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Alzano e Nembro, in cerca di verità e giustizia ad un anno dalla strage

A picture taken on March 19, 2020 shows office lights of the Lombardy region headquarters, the Pirelli Tower (Il Pirellone) in Milan, reading the Italian words 'State a Casa' (Stay home) during the country's lockdown aimed at stopping the spread of the COVID-19 (new coronavirus) pandemic. - Italy braced on March 19, 2020 for an extended lockdown that could see the economy suffer its biggest shock since World War II from a pandemic that has killed almost as many people as it has in China. (Photo by MIGUEL MEDINA / AFP) (Photo by MIGUEL MEDINA/AFP via Getty Images)

Il 20 febbraio di un anno fa venne segnalato in Lombardia, a Codogno, il “paziente uno” affetto da Covid-19. In pochi giorni i casi aumentarono, soprattutto nel bresciano e nella bergamasca e i nomi di paesi come Nembro, Alzano Lombardo, Seriate, entrarono nella vita di molti. Cambiò l’esistenza di tutti e oggi, ancora dentro la pandemia, con le mille incognite delle varianti, si vive in un mondo diverso. Per ricordare quei giorni, con lo sguardo rivolto all’oggi abbiamo ascoltato Marco Caldiroli, presidente di Medicina democratica onlus, Francesca Nava, giornalista e autrice del libro Il focolaio (Laterza) e l’avvocata Consuelo Locati, coordinatrice del team legale per l’azione civile. Tre approcci complementari di chi la tragedia l’ha vissuta e l’affronta con ostinazione.

«Un anno fa all’inizio non comprendemmo l’entità di quanto stava arrivando – racconta il presidente di Md -. Poi quando aumentarono i contagi ci arrivò la sferzata. Mi sembrava di essere tornato a Seveso nel 1976 (il disastro della fuoriuscita della diossina dell’Icmesa). Allora capimmo la portata dei disastri ambientali, ora quelli della pandemia che sono connessi. In entrambi i casi si tratta dei frutti di un capitalismo che ritiene normale sfruttare l’ambiente e riversarvi i rifiuti senza limiti. Il lockdown è stato vissuto dai più attenti come un “castigo” e la pandemia come un presagio, l’ultimo avvertimento prima di una discesa irrefrenabile. E si è accettato un restringimento delle libertà per riesaminare e cambiare lo stato di cose esistenti. Penso che il virus sia l’anticorpo con cui il pianeta cerca di liberarsi del suo vero nemico».

Caldiroli racconta come da anni ci fossero in Lombardia persone consapevoli delle condizioni della sanità regionale; persone che combattevano contro le “riforme” di Maroni e Formigoni ma che non immaginavano il crollo repentino di un sistema sanitario ritenuto “eccellente”. «Il tarlo della privatizzazione e dell’interesse di pochi aveva scavato a fondo e i “comandanti sulla nave” continuavano nei loro intrallazzi pompando ancora il privato, come se dal problema potesse scaturire la soluzione mentre il sistema crollava loro addosso». L’avvocata Locati è di Seriate, in Val Seriana, 25mila abitanti, 308 morti di Covid-19 in un mese e mezzo. Si potevano evitare? Per lei è un sì convinto: «Quando hanno ricoverato mio padre – racconta – io sono entrata in un gruppo facebook e ho scoperto tante persone come me che mi hanno travolto con storie di dolore e di solitudine. Poi mio padre è morto, neanche sapevo dove lo seppellivano. Ma l’inferno era iniziato, nei nostri paesi sentivamo solo le sirene delle ambulanze, vedevamo gli infermieri scendere con le bare, tremavamo ad ogni telefonata. Si doveva e si poteva fermare tutto in tempo ma la…

Il 20 febbraio è indetta la Giornata di mobilitazione regionale “La salute non è una merce, la sanità non è un’azienda”, indetta dal Coordinamento lombardo per il diritto alla salute del quale è parte il Prc Lombardia. Con presidi e conferenze stampa in tutte le città e diretta web a partire dalle 10


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Secessione dei ricchi, ora purtroppo diventa realtà

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 13 febbraio 2021 Roma (Italia) Politica : Dopo aver giurato i Ministri lasciano il Quirinale Mariastella Gelmini , Renato Brunetta Nella foto : l’uscita dei Ministri dal Quirinale Photo Cecilia Fabiano/LaPresse February 13 , 2021 Roma (Italy) Politics : After the oath the Ministers leaves Quirinale Place In The Pic: Ministers leaves Quirinale Place Mariastella Gelmini , Renato Brunetta

Il re taumaturgo è nudo. Dopo le tante lodi incondizionate della stampa mainstrem il governo “dei migliori” propone una compagine di ministri fatta di politici e tecnici di una stagione che speravamo passata e consegna al Nord tutti i ministeri importanti.
Questa era evidentemente la vera missione affidata a Mario Draghi: comporre una task force di mandarini a difesa dello status quo, utile ad emanare “riforme” a vantaggio dei soliti potentati economici padani. I 209 miliardi del Recovery devono andare principalmente al Nord, il Sud non può illudersi di uscire dallo stato storico di subalternità.

Il capogruppo leghista alla Camera Riccardo Molinari addirittura lo dichiara in una intervista; con la Lega al governo «nessuna perequazione territoriale nel Piano di Rilancio». Più chiaro di così!
Ricorderemo il Recovery come l’ennesima occasione sprecata per il Paese e per il Sud, visto che i parametri europei fissati per la ripartizione di fondi dicono di destinare maggiori risorse a quei territori «con più residenti, maggiore disoccupazione e prodotto loro interno inferiore». Non a caso il nuovo ministro allo Sviluppo economico è Giancarlo Giorgetti, messo a guardia degli interessi dell’imprenditoria del Nord, così come richiesto da Confindustria. È il leghista che fece secretare nel 2015, durante una audizione alla Commissione bicamerale federalismo da lui presieduta, i dati sulla perequazione e i motivi per i quali i Lep non sono mai stati determinati, creando così un enorme danno economico alle Regioni del Sud.

La decisione poi di affidare il ministero del Sud a Forza Italia e alle sue clientele sprofonda il Mezzogiorno nei suoi 160 anni di solitudine: nessuna equa ripartizione è più possibile. Mara Carfagna, ministra del Sud, è una foglia di fico, non essendo mai stata attiva sui temi della questione meridionale. Il Sud così scompare dalla compagine governativa, non solo come dato anagrafico, ma politico, perché gli enormi divari da colmare non sono rappresentati in alcuno modo e i settori produttivi e le risorse in arrivo saranno gestite da uomini di partiti e lobby a trazione nordista. Ben 9 sono infatti i ministri lombardi in questa compagine, solo 4 del Sud nessuno delle Isole. In tutto 23 ministri, di cui 15 politici e 8 tecnici. Tre su quattro vengono dal Nord. Solo 8 le donne.
Che succederà ora all’Italia con l’avvento del governo Draghi?
Un rilancio della richiesta di autonomia differenziata è scontato. La Lega di Salvini entra nel governo anche per passare all’incasso sul tema, dopo tanta attesa. Anche il Pd nel documento presentato a Draghi durante le consultazioni a pagina 26 dà il…

*-*

L’autore: Natale Cuccurese è presidente del Partito del Sud.

Il 20 febbraio alle 10 tavola rotonda “Il Sud con il cappello in testa dice no al governo Draghi” sulla pagina fb del laboratorio Sud


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Chiesa e pedofilia, in Italia è il delitto perfetto

Activists perform in a happening against the members of Polish catholic church hierarchy who had been covering up sex scandals. Krakow, Poland on December 6th, 2020. Recently, Cardinal Stanislaw Dziwisz, a close associate of Pope John Paul II, has been accused in the private Polish broadcaster TVN24 documentary titled 'Don Stanislao. The other face of Cardinal Dziwisz' of covering up scandals involving priests guilty of child sex abuse and that during his time in the Vatican he protected perpetrators in exchange for money for his favoured projects. (Photo by Beata Zawrzel/NurPhoto via Getty Images)

Una curiosa coincidenza. A fine novembre del 2010 partecipai a una Conferenza internazionale organizzata a Roma dal ministro delle Pari opportunità in cui si lanciava una campagna del Consiglio d’Europa per combattere la violenza “sessuale” sui minori. L’Italia quattro mesi prima aveva ratificato la Convenzione di Lanzarote sottoscritta nel 2007, vale a dire il primo strumento giuridico che impone agli Stati europei di «criminalizzare tutte le forme di abuso sessuale nei confronti dei minori, ivi compresi gli abusi commessi entro le mura domestiche o all’interno della famiglia, con l’uso di forza, costrizione o minacce».

Ricordo che intervenni per fare una domanda al ministro: «La ratifica della Convenzione e quindi il rispetto della stessa farà sì che finalmente anche in Italia – come è accaduto proprio quest’anno in numerosi Paesi europei (tra cui Belgio, Olanda, Gb, Germania, Irlanda) – Stato e Conferenza episcopale mettano in piedi una commissione d’inchiesta congiunta su scala nazionale per indagare sulla diffusione della pedofilia di matrice clericale nel nostro Paese?». La risposta del ministro fu: «No, non è in programma nessuna commissione d’inchiesta di questo tipo». Il monsignore che sedeva accanto al ministro annuì soddisfatto. Mi chiesi cosa ci facesse un porporato in quella sede dato che il Vaticano non aveva sottoscritto la Convenzione, tanto meno l’aveva ratificata, ma non potei esprimere pubblicamente la perplessità perché ormai la mia domanda l’avevo fatta e da come mi guardarono i colleghi giornalisti difficilmente mi avrebbero lasciato intervenire nuovamente. Del resto si era lì per celebrare la Convenzione. E la celebrarono.

Poco più di tre anni dopo pubblicai in un libro la mia personale inchiesta sulla diffusione della pedofilia nella Chiesa italiana dal 1870 ai nostri giorni. Dati, documenti e testimonianze alla mano la conclusione è stata che di un’indagine istituzionale ce n’era (e ce n’è) assolutamente bisogno. Innanzitutto per mappare e dare una reale dimensione a questo fenomeno criminale che senza soluzione di continuità è presente e diffuso da decenni in tutte le oltre 200 diocesi italiane. E in seconda battuta per sensibilizzare l’opinione pubblica che fa molta fatica a inquadrarne la spaventosa ramificazione nella nostra società a causa anche di una scarsa e timorosa copertura mediatica di questi fatti. è indubbio che continuare a far finta che il problema non esista non sia di grande aiuto. Quindi personalmente ritengo che…

 

 

 

L’appuntamento
Un webinar internazionale per fare il punto sul “Caso Italia” e la violazione della Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia e della Convenzione di Lanzarote da parte del nostro Paese, laddove i presunti responsabili dei crimini contro i minori appartengono al personale ecclesiastico. L’incontro si svolgerà il 20 febbraio dalle ore 16 in diretta streaming sulla pagina Fb dell’associazione Ending clergy abuse (trad. simultanea in italiano – inglese – spagnolo) ed è rivolto ai media e agli attivisti di questa causa nel mondo, così come ai tecnici membri di Eca nei loro differenti Paesi. L’evento prende il titolo – “Il caso Italia” – da quello del Report discusso alle Nazioni Unite il 24 e 25 gennaio 2019 e sarà moderato dagli avvocati Tim Law, presidente di Eca Global, e Adalberto Méndez (Eca Messico) alla presenza della ex vicepresidente del Comitato dell’Onu per la tutela dell’infanzia Sara Oviedo Fierro e di uno dei membri in carica del Comitato, Jorge Cardona Llorens. Cardona è colui che nel gennaio del 2019 ha portato in seduta a Ginevra l’informativa della Rete L’Abuso le cui conclusioni sono al punto 21 delle raccomandazioni (inascoltate fino a oggi) che l’Onu ha fatto all’Italia. Intervengono infine anche il presidente della Rete L’Abuso, Francesco Zanardi, l’avvocato della Rete L’Abuso, Mario Caligiuri, e Federico Tulli, redattore di Left.


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E fu così che Draghi sdoganò Salvini in Ue

Foto Alessandro Di Meo/POOL Ansa/LaPresse 09 febbraio 2021 Roma, Italia Politica Seconda tornata delle consultazioni tra il premier incaricato Mario Draghi e i gruppi parlamentariNella foto: Matteo Salvini - LEGAPhoto Alessandro Di Meo/POOL Ansa/LaPresseFebruary 09, 2021 Rome (Italy) Politics Premier-designate Mario Draghi starts a new round of consultations with Italy's political parties on the formation of a new broadly-backed government. the pic: League party, Matteo Salvini

Tutti a discutere di Mario Draghi austero o keynesiano ma la vera mossa fatta dal banchiere è politica: sdoganare la Lega. In questo va oltre Silvio Berlusconi che fece cadere la conventio ad excludendum sugli ex missini.
Lo sdoganamento di Matteo Salvini non avviene dentro una coalizione di centrodestra ma addirittura in un governo del Presidente e in cui siedono tutti, o quasi. Quelli dell’“Italia non si Lega” stanno ora nello stesso Consiglio dei ministri con la Lega. Si dirà che già accadde con Mario Monti. Ma la situazione è diversa. Allora si veniva da un governo Berlusconi e la Lega non aveva né la forza né il profilo che Salvini le ha costruito in questi anni. La mossa di Draghi è poi destinata ad avere effetti anche nell’Unione europea. Difficile pensare che un mister Europa per eccellenza qual è l’ex presidente della Bce non abbia pensato alle conseguenze europee di questa sua scelta.

La Lega a Bruxelles ha fatto un percorso che l’ha portata dalla collocazione degli esordi con i liberali, ai non iscritti, all’alleanza con Nigel Farage, a quella odierna, con Le Pen e l’AfD tedesca. Un gruppo di populisti e destre considerato dalle logiche di Bruxelles “non alleabile” come non alleabili sono diversi dei partiti che lo compongono nei loro Paesi. La scelta di Draghi dunque non è di poco conto.
Anche perché a settembre Merkel darà l’addio al cancellierato. Draghi potrebbe essere a quel punto il principale leader europeo naturalmente tenendo conto dei rapporti di forza che relegano comunque l’Italia dietro Germania e Francia. In Germania la scelta per il dopo Merkel nella Cdu è caduta su Armin Laschet il candidato più continuista e alieno ad aperture all’estrema destra dell’AfD. Che abbia però la forza di diventare anche candidato cancelliere e di mantenere la chiusura a destra è tutto ancora da vedersi. Le spinte nella Csu bavarese, alleata della Cdu, e nella stessa Cdu a far cadere il veto sono molto forti. Già qualche mese fa in Turingia la Cdu locale accettò una convergenza con AfD in chiave anti Linke salvo venire smentita dai vertici nazionali e dover far rapidamente marcia indietro. Per altro il tema del cambio di maggioranza in Germania è ampiamente discusso vista la stanchezza della formula della grande coalizione tra socialdemocratici e democristiani, per altro divenuta sempre meno grande elettoralmente. La scelta che ad oggi sembra prevalente è un…


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Fabrizio Pregliasco: Lockdown più duro, le ragioni del sì

Come agiscono le nuove varianti del coronavirus e perché dobbiamo temerle? Quale sarà il loro impatto sull’efficacia di vaccini, terapie e screening? Qual è la strada più efficace che la scienza ci indica per poter affrontare questa delicatissima fase della pandemia, alla vigilia di un probabile innalzamento delle curve del contagio, e dunque della conta giornaliera di positivi, ricoveri e decessi? Abbiamo fatto il punto della situazione con Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore dell’Istituto Galeazzi di Milano.

Innanzitutto dottore, cosa sono queste varianti e come funzionano?
Si tratta di un fenomeno che ci aspettavamo con certezza, perché tutti i virus tendono a modificarsi e a trovare nuove varianti più efficaci. I virus a Rna, come il nuovo coronavirus o quello dell’influenza, in particolare, sono molto bravi in questo. Perché commettono errori di replicazione con grande frequenza, che permettono loro di sfruttare a proprio vantaggio il principio darwiniano del caso e della necessità. Questi errori infatti talvolta rendono il virus più infettivo. Questo patogeno, ricordiamolo, è diventato pandemico grazie ad una sua peculiarità, quella di generare infezioni inapparenti in una grande quota di persone. Qui risiede la sua forza. Contrariamente ad esempio al virus Ebola, che possiamo considerare più “stupido”, nel senso che aggredisce in modo pesante la persona, spesso la uccide, e questo rende molto più difficile la sua trasmissione. Intorno a sé fa rapidamente terra bruciata, per così dire, e sono sufficienti misure di quarantena per arginare la sua diffusione.

Perché si parla principalmente delle varianti brasiliana, inglese e sudafricana?
Occorre fare una premessa. Le mutazioni rilevate della sequenza genetica del Sars-Cov-2 sono circa 12mila. Ma molte sono irrilevanti. Quelle che ci interessano son quelle che presentano mutazioni particolari, che modificano ad esempio la conformazione della proteina Spike, “l’uncino di aggancio” del virus, rendendola più efficace. Le varianti di cui stiamo parlando in questi giorni, quella inglese, sudafricana e brasiliana – denominate col primo luogo in cui le abbiamo rintracciate, che potrebbe però non essere il luogo in cui si sono generate – evidenziano una maggior carica virale a livello salivare, a livello delle vie aeree. Dunque una carica virale più facilmente diffusiva. La patologia che provocano di per sé non pare essere più letale, ma l’effetto indotto, il maggior numero di casi, determina una maggiore mortalità.

Quanto sono diffuse queste mutazioni?
In base alle stime campionarie elaborate dall’Istituto superiore di sanità (Iss), la variante inglese avrebbe il 17,8% di diffusione in Italia. Ma potrebbe essere una stima da rivedere al rialzo. L’individuazione delle varianti avviene attraverso un’indagine di secondo livello che si esegue sui test positivi, il cosiddetto sequenziamento, cioè l’individuazione di…


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Lombardia in tilt, ancora

Varrebbe la pena andare a rivedere le immagini di Fontana e Gallera mentre assicuravano di non avere nulla da rimproverarsi sulle azioni messe in campo da Regione Lombardia per fronteggiare la pandemia. Varrebbe la pena scrutare con attenzione, tenerle bene a mente, quelle facce così convinte, quasi con sicumera, mentre accusavano noi giornalisti di voler remare contro, di vedere errori che non esistevano, mentre garantivano che tutto andava bene, che tutto sarebbe andato bene, che i vaccini antinfluenzali sarebbero stati fatti, che la Lombardia era solo vittima di una serie sfortunata di circostanze. Quelle circostanze sfortunate in effetti erano loro.

Gallera non c’è più, silurato perché ingenuo nelle dichiarazioni e perché gran collazionatore di figure di tolla (come si dice in Lombardia). È stato il capro espiatorio perfetto per essere linciato in nome della salvezza di tutti gli altri. Qualcuno ha osato pensare che avere cacciato Gallera fosse un’ammissione di colpa ma anche in questo caso Fontana se l’è presa sul personale e ha avuto il coraggio di dirci che no, che Gallera era solo un po’ “stanchino” (ha avuto il coraggio di dire davvero così). Peccato che qualche settimana dopo proprio Gallera si sia lasciato sfuggire in una trasmissione di una televisione locale che no, non era stanco, e che era stato Salvini a silurarlo.

Poi è arrivata Letizia Moratti con una nomina che ha tutto il sapore di un commissariamento. Ma come? La fulgida Lombardia aveva bisogno di una perdente per risollevarsi? Niente, non hanno mai risposto. Tra l’altro Moratti non ha fatto rimpiangere per niente Gallera in tema di figure barbine iniziando subito a bomba con la sua proposta di un vaccino in base al Pil. Intanto la campagna vaccinale antinfluenzale è miseramente fallita e finita. Poi ci hanno detto che entro giugno avrebbero vaccinato tutti i lombardi. Ora dicono che no, che si erano sbagliati. È arrivato pure Bertolaso. Ma come? Ma mica la Regione era talmente brava e competente?

Poi è successo che Regione Lombardia abbia chiuso dei comuni, trasformati in zona rossa per le varianti del virus. Ma come? Ma mica Fontana ci aveva detto che era compito del governo? E ora invece si può? E perché allora non si è chiusa la bergamasca? Quanti morti si potevano risparmiare? Nessuna risposta.

Ieri è stato fatto fuori il direttore generale alla Sanità Marco Trivelli. Sono rimasti sorpresi anche i consiglieri di maggioranza. Il comunicato della Regione è imperdibile: «Si tratta di destinare un’importante risorsa in termini di competenza ed esperienza alla guida di un’area strategica per la quale l’assessorato al Welfare di Regione Lombardia vuole riservare la massima attenzione». L’hanno spedito all’ospedale di Vimercate, il direttore generale, e vogliono farci credere che sia quasi una promozione.

Per inciso: Trivelli aveva sostituito 8 mesi fa, sotto Gallera, Luigi Cajazzo, oggi indagato dalla procura di Bergamo per il caso dell’ospedale di Alzano Lombardo, riaperto il 23 febbraio 2020 nonostante l’accertamento dei primi casi di Covid. Trivelli era quello che difendeva Fontana sui dati sbagliati inviati da Regione Lombardia, quello che ci assicurava che i vaccini antinfluenzali stavano andando alla grande.

Alla grande, proprio, sì, si va alla grande in Lombardia.

Buon venerdì.

Giorgio Parisi: Per difenderci dalla variante inglese occorre un lockdown più duro

Un unico lockdown duro per un paio di settimane, forse tre, su tutto il territorio nazionale, o proseguire secondo il metodo degli interventi selettivi con mini lockdown locali? Rafforzare le misure in tutta Italia o inasprirle di volta in volta solo nelle regioni o province più colpite?
Le misure di “difesa” da adottare contro la diffusione delle varianti del Covid-19 (inglese, sudafricana, brasiliana sono quelle più note) sono il primo vero banco di prova che dovrà affrontare il nuovo governo Draghi che, prima ancora di ottenere la fiducia in Parlamento, ha già dovuto fare i conti con le frizioni tra i diversi schieramenti politici che lo compongono, in merito all’opportunità di aprire gli impianti sciistici e salvare almeno in parte la stagione oppure di mantenerli chiusi e contribuire a evitare rischi di natura sanitaria che gli inevitabili assembramenti presso gli impianti avrebbero portato con sé.
L’allarme della comunità scientifica e degli esperti in generale è abbastanza chiaro e va nella direzione di una stretta: fino a quando non si rallenta la corsa del virus è pericoloso pensare a un allentamento delle restrizioni in vigore. Su questo l’Istituto superiore di sanità (Iss), il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie e il Comitato tecnico scientifico sono concordi. Semmai la divisione c’è sulla linea da seguire: lockdown nazionale (sperando che sia l’ultimo) o interventi mirati?
Insomma, prima l’economia o prima la salute? La questione è tutta qui ormai da un anno. Ma la decisione a livello politico è da prendere in fretta. Il 15 febbraio l’Iss, a proposito della cosiddetta variante inglese, che è presente ormai nell’88% delle regioni italiane ha emesso una nota in cui «si raccomanda di intervenire al fine di contenere e rallentare la diffusione della variante Voc 202012/0, rafforzando/innalzando le misure in tutto il Paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto».

Da un report dell’Iss che aggiorna la situazione al 4-5 febbraio emerge che la variante inglese è diventata prevalente in diverse regioni con picchi del 59%. A Pescara, per es. il 65% dei contagi è imputabile ad essa stando alle stime del laboratorio di Genetica molecolare dell’Università di Chieti. Del resto il gruppo britannico Nevertag (New and emerging respiratory virus threats advisory group) che assiste il governo Johnson nella gestione della pandemia, basandosi su 12 indagini indipendenti condotte in Gran Bretagna dove la variante è stata scoperta il 20 settembre 2020, ha stimato che Voc 202012/0 è più contagiosa dal 30 al 50%. E se a questo si aggiunge che potrebbe comportare una mortalità superiore dal 30 al 70% rispetto alle altre varianti «non preoccupanti» in circolazione, il contesto in cui si devono fare delle scelte è piuttosto chiaro.
Scelte che si inseriscono in un quadro sanitario che in Italia da inizio febbraio appare stazionario – mediamente circa 11mila nuovi casi giornalieri e poco più di 300 decessi al giorno – ma che potrebbe mutare velocemente. In peggio. Peraltro circa 330 decessi giornalieri corrispondono a 5mila morti a causa del Covid-19 in 15 giorni, ma tutto ciò, considerando le polemiche infuocate a cui abbiamo assistito per l’impossibilità di andare a sciare, non sembra fare notizia. Come se ci fosse ormai una assuefazione diffusa a questo pesantissimo bilancio di vite umane perse, che durante la seconda ondata è stato ancora peggiore di marzo-aprile dello scorso anno.

A partire da questi dati e considerazioni abbiamo rivolto alcune domande al professor Giorgio Parisi, fisico teorico tra i massimi esperti nel campo della meccanica statistica e presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, per aiutarci capire quale potrebbe essere sia nell’immediato che a lungo termine la strategia migliore per difendersi dal virus.
«Per prima cosa, come antidoto all’assuefazione ai bollettini, farei un confronto: sia nel 2019 che nel 2020 i morti sul lavoro sono stati circa 1.200, numero che corrisponde al totale dei decessi da Covid-19 negli ultimi 4 giorni. E se vogliamo farne un altro, nel 2019 sono morte 3.130 persone in seguito a incidenti d’auto, poco più della metà dei decessi da Sars-cov-2 registrati nelle prime due settimane di febbraio. Dopo di che entrando in medias res direi che l’obiettivo principale fino a oggi è stato quello di cercare di evitare la saturazione del Servizio sanitario nazionale e in particolare che andassero in crisi le terapie intensive e gli ospedali. Perché tutto ciò avrebbe ricadute pesantissime non solo sulle cure di chi è stato contagiato dal virus ma su tutti i malati più gravi. Nonostante questa strategia c’è comunque un enorme problema rappresentato dalle migliaia di persone che hanno dovuto rimandare per mesi per esempio visite oncologiche o connesse a problemi cardiaci. Quindi la medicina di prevenzione è stata fortemente messa in crisi e questo nel lungo periodo comporterà dei guai».
Attualmente i posti “occupati” in terapia intensiva (Ti) sono poco meno di 2.100 e i nuovi ricoveri giornalieri da febbraio stazionano stabilmente sotto le 20mila unità. «La politica adottata consiste essenzialmente nel cercare di tenere le Ti non sopra i 2mila posti e l’occupazione dei posti letto intorno a 20mila. Quindi quando il livello scende si tende a riaprire. Si tratta di una strategia realizzata in maniera tale da salvare il Ssn come primo obiettivo, e compatibilmente come secondo obiettivo, l’economia. La mia impressione è che il contenimento del numero dei morti sia al terzo posto». Parisi a questo…


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Un governo per niente impolitico

Il governo Draghi, quello che fa sognare i portatori d’acqua delle élite e i nuovi feticisti del merito usato come termometro personale per poter giudicare il mondo, ha già fissato un nuovo record: i suoi ministri hanno cominciato a litigare tra di loro quarantotto ore dopo il giuramento, due giorni prima addirittura di ottenere la fiducia, nemmeno il tempo di tornare a casa e svestirsi dei vestiti di ordinanza che erano serviti per apparire sobri. Tolti i vestiti, tolta la sobrietà. Il punto dirimente è stata la chiusura all’ultimo momento delle piste da sci alla luce dei nuovi dati sanitari (tra l’altro l’ennesimo colpo a un’economia che prova faticosamente e costosamente a rialzarsi e poi si ritrova con le gambe spezzate dal virus) ma non preoccupatevi perché sarebbe potuto accadere su un tema qualsiasi e accadrà, vedrete, su un altro milione di punti. Comunque è bastato il decreto firmato dal ministro Speranza (che mica per niente fino all’altro ieri era il capo della “dittatura sanitaria” strillata da destra) per accendere le voci di chi ha corso per scrollarsi di dosso la responsabilità e per apparire critico del governo per sembrare dalla parte dei lavoratori. In prima fila, ovviamente, ci sono stati i leghisti che sono quelli che più di tutti hanno meno da perdere nel fare gli sfascisti dall’interno e continuare a ondeggiare tra l’essere critici e responsabili, sovranisti e europeisti, patrioti e cosmopoliti.

Le bordate di Salvini, dei presidenti di Regione e dello Stato maggiore del partito avevano un unico obiettivo: scaricare su Speranza tutta la responsabilità, promettere che con loro queste cose non sarebbero mai più accadute e lanciare a Draghi il chiaro messaggio che loro no, non staranno tranquilli. Tant’è che proprio Palazzo Chigi (e hanno scritto tutti “Palazzo Chigi” perché gli tremano le dita a scrivere “Draghi”) ha dovuto smentire la fiumana critica che stava montando chiarendo che la decisione era stata condivisa in Consiglio dei ministri. Ovvero: questi fanno finta di non sapere e invece sono responsabili durante le riunioni con la maggioranza e poi si fanno esplodere appena gli capita davanti un microfono. E sarà così, sarà sempre così, sarà sempre di più così. Spiace anche vedere in giro gente che esulta confidando veramente sul fatto che Draghi riesca a tenere a bada i suoi ministri e i suoi sottosegretari: potrà anche accadere (sarà ben difficile, secondo me nemmeno questo accadrà) ma Draghi non potrà mai permettersi di zittire i partiti e sarà proprio dai partiti che arriveranno le bordate e non è un caso che i leader di partito si siano tenuti ben attenti tutti le mani libere. Ora da questo piccolo ma significativo episodio si può subito capire una cosa ben chiara: siamo di fronte a un governo con una connotazione fortemente politica (il “governo di quasi tutti i partiti”, altro che il governo dei tecnici) e noi dobbiamo valutarlo per questo. E allora che governo è il governo Draghi? La squadra di governo statisticamente disegna l’identikit di un maschio 55enne lombardo-veneto con 6 ministri di centrodestra (3 ciascuno per Lega e Forza Italia), 4 del M5s, 3 del Pd, 1 di Leu e 1 di Italia viva. Bastano le statistiche per capire di cosa stiamo parlando? Siamo di fronte a un governo con una maggioranza di ministeri dati al centrodestra (i numeri parlano) con il più promettente partito di destra, Fratelli d’Italia che presto volerà nei sondaggi, a capo dell’opposizione, con tecnici che provengono da una cultura bancaria a occupare le altre caselle, con una forte impronta cattolica (se non addirittura omofobi di derivazione ciellina) e con idee tutte’altro che progressiste in tema di diritti civili. Un governo, per intendersi, che dalle urne sarebbe uscito se la coalizione di Salvini e Berlusconi e Meloni avesse ottenuto la maggioranza dei voti e avesse potuto godere dell’appoggio esterno del presunto centrosinistra.

Questa è l’impronta, questa è la storia delle persone che sono al comando e non si capisce per quale ragione da un composto del genere dovrebbero uscire idee totalmente opposte ai loro curriculum. Allora forse conviene fare un patto, almeno con i lettori, e decidere che sia subito il caso di uscire da questo messianismo che ha immobilizzato un bel pezzo dell’opinione pubblica e che si cominci da subito a valutare il governo Draghi con lo stesso occhio clinico e attento che si userebbe per un governo di cui temiamo le mosse. Questo non per un miope pregiudizio di ideali (chi non si augurerebbe di vivere in un Paese che abbia la fortuna di trovare un ottimo governo?). Ma perché se continuiamo a rimanere imbrigliati nel tranello di considerare questo esecutivo “impolitico” allora saremo sempre pronti a digerire qualsiasi sua azione come “la meno peggio delle mediazioni possibili”. È un governo larghissimo? Sì, è vero, ma la responsabilità di tutta questa ampiezza se la sono presa Draghi e il presidente della Repubblica e se davvero siamo nell’epoca del “merito” allora se ne assumeranno tutte le responsabilità.


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L’intergruppo “Smutandati da Draghi”

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 17-02-2021 Roma Politica Senato - Voto di fiducia al governo Draghi Nella foto Applausi di Matteo Salvini al termine dell'intervento di Draghi Photo Roberto Monaldo / LaPresse 17-02-2021 Rome (Italy) Senate - Vote of confidence on Draghi's government In the pic Matteo Salvini

C’è talmente tanta ansia di comunicazione che alla fine tutti si esercitano nel solito esercizio: immaginare un programma di governo dalle parole di un discorso di insediamento vale più o meno come cavare il sangue da una rapa, soprattutto se il discorso al Parlamento è un elenco sartoriale (come l’oratore) di buoni propositi che possono voler dire tutto e il suo contrario.

Certo ieri Draghi ha fissato dei paletti e degli obiettivi dal profilo alto e di natura ambiziosa ma cosa ci possa essere dietro è ancora tutto da vedere. C’è dentro molta Europa (poi ci torniamo) com’era inevitabile che fosse ma bisogna capire se l’idea «di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio comune» indica una comunità di fatturati o di persone, c’è dentro la scuola ma si insiste sui «giorni di lezione persi» ed è un’affermazione falsa e piuttosto di pancia, c’è dentro finalmente la questione femminile collegata all’occupazione (ha detto Draghi: «aumento dell’occupazione, in primis, femminile, è obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità, sicurezza sono strettamente legati all’aumento dell’occupazione femminile nel Mezzogiorno») ma bisognerà vedere ovviamente come risolverla, c’è dentro molto ambiente (del resto lo chiede l’Europa, davvero), c’è dentro la cura per il patrimonio culturale anche se nella solita perversa visione della sua messa a reddito «per il turismo», c’è dentro la riforma strutturale del fisco che non può essere il mettere o togliere questo o quel balzello ma che ha bisogno di un pensiero totale che ne tocchi tutto l’impianto (ma bisogna vedere a favore di chi), ci sono dentro i giovani (quelli non mancano mai nei discorsi politici), c’è dentro il lavoro con una responsabilità politica enorme (scegliere quali aziende sostenere è una delle scelte più politiche che spetta a un governo, altro che tecnici), c’è dentro la promessa di politiche attive per i lavoratori (ma anche su questo non resta che aspettare i concreti provvedimenti). Volendo vedere ci sono anche parole che speriamo di avere interpretato male sull’immigrazione visto che è stata proposta come questione europea e l’esternalizzazione delle frontiere messa in atto dall’Europa è roba vergognosa che andrebbe rivista: nessuna parola su cittadinanza e integrazione, ad esempio. Parlando di ambiente è riuscito a buttarci dentro anche un ipotetico dialogo con il Signore, eh vabbè. Vedremo, osserveremo, vigileremo.

Però la giornata di ieri è stata anche e soprattutto la giornata dello smutandamento di politici ingarbugliati in capriole che sono stati smascherati da un governo che tra i suoi pregi ha sicuramente quello di svelare la bassa natura di alcuni protagonisti.

Per chi aspettava ad esempio con curiosità le parole dei renziani di Italia viva sul Mes che per Renzi era dirimente per l’eventuale fiducia al governo Conte (il 17 gennaio scorso disse «non voterò mai un governo che si ritiene il migliore del mondo e di fronte a 80mila morti non prende il Mes») c’è la fenomenale dichiarazione di Faraone: «Ci chiedono strumentalmente perché non chiediamo più il Mes. Non lo facciamo perché il nostro Mes è lei, presidente Draghi, e questo governo». Ecco, credo che non servano altri commenti.

Per chi ci diceva che il Recovery plan del precedente governo fosse “uno schifo” arrivano le parole di Draghi che confermano invece la «grande mole di lavoro» del governo precedente e l’intenzione di continuare in quella direzione. Così, per capire quanta ipocrisia ci siamo sorbiti nei giorni scorsi.

Draghi ha parlato di un rafforzamento della sanità territoriale e di fianco aveva Giorgetti, quello che diceva: «Mancheranno 45 mila medici di base, ma tanto nessuno va più da loro. È un mondo finito». Una scena epica.

Ma il campione delle giravolte è ovviamente Matteo Salvini che ieri è diventato turbo europeista lanciandosi a dire: «Vogliamo l’Europa 7 giorni su 7». Draghi ha parlato dell’irreversibilità dell’euro e lui si è inzerbinato, Draghi ha parlato di cessione della sovranità e il sovranista ha fatto sì sì con la testina. Un massacro. Se avete voglia di divertirvi andatevi a leggere i commenti dei suoi elettori sotto i suoi profili social: un’arena contro il capitano. Giorgia Meloni se la ride.

Lo slurp del giorno, manco a dirlo, lo vince Raffaella Paita di Italia viva: «Tra gli aspetti che mi hanno colpito del discorso di #Draghi c’è un dettaglio che probabilmente non tutti hanno notato. Quando veniva interrotto da applausi ricominciava il periodo dall’inizio per rispettare il rigore del ragionamento. #questionedistile #senato», ha scritto ieri. Evviva.

Buon giovedì.

Il linguaggio vivo di Giordano Bruno

Il 17 febbraio, andrà in onda su Radio Frammenti, progetto radiofonico ideato e diretto da Maria Genovese, un’intervista ad Angela Antonini e Paola Traverso, autrici nel 2011 di un adattamento drammaturgico in forma di monologo del Candelaio di Giordano Bruno. Nei prossimi mesi verranno proposti degli approfondimenti sull’opera in una serie di puntate radiofoniche. Ho seguito il loro percorso di studio e messa in scena iniziato dieci anni fa e alcune delle numerose e prestigiose tappe, condividendo una ricerca appassionante sulla questione della lingua italiana e del “volgare bruniano”, che toccherò qui nei suoi punti essenziali.
Giordano Bruno, dopo il De umbris idearum che racchiude in sé i fondamenti teorici della sua «nova filosofia» pubblica Il Candelaio, una commedia in volgare, perché?

Autorevoli studiosi sono concordi nell’affermare che la scelta del volgare non sia stata casuale in quanto dal 1583 al 1586, tra Parigi e Londra, Bruno pubblica anche i sei dialoghi italiani ma continua a scrivere opere in latino.
Questa scelta si può spiegare da una parte con la volontà di esprimere la sua filosofia con un linguaggio nuovo, lontano dal latino pedantesco praticato nelle università e strettamente legato al chiuso universo aristotelico; dall’altra con una consuetudine già ampiamente attestata nei testi scientifici delle corti europee. Inoltre, i dialoghi filosofici come anche le commedie erano due generi di successo nel Rinascimento. Bruno li utilizza entrambi, ma ne stravolge i canoni e finisce per inserire elementi del dialogo nella commedia e elementi teatrali nel dialogo sconvolgendo le regole imposte dai grammatici pedanti.

Il rifiuto interno unito alla consapevolezza che un pensiero nuovo “imponeva” un linguaggio nuovo, lo spingeva a cercare forme espressive corrispondenti al suo pensiero che non poteva trovare in una lingua morta come era ormai il latino, ma in una lingua viva che poteva nascere solo da un pensiero legato al corpo e alla propria esperienza di vita e sceglie il volgare che aveva in sé la vitalità, la vivacità, la musicalità del suo idioma natìo e di quelli dei tanti novizi del convento napoletano di S. Domenico provenienti da tutte le regioni italiane.
Un fiume in piena al disciogliersi delle nevi, reso vigoroso da mille rivoli ed affluenti con espressioni dialettali, proverbi popolari, metafore oscene, figure retoriche, forme sintattiche esasperate, utilizza tutti gli elementi della scrittura per esprimere la…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 febbraio 2021

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