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La grande occasione

Si comprende la soddisfazione delle associazioni ambientaliste per essere state sentite da Mario Draghi, durante le consultazioni per la formazione del nuovo governo. Assumere Legambiente, Greenpeace e Wwf come interlocutori sociali, al pari di sindacati e Confindustria, però ha per adesso solo un forte significato simbolico. È prematuro dire se al segnale dato seguiranno poi i fatti. Questa è una partita aperta, rispetto a cui in primo luogo va deciso se vale la pena giocarla e su quali contenuti farlo o al contrario se la si considera già persa in partenza e ci si deve limitare a registrare il significato simbolico positivo del gesto. È una decisione che spetta alle associazioni ambientaliste, ma non sarebbe ininfluente se la loro scelta fosse il prodotto di un’ampia discussione, un’occasione di confronto fra movimenti, magari con priorità e sensibilità diverse, ma comunque tutti interessati a considerare la riappacificazione con la natura la chiave per uscire dalla crisi. In questa fase politicamente molto confusa i segnali di maturazione di una nuova sensibilità sono stati numerosi. Lo stesso discorso con cui Mario Draghi ha chiesto la fiducia di Camera e Senato ha avuto al centro la transizione ecologica. Oggi tutti vogliono contribuire e decidere come spendere le ingenti risorse messe a disposizione dal progetto europeo Next generation Ue.

Non vedo solo trasformismo nel fatto che ne parlino coloro che nel passato furono fanatici del mercato e del pareggio di bilancio, a cominciare dal “banchiere Draghi”. Penso cioè che la decisione di mobilitare ingenti risorse collettive abbia l’obiettivo di fare dell’Europa la locomotiva fondamentale della trasformazione ecologica del pianeta. Sulla stessa prospettiva sembra muoversi la nuova presidenza statunitense, per non parlare della centralità data alla lotta al cambiamento climatico dai cinesi. Certo desta più di un sospetto questo consenso unanime e non è immotivata la preoccupazione che si tratti solo di parole e del solito “gattopardismo” a cui ci hanno abituati le classi dirigenti, non solo italiane. C’è però in questa incredulità, che finisce solo per alimentare il disimpegno, una sottovalutazione della forza dei fatti oggettivi. Intendo dire che è la situazione oggettiva di collasso e degrado del pianeta, di cui la pandemia insieme al cambiamento climatico sono le principali evidenze, ad obbligare un banchiere come Mario Draghi e insieme a lui i principali protagonisti del decennio liberista a dire che non si può lasciare alle future generazioni solo una buona moneta se poi la si deve spendere in un pianeta devastato e invivibile. In questi giorni di grande incertezza, e paura di non farcela a sconfiggere il virus, è passata quasi inosservata la tragedia del Texas, dove milioni di persone sono rimaste travolte dall’ennesima manifestazione del cambiamento climatico.

Questa forza dei fatti non solo ci dà ragione, ma apre anche spazi all’azione ambientalista. Insomma si può operare per spingere nella direzione più giusta la transizione ecologica e quindi impedire che essa sia socialmente ingiusta, accentuando disuguaglianze e povertà senza risolvere la malattia del pianeta. È comprensibile la difficoltà a discernere…


L’articolo prosegue su Left del 26 febbraio – 4 marzo 2021

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SOMMARIO

Sfascisti su Marche

«I genitori di una famiglia naturale hanno compiti espliciti: il padre deve dare le regole, la madre accudire. Senza una di queste due figure i bambini rischiano di zoppicare andando avanti nella vita. Queste cose si studiano in psicoanalisi». Sono le ultime parole del capogruppo di Fratelli d’Italia nel consiglio regionale delle Marche Carlo Ciccioli, uno di quelli che come spesso capita dalle sue parti politiche ha bisogno di sparare una cretinata per meritare un po’ di dibattito e qualche uscita sui giornali. «La famiglia naturale, composta da padre, madre e figli è l’unica forma valida da proporre in società. I bambini hanno il pieno diritto ad avere una famiglia composta in questo modo», ha detto Ciccioli, tanto per rincarare la dose.

In discussione c’era una legge – la n.20 del febbraio 2021 – sulla famiglia che il centrodestra sta spingendo nelle Marche per una Regione che «riconosce, tutela e promuove diritti della famiglia società naturale fondata sul matrimonio». Sì, lo so. Sembra Medioevo ma è proprio così.

Ciccioli, tanto per capirsi, fu quello che aveva parlato di sostituzione etnica a proposito dell’aborto: «In questo momento di grande denatalità della società occidentale, sostenere con grande enfasi questa battaglia, che aveva un suo senso negli anni 60 e 70 è fuori posto – disse – La battaglia da fare oggi è quella per la natalità, non c’è ricambio e non riesco a condividere il tema della sostituzione cioè che siccome la nostra società non fa figli allora possiamo essere sostituiti dall’arrivo di persone che provengono da altre storie, continenti, etnie, da altre vicende».

L’uscita è stata talmente stonata che perfino i suoi compagni di partito hanno storto la bocca. Eppure nelle Marche l’avanzata di un piano per la distruzione dei diritti civili già conquistati da anni sembra proseguire senza sosta. E non può essere considerato solo un caso isolato, è qualcosa che va osservato con molta attenzione. Ovviamente dall’opposizione si sono levate voci di protesta, e per fortuna.

Lui, non contento ha anche risposto alle critiche, scrivendo: «Ennesimo attacco becero e strumentale da parte del Pd nei confronti miei e di Fratelli d’Italia! Privo ormai di argomentazioni spendibili il Partito democratico è costretto a queste manipolazioni senza fondamento. La verità è che io ho parlato di famiglia come nucleo fondante della nostra società e delle figure genitoriali dal punto di vista psicoanalitico, cioè simbolico. Invece di discutere nel merito di una proposta di legge utile a tutte le famiglie marchigiane, si decontestualizza completamente la mia analisi, senza portare a nulla di costruttivo!».

E invece, caro Ciccioli, la cosa più costruttiva è proprio sottolineare la tua miopia, tua e del tuo partito, nella gestione di diritti che dovrebbero essere molto più alti della limitatezza delle tue vedute. E si lotta, ancora.

Buon giovedì.

 

Rigenerazione urbana, sì ma non di facciata

La città, organismo complesso, testimonianza di insediamento, nata sulla base di relazioni sociali e di scambi economici, si è profondamente modificata nel tempo, ed oggi attraversa una seria crisi per motivi sociali, culturali, ambientali. Si trova di fronte a nuove sfide, che ne determineranno la stessa sopravvivenza: nuove realtà di popolazione, come la crescente immigrazione, gravi problemi ambientali di inquinamento che aggravano l’emergenza climatica, nuove povertà, conflitti sociali, problemi legati al diritto ad una abitazione degna.

In base ai principi affermati dal programma del Green new deal europeo, la crisi climatica ha oggi crescenti e rilevanti impatti proprio nelle città, che dovrebbero essere le principali protagoniste delle strategie di contrasto e di riequilibrio dell’ecosistema e delle misure per abbattere le emissioni di gas serra e sviluppare capacità di resilienza. Questi stessi principi sono stati utilizzati nella definizione degli interventi contemplati dal Next generation Eu, che dovrebbero essere finanziati con il Recovery and Resilience Facility. Nelle città si concentrano, infatti, i valori culturali ed identitari della collettività, in esse si trovano i luoghi, i contesti di cui le parti più antiche, i centri storici, sono da considerarsi beni culturali significativi nel loro insieme. I quartieri, le tipologie edilizie, gli spazi, piazze, viali, giardini e parchi raccontano la storia antica e moderna della formazione della città; la storia dei suoi abitanti, anche quella della città industriale e post industriale. Il paesaggio urbano, espressione di questo valore di insieme, costituisce sempre più un valore identitario rappresentativo delle diverse comunità.

A fronte di ciò, sempre più si punta alla cosiddetta “rigenerazione urbana” come strumento e processo, utile a ritrovare equilibrio nei territori, nei quartieri di disagio urbano, sul piano ambientale, sociale ed economico e di efficienza energetica, per contenere l’inquinamento secondo i parametri europei, fermare il consumo di suolo, superare conflitti.
È importante chiarire cosa si dovrebbe intendere per “rigenerazione urbana”, termine abusato e spesso utilizzato in modo ambiguo.
Si può sostenere che la rigenerazione urbana dovrebbe rappresentare la scelta strategica di processi e programmi finalizzati a ridare capacità d’attrazione alle città, capacità di resilienza, con il potenziamento dell’infrastruttura verde e blu (parchi, fiumi e corsi d’acqua), con il miglioramento della qualità urbana complessiva, il riequilibrio delle diseguaglianze, il riuso del patrimonio edilizio abbandonato per fermare il consumo di suolo.

Una scelta utile per affrontare fenomeni di difficoltà economica e squilibri sociali, puntando al riutilizzo delle aree già parzialmente o male urbanizzate, all’uso efficiente del patrimonio edilizio esistente, al riuso del patrimonio edilizio in abbandono, delle aree dismesse o sottoutilizzate, fino alla riqualificazione dell’edilizia pubblica e privata e all’offerta di servizi, per risolvere problemi insediativi, di ricomposizione di spazi marginali, di degrado sociale, per il miglioramento della struttura urbana senza consumare nuovo suolo.
Si tratta di operare su territori critici con strategie integrate, in grado di affrontare contestualmente le varie problematiche sociali, economiche, ambientali, di assetto urbano ed edilizio.

Il verde urbano e quello periurbano svolgono un ruolo essenziale nella rigenerazione urbana per la mitigazione degli effetti dell’inquinamento e l’adattamento climatico delle città. Questo è possibile attraverso lo sviluppo di infrastrutture verdi, sistema connettivo del verde e dello spazio pubblico, che comprende parchi, sistemi di verde lineari, alberature stradali, pareti e coperture verdi degli edifici, giardini pubblici e privati, orti urbani, interventi di forestazione, aree agricole.
La “forestazione urbana”, che prevede di piantare nuovi alberi nelle aree urbane è individuata, oggi, come una delle principali strategie di contrasto all’inquinamento in area urbana, ed è sostenuta a livello europeo e nazionale (vedi decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 9 ottobre 2020). L’obiettivo è realizzare molte “foreste urbane” su ampie superfici, in aree opportunamente selezionate nell’ambito della connettività verde, secondo principi di biodiversità e in armonia con le caratteristiche paesaggistiche dei contesti.

Particolare attenzione, nella rigenerazione urbana, dovrebbe assumere pertanto la dotazione e riqualificazione del sistema degli spazi pubblici, sia nelle aree centrali, che in quelle periferiche. Gli spazi pubblici rappresentano, infatti, un fattore determinante della qualità urbana: piazze, strade, porticati, aree attrezzate e ambiti pedonali. Tutti hanno riflessi profondi sulla qualità ambientale e su quella sociale, tanto più se saranno resi fruibili attraverso un sistema connettivo di spazi liberi pubblici. In particolare, la lezione imposta dal Covid ha confermato l’importanza per le nostre città degli spazi verdi di prossimità per la vita stessa delle collettività, per la salute ed il benessere.
Rigenerazione urbana dovrebbe significare, pertanto, riuscire a tutelare e valorizzare la ricchezza dei valori paesaggistici storici e identitari, delle espressioni culturali dei quartieri della città, delle comunità, delle opere e degli spazi che caratterizzano le aree urbane coinvolte, con un processo di strategie integrate basate su obiettivi di sostenibilità.

A fronte di questo scenario si vanno definendo crescenti pericoli per la struttura, la tipologia, gli stessi valori culturali sociali ed economici delle città, proprio attraverso la definizione di nuove norme e piani. Norme e piani, che pur definiti ai fini della “rigenerazione urbana”, deviati da interessi speculativi rischiano, invece, di essere prevalentemente finalizzati al solo “rinnovo edilizio” e, di fatto, di modificare negativamente le nostre città, lasciando campo libero ad iniziative individuali. Tutto questo in nome di una presunta necessità di ripresa delle attività economiche e di una presunta innovazione, legata all’efficienza energetica degli edifici.

I pericoli recenti alla struttura delle città, alle sue caratteristiche di insediamento, al centro storico, sono iniziati con l’articolo 10 della legge 120 dell’11 settembre 2020 (conversione in legge del decreto «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali» ndr), che non definisce tanto semplificazioni di procedure, di tempi, ma piuttosto propone una deregulation totale agli strumenti di gestione della città, sia al Decreto del presidente della Repubblica 380 del 2001 che regola l’edilizia, sia alle normative urbanistiche, che agli standard urbanistici del Decreto 1444/68, che garantiscono la presenza di spazi di verde, parcheggi, servizi ai nostri quartieri.
Con un colpo di spugna sono state eliminate norme e piani, che ove bene, ove meno bene, avevano, comunque, contribuito alla gestione e all’organizzazione delle città e a tutelarne il valore storico-culturale, a tutelarne i centri storici, a tener conto del valore della storia di insediamento dei vari quartieri, delle tipologie edilizie, di quel complesso di elementi, non sempre di valore monumentale, ma che definiscono i luoghi, la loro storia evolutiva e che determinano il senso di legame e di appartenenza dei cittadini ai contesti.

La legge 120 citata stabilisce, infatti, una totale deregulation alle leggi sull’edilizia e sull’urbanistica, ai principi che regolano nella città l’interesse pubblico. In nome di una presunta innovazione e di un discutibile miglioramento funzionale si potrebbe avere la grave conseguenza di vedere mutare profondamente le città italiane nelle loro caratteristiche migliori, a partire dal loro patrimonio di tipologie ed edifici. Per non parlare della grave conseguenza di vedere scomparire il nostro paesaggio, sia urbano, che rurale, in contrasto quindi con l’articolo che tutela il paesaggio, l’articolo 9, della nostra Costituzione.
Gli edifici, sembrano, infatti, essere visti come soggetti a sé stanti, su cui è possibile l’intervento diretto, non come un patrimonio di insieme, che struttura la città, i tessuti urbani, i suoi spazi, le sue funzioni, l’interesse generale. Di fatto con queste norme, che consentono la demolizione e ricostruzione degli edifici, con cambiamento anche del sedime, della sagoma e dell’altezza e che prevedono premialità con aumenti di cubatura, si possono modificare tipologie, prospetti, architetture e allineamenti e quindi strade e piazze, consumando giardini, cortili e spazi interstiziali preziosi.

La norma consente, senza un controllo pubblico, anche il cambio di destinazione d’uso dell’edificio, determinando un evidente stravolgimento della normativa urbanistica, degli standard di verde, parcheggi, servizi, e di tutta l’organizzazione della città. L’emendamento della senatrice De Petris ha avuto il grande pregio di tutelare almeno il centro storico e le aree assimilabili prevedendo di affidare ad un piano dell’amministrazione queste scelte.
A partire dalla legge 120 si dibatte, oggi, su ulteriori proposte legislative, relative alla ”rigenerazione urbana”, che potrebbero, qualora non attentamente definite, mettere di nuovo a serio rischio le nostre città, compreso il centro storico, la loro struttura, le loro caratteristiche tipologiche, i valori di contesto, pur proponendo finalità proprie della rigenerazione.
Al di là delle motivazioni e degli obiettivi di tali proposte di legge, in gran parte condivisibili, che sembrano puntare giustamente a fermare il consumo di suolo e al miglioramento ambientale, in linea con i principi del Green new deal, gli strumenti e le norme attuative possono costituire pericoli alla città, se non tengono conto adeguatamente dei valori culturali e di insediamento che essa esprime.

Quello che appare pericoloso è la prevista premialità in termini di cubature aggiuntive e la possibilità, che potrebbe essere concessa, di intervenire su singoli edifici e non per insiemi, per tessuti, che devono essere gestiti a livello di Piani urbanistici o, comunque, attraverso scelte affidate alla valutazione degli Enti locali secondo un processo democratico. Naturalmente ciò appare ancor più preoccupante per il centro storico ed aree equivalenti. Il che non esclude, ove opportuno, e a determinate condizioni, la demolizione e ricostruzione di edifici, anche in centro storico, ove sia necessaria e concordata con l’Ente locale, in quanto funzionale al migliore assetto urbanistico, sulla base di un piano d’ insieme.
Occorre chiarire che se in termini generali, si consente la “demolizione e ricostruzione” dell’edificio con variazioni, a cui si prevede di aggiungere premi di cubatura, il miglioramento ambientale è relativo, perché pur realizzando forse miglioramenti prestazionali energetici, si determina consumo di suolo, densificazione, impermeabilizzazione del suolo, e riduzione degli spazi di standard, altro, quindi, da benefici ambientali. Inoltre appare singolare che la premialità in termini di cubature sia solo legata a miglioramenti prestazionali energetici dell’edificio e non si definiscano adeguate premialità per il recupero di spazi permeabili e spazi verdi, cosi come non si prevedono agevolazioni per il restauro o il risanamento conservativo degli edifici.

A questo proposito è anche bene chiarire che non è necessario per migliorare la prestazione energetica di un edificio “la demolizione”, piuttosto si può usare “la ristrutturazione o il restauro”, con adeguate tecnologie, senza quindi dover necessariamente modificare l’edificio nella sua volumetria, nelle sue caratteristiche e nel suo uso.
In nome di una presunta innovazione e rigenerazione, basata solo sul rinnovo edilizio, il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici e sull’adeguamento sismico, le previste nuove norme contraddicono anche i principi del Green new deal, e del Next generation Eu, che pure vengono sempre invocati in premessa.
Ma il rischio di vedere distruggere le caratteristiche più significative delle nostre città, è crescente considerato che c’è un vasto schieramento, con Federazioni di costruttori, Ordini professionali, ecc., che preme, affinché le norme future rendano possibili questi interventi di demolizione e ricostruzione con variazioni volumetriche e planimetriche in particolare nei centri storici. Si chiede cioè che la deregulation sia totale e non escluda gli edifici dei centri storici dalla possibilità di operazioni dirette di demolizione e ricostruzione con variazioni di cubature, sedime, sagome, tipologie, facciate, e di uso.

È vero che l’edificio con vincolo monumentale è escluso dall’applicazione della norma, ma sappiamo bene che gran parte del patrimonio non è vincolato, certamente non sono vincolate le tipologie, le architetture meno antiche, e i tanti edifici e spazi che testimoniano la storia di sviluppo della città.
A sostegno della richiesta viene invocata surrettiziamente la necessità tecnico-funzionale di innovare completamente gli edifici, ma si comprende chiaramente che l’obiettivo è altro, poter lavorare alle demolizioni e ricostruzioni su ambiti di pregio della città, quindi proprio nel centro storico, al fine di conseguire maggiori guadagni a danno dei contesti, dell’architettura, del paesaggio, del valore culturale di insieme che essi rappresentano.
Di scarso interesse appare invece la possibilità di intervento sul patrimonio edilizio più degradato, nelle aree meno pregiate della città, nei quartieri della periferia, il riuso del patrimonio in abbandono, le aree dismesse, proprio quelle su cui dovrebbero concentrarsi i processi di rigenerazione e le connesse incentivazioni.
Il centro storico è significativo per scenari di architetture, di spazi che raccontano lo sviluppo, la formazione della città e tutto questo è oggi in pericolo, così lo sarebbero qualora si realizzassero questi tipi di intervento, le caratteristiche, le tipologie, i luoghi più significativi della intera città.
Così persino i centri storici delle nostre città corrono gravi rischi di scomparire progressivamente, eppure sono un patrimonio culturale, sono famosi in tutto il mondo e oggetto di ampio interesse culturale, spesso patrimonio Unesco. Inoltre il patrimonio edilizio dei nostri centri storici è stato, nel passato, in molti casi, oggetto di interventi modello di restauro o di piani di recupero, anche questi famosi nel mondo.

Esiste oggi la consapevolezza, ormai ampiamente supportata dalla ricerca e dalla conoscenza, nonché dall’esperienza consolidata di buone pratiche, verificate in molte città, che anche gli obiettivi culturali e sociali e di sviluppo economico nelle grandi città come nei piccoli comuni, sono strettamente connessi e dipendenti dalla qualità ecologica, dalla vivibilità, dalla attrattività culturale, dal recupero e risanamento delle aree e degli edifici degradati. Pur dovendo procedere per parti, occorre operare con un disegno organico e coerente.
La lezione del Covid e l’emergenza climatica dovrebbero aver insegnato che la città è un organismo complesso, che va trattato con regole ed attenzioni per evitare ulteriori danni irreversibili. Dovremmo avere appreso che è necessario agire nei contesti urbani come insiemi unitari, di valore culturale con adeguate soluzioni di mobilità, di organizzazione degli spazi, di potenziamento delle infrastrutture verdi, dei servizi ecosistemici per garantire la stessa sopravvivenza della città.

*-*

L’autrice: 

Mirella Di Giovine, architetto, docente della Scuola di specializzazione in Beni naturali e territoriali alla Sapienza Università di Roma, si è occupata di problematiche ambientali e di rigenerazione urbana realizzando piani ed interventi come dirigente del Comune di Roma


L’articolo di Mirella Di Giovine è stato pubblicato su Left del 15-21 gennaio 2021

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Perquisita la solidarietà

A Trieste il 24 ottobre scorso l’estrema destra è scesa in piazza in diverse fazioni, piazza Libertà, si sono anche menati perché come si sa i fascisti hanno solo quel modo di comunicare e di esprimere idee politiche. Va così. Quando ha cominciato a circolare la notizia di perquisizioni in città ieri qualcuno avrà immaginato che finalmente si fosse deciso di prendere posizione contro l’apologia di fascismo, che finalmente si muovesse qualcosa, ma niente.

L’irruzione all’alba, nel perfetto stile con cui si stanano i latitanti più pericolosi, è avvenuta nell’abitazione di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir. Lorena ha 68 anni, è psicoterapeuta e vive con il marito Gian Andrea che di anni ne ha 84 ed è un professore di filosofia in pensione. Nel 2015 hanno attivato un piccolo presidio medico appena fuori dalla stazione per offrire un primo aiuto ai ragazzi che passavano il confine con la Croazia e che hanno piedi malconci e corpi segnati dalle torture. I due coniugi viaggiano anche spesso verso la Bosnia con scarpe, coperte, vestiti e medicinali per provare a lenire il terrore e il dolore. Per questo insieme ad altri hanno costituito l’associazione Linea d’Ombra ODV.

La loro nota racconta l’accaduto: «Questa mattina all’alba la polizia ha fatto irruzione nell’abitazione privata di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, nonché sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV. Sono stati sequestrati i telefoni personali, oltre ai libri contabili dell’associazione e diversi altri materiali, alla ricerca di prove per un’imputazione di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che noi contestiamo, perché utilizzata in modo strumentale per colpire la solidarietà».

E se ci pensate non è la prima volta che la solidarietà (o il buonismo, come lo chiamano alcuni) accenda indifferenza se non addirittura malfidenza. Tant’è che ogni volta che qualcuno compie un gesto “buono” senza nessun evidente ritorno economico o di altro tipo viene subito additato come “pericoloso”. La solidarietà che diventa “reato” o presunto reato è un crinale pericoloso. Per questo la storia di Lorena e Gian Andrea va raccontata: perché così piccola contiene un (preoccupante) monito che interessa a tutti.

Buon mercoledì.

La mattanza non percepita

Provate a immaginare se dei terroristi, meglio ancora se islamici ché funzionano meglio, ogni 5 giorni ammazzassero qualcuno in Italia. Ogni 5 giorni esce una notizia sulle pagine di cronaca contro questa violenza che, sono sicuro lo scriverebbero così, “mette in pericolo il nostro Paese”. Oppure immaginate un’etnia, preferibilmente nera ché funziona meglio, che ogni 5 giorni uccida una donna, una “nostra” donna come scriverebbero sicuramente certi giornali e provate a prevedere cosa direbbe la politica, certa politica. Oppure immaginate di mettere certe morti tutte in fila, una dopo l’altra. Così:

11 gennaio: Sharon ha 18 mesi e vive a Cabiate, in provincia di Como. Muore per una stufa che le cade addosso in casa. La Procura di Como scopre che la bimba però era stata maltrattata e violentata e ha disposto l’arresto del compagno della madre, Gabrile Robert Marincat, che ora si trova in carcere. La madre nutriva dei sospetti.

16 gennaio: Victoria Osagie, 34 anni, è stata uccisa dal marito nel tardo pomeriggio all’interno della propria abitazione a Concordia Sagittaria in provincia di Venezia. L’uomo l’ha colpita più volte con un coltello al termine di un litigio. I tre figli hanno assistito alla scena.

24 gennaio: Roberta Siragusa. Il corpo della diciassettenne al momento del rinvenimento si presentava parzialmente carbonizzato e nudo nella parte alta, con i pantaloni abbassati, il volto tumefatto, il cranio ferito e parte dei capelli rasati (da stabilire se di proposito o a causa delle bruciature).‍ Per recuperare i resti della ragazza sono dovuti intervenire sul posto i Vigili del fuoco. È stato arrestato Pietro Morreale, 19 anni, fidanzato della vittima. I due litigavano spesso: un mese prima la vittima aveva un occhio tumefatto.

29 gennaio: Teodora Casasanta, 39 anni e il figlio Ludovico di 5 anni sono stati uccisi dal marito e padre Alexandro Vito Riccio a Carmagnola. Il gesto sarebbe stato premeditato, poiché sul posto è stato ritrovato un biglietto su cui il trentanovenne avrebbe espresso l’intenzione di togliere la vita alla coniuge e al bambino. Lei aveva espresso la volontà di separarsi. L’esame autoptico ha rilevato circa 15 fendenti sul corpo della moglie e 8 su quello del figlio. L’aggressore avrebbe prima accoltellato le vittime nel letto, poi si sarebbe accanito su di loro pestandoli con diversi oggetti presenti in casa, tra cui il televisore.‍

1 febbraio: Sonia Di Maggio, 29 anni, è stata uccisa a Minervino di Lecce. La vittima si trovava in strada, nella frazione di Specchia Gallone, insieme al fidanzato quando all’improvviso è stata aggredita da un individuo: era Salvatore Carfora, 39 anni, ex compagno della giovane. Armato di coltello, ha sferrato numerosi fendenti alla ventinovenne. Il fidanzato ha tentato di difenderla, ma nulla ha potuto contro la furia dell’aggressore. Sonia si è accasciata al suolo in un lago di sangue. Vani i tentativi dei sanitari giunti sul posto che hanno provato a rianimarla, ma le lesioni erano troppo gravi.

7 febbraio: Piera Napoli, cantante di 32 anni e madre di tre figli, è stata uccisa la mattina del 7 febbraio 2021 all’interno dell’abitazione in cui risiedeva a Palermo, nel quartiere Cruillas. Il marito della donna, Salvatore Baglione, 37 anni, dipendente di una ditta che trasporta carni, intorno alle ore 13.00 si è costituito dai Carabinieri alla caserma dell’Uditore per confessare il delitto. Circa un mese prima la donna aveva richiesto l’intervento della Polizia dopo un’ennesima lite in casa con il coniuge, ma alla fine non se l’era sentita di sporgere denuncia.

7 febbraio: Luljeta Heshta, 47 anni, è una donna originaria dell’Albania, da 10 anni in Italia e regolare sul territorio, morta nel pomeriggio del 7 febbraio 2021 all’ospedale Humanitas di Rozzano in provincia di Milano. È stato arrestato il convivente della donna. Il gesto sarebbe stato compiuto a causa della presenza di un presunto amante nella vita della donna. La stessa nei giorni precedenti avrebbe lasciato l’abitazione che condivideva con il compagno per separarsi da lui.

12 febbraio: Lidia Peschechera, 49 anni, è stata trovata morta durante il pomeriggio del 17 febbraio 2021 all’interno della sua abitazione in zona Ticinello a Pavia. In carcere c’è il suo ex convivente Alessio Nigro. Il ventottenne, senza fissa dimora, si definiva un clochard e aveva problemi legati alla dipendenza dall’alcol. La donna si era offerta di aiutarlo, ospitandolo anche in casa, ma l’individuo non aveva fornito segnali di ripresa, anzi, in un’occasione lei aveva anche dovuto chiamare la Polizia per sedare una lite, al termine della quale non se l’era sentita di denunciare. Successivamente però la stessa aveva intimato al giovane l’intenzione di volerlo mandare fuori dall’abitazione a causa dei suoi comportamenti violenti, sfociati poi nell’omicidio.

19 febbraio: Genova. Clara Ceccarelli, 69 anni, è stata uccisa dall’ex compagno Renato Scapusi, 59 anni. Si parla di circa 100 coltellate. La donna è stata uccisa al termine del proprio turno di lavoro. All’inizio del 2020 si erano lasciati e da quel frangente sarebbero iniziate una lunga serie di aggressioni e persecuzioni messe in atto dall’uomo. La donna da giorni si era pagata il funerale e aveva provveduto a organizzare l’assistenza per il padre anziano e il figlio disabile. Sapeva di morire.

Ieri, 22 febbraio: Deborah Saltori, 42 anni, è stata uccisa in località Maso Saracini a Cortesano, frazione della città di Trento. La vittima sarebbe stata colpita con un’accetta dall’ex marito Lorenzo Cattoni, 39 anni, in una zona di campagna dove lui stava lavorando. Ad allertare i soccorsi sarebbe stato un passante che, durante il pomeriggio, ha notato i corpi esanimi dei due ex coniugi, riversi al suolo (l’uomo avrebbe infatti tentato di togliersi la vita). Secondo le prime ricostruzioni, Cattoni era già stato ammonito due volte dal questore della città per violenza domestica, anche verso la sua precedente compagna. Lo stesso era sottoposto agli arresti domiciliari a casa dei genitori nel comune di Terre d’Adige (Trento) perché, nel corso degli ultimi anni, era ricorso più volte a violenze fisiche e psicologiche nei confronti della vittima.

Sempre ieri, 22 febbraio: Rossella Placati, 51 anni, è stata trovata morta e sanguinante nel suo appartamento di Bondeno, Ferrara. Per ora non ci son arresti ma il suo compagno si è presentato in caserma raccontando di una discussione avvenuta la sera precedente e di essersi allontanato.

Questo è il punto in cui siamo.

Buon martedì.

Il vero volto, xenofobo, del Carroccio

Il sindaco leghista Alan Fabbri lo aveva definito un «risultato rivoluzionario», che avrebbe ristabilito «un’equità sociale che era stata cancellata dai finti buonismi delle amministrazioni Pd». Ma il nuovo regolamento per l’assegnazione delle case popolari del Comune emiliano, modificato il 26 gennaio scorso in chiave razzista, ha tutt’altre caratteristiche. Fortunatamente, nel frattempo, l’amministrazione di destra è già stata costretta ad un parziale dietrofront.

I primi 157 posti della 32esima graduatoria, la prima redatta secondo i nuovi criteri, sono stati individuati tra le 259 domande accolte in via definitiva, a fronte di 473 domante accettate con riserva e 14 escluse. E sono tutti stati assegnati ad italiani. Infatti, cambiando il regolamento comunale, la giunta leghista ha attribuito molto più peso alla “residenzialità storica” dei richiedenti e ha introdotto il criterio dell’impossidenza, in virtù del quale chi presenta la domanda avrebbe dovuto produrre adeguata documentazione per provare di non possedere «immobili nel proprio Stato di origine o in qualunque altro Stato oppure l’inadeguatezza dell’eventuale alloggio».
«La casa popolare non deve più essere considerata un servizio dedicato quasi esclusivamente alle famiglie immigrate – aveva dichiarato il sindaco del Carroccio – ma un servizio a disposizione di tutti, utile come momento di passaggio che sostiene le famiglie nella ricerca di un’autonomia economica futura». Lo stravolgimento rispetto a tutti i regolamenti precedenti è avvenuto nell’attribuzione voluta dalla giunta Fabbri di 0,5 punti in graduatoria per ogni anno di residenza nel comune senza prevedere, però, un tetto massimo e facendo saltare il tavolo a favore della popolazione più anziana.

Favorire chi risiede da più tempo in città, ovviamente, penalizza chi ha davvero bisogno di un tetto sopra la testa, specialmente con la crisi che la pandemia sta alimentando. Ad essere sfavoriti dal nuovo regolamento, in particolare, sono i giovani residenti, il cui punteggio accumulato negli anni sarebbe sicuramente inferiore a quello degli anziani; i cittadini stranieri che non sempre riescono a reperire i certificati di impossidenza di eventuali beni immobili, subendo per giunta i lunghi iter burocratici; infine le famiglie con tre o quattro bimbi, svantaggiate in graduatoria rispetto alle giovani coppie senza figli. Pochi giorni fa, però, la giunta Fabbri ha deciso di sospendere la consegna dell’ostica certificazione di impossidenza, cosicché per gli extracomunitari possano bastare le sole autocertificazioni con poche eccezioni. Si badi bene, però, che il provvedimento della giunta è provvisorio e…


L’articolo prosegue su Left del 19-25 febbraio 2021

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Il regalo a Salvini

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 30-01-2021 Roma Politica Camera dei Deputati - Consultazioni del Presidente Roberto Fico Nella foto Vito Crimi, Ettore Antonio Licheri Photo Roberto Monaldo / LaPresse 30-01-2021 Rome (Italy) Chamber of Deputies - Consultations by the President of the Chamber of Deputies Roberto Fico In the pic Vito Crimi, Ettore Antonio Licheri

Il Parlamento, si sa, è fatto di numeri. Con i 15 espulsi del M5S che non si sa se saranno espulsi, in Senato il centrodestra è diventato decisivo. Quel centrodestra che era fuori gioco nella maggioranza parlamentare precedente ora è fondamentale per la tenuta del governo Draghi: tutti gli altri non sarebbero maggioranza o comunque si tratterebbe di una maggioranza talmente pericolante da non poter nemmeno essere presa in considerazione.

Cosa significa questo? Che Draghi bene o male è appeso a Salvini e alle sue decisioni, soprattutto con Forza Italia che da tempo è a ruota del leader leghista per sopravvivere e con Berlusconi che sa benissimo che tra i suoi sono in molti, in casi di spaccatura, ad essere pronti ad accasarsi da Salvini o Meloni. C’è di più: un pezzo fondamentale del centrodestra in forte ascesa come Giorgia Meloni e il suo partito si può addirittura permettere il lusso di restare all’opposizione. E all’opposizione Fratelli d’Italia svuoterà ancora di più il bacino di consensi di Salvini e per questo è inimmaginabile che la Lega accetti di farsi svuotare.

Posto che Draghi, nonostante sia Draghi, dovrà occuparsi di mantenere in equilibrio la sua maggioranza in Parlamento questo significa che le concessioni alla Lega saranno molto più corpose di quello che pensiamo e tutti coloro che esultano per il disfacimento del gruppo parlamentare grillino forse non si rendono conto che questo si rivelerà un enorme regalo a destra.

E se qualcuno pensa che Salvini accetti silenziosamente di farsi logorare dai Giorgetti del suo partito, che Salvini accetti di farsi schiacciare da Giorgia Meloni o che Salvini possa fingere a lungo di essere europeista significa non avere capito nulla del personaggio e nulla della sua retorica populista.

Sempre a proposito del capolavoro politico che qualcuno continua a cianciare. E badate bene: qui Draghi c’entra poco o niente perché il presidente del Consiglio semplicemente deve nuotare tra i numeri che ha a disposizione. E non sarà una traversata facile.

Buon lunedì.

Dave Grohl: La mia cura per il rock

Dave Grohl of the band Foo Fighters performs at the Rock in Rio music festival in Rio de Janeiro, Brazil, early Sunday, Sept. 29, 2019. (AP Photo/Leo Correa)

Essere stati batteristi dei Nirvana avrebbe riempito la vita (e la carriera) di molti musicisti. Dave Grohl invece, come ha raccontato in un leggendario talk al festival South by Southwest, in preda alla depressione per la fine dei Nirvana si è chiuso in uno studio e – registrando tutti gli strumenti da solo – ha dato i natali al suo nuovo progetto che, quasi per scherzo, definì Foo Fighters. Nacque così una delle band più influenti e amate degli ultimi anni, di cui Dave Grohl è leader, cantante e chitarrista.
I Foo Fighters nel 2020 hanno compiuto venticinque anni di attività e il loro decimo album Medicine at Midnight è stato terminato a gennaio dell’anno scorso con l’idea di essere un “party album”: un’occasione per festeggiare l’anniversario con un tour mondiale di almeno due anni.
La pandemia si è però messa di traverso, posticipando i festeggiamenti della band e dei suoi centinaia di migliaia di fan in tutto il mondo pronti ad ascoltarli dal vivo.

Persino la presentazione dell’album alla stampa si è dovuta adeguare alla pandemia ed è avvenuta attraverso le modalità con cui ormai siamo tutti abituati a riunirci in questo anno difficile: in videoconferenza. Puntuale come un orologio svizzero Dave si è connesso con noi giornalisti, sorridente e disponibile.
È un vero e proprio fiume in piena, spontaneo e diretto; la promozione dell’album gli interessa fino ad un certo punto, vuole raccontare «i suoi sentimenti verso sé stesso, la sua musica e i suoi fan in questo anno terribile», e vuole raccontarci quello che pensa «sul futuro del rock» e del suo Paese.

Dave Grohl non si definisce «un artista “politico”», anzi, dice di essersi tenuto «sempre lontano dalla politica come segno di ribellione nei confronti del padre, giornalista e poi speechwriter per i Repubblicani a Washington DC». Eppure lui e i suoi Foo Fighters hanno spesso suonato a sostegno dei Democratici americani, nella vita reale e addirittura in fiction con un cameo nella mitica serie West Wing, la creazione di Aaron Sorkin, in cui la band di Dave Grohl sostiene il candidato democratico – e di retaggio latinos – Matt Santos che nel 2006 sembra prevedere nella finzione l’avvento reale di Obama. Da ultimo Joe Biden ha invitato i Foo Fighters a cantare “Time like these” alla sua cerimonia di insediamento. Secondo Dave Grohl, «il presidente« non l’ha invitato «a cantare quella canzone perché abbia contenuti politici nel testo, ma per…


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Christian Greco: Il museo del futuro mette al centro la ricerca

An Egyptian artifact is displayed at the Museu Egizio (Egyptian Museum) in Turin, the only museum other than the Cairo Museum that is dedicated solely to ancient Egypt art and culture on March 31, 2015. The museum unveiled its expanded and renovated premises on March 31, after being closed for for five years. AFP PHOTO / MARCO BERTORELLO (Photo credit should read MARCO BERTORELLO/AFP via Getty Images)

Che un under 40 diventasse direttore di uno dei più importanti musei non era mai accaduto in anni recenti in Italia. E quando il 28 aprile del 2014 Christian Greco assunse la guida del Museo Egizio di Torino la notizia ebbe grandissima eco suoi media italiani. (Discredito sui giovani e blocco del turn over nelle soprintendenze sono purtroppo mali endemici nel Belpaese dell’arte e dell’autolesionismo).

Di certo all’egittologo Greco già allora non mancavano i titoli: alle spalle aveva già molti anni di studio, perfezionamento e lavoro nei Paesi Bassi (dove, tra l’altro è stato curatore della sezione egizia del Museo di Leida), all’attivo aveva molte pubblicazioni scientifiche e attività di scavo. E pensare che tutto era cominciato con un semplice Erasmus (che oggi anacronisticamente la Brexit di fatto ha reso impossibile in Gran Bretagna). Sotto la guida di Greco il Museo Egizio di Torino, che custodisce la seconda collezione di arte egizia più importante al mondo dopo quella del Cairo, ha conosciuto una stagione di rilancio, rinnovando le sale espositive (nel 2015), aprendosi alla cittadinanza (con iniziative di dialogo interculturale che nel 2018 valsero al direttore un incolto e sgangherato attacco da parte della Meloni), riprendendo l’attività di ricerca.

Attività che in questo ultimo anno hanno dovuto fare i conti con il pesante impatto della pandemia. Nel 2020 il museo ha registrato un meno 70% di introiti. «Lei si immagini, d’un tratto, siamo passati dal tenere aperto il museo 7 giorni su 7, con l’unica eccezione del giorno di Natale, a una chiusura di 180 giorni», racconta il direttore che abbiamo raggiunto telefonicamente nel museo torinese (che ha riaperto secondo le disposizioni del 18 gennaio).

Lo scorso novembre Settis aveva proposto di riaprire tutti i musei in sicurezza rendendoli gratuiti per tre mesi che cosa ha pensato della sua proposta?
Ho colto subito il suo appello e l’ho anche attuato. Senza nemmeno stare ad aspettare. Settis chiedeva al Consiglio dei ministri del governo Conte II di aprire gratuitamente purché fossero previsti dei ristori per i musei stessi. La prima settimana di riapertura gratuita per un museo come il nostro è stato un ulteriore sforzo economico. Inutile negarlo siamo stati piegati dalla pandemia. Ma è stato importante dare quel segnale per ribadire che il museo è la casa di tutti ma anche per cominciare a dire che il modello di sussistenza deve cambiare completamente. Il futuro dei musei non può essere misurato in biglietteria, ma il museo deve essere un vero centro di innovazione e ricerca, che va garantito con finanziamenti pubblici e privati per…

 

 


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Le mani di Erdoğan sull’università, gli studenti sfidano il Sultano

Turkish police officers clash with students of the Bogazici University protesting the appointment of a government loyalist to head their university, in Istanbul, Tuesday, Feb. 2, 2021. For weeks, students and faculty at Istanbul's prestigious Bogazici University have been protesting President Recep Tayyip Erdogan's appointment of Melih Bulu, a figure who has links to his ruling party, as the university's rector. They have been calling for Bulu's resignation and for the university to be allowed to elect its own president. (AP Photo/Omer Kuscu)

«Attraverso attività educative rivolte all’essere umano, la nostra missione è formare individui qualificati che interiorizzino i valori nazionali e morali». Così, sul proprio sito internet, la Recep Tayyip Erdoğan University, fondata nel 2006 nella città natale del presidente turco a Rize, spiega il principio fondante l’ateneo. È qui, nell’università che porta il suo nome, che Erdoğan il 12 febbraio ha preso parte all’inaugurazione di un nuovo edificio della facoltà di ingegneria e architettura, un allargamento che ha salutato nel discorso pubblico: «Grazie agli investimenti abbiamo ampliato infrastrutture e risorse umane, il sistema educativo superiore turco ha raggiunto un livello avanzato».

L’ateneo che porta il suo nome non è ancora così avanzato: ospita 19mila studenti e 1.133 professori, ma resta al 106esimo posto su 175 istituti universitari turchi. Decisamente più prestigiosa è un’altra università, sul Bosforo, la Boğaziçi University: lì, mentre Erdoğan tagliava nastri nell’accademia plasmata a sua immagine e somiglianza, la protesta di docenti, studentesse e studenti non accennava ad arretrare.
A scatenarla, all’inizio dell’anno, è stato un fulgido esempio di dipendenza del sistema educativo dal governo: il primo gennaio, con un decreto presidenziale, Erdoğan ha nominato a capo di Boğaziçi il professor Melih Bulu. Il nuovo rettore scelto da fuori, dall’alto, vicinissimo al presidente, dal 2002 è membro del partito di governo Akp (si è anche candidato a parlamentare nel 2015) e non lavora all’università. Un outsider, come è stato definito, la cui nomina ha infiammato l’ateneo, che rigetta in toto l’imposizione di un rettore esterno calpestando la pratica democratica delle elezioni universitarie.

Dal 4 gennaio il campus è in fermento: i docenti stazionano di fronte all’ufficio del rettorato, dandogli le spalle, gli studenti manifestano, portano cartelli e bandiere in corteo, si allargano ai movimenti di base (a cominciare da quello Lgbtqi+, che è stato subito usato come spauracchio dalla stampa governativa e filo-governativa per screditare gli studenti). Hanno anche scritto una lettera a Erdoğan, in cui elencano le loro rivendicazioni: non solo le dimissioni di Bulu e il rilascio degli arrestati, ma anche la fine della politica dei commissari straordinari, forma di ingerenza governativa in tutte le istituzioni del Paese, che ha permesso a Erdoğan – a colpi di decreti presidenziali – di…


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