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Giancarlo Cauteruccio: Il teatro in video è arte e innovazione

Cinema e arti visive godono già di un status virtuale che in tempi di pandemia può assolvere il compito della loro diffusione. Per il teatro la fruizione mediatica (a meno di non esaltarne il valore storico documentario che certo può essere utile ma non risolutivo) suona come una contraddizione. Da un anno ormai, fatta salva la parentesi estiva, lo spettacolo dal vivo si è fermato. Lo spostamento sulle piattaforme è una sostituzione necessaria, anche benvenuta. Lo streaming si afferma come potenziale estetico carico di futuribile funzionalità oltre che di sicuro godimento, poetico e drammaturgico. Ma fino a che punto? Fino a che punto si riflette sulla presenza del pubblico? Fino a che punto il suo rapporto con lo spettatore è vincente o di esso può anche fare a meno, concepito com’è per platee alternative, virtuali appunto, indefinite e inafferrabili? È lecito parlare di impoverimento dell’immaginario teatrale? La ricerca e l’esperienza di un teatro endemicamente multimediale come quello coltivato fin dagli anni 80 del ’900 da Giancarlo Cauteruccio e dai suoi Krypton può essere utile per schiarirsi le idee. Per raccogliere spunti, individuare possibili margini, accettarne e accertarne i limiti.

Partiamo dall’inizio. Già quarant’ anni fa avevi preconizzato l’uso della tecnologia in ambito teatrale e su questa equazione di pura avanguardia hai costruito il tuo linguaggio d’artista e la tua carriera. Fu sfida o dialogo? Come stai vivendo questa condizione d’isolamento cui solo il ricorso all’online sembra porre rimedio?
La osservo da uno stato di disorientamento. Ho sempre pensato alla tecnologia come a un linguaggio e non uno strumento, come alla possibilità di innovare il teatro, la più antica espressione dell’uomo, attraverso quella necessità del moderno e del contemporaneo di svelare i processi che conducono all’opera d’arte, senza badare esclusivamente ai risultati che si ottengono. È proprio l’arte del Novecento a insegnarci che la “ricerca” non mira a risultati estetici ma deve procedere per sperimentazioni, tentativi da sottoporre alla sensibilità del pubblico affinché ne sia sollecitata la riflessione, aprendo così la strada a una crescita culturale. La mia sperimentazione, non sempre compresa nell’ambito del fare teatro, ha prodotto dei risultati importanti, ma sempre fuori da concreti riconoscimenti istituzionali. Oggi, in questo “punto zero” che è venuto a manifestarsi, viene a galla l’inadeguatezza di coloro che hanno difeso solo la tradizione ignorando l’innovazione. Oggi la necessaria innovazione tecnologica trova i gestori del teatro italiano impreparati, in una condizione di palmare ignoranza rispetto al…


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Laika: Ho dato un volto all’umanità invisibile

Ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo, Laika, la street artist che tutti conoscono a Roma e a livello internazionale. Quattro opere sulla rotta dei Balcani, al confine tra Bosnia e Croazia, tra i campi profughi di Lipa, Bihac, Velika Kladusa, nel Cantone dell’Una Sana. Un viaggio per raccontare le condizioni in cui versano i migranti provenienti dall’Asia e dal Nord Africa. Poster che fanno tremare i polsi e focalizzano l’attenzione sulla pagina più buia dell’Europa.

Perché lo hai fatto? Quando e come è nata l’esigenza di andare in prima persona e operare sul posto?
Ho sentito l’esigenza di raccontare una storia di cui purtroppo si parla poco. Una terribile violazione dei diritti umani, di cui la gente sembra non voler rendersi conto. Mi sono imbattuta in alcuni reportage sul tema, ho approfondito l’argomento e ho cominciato a disegnare una delle opere, quella intitolata Life is not a game. Non avevo ancora deciso di andare in Bosnia, anche perché in questo periodo pianificare degli spostamenti è complesso. È successo che, man mano che disegnavo, pensavo a dove avrei voluto attaccare i poster. E lì è nata l’esigenza. Per me è molto importante la “cornice” di un’opera, il luogo dove l’attacco è parte integrante dell’intervento artistico. Più ci pensavo e più mi sembrava il luogo adatto per questa serie di opere. Alla fine è diventato l’unico posto possibile in cui agire. In più volevo rendermi conto con i miei occhi se ciò che avevo disegnato rispecchiasse davvero la situazione, se ciò che avevo prodotto riuscisse a raccontare cos’è la vita sulla rotta balcanica. Ho portato tre opere da Roma. L’ultimo giorno ho sentito l’esigenza di realizzarne una quarta: il bambino con le lacrime di ghiaccio.

Ci racconti come è andata lì, in Bosnia?
Sono partita abbastanza all’avventura e probabilmente sono stata fortunata in relazione ai controlli attraverso i quali sono passata. L’esperienza lì mi ha completamente svuotato di energie, sia fisicamente che mentalmente. Non si può raccontare a parole la sensazione che ho provato, parlando con tanti uomini e donne che mi hanno fatto vedere le foto dei pestaggi subiti dalla polizia. È qualcosa che prende allo stomaco e te lo stritola vedere le condizioni disumane in cui queste persone resistono al freddo, sopravvivono senz’acqua, cercano rifugio in edifici fatiscenti, privati di tutto. Il mio più grande timore era di non essere capita, di venir percepita come una che andava lì a fare turismo, a occuparsi degli affari altrui. Invece, da questo punto di vista, è…


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Stop global warming, Europa first per orientare il mondo

Greenpeace activists in Brussels project an image of the Earth as a bomb with a lit fuse onto European Commission headquarters ahead of an EU summit on EU's top jobs, five-year plan, and response to climate change. The message reads in various languages: Climate Emergency – Time's Running Out – EU Act Now.

Un posizionamento forte sulla questione ambientale può giocare un ruolo importante nella definizione dei nuovi equilibri geopolitici mondiali. Il soft power, così come descritto dallo scienziato politico statunitense Joseph Nye, consiste nell’abilità di creare consenso attraverso la persuasione e non la coercizione.
«Il potenziale d’attrazione di una nazione, infatti, non è rappresentato esclusivamente dalla sua forza economica e militare, ma si alimenta attraverso la diffusione della propria cultura e dei valori storici fondativi di riferimento» (citazione Treccani).

La politica internazionale per molti versi assomiglia ad uno stato di natura, dove vige la legge del più forte, spesso esercitata attraverso il peso economico e degli arsenali militari. In opposizione a questo modello di hard power esiste però un potere di persuasione molto più labile, sfumato e non misurabile, ma capace di determinare effetti altrettanto vigorosi. Se la cosa vi fa storcere il naso pensate alla Coca cola, uno dei più potenti strumenti di diffusione dei valori americani nel mondo del dopoguerra. La bevanda era diventata un simbolo americano a tal punto che i russi ne impedivano tassativamente l’ingresso sul suolo sovietico. Un eroe della Seconda guerra mondiale, il maresciallo Zhukov, provò la Coca cola in compagnia del generale americano Eisenhower e se ne innamorò. Per portarla con sé di nascosto ne fece produrre una versione bianca, trasparente, così che si potesse confondere con la vodka.

La domanda che in molti si pongono è se l’impegno sul clima e l’ambiente possa rappresentare uno strumento di influenza altrettanto potente nei rapporti tra le nazioni. La questione ambientale è la prima sfida di portata realmente globale e come tale va affrontata, anche se dovremmo abituarci al fatto che questa sarà una caratteristica sempre più ricorrente in futuro, la pandemia è qui a ricordarcelo. Nello scenario in continua mutazione dei rapporti geopolitici, che oggi appare quanto mai frammentato e alla ricerca di un punto di equilibrio tra vecchie e nuove superpotenze, occorre ragionare su quali saranno gli strumenti e le leve per orientare da un lato piuttosto che dall’altro il processo decisionale. Una unità del blocco occidentale e un impegno comune sulla questione ambientale può rappresentare quel collante soft in grado di…

*-*

L’autore:

Alessandro Paglia è il responsabile relazioni europee dell’associazione Tes (Transizione ecologica solidale) 


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Fermiamo la pandemia di cemento

Concreting walls on construction site

Nel luglio 2012, Mario Catania, rigoroso e competente ministro per l’Agricoltura del governo presieduto da Mario Monti, portava alla discussione parlamentare il disegno di legge Valorizzazione delle aree agricole e contenimento del consumo del suolo. Dopo anni di denunce da parte degli urbanisti raccolti intorno a Eddyburg, lo straordinario sito di approfondimento e denuncia di Edoardo Salzano (scomparso nel 2019), finalmente il governo rompeva il silenzio istituzionale e metteva all’ordine del giorno del Parlamento una questione fondamentale per il futuro del Paese.

Era lo stesso ministro Catania a fornire le cifre del disastro causato dalla deregulation urbanistica: ogni giorno, affermava la sua relazione di accompagnamento della legge, vengono cementificati 100 ettari di territorio agricolo. Si distruggono paesaggi storici, si rendono ancora più invivibili le città e si distrugge la sovranità alimentare. A furia di distruggere una risorsa preziosa e irriproducibile come il suolo fertile, l’Italia deve infatti acquistare sul mercato mondiale sempre maggiori quantità di alimenti. Cementificare fa male alla salute e al portafoglio perché la bilancia dei pagamenti va in rosso, mentre se si bloccasse la speculazione immobiliare, risparmieremmo ingenti risorse economiche e potremmo creare posti di lavoro nella filiera alimentare.

Dopo cinque mesi il Partito democratico metteva la parola fine al…

 


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Un’economia fossile

April 6, 2016 - Viggiano, Italy - The Oli COVA Centre of Viggiano, Basilicata, southern Italy, from which the investigation of the Magistracy of Potenza to the environmental disaster began. In investigative strands wiretap led to the resignation of Minister Federica Guidi. (Credit Image: © Alfonso Di Vincenzo/Pacific Press via ZUMA Wire)

Che la Basilicata sia piena di petrolio si sa da decenni. Ad oggi è la regione dove si estrae l’80% di tutto il petrolio italiano. Quel che si sa meno è che da un paio di mesi è entrato in funzione un nuovo impianto, un sito di estrazione, stoccaggio e prima raffinazione degli idrocarburi. Stiamo parlando del centro olio Tempa Rossa che si nasconde – più o meno – nell’alta valle del Sauro, nel cuore della Basilicata e a ridosso dell’area protetta del Parco Regionale di Gallipoli.

Sotto la montagna di Corleto Perticara (Pz) infatti si trova un enorme giacimento petrolifero, scoperto nel 1989 dalla Enterprise Oil e dalla Fina, e ora in mano a Total E&P Italia, operatore incaricato dello sviluppo del progetto, Mitsui E&P Italia B S.r.l. e Shell. L’impianto è composto da 5 pozzi già attivi, un sesto in costruzione e altri due in attesa delle autorizzazioni. Le aziende stimano che il giacimento possa contenere più di 480 milioni di barili di greggio e l’obiettivo è produrre 50mila barili di petrolio al giorno, 230mila metri cubi di gas naturale, e 240 tonnellate di Gpl. Il centro oli Tempa Rossa è nato per trattare il greggio grezzo prima di immetterlo nell’oleodotto che lo porta alle raffinerie di Taranto.

Il giacimento di Tempa Rossa, come detto, non è né il primo né l’unico in Basilicata. L’area industriale più nota è costituita dal centro olio Val d’Agri di Viggiano (Pz) e dall’omonima concessione, il più grande giacimento sulla terraferma dell’Europa occidentale. Gestito da Eni, sono vent’anni che fornisce olio e gas. 

La nuova concessione invece si estende principalmente sul territorio del Comune di Corleto Perticara e di Gorgoglione (Mt). I lavori di costruzione del centro oli sono iniziati nel 2013 e terminati nel 2018. Nel 2020 sono iniziate le prove sperimentali d’estrazione. E i problemi. Gli abitanti dei comuni vicini hanno iniziato a notare delle anomalie: fiammate improvvise di giorno e di notte, fumi densi e neri ed esalazioni maleodoranti.

Nonostante tutto, il 14 dicembre dello scorso anno l’impianto è…


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Perché non c’è più tempo da perdere

Draghi, il “grande orgoglio d’Italia”, richiamato a Roma per salvare il Paese dal collasso. I mercati reagiscono positivamente e l’opposizione parlamentare è lasciata a chi – fino a pochi decenni fa – era estraneo all’arco costituzionale, mentre quasi tutti a sinistra (almeno in Parlamento) plaudono al salvatore sceso da Bruxelles.

In questo contesto, per alcuni, «vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta» è diventato il whatever it takes della crisi climatica. Si tratta della chiosa di un lungo quanto inaspettatamente ambizioso passaggio dell’intervento del nuovo presidente del consiglio al Senato nel giorno in cui ne chiedeva la fiducia. Dedicato a clima, ambiente e transizione ecologica. Infarcito di tanti propositi. Ma tra la retorica sul “bene del paese”, principio per cui Draghi stesso è stato invocato, e la pratica del conflitto nell’agone del Next generation Eu, rispetto a cui bisognerà scegliere realmente, e non solo a parole, con che Paese stare (se con la potente Eni, o con gli operai delle aziende che dovranno “radicalmente cambiare”) corre la linea del redde rationem che Draghi stesso non potrà aggirare. D’altronde, la transizione ecologica non può essere uno spot elettorale, oppure un mero tentativo per alcuni di ricostruirsi una credibilità tornando alle origini. Non può, e non deve più essere, la quinta stella. L’attuale crisi climatica ed ecologica pone una minaccia esistenziale alla nostra società, come nessun’altra crisi aveva mai posto, e non basta una tinta di verde per digerire un nuovo governo chiaramente spostato a destra.

Due crisi, una soluzione.
La transizione ecologica è al contempo la soluzione a due grandi crisi, quella economica e quella climatica: salvare il clima potrebbe avere, come effetto collaterale, la creazione di moltissimi posti di lavoro ben retribuiti (molti di più di qualsiasi investimento legato al mondo dei combustibili fossili, ne è un esempio la follia della metanizzazione sarda), la redistribuzione di ricchezza e in generale la democratizzazione dell’accesso e della distribuzione dell’energia. A tutto questo aggiungiamo altre due necessarie prese di coscienza. Le rinnovabili sono economicamente convenienti: molto più delle fossili. E abbiamo tutte le tecnologie necessarie per iniziare questo passaggio, che non si deve mettere in discussione: esso è una necessità che la miglior scienza disponibile ci chiede ormai da anni.

Un governo ambientalista?
Ministri tecnici nei nodi cruciali di spesa del Next generation Ue, il resto ai politici. Molti analisti, in queste settimane convulse, hanno evidenziato questa scelta di Draghi. Dimenticandosi però che…

 

Gli autori: Luigi Ferrieri Caputi e Giorgio De Girolamo sono attivisti di Fridays for future Italia


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Clima, chi ha paura del fattore D

Swedish climate activist Greta Thunberg holds a poster reading "School strike for Climate" as she protests in front of the Swedish Parliament Riksdagen on Friday, September 4, 2020. (Photo by Fredrik SANDBERG / TT NEWS AGENCY / AFP) / Sweden OUT (Photo by FREDRIK SANDBERG/TT NEWS AGENCY/AFP via Getty Images)

Ventitre ministri, ma solo otto donne quasi tutte senza portafogli e nessuna delle quali indicata dalle forze di centrosinistra. Si capisce anche dai numeri del nuovo governo la difficoltà di fare spazio alle donne nel nostro Paese.

Già prima di questa fase difficile dovuta alla pandemia l’incapacità di valorizzare l’intelligenza, le competenze e la partecipazione delle donne era uno dei principali fattori di arretratezza dell’Italia, ma ora non ci possiamo più permettere di fare a meno di noi donne. Sono state tre ricercatrici dello Spallanzani, Maria Rosaria Capobianchi, Concetta Castilletti e Francesca Colavita, ad aver isolato per la prima volta in Europa e per la terza al mondo il nuovo coronavirus e siamo state noi donne a mandare avanti tanti servizi essenziali in questo anno di pandemia. Lo sapevamo anche prima e lo ha certificato anche la Banca d’Italia: il fattore D – ossia la presenza delle donne nelle posizioni apicali – fa bene alla società, alla politica, all’economia. Ma ora credo sia più evidente ai più che le donne sono il motore propulsore del Paese ed è per questo che l’alleanza “Half of It-Donne per la salvezza” chiede che metà dei fondi che l’Unione europea ci mette a disposizione per il rilancio dell’Italia siano dedicate alle pari opportunità. Perché senza noi donne non c’è ripresa, ma anche perché siamo capaci di innescare cambiamenti stupefacenti.

Un antico proverbio cinese che Amnesty International ha adottato come suo motto, “meglio accendere una candela che…


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Capolinea Europa

Se solo non fosse stata una sciagura, l’incendio di Lipa dello scorso 23 dicembre sarebbe potuto essere un piccolo “miracolo” di fine anno. È servito il fuoco, nella neve dell’enorme campo per migranti alle porte della Croazia, per svelare all’Europa il dramma della rotta balcanica, per farle fare capolino tra le notizie di giornali e tg italiani accanto a vaccini e crisi di governo. Ma qui in Bosnia, dice una delle tante attiviste della società civile, «tutto cambia continuamente», e ora che molti italiani hanno appena imparato cos’è the game, e appreso che anche l’Italia contribuisce ai respingimenti illegali (v. Left del 22 gennaio 2021), ecco che quel gioco è già cambiato, e anche il campo in cui si svolge.

The Truck Game
Non è più l’attraversamento a piedi dei boschi della krajna croato-bosniaca, almeno in attesa che il meteo torni più clemente della violenta polizia di frontiera: ora la partita si gioca nella zona centrale della Bosnia Erzegovina, quella delle acciaierie (targate ArcelorMittal) del cantone di Zenica e Doboj, e il goal consiste nel nascondersi nei camion diretti verso il continente. Il viaggio in “prima classe” costa 50-60 euro, il necessario per farsi chiudere da qualcuno all’interno del container, rigorosamente all’insaputa del driver. Altrimenti «ti puoi nascondere sotto al telaio del camion, oppure sopra: in questo caso non devi pagare, è più facile» racconta a Zenica un ragazzo di origine marocchina poco più che ventenne in attesa di provare. «Conosco tantissime persone che ce l’hanno fatta. Austria, Germania, Repubblica Ceca, ci sono camion tutti i giorni. Io voglio andare in Italia». Ma l’Italia è una speranza, più che un obiettivo preciso: qualche volta si riesce a sapere in anticipo la destinazione ultima, ma più spesso il finale è a sorpresa. È così che ad agosto sette nordafricani convinti di raggiungere Milano sono stati imbarcati su una nave a Spalato e ritrovati cadaveri, quattro mesi dopo, nel loro container di fertilizzanti in Paraguay, dall’altra parte del mondo. Un simbolo tragico di rotte ormai impazzite, a partire proprio dal fatto che in Bosnia giungono ormai donne, uomini, bambini provenienti dal Maghreb o dal Corno d’Africa: volti che fino a ieri si incontravano solo a Lampedusa e che oggi ridisegnano rotte disperate nel tentativo di trovare un…

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L’autore: Simone Santi è giornalista e attivista di Baobab Experience

Le foto del reportage sono di Serena Bernardini e Alice Basiglini


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Eccoli i migliori /3

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 25-02-2021 Roma Politica Punto stampa di Matteo Salvini e i nuovi sottosegretari della Lega Nella foto Gianmarco Centinaio, Alessandro Morelli, Stefania Pucciarelli, Vannia Gava, Matteo Salvini, Lucia Borgonzoni, Tiziana Nisini, Claudio Durigon, Rossano Sasso, Nicola Molteni Photo Roberto Monaldo / LaPresse 25-02-2021 Rome (Italy) Matteo Salvini and the new under-secretaries of the League party meet the press In the pic Gianmarco Centinaio, Alessandro Morelli, Stefania Pucciarelli, Vannia Gava, Matteo Salvini, Lucia Borgonzoni, Tiziana Nisini, Claudio Durigon, Rossano Sasso, Nicola Molteni

Ormai frugare tra l’elenco dei migliori nel governo dei migliori rischia di diventare una rubrica quotidiana ma ci tocca e lo facciamo. Ieri c’è stata una sorta di presentazione alla stampa dei sottosegretari leghisti, capeggiati da un Salvini euforico che nel frattempo continua indisturbato a fare opposizione al governo di cui fa parte, come se nulla fosse, portando avanti la sua prevedibilissima strategia che continuerà irresponsabilmente a usurare il governo per non farsi usurare troppo da Giorgia Meloni. Anche questo purtroppo è uno dei tanti nodi di un governo che tiene dentro quasi tutti e quindi lascia la libertà di non tenere dentro praticamente nessuno a livello di responsabilità.

C’era ovviamente Lucia Borgonzoni, di cui tanto si sta scrivendo e si sta parlando in queste ore, quella che è diventata sottosegretaria alla Cultura e che candidamente ammette di non leggere libri. Meglio: nel luglio 2018 ammise di averne letto uno in tre anni e probabilmente con questa media è risultata la più assidua lettrice di tutto il suo partito e per questo è stata messa lì. Del resto il mondo della cultura, già in sofferenza acuta per la pandemia, ormai è pronto a tutto: per loro la prima ondata non è mai finita.

C’era Stefania Pucciarelli, andata al ministero della Difesa, già presidente della commissione Diritti umani del Senato, già travolta dalle polemiche per un like lasciato a un commento pubblicato sulle sue pagine social e nel quale si inneggiava ai forni crematori per i migranti che richiedevano una casa popolare. Ieri ha detto di non avere fatto altri errori facendo intendere di sentirsi assolta. A posto così. Del resto per loro il razzismo è un problema solo se sbrodola in giro, mica se si porta con fierezza.

Viceministro delle Infrastrutture e trasporti è Alessandro Morelli, quello che si definisce “aperturista” perché vuole riaprire tutto ma non si capisce bene come vorrebbe fermare il contagio, ex direttore de La Padania e de Il Populista: si ritroverà a lavorare a fianco a fianco con Teresa Bellanova (un’altra grande esperta di infrastrutture, immagino) e ha già rilanciato l’idea del ponte sullo stretto di Messina. «Noi abbiamo utilizzato per tanto tempo lo slogan delle ruspe, oggi le ruspe servono per costruire», ha detto ieri. Che ridere, eh?

Nicola Molteni è sottosegretario al ministero dell’Interno. Ieri ha detto: «Rivendico i decreti Sicurezza con orgoglio e dignità perché sono stati strumenti di legalità e di civiltà». Vedrete che (brutte) sorprese in tema di solidarietà.

Sottosegretario all’Istruzione è Rossano Sasso. Sasso nel 2018 partecipò a un flash mob contro i migranti a Castellaneta Marina. Una ragazza era stata violentata e il nuovo sottosegretario aveva già trovato il colpevole, uno straniero definito un «bastardo irregolare sul nostro territorio». Peccato che sia stato assolto con formula piena. Per non farsi mancare niente pochi giorni fa era convinto di citare Dante scrivendo una frase di una versione della Divina Commedia a fumetti apparsa su Topolino. All’istruzione, per capirsi. «Può capitare, è stato uno scivolone, sono sincero non sapevo che si trattasse di Topolino – ha detto ieri – vorrà dire che dovrò approfondire i miei studi classici e se mi sentisse il mio professore del liceo mi tirerebbe le orecchie».

Sottosegretario all’Economia è Claudio Durigon, il padre di Quota 100 nonché il cantore della Flat tax, a proposito di equità fiscale, che quando serve diventa addirittura “progressiva”. «Sappiamo che questo è un governo tecnico e non politico», ha detto ieri. Chissà come se la rideva intanto sotto i baffi.

Buona fortuna e buon venerdì.

Il futuro è ora

After years of very little rainfall, the lakebed of Suesca lagoon sits dry and cracked, in Suesca, Colombia, Wednesday, Feb. 17, 2021. The basin which is dependent on runoff has suffered severe deforestation and erosion, which together with the added impact of climate change has led to a significant reduction of its water level. (AP Photo/Fernando Vergara)

L’irrompere sulla scena politica delle manifestazioni dei Fridays for future nel 2018 è stata una lezione fortissima. Ragazzini in piazza suonavano una campanella che gli adulti non volevano sentire. Noi non avevamo ancora metabolizzato ciò che gli scienziati ci dicevano da tempo. Loro invece avevano già chiaro che non c’è più tempo, che è necessaria una immediata inversione ad U o andiamo a sbattere: urge cambiare stile di vita, modi di produzione, rimettere al centro la persona, il benessere psicofisico, la socialità, il rispetto dell’ambiente. Dobbiamo ripensare le città per renderle più vivibili e inclusive, rifiutando lo sfruttamento del territorio, la deregulation urbanistica, fermare l’emorragia del consumo di suolo. Dobbiamo ridurre gli sprechi. Beninteso non si tratta di indossare il cilicio cristiano, e nemmeno di riproporre la decrescita (in)felice, ma di immaginare e di avanzare una proposizione del tutto nuova di cui la nostra generazione non ha capito fino in fondo l’enorme portata. Altrimenti saremmo già passati all’azione. Ci è voluta una pandemia che ha causato milioni di morti in tutto il mondo perché cominciassimo ad aprire gli occhi. Con il diffondersi del Covid-19 i giovani dei Fridays sono spariti dalla scena pubblica, ma non hanno smesso di lottare come raccontiamo su questo nuovo, tornando a dare loro voce. Da oltre un anno non è stato loro possibile manifestare nelle piazze contro il climate change a causa di una emergenza globale causata proprio da quella violazione degli habitat naturali che loro andavano denunciando: disboscamenti selvaggi e sfruttamento intensivo delle risorse ci hanno portato in contatto con virus che hanno fatto il salto di specie.

Gli scienziati avevano lanciato l’allarme già molti anni fa. Ma sono rimasti perlopiù inascoltati. E ha prevalso il negazionismo criminale alla Trump e Bolsonaro. Abbiamo perso tempo prezioso e ancora oggi ci troviamo alle prese con il Covid-19 e le sue minacciose varianti. I ricercatori hanno fatto una straordinaria corsa per mettere a punto il vaccino, ma siamo ostaggio di una insufficiente produzione, dell’inaccettabile mercanteggiare delle multinazionali che speculano sulla malattia e il piano vaccinale procede ancora a singhiozzo, mentre i Paesi più poveri rischiano di esserne esclusi. In questo contesto risuona più attuale che mai il messaggio degli adolescenti tanto citati nei piani del Recovery e nei discorsi del presidente del Consiglio, ma fin qui bistrattati nei fatti. O ci svegliamo o non riusciremo a mettere un freno al repentino cambiamento climatico e agli effetti devastanti che sta producendo, con l’innalzamento della temperatura, del livello degli oceani, con inondazioni e cataclismi. Non siamo apocalittici, né tanto meno millenaristi. Non crediamo in un destino ineluttabile voluto da Dio. Nutriamo fiducia nella ricerca, nelle strategie scientifiche che si possono ancora mettere in campo. La tecnica non è il Male come pensava Heidegger. Al contrario, come anche la vicenda dei vaccini insegna, può essere un importante strumento quando aiuta a potenziare l’umano. Quello che spaventa semmai è l’inerzia mortale della risposta politica. Su questo dobbiamo interrogarci profondamente, perché transizione ecologica non significa “solo” salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, ma anche giustizia sociale, diritto alla salute. In una parola si tratta di fare un salto di paradigma culturale e di immaginare un diverso modello di società. La scommessa è epocale. E la pandemia, scaturita da una normalità malata a cui eravamo assuefatti ci costringe a cambiare radicalmente prospettiva. Ne discutiamo ampiamente su questo numero di Left, mettendo a confronto punti di vista diversi, ma soprattutto analizzando profondamente la realtà che abbiamo davanti.

A partire dal caso Italia, dove le politiche di aggressione del territorio, sollecitate dalle lobby del cemento, proseguono imperterrite, nonostante la ben nota fragilità sismica e idrogeologica della penisola, nonostante la minaccia dei cambiamenti climatici. Per fare un esempio emblematico, se non interveniamo Venezia sarà sommersa dalle acque alla fine di questo secolo. Nominalmente il governo Draghi apre alle politiche green. Se ne fa un gran parlare. Da grandissimo esperto di cose europee, l’ex governatore della Bce sa che il Recovery fund, meglio detto Next generation Eu, ha precise condizionalità in questo senso. In questo ambito la brutta novità di questo governo è aver affidato il timone dello Sviluppo economico al leghista Giorgetti. Quella positiva, e teoricamente in contrasto con la precedente, è l’aver istituito un ministero della Transizione ecologica. Peccato che, come fa notare il climatologo Luca Mercalli intervistato da Left, alla guida di questo ministero green non sia stato messo uno studioso di tematiche ambientali. Cingolani, che di formazione è un fisico, è stato Chief technology & Innovation officer di Leonardo, azienda attiva nei settori della difesa, e ha a lungo guidato lo Human technopole, voluto da Renzi quando era presidente del Consiglio. Su Left Pietro Greco denunciò il caso dei finanziamenti pubblici a quell’istituto, rilanciando l’iniziativa della senatrice Elena Cattaneo per una più equa e trasparente assegnazione dei fondi, sostenuta dal presidente dell’Accademia dei Lincei Giorgio Parisi e da molti altri studiosi di fama internazionale. Al di là di quella vicenda che alla fine si risolse positivamente con un riequilibrio di fondi, quel che poco ci convince è – se così possiamo dire – la filosofia, la visione culturale di Cingolani che trapela dal suo descrivere i robot umanoidi prodotti dallo HT a bambini di 5 anni. Una domanda: il ministro della Transizione ecologia, che promette di riequilibrare vita umana e ambiente, pensa di fare questa immensa rivoluzione culturale a partire dall’idea che le generazioni future siano come schiere di piccoli robot? Sarà interessante sapere cosa ne pensano i giovani dei Fridays.


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