risorse per calmierare le bollette in modo strutturale – dopo gli stanziamenti di 8,5 mld di euro arrivati nel complesso nel corso del 2021 – ammontano a circa 10 miliardi di euro: circa 1,5 mld di euro potrebbero arrivare dai proventi delle aste della CO2 nell’ambito del mercato Eu-Ets; altri 3 mld dalle cartolarizzazione (con conseguente dilazione del pagamento) per gli oneri di sistema rientrati all’interno della componente Asos delle bollette; 1,5 mld da una limatura agli incentivi per il fotovoltaico; 1-2 mld dall’estrazione di rendita dai grandi impianti idroelettrici non incentivati che operano sul mercato spot; 1,5 mld dal rafforzamento della negoziazione a lungo termine per l’acquisto di energia rinnovabile (Ppa); infine, resta in ipotesi il raddoppio della produzione nazionale di gas naturale.

Livio de Santoli, presidente del coordinamento Free che è la più grande associazione nel campo delle rinnovabili non le manda a dire: «Le dichiarazioni del ministro sono in contrasto con il principio, giusto, di voler accelerare lo sviluppo delle rinnovabili – afferma – La revisione dei contratti di incentivazione delle rinnovabili perché, afferma il ministro, “sono soldi che alle fonti pulite non servono più”, potrebbe peggiorare una situazione già critica per gli operatori, che vede attualmente assegnata solo una piccola parte della disponibilità dei bandi per i noti motivi legati al permitting, e quindi provocare l’effetto contrario rispetto a quanto dichiarato».

Effettivamente stupisce che il fossile, principale colpevole della crisi di questo periodo, venga incentivato dal governo senza nemmeno un cenno al biometano (se ne potrebbe avere fino a 9 miliardi di metri cubi all’anno in più) e senza un cenno all’efficenza energetica.

«Segnaliamo infatti – conclude de Santis – la mancata attuazione dei provvedimenti di supporto previsti dal DM 21 maggio 2021 sul meccanismo dei certificati bianchi, che aiuterebbero le imprese, messe a dura prova dalla crisi, a investire in efficienza energetica e a ridurre la loro esposizione sia al caro bollette, sia all’emission trading. Tutto ciò scoraggia gli investimenti sulle rinnovabili ed efficienza energetica, mentre nulla viene detto su un aspetto che risulterebbe decisivo per il contrasto al caro bollette: quello dell’eliminazione dei Sad (Sussidi ambientalmente dannosi) che valgono circa 20 miliardi di euro. Ribadiamo la disponibilità degli stakeholder per la creazione di un tavolo condiviso per varare misure contro il caro bollette che permettano il raggiungimento degli obiettivi climatici al 2030».

Ma il dubbio più appuntito è che ci sia un ministro che prenda precise posizioni sulla politica ambientale che non sono mai state discusse e accettate dal Parlamento e dall’opinione pubblica, come se godesse di un’autonomia e impunità data per il proprio ruolo. Ma erano questi gli obiettivi di Cingolani quando è stato formato questo governo? Abbiamo frainteso noi tutti? Per capire, tutti i partiti sono d’accordo con questa linea?

Buon giovedì.

La pandemia burocratica. Seconda puntata

Ermes abita a Bologna e di lavoro fa l’operatore socio sanitario, una di quelle funzioni importantissime in questi quasi due anni di pandemia. Per questo è stato tra i primi a ricevere il vaccino, l’importanza del suo ruolo lo inserisce tra i prioritari. Eravamo a gennaio del 2021.

Lo scorso 5 dicembre Ermes si sottopone alla terza dose. Si presenta all’hub vaccinale, mostra la sua tessera sanitaria, controllano la prenotazione, fa il colloquio con i medici, si sottopone alla vaccinazione, ritira la sua tessera, aspetta i 15 minuti e poi se ne torna a casa. Accade qualcosa: a differenza delle due volte precedenti non gli viene rilasciato nessun documento dell’avvenuta vaccinazione. Niente.

Non ci sarebbe stato nulla di strano se non fosse che dal 5 dicembre a oggi (siamo al 19 gennaio) Ermes non riceve nessun green pass. Nel frattempo, com’era prevedibile, il suo green pass è scaduto. Chiede al medico di famiglia, quello controlla, ritrova tutte le vaccinazioni fin da quando era bambino nel fascicolo sanitario ma non c’è traccia della terza dose.

Ermes torna all’hub vaccinale, chiede chiarimenti. Lì gli spiegano che ormai tutta la loro documentazione è stata spedita, non hanno più niente, gli lasciano però un link per presentare ricorso. Siamo al 21 dicembre, la risposta al ricorso arriva 10 giorni dopo: gli chiedono di esibire il certificato vaccinale. Ermes aveva presentato ricorso proprio per la mancanza di certificato, chiederglielo non sembra un’idea così brillante. Ermes afferma di avere come unica documentazione l’avvenuta prenotazione. Dall’altra parte silenzio. Solo silenzio.

Ermes e la moglie si rivolgono alla Regione Emilia-Romagna. Quelli gli chiedono tutti i documenti, compresa la corrispondenza con l’azienda sanitaria. Anche la Regione chiede il certificato vaccinale. Ermes di nuovo è costretto a spiegare che è proprio quello il problema. Attende. La Regione dice di avere attivato l’assessorato. Passano i giorni e non se ne sa niente.

Ermes ricontatta la Regione che si dichiara contrariata per il silenzio dell’assessorato. «Vi richiamiamo nel pomeriggio», dicono. Non ha richiamato nessuno. Ermes ha più di 50 anni quindi sarebbe passibile di sanzioni perché si è sottoposto a una vaccinazione che non risulta da nessuna parte e anche sul lavoro evidentemente ha dei problemi.

La pandemia sanitaria non ha responsabili facili ma la pandemia burocratica ha responsabili con nome e cognome.

Buon mercoledì.

Roberta Metsola, la antiabortista eletta al posto di Sassoli

Una immensa perdita quella di David Sassoli presidente del Parlamento europeo, lo ribadiamo tanto più oggi quando viene eletta la nuova presidente Roberta Metsola, del Ppe, che a parole dice di volerne onorare la memoria e rendere il testimone, ma ben altro è il suo percorso. Il presidente Sassoli sul piano umano ma anche su quello politico è stato una guida.

Mentre si affollano candidature improbabili e offensive per la presidenza della Repubblica italiana, Sassoli sarebbe stato un grande presidente della Repubblica, europeista, nel rispetto della Costituzione nata dalla Resistenza, non lo diciamo da ora.

Le affermazioni che da ultimo Sassoli aveva fatto sulla necessità della cancellazione del debito pubblico, di ripensare il patto di stabilità dopo la pandemia ci erano sembrate lungimiranti. Ma su questi temi, sciaguratamente, non era stato sostenuto dal centrosinistra nostrano, che anzi lo isolò.

La battaglia per un’Europa più inclusiva e più giusta, per il sogno che noi di Left coltiviamo, tanto più oggi, dovrebbero ripartire dalle sue parole, lui cattolico, noi abbiamo altri percorsi, ma abbiamo apprezzato che specie negli ultimi anni esprimesse il suo credo nel suo privato, rispettando la  laicità delle istituzioni pubbliche.

Parole, quelle di Sassoli, che non sono quelle della nuova presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola del Ppe, per quanto nella cerimonia gli abbia reso omaggio.

Nel suo intervento Metsola ha speso parole giuste per la lotta al cambiamento climatico, immaginando che l’Europa possa essere il primo continente con neutralità di emissioni, accennando vagamente a temi di giustizia sociale.

Al contempo però la nuova presidente del Parlamento europeo dice di pensare a un nuovo modello economico per la Difesa (ancora armi per militarizzare i confini?).

Indubbiamente la sua elezione sposta a destra il Parlamento europeo.

Molto ambiguo e preoccupante è anche il suo messaggio riguardo ai diritti delle donne. Ricordiamo che Metsola è religiosamente anti abortista. Non a caso l’ha votata la Lega, proprio per le affinità “sulla difesa dei valori della famiglia”.

E’ un fatto è che la giovane politica maltese abbia sempre votato contro le risoluzioni del Parlamento europeo che chiedevano ai Paesi dell’Ue di legalizzare l’aborto. Nazionalista è stata sempre ligia al suo Paese, Malta, che all’interno della Ue ha una delle leggi sull’aborto più severe al mondo. Dobbiamo aggiungere altro?

Cpr di Ponte Galeria, come e perché Wissem è morto?

Delle 67.040 persone sbarcate in Italia nel 2021, 15.671 provengono dalla Tunisia, la cui crisi economica e politica non conosce tregua. Dai porti, così vicini a Lampedusa, i migranti arrivano con i propri mezzi, finiscono nelle “navi quarantena” per poi essere o rimpatriati, distribuiti nei centri di accoglienza prefettizi o finire nei Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio). La vicenda di uno di loro, Wissem Ben Abdel Latif, è ancora lontana dall’essere chiusa. Wissem, un ragazzo di 26 anni dal fisico sportivo, era arrivato nei primi giorni di ottobre a Lampedusa e, seguendo la trafila, si era ritrovato nel Cpr romano di Ponte Galeria, in attesa del rimpatrio. 

Da quei giorni in poi le voci divergono: chi parla di stress psichico, chi di violenza subita dagli agenti di sorveglianza, fatto sta che l’ordine di rimpatrio di Wissem, mentre si trovava il 24 novembre all’ospedale Grassi di Ostia, era stato annullato. Invece il 25 è stato trasferito ad un altro ospedale romano, il S. Camillo, nel reparto psichiatrico, e trattenuto in un letto di contenzione. Il 28 novembre, alle 4,30 del mattino è stato trovato morto, per un arresto cardiaco le cui cause non sono state accertate. La famiglia è stata informata del decesso solo il 2 dicembre, l’autopsia eseguita senza neanche avvisare i genitori e, pochi giorni dopo il corpo è stato riportato in Tunisia. Mentre i parenti continuano a chiedere verità e giustizia, alcuni parlamentari, legali ed attivisti esperti in materia immigrazione cercano la risposta ad alcune domande. 

Perché il ragazzo non è stato rilasciato il 24 novembre? Corrisponde al vero che una parte della sua cartella clinica al San Camillo e relativa al monitoraggio della contenzione, sia andata persa? Durante la detenzione nel Cpr Wissem è stato sottoposto, come hanno affermato alcuni suoi connazionali, ad un vero e proprio pestaggio? Ha ricevuto farmaci che non doveva ricevere? Tanto il Cpr quanto l’ospedale si confermano buchi neri quando ci sono morti inspiegabili. La vicenda assume aspetti più inquietanti perché si lega al divieto di accesso che si continua ad applicare in alcuni Centri in cui vige una discrezionalità extra legem. 

Ai parlamentari è possibile entrare in qualsiasi momento invocando il proprio mandato ispettivo. Un tempo tale normativa, che permette loro di farsi accompagnare, valeva solo per gli istituti penitenziari ma con…

Nella foto: sit-in di verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif, Roma, 18 dicembre 2021

Mia A. ad esempio è una giovane insegnante romana inserita nelle graduatorie che servono proprio per le sostituzioni per malattia, maternità o congedo. Per pagare l’affitto e le bollette è costretta a…


L’articolo prosegue su Left del 14-20 gennaio 2022 

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Sì, è un reato

Eric Zemmour, a far-right former TV pundit with multiple hate-speech convictions arrives at the French national TF1 TV studio in Paris, Tuesday, Nov. 30, 2021, after officially entering the race for France's presidency. (AP Photo/Lewis Joly)

Eric Zemmour è il presunto giornalista, che sarebbe più corretto definire banalmente “polemista”, che in Francia si è candidato per l’estrema destra, creando non pochi grattacapi a Marine Le Pen che vede a rischio i suoi voti più estremisti. È uno di quelli che si definisce né di destra né di sinistra (sono quasi tutti di destra quelli che dicono così) e che finge di essere un uomo che arriva dal popolo nonostante alle sue spalle ci sia il miliardario Vincent Bolloré con la sua rete televisiva CNews.

Zemmour usa la solita strategia: sovranismo spinto, nazionalismo che sfocia nella xenofobia, difesa dei confini e la rivendicazione di una “purezza” francese che andrebbe preservata. Non male tra l’altro per un giornalista di origine ebraico-berbero algerina.

Dopo un primo exploit nei sondaggi Zemmour ora sta precipitosamente calando e per provare a recuperare qualche voto non può fare altro che solleticare gli istinti più bassi dei suoi potenziali elettori. Durante una trasmissione televisiva aveva bollato i profughi minori non accompagnati come «ladri», «assassini» e «stupratori». Lo so, sono scene che qui vediamo spesso. Solo che in Francia la legge conta qualcosa e quindi Zemmour è stato condannato a una multa di 10mila euro per istigazione all’odio razziale.

«Non hanno niente da fare qui, sono ladri, sono assassini, sono stupratori, ecco cosa sono; bisogna rimandarli indietro e fare in modo che non vengano», aveva detto Zemmour, che è stato citato in giudizio da una trentina di associazioni che si occupano di diritti civili e di immigrazione. Anche il direttore della rete televisiva CNews, giudicato assieme a Zemmour, dovrà pagare 5mila euro di multa. CNews è un’emittente di estrema destra che spesso è definita la “Fox News” francese.

Zemmour, tanto per fare capire lo spessore del candidato, qualche giorno fa ha proposto di separare gli alunni disabili dagli altri e di creare delle classi solo per loro. Sono parole, modi e espressione che la Storia ci avrebbe dovuto insegnare a riconoscere ma evidentemente in Europa (e qui da noi) funzionano ancora. Poi, per fortuna, c’è la legge.

Qualcuno (come l’avvocato del candidato francese) insiste nel definire queste affermazioni “libertà di espressione” e invece, anche se non se ne convincono, è un reato. A proposito: Zemmour sta anche crollando nei sondaggi. Perché la rabbia, l’odio e il razzismo difficilmente riescono a proporre progetti. Gli idoli dei razzisti rimangono nella storia per le loro rovinose cadute.

Buon martedì.

Scuola e pandemia: il governo, sbagliando, non ha imparato nulla

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 27 Agosto 2020 Roma (Italia) Cronaca : Apertura scuole post covid 19 sostituzione dei vecchi arredi con i nuovi nel rispetto delle normative anti contagio Nella Foto: la scuola Manin Photo Cecilia Fabiano/LaPresse August 27 , 2020 Roma (Italy) News: School opening after covid 19 spread In the pic : the Manin institute

Dopo le vacanze di fine anno con la quarta ondata causata dalla variante Omicron, il mondo della scuola italiana è caduto, come prevedibile, nuovamente nel caos. Da un lato il governo che ha deciso di procedere con il normale svolgimento delle lezioni in presenza anche a fronte di altissimi livelli di contagiosità; dall’altro presidi, sindaci e governatori hanno fatto pressione per posticipare il rientro degli alunni in classe e la reintroduzione della Dad (didattica a distanza) almeno fino a un’inversione di tendenza della curva.

In questa diatriba che sembra utilizzare sempre più l’unità di misura politica piuttosto che quella tecnica (nulla, per es., è stato fatto in questi due anni per mettere in sicurezza la scuola pubblica e garantire agli studenti la possibilità di seguire le lezioni in presenza con continuità), nessuno si è però focalizzato né dal punto di vista della dignità del lavoro né sui rischi per la salute, su chi in questi due anni di pandemia ha sostanzialmente retto il sistema scuola: gli insegnanti precari. Si tratta di centinaia di migliaia di persone che in alcune regioni sono il 40 o il 50% del personale docente e hanno coperto con le supplenze i giorni di malattia dei colleghi permettendo agli studenti di seguire regolarmente le loro lezioni.

Mia A. ad esempio è una giovane insegnante romana inserita nelle graduatorie che servono proprio per le sostituzioni per malattia, maternità o congedo. Per pagare l’affitto e le bollette è costretta a…


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L’epidemia burocratica (tratto da una storia vera)

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 10 Gennaio 2022 Roma (Italia) Cronaca : Super green pass al Bar Nella Foto : Controllo in un bar al centro Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse January , 10 2022 Rome (Italy) News : Super Green Pass ceck in a caffe In The Pic : a bar counter

Mentre fuori infuriava la narrazione dell’ondata Omicron che là fuori è descritta come semplice raffreddore ho preso per la terza volta negli ultimi 2 anni il Covid. Avevo in corpo 2 vaccinazioni, con terza dose booster già prenotata, e avevo già contratto la malattia. Come accade a tutti si raccolgono le informazioni dai media che ci sono intorno e ho avuto la sensazione che questa nuova variante l’avremmo presa tutti, superandola con “qualche starnuto e un po’ di tosse” come ripetono sognanti il fior fiore delle star televisive di quest’epoca.

Ho fatto due tamponi mentre il mio Commissario straordinario generale Figliuolo diceva che un po’ di coda ci avrebbe fatto bene e ci invitava a non drammatizzare quelli che secondo lui sono solo “piccoli disagi”. La somma delle ore di coda per effettuare i due tamponi (un primo negativo e uno positivo pochi giorni dopo) si attesta sulle 10 ore. Non male per i saldi. Ovviamente in coda con febbre alta, stanchezza e problemi di ipertensione e cardiaci. Forte, ‘sto raffreddore, mi sono detto.

Quando la situazione si è aggravata l’unica soluzione era “andare al Pronto Soccorso” (non mi pareva una grande idea) oppure “chiamare un’ambulanza”. Queste sono le istruzioni che ho ricevuto. Ho pensato che probabilmente qualcuno fosse in una situazione peggiore della mia, così ho potuto provare il brivido dell’auto-vigilanza: incrociare le dita e sperare che tutto andasse bene.

Lo scorso giovedì alle 13.07 ho effettuato il tampone che ha sancito la fine della malattia. Meglio: io pensavo che fosse finita la malattia e invece un certificato di guarigione mi è arrivato 2 giorni dopo. Ma non è quello che conta, con il certificato non ne faccio nulla: il tampone negativo mi ha concesso un Green Pass valido 72 ore. Le 72 ore sono scadute ieri alle 13.07. Solo che questo fine settimana avrei potuto lavorare partecipando a una trasmissione televisiva ma non avrei avuto modo di prendere un treno, di prenotare un hotel, di entrare in uno studio televisivo. Ieri ho fatto una gita in famiglia ma senza copertura di Green Pass quindi non potendo entrare ovviamente in nessun locale, mangiando all’aperto e altre cose così, quelle che i No Green Pass riprendono in diretta sui loro social per essere rivoluzionari e che invece io trovo una grande rottura di coglioni.

Dalla guarigione dello scorso giovedì io non posso lavorare e ascolto presunti grandi esperti che mi dicono che il problema per l’economia sono le persone che si ammalano, che non hanno sintomi e fanno finta di stare male, che per divertimento vogliono farsi un tampone e che si inventano scuse per stare a casa.

Alla fine ci diventi, Djokovic, anche se hai voglia di essere in regola. La pandemia burocratica però a differenza della pandemia sanitaria ha delle chiare responsabilità.

Buon lunedì.

Asilo politico a un giornalista, il paradosso messicano

«Julian Assange merita un’opportunità di riscatto. Sono a favore del suo indulto. Chiedo al segretario degli esteri di sollecitare al governo della Gran Bretagna la sua libertà, il Messico gli offre asilo politico». Con queste parole il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, rilancia la figura del Paese latino come terra di rifugio internazionale. Lo aveva già fatto pochi anni fa per il presidente boliviano Evo Morales che, prima di riparare in Argentina, era stato accolto proprio da Obrador, e lo ha ripetuto nei primi giorni del 2022. «Il diritto di asilo è un orgoglio della politica del Messico. Assange non rappresenta nessun pericolo per noi», ha ribadito in conferenza stampa, rivelando poi un particolare inedito. «Prima che terminasse il mandato di Trump, scrissi al presidente Usa chiedendo il perdono per Assange poiché, a fine mandato, i presidenti possono adoperarsi per questo atto. Non ebbi risposta». Non ci sono ancora riscontri sulla sua proposta al governo britannico, ma Obrador ha comunque ricevuto pieno sostegno dall’opinione pubblica messicana che, orgogliosamente, vede il proprio Paese aprire le porte a chi, dopo essere stato rifugiato 7 anni presso l’ambasciata dell’Ecuador a Londra, ora, in prigione in Inghilterra, rischia una condanna a 175 anni di carcere se estradato negli Stati Uniti. Il presidente ha quindi ribadito che la disponibilità del Messico a concedere l’asilo politico all’attivista australiano è un «gesto di fratellanza e solidarietà poiché il diritto di asilo è un punto di orgoglio della politica estera messicana». 

All’apertura umanitaria verso chi fa dell’informazione un ideale di vita, corrisponde l’altro lato della medaglia che vede il medesimo Paese indossare la maglia nera in tema di pericolosità per i propri giornalisti. E i numeri nel 2021 sono impietosi. Per la terza volta consecutiva il Messico, assieme all’Afghanistan, è in cima alla lista delle nazioni più letali per i giornalisti con sette professionisti uccisi. Non lo scrivono gli oppositori del presidente messicano, in crescita secondo le ultime elezioni, ma sono i dati di Christophe Deloire dal rapporto annuale di Reporters sans frontières.

Fredy López Arévalo, Manuel González Reyes, Jacinto Romero Flores, Ricardo López Dominguez, Saúl Tijerina Rentería, Gustavo Sánchez Cabrera e Benjamín Morales Hernández fanno parte della triste lista dei 47 giornalisti messicani morti negli… 


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