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Il Brasile rischia di perdere la partita della vita

An indigenous woman of the Kayapo tribe is seen in Piaracu village, near Sao Jose do Xingu, Mato Grosso state, Brazil, on January 17, 2020. - Dozens of Amazon indigenous leaders have gathered in the heart of the threatened rainforest to form an alliance against Brazilian President Jair Bolsonaro's environmental policy and his threats to throw their homelands open to mining concerns. (Photo by CARL DE SOUZA / AFP) (Photo by CARL DE SOUZA/AFP via Getty Images)

Ha toccato i due milioni di casi la sconcertante scia di contagi da coronavirus in Brasile. Circa 75mila sono i morti: è come se dall’inizio della pandemia fosse scomparso un intero quartiere di Roma o una cittadina grande quanto Asti o Caserta. Il più grande Paese del Sud America vanta ormai da diverse settimane un triste primato: vivono qui un quarto delle persone colpite ogni giorno dal Covid-19 nel mondo. E la diffusione non accenna a rallentare. Anzi. Nelle periferie urbane e tra i nativi che vivono nella foresta amazzonica è in atto un vero e proprio sterminio. È di pochi giorni fa la frase shock del giudice della Corte suprema, Gilmar Mendes, che ha accusato le forze armate di essere «complici del genocidio» messo in pratica dalle politiche adottate dal governo di Jair Bolsonaro la cui reazione non si è fatta attendere. Il ministro della Difesa, Fernando Azevedo, e i comandanti di Marina, Esercito e Aeronautica hanno rilasciato una nota in cui «ripudiano con veemenza» le parole del togato. In particolare Azevedo ha annunciato una denuncia al procuratore generale per l’adozione di «misure appropriate». Abbiamo chiesto all’antropologo e scrittore Yurij Castelfranchi, professore associato di Sociologia dell’Università federale di Minas Gerais, di aiutarci a capire qual è la situazione nel Paese sia dal punto di vista sanitario che socio-politico.

Alla luce dei dati sulla diffusione della pandemia, qual è il giudizio dei brasiliani sulle politiche di Bolsonaro?
Qui c’è un dibattito enorme sulle responsabilità di Bolsonaro e su quanto siano sporche di sangue le sue mani. Al punto che Hélio Schwartsman, un famoso giornalista e opinionista di uno dei maggiori quotidiani brasiliani, la Folha de S. Paulo, ha scritto un articolo intitolato “Spero che muoia”. È uscito pochi giorni fa suscitando uno scandalo nazionale. In realtà si tratta di un testo intelligente, ovviamente polemico, ma inappropriato secondo alcuni. Lui praticamente applica un principio etico della filosofia utilitarista che ai liberali e ai neoliberisti come Bolsonaro dovrebbe piacere. Se dobbiamo fare una scelta etica, dice Schwartsman, dovremmo preferire meno morti invece che più morti, meno dolore invece che più dolore. Un tipico principio filosofico utilitarista, appunto. E qui il giornalista fa questo ragionamento: quante persone continueranno a morire se lui non muore? Di qui il titolo provocatorio: “Spero che muoia”.

E cosa è successo?
Il ministro della Giustizia è intervenuto e ha chiesto alla polizia federale di procedere contro Schwartsman applicando una norma che si chiama legge di Sicurezza nazionale. Si tratta di una legge dell’epoca della dittatura militare che non è mai stata revocata per una serie di motivi tipici del Brasile. Primo tra tutti la mancanza di coraggio di chiudere i conti con il passato, e questa cosa continua a dare potere ai militari. Il ministro ha invocato la legge di Sicurezza dicendo che la libertà di stampa è un diritto fondamentale ma tutti i diritti fondamentali sono limitati da altre regole e una è questa.

Il procedimento contro il giornalista è in corso?
Sì ma in realtà il richiamo alla legge di Sicurezza nazionale è stato utilizzato moltissime volte nelle ultime settimane dal governo Bolsonaro. Anche per minacciare i suoi stessi funzionari. Per esempio quelli del ministero della Salute hanno dovuto firmare un accordo impegnandosi a non rivelare i dati dei morti per Covid-19. È stata minacciata l’applicazione anche in caso di caricature del presidente pubblicate sui media oppure in caso di allusioni al suo comportamento fascista. E questo è un tipico atteggiamento militaresco che affonda le radici nella dittatura e che punta a indebolire la libertà di stampa e di espressione. Si tratta in pratica di una norma antiterrorismo quindi le pene sono molto severe.

In Italia ha avuto molta eco un tweet di Salvini in solidarietà a Bolsonaro. Ad essere sincero me lo sono perso. Per fortuna qui in Brasile non ha avuto visibilità. Siamo già abbondantemente circondati di persone insignificanti dal punto di vista umano e storico e che usano la menzogna come strategia politica, quindi ci possiamo permettere il lusso di trascurare chi esibisce certe doti al di là dell’Atlantico. Ma forse la solidarietà di Salvini in Brasile non ha avuto grande visibilità a causa delle vicende di cui ho appena parlato.

Un anno fa di questi tempi arrivavano notizie sconvolgenti sugli incendi che stavano devastando l’Amazzonia e uccidendo i nativi che ci vivono. Oggi gli indigeni si trovano ad affrontare senza difese anche la pandemia. C’è un dibattito pubblico molto acceso sulle responsabilità di Bolsonaro e arrivano condanne da parte di quasi tutti i fronti della società civile organizzata. Responsabilità tanto nel genocidio degli indigeni quanto nella distruzione di ogni sistema di protezione ambientale. La deforestazione…

L’intervista prosegue su Left in edicola dal 17 luglio

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L’era della bile

Saremo persone migliori il giorno che riusciremo a non confondere la vendetta con la giustizia. Non sarà un cammino facile anche se è un percorso possibile: smettere di pensare alla nostra grandezza come risultato della demolizione di quelli che ci stanno intorno sarebbe il primo passo per essere persone migliori, comunità migliori, un Paese migliore e un mondo migliore.

Nell’era della bile invece la distruzione dell’avversario, qualsiasi avversario sia, è l’obiettivo primario: non votiamo perché una parte politica abbia buoni numeri per avere buona incidenza di governo ma votiamo sperando che gli altri spariscano, che facciano un tonfo, che vengano umiliati dai risultati. Non facciamo un lavoro per farlo bene ma troppo spesso ci ritroviamo a dover fare meglio del nostro concorrente che è praticamente un nemico, il suo fallimento ci gratifica quasi di più del nostro lavoro ben fatto.

Inutile dire poi della giustizia che in Italia è diventata una lecita persecuzione che inebria per l’odore del sangue: dei ladri importa che vengano umiliati e ci si dimentica quasi sempre del bottino, dei colpevoli ci interessa che siano messi in condizione di non potersi mai più riabilitare e che spariscano, “buttare via la chiave” è la frase che popola le discussioni, la pena capitale viene citata spessissimo.

Una competizione continua e perfino invertita: fai in modo che l’altro fallisca, questo è il comandamento laico dell’epoca della bile, lavora per il fallimento dell’altro, confida nella sua autodistruzione, godi dei suoi errori come se fossero tuoi traguardi.

Così finiamo per essere parte passiva e sempre in attesa delle disgrazie altrui. Così alla fine siamo arrivati qui dove siamo.

Costruite, costruite senza guardare i tetti degli altri.

Buon venerdì.

L’uomo che ha fregato un intero Paese

A volte ritornano, avvertiva un vecchio film del 1991 basato sui racconti di Stephen King. E un bruttissimo revival è quello a cui stiamo assistendo in questi giorni. In una surreale rincorsa a riesumare protagonisti della Prima Repubblica che infiniti danni hanno fatto al Paese. “The man who screwed an entire country”, titolava nel 2011 perfino l’Economist. Ma oggi è tutto un genuflettersi al Cavaliere in cerca di larghissime (e sconce) intese.

Fra le questioni in campo c’è anche quella della futura presidenza della Repubblica. E allora ecco il ministro Luigi Di Maio incontrare Draghi e l’uomo del Cavaliere, Gianni Letta, precipitandosi per una china di conservatorismo democristiano. Ma soprattutto ecco l’imbarazzante apertura di Prodi a Berlusconi, a cui la vecchiaia avrebbe portato saggezza. Gli fanno subito codazzo i piddini Maurizio Martina e Guglielmo Epifani, ex segretario generale Cgil che dice: «Berlusconi può isolarsi con Salvini o tornare centrale con noi». Intanto Davide Faraone di Italia viva, il cui leader Renzi afferma di essere cresciuto a pane e Mediaset, parla di democrazia sconvolta dalla condanna per frode fiscale del numero uno di Arcore e chiede una commissione parlamentare. D’un tratto ci ripiomba addosso il peggior passato, quello del berlusconismo rampante, di Tangentopoli, dell’attacco alla magistratura per condurre la giustizia nel porto delle nebbie, delle leggi ad personam e di norme antiscientifiche e misogine come la legge 40/2004, del bunga bunga, dei progetti eversivi della P2 a cui Berlusconi fu iscritto come documentò la commissione di inchiesta guidata da Tina Anselmi ( l’iscrizione di Silvio Berlusconi alla Loggia massonica P2 fu definita dalla Commissione parlamentare di inchiesta, presieduta da Tina Anselmi, un’associazione a delinquere ed eversiva. Merita di essere letto di nuovo il libro La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi).

Torna lo spettro di una politica affaristica che anteponeva il profitto di pochi all’interesse del Paese, delle regalie alle caste finanziarie, imprenditoriali, clericali e corporative, torna la devolution e l’ombra della criminalità organizzata sui cantieri pubblici (con cui secondo l’allora ministro berlusconiano delle infrastrutture Lunardi bisognava rassegnarsi a convivere). Un pericolo che si fa ben concreto grazie al pessimo decreto Semplificazione varato dall’attuale governo come denunciano nello sfoglio di copertina Bonelli e Berdini.

Ma tornano alla mente anche tutti gli assist che un centrosinistra subalterno alle destre regalò al Caimano. Pensiamo alla Bicamerale, alla legge sul conflitto di interesse che il centrosinistra non fece quando era al governo, al soccorso veltroniano alle tv private berlusconiane (documentato nel libro di Michele De Lucia, Il baratto, 2008) che hanno sostituito l’informazione con l’intrattenimento addormenta cervelli. Ricordiamo anche al patto del Nazzareno del 2014 fra l’allora segretario del Pd, Matteo Renzi e il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi… Ora pensavamo che la sbornia neoliberista fosse passata. Che la dura lezione che ci ha impartito il Covid-19 in termini di perdita di vite umane avesse reso evidente i danni delle privatizzazioni e dell’aziendalizzazione della sanità pubblica modello Lombardia, nonché i disastri che produce trattare la salute come fosse una merce. Lo scenario che si potrebbe aprire in un autunno che si preannuncia caldo potrebbe essere ben diverso se non arrivano risposte di sinistra al crescente malessere sociale. La Lega è abile a camuffarsi da partito che sta dalla parte dei lavoratori benché si guardi bene dal farne gli interessi. Altrimenti non si spiegherebbe come sia riuscita a fare breccia perfino fra i tesserati della Cgil. Il populismo familista e sovranista punta a egemonizzare gli strati popolari che hanno meno mezzi e strumenti. Certo non basterà che la Lega si installi là dove era la vecchia sede del Pci a Botteghe oscure per ingannare.

Ma se la sinistra, frammentata, non riesce a far sentire la propria voce e il centrosinistra si suicida tornando a sposare le fallimentari tesi neoliberiste, le stesse che ci hanno precipitati in questa crisi, il rischio di una deriva di destra si fa ancor più reale. Lo scorso anno di questi tempi Salvini, chiedendo onnipotentemente pieni poteri, innescò suo malgrado una reazione democratica forte. La parlamentarizzazione della crisi da parte di Conte permise la nascita di un governo Pd-M5s, che annunciava lotta all’evasione fiscale, investimenti su ricerca, sanità e scuola, green new deal, taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori, revisione dei decreti sicurezza… Che ne è stato di tutto questo? La montagna ha partorito il topolino della regolarizzazione dei lavoratori migranti, che come sappiamo è una farsa: troppi paletti, troppi costi a carico di chi cerca lavoro e di chi vorrebbe assumere. Di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze, per rispondere ai tantissimi che hanno perso il lavoro (giovani e donne in primis) serve un serio piano di investimenti pubblici, serve più ricerca, occorre una visione per modernizzare il Paese, per promuovere sviluppo sostenibile e giustizia sociale, per pensare un modo nuovo di fare società mettendo al centro il benessere delle persone. La risposta a tutto questo può venire da un governo di larghe intese incamerando Berlusconi al Quirinale? Ma non scherziamo!

L’editoriale è tratto da Left del 17 luglio 2020

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A volte ritornano

Lo sapete cosa accade quando i partiti hanno il terrore mettersi davanti allo specchio degli elettori, quando hanno paura di dover cominciare considerare i possibili effetti di un possibile voto e quando soprattutto cominciano a sentire che il governo in carica ha problemi di tenuta nella percezione popolare? Iniziano a frugare dentro, tra gli anfratti dello scacchiere parlamentare, si lanciano in merletti e alambicchi di strategia che da fuori appaiono come spericolate ipotesi senza capo e senza coda e tengono in mano la calcolatrice per immaginare altre pericolanti maggioranze che restino in piedi giusto il tempo di riorganizzarsi di nuovo. Una burocrazia di maggioranze che ottiene di solito l’effetto di disgustare ancora di più gli elettori (di qualsiasi parte politica) che per anni sono stati scagliati contro i giochi di palazzo e che fa schizzare i populisti nei sondaggi. Poi, quando accade, quando ci si mette tutti insieme in un’accozzaglia di partiti che hanno come unico punto quello della loro autopreservazione, insistono nel dirci che l’hanno fatto per senso di responsabilità, di solito mettono come presidente del Consiglio quello che si definisce un tecnico e di solito danno vita a tutte le misure impopolari che hanno succhiato la vitalità del Paese (il governo Monti, per dirne una facile facile, ve lo ricordate?).

Ecco, quello che sta accadendo in Italia in questi giorni convulsi in cui si torna a parlare di un possibile ingresso nel governo di Silvio Berlusconi corrisponde esattamente alla fase iniziale di un momento del genere, con parte del Partito democratico che non riesce proprio a trattenersi da un filo-destrismo che non riesce proprio a scrollarsi di dosso; con i renziani di Italia Viva che invece Silvio Berlusconi (o meglio: i moderati di destra) lo corteggiano da un bel po’ (quindi niente di nuovo sotto al sole) e con il Movimento 5 stelle che ancora una volta prova le vertigini che procura la sensazione di perdere il potere. Tutto parte da Romano Prodi, icona di un centrosinistra che ha bisogno di idoli in mancanza di classe dirigente, che nel suo ruolo di souvenir del centrosinistra che c’era ci fa sapere che non sarebbe «un tabù l’ingresso di Forza Italia». Dicendolo come ci ha abituato a dire le cose Romano Prodi, a lato di qualche altro evento o mentre viene incrociato per caso da qualche giornalista durante la sua passeggiata mattutina. L’innesco funziona perfettamente: è tutto un profluvio di riabilitazioni politiche e di venute in soccorso verso il Cavaliere caduto in disgrazia con frasi che superano la semplice circostanza e che addirittura mostrano una sfrenata volontà di riabilitare in fretta quella classe dirigente che fu senza l’impiccio del Movimento 5 stelle e senza i populismi di Salvini e di Meloni: il sogno di un centrosinistra e di un centrodestra che rimangano soli nell’arco elettorale e che fingano di farsi la guerra lavorando sotto traccia per la pace è il desiderio recondito di molti dirigenti che ancora non hanno fatto pace con ciò che è successo in Italia negli ultimi dieci anni. In mancanza di un vocabolario per leggere e per scrivere il presente preferiscono rimettere in piedi quel passato in cui nuotavano così agilmente.

Ma, seriamente, cos’è tutto questo baccano sulla riabilitazione di Berlusconi? Proviamo a fare due conti, passo passo, analizzando le diverse situazioni dei personaggi in commedia. Prodi, innanzitutto, è quello che nemmeno troppo segretamente aspira alla presidenza della Repubblica e sa benissimo che per riuscirci ha bisogno dei voti di un centrodestra che in tutti questi anni l’ha demonizzato e l’ha indicato come la causa di tutti i mali europei: per assurdo…

L’articolo prosegue su Left in edicola dal 17 luglio

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La preghiera dell’odio

Siamo a Lizzano, paese in provincia di Taranto, dove il parroco, don Giuseppe, ha pensato bene di organizzare una veglia di preghiera contro la legge contro l’omotransfobia (il disegno di legge Zan è già stato approvato in Commissione Giustizia) che, a suo dire, sarebbe un’insidia che minaccia la famiglia. L’oscurantismo del resto va molto di moda tra alcuni leader politici e figurarsi se non prende piede anche tra i parroci di provincia dove con un arzigogolato ragionamento si riesce a mettere insieme la famiglia con l’odio verso i gay: sono quei pensieri deboli e cortissimi che prendono molto piede dove l’ignoranza regna sovrana. Evidentemente per don Giuseppe il suo dio vuole che si continui a odiare e discriminare perché le famigliole possano stare tranquille. Contento lui.

Il punto che conta però è che in molti (per fortuna) si sono ribellati a questa pessima iniziativa e soprattutto la sindaca del paese, la dott.ssa Antonietta D’Oria, pediatra di famiglia, mamma di quattro figli che lavora a Lizzano da trent’anni ed è impegnata in varie associazioni di ambito sociale, ambientale e culturale decide di prendere carta e penna e di rispondere. Potrebbe essere la solita diatriba tra parroco e sindaca ma di questi tempi le parole sono preziose. Ecco la risposta:

“È notizia ormai rimbalzata su tutti i social media che il parroco di Lizzano, il parroco della nostra Comunità, il nostro parroco ha organizzato un incontro di preghiera contro le insidie che minacciano la famiglia, tra cui, prima fra tutte, cita la legge contro l’omotransfobia.
Ecco, noi da questa iniziativa prendiamo, fermamente, le distanze.
Certo non sta a noi dire quello per cui si deve o non si deve pregare, ma anche in una visione estremamente laica quale è quella che connota la attuale Amministrazione Comunale, la chiesa è madre e nessuna madre pregherebbe mai contro i propri figli.
Qualunque sia il loro, legittimo, orientamento sessuale.
Perché, come ha scritto meglio di come potremmo fare noi, padre Alex Zanotelli, quando ha raccontato la propria esperienza missionaria nella discarica di Corogocho, la Chiesa è la madre di tutti, soprattutto di quelli che vengono discriminati, come purtroppo è accaduto, e ancora accade, per la comunità LGBT.
A nostro modestissimo parere e con la più grande umiltà, ci pare che altre siano le minacce che incombono sulla famiglia per le quali, sì, sarebbe necessario chiedere l’intervento della Divina Misericordia.
Perché non pregare contro i femminicidi, le violenze domestiche, le spose bambine?
Perché non celebrare una messa in suffragio per le anime dei disperati che giacciono in fondo al Mediterraneo?
Perché non pregare per le tante vittime innocenti di abusi?
Ecco, senza voler fare polemica, ma con il cuore gonfio di tristezza, tanti altri sono i motivi per cui raccogliere una comunità in preghiera.
Certo non contro chi non ha peccato alcuno se non quello di avere il coraggio di amare.
E chi ama non commette mai peccato, perché l’amore, di qualunque colore sia, innalza sempre l’animo umano ed è una minaccia solo per chi questa cosa non la comprende”.

Che bella quando prende posizione, la politica.

Come dice la scrittrice Francesca Cavallo: «iniziative come questa non devono passare sotto silenzio, per il bene di tutti quegli adolescenti che leggono di un’iniziativa come questa e pensano di essere sbagliati. Io sarei potuta essere tra loro».

Buon giovedì.

Morire in un Cpr, è accaduto di nuovo

Un ragazzo albanese di 28 anni, in quarantena per emergenza covid, è stato trovato morto nella sua cella al Centro permanente per i rimpatri di Gradisca D’Isonzo. Un altro ragazzo, proveniente dal Marocco e suo compagno di stanza, è in terapia intensiva ma non in pericolo di vita. Sul caso c’è il più stretto riserbo da parte degli investigatori e a 24 ore dal ritrovamento non è ancora chiaro il motivo della morte ma è la seconda volta dall’inizio del 2020 che nelle celle del centro di Gradisca si registra un decesso.
La legge italiana consente di rinchiudere una persona fino a sei mesi nei Cpr come quello di Gradisca, senza che sia stato commesso alcun reato e ora il governo Conte 2 promette di ridurre questo periodo riformando i decreti sicurezza di Salvini. Staremo a vedere, sta di fatto che da 22 anni queste strutture, che negli anni hanno spesso cambiato nome, sono illegali, incostituzionali, discriminatorie, inutili e persino costose. Sono, come scrivono scrivono in una nota il responsabile immigrazione Prc-Se, Stefano Galieni, e il segretario provinciale Prc di Gorizia, Luigi Bon, «l’emblema del fallimento delle politiche migratorie europee».

Questi luoghi vanno pertanto chiusi senza se e senza ma. Si potrebbe seguire l’esempio di Spagna e Portogallo dove vengono costruiti percorsi di regolarizzazione per dei migranti in cerca di un futuro e della possibilità di realizzare la propria identità.

Per approfondire di invitiamo a leggere il nostro libro inchiesta sul tema

Prorogare ora lo stato d’emergenza è un rischio per la democrazia

Foto Riccardo Antimiani/LaPresse/POOL Ansa15-07-2020 Roma - ItaliaPoliticaIl premier Giuseppe Conte riferisce sulla prossima riunione del Consiglio EuropeoNella foto: Giuseppe ContePhoto Riccardo Antimiani/LaPresse/POOL Ansa15-07-2020 Rome - ItalyPoliticsThe prime minister Giuseppe Conte, delivers a speech at the Chamber of Deputies on the upcoming European Council meeting.In the picture: Giuseppe Conte

Se una persona saggia ed equilibrata come il professor Sabino Cassese afferma che con un nuovo stato d’emergenza rischiamo di allevare nuovi Orban, allora, c’è da riflettere con serietà e senso di responsabilità. La storia ci racconta che la nostra Repubblica ha vissuto stagioni di grandi crisi – ad esempio, quella della lotta al terrorismo – senza mai sospendere i principi fondamentali della Carta costituzionale, ma adeguandoli a criteri di momentanea necessità, proporzionalità e urgenza. Se bastasse il timore o la probabilità di un evento calamitoso per sospendere l’ordine costituzionale si aprirebbero scenari a dir pericolosissimi. Mancando il presupposto giuridico ed empirico della proroga emergenziale, il presidente del Consiglio, di fatto, surrogherebbe, con maggior veemenza rispetto ai suoi precedenti provvedimenti, i poteri che spettano al Parlamento, soffocandone così gli ultimi respiri vitali.

Condivido in toto il pensiero del professor Cassese: «Perché prorogare lo stato di eccezione, se è possibile domani, qualora se ne verificasse la necessità, riunire il Consiglio dei ministri e decidere?». La proroga in assenza di reale emergenza rischia l’accentramento di un potere extra ordinem nelle mani di un solo individuo che oggi magari è illuminato, ma domani, qualora non lo fosse più, cosa potrebbe accadere? Una confluenza eccessiva di poteri e funzioni in un singolo organo, di fatto, annulla l’organo democratico per eccellenza: il Parlamento e rischia di far diventare l’eccezione, la regola. Nei grandi momenti di crisi, le istituzioni democratiche non possono non far riferimento alla Costituzione, nella quale non c’è spazio per leggi extra ordinem.

Le grandi emergenze si contrastano non accentrando il potere ma rafforzando la collaborazione fra i vari organi istituzionali, primo fra tutti il Parlamento. Più volte la Consulta ha rimarcato con forza la necessaria brevità degli strumenti derogatori, giacché non è fisiologico governare con mezzi eccezionali in una democrazia parlamentare. Queste eccezioni a nostro parere ledono l’equilibrio dei poteri, oscurando il Parlamento, il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, al cui controllo sono sottratti guarda caso proprio gli atti dettati dall’emergenza.

Credo sia opportuno ripristinare la normalità dei rapporti tra governo e Parlamento dando priorità a quest’ultimo nei casi di emergenza e di crisi che coinvolgano tutti i cittadini italiani. Non creiamo precedenti pericolosi di cui pentirsi in futuro quando al governo del Paese potrebbero esserci persone meno responsabili e meno affidabili. L’Italia in questo momento ha bisogno di verità e di legalità, nel rispetto pieno e totale delle regole della democrazia rappresentativa. Ha ragione la presidente della Corte costituzionale quando dice che la Costituzione offre la bussola anche per «navigare per l’alto mare aperto» nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini.

Evidenziati i rischi cui potremmo andare incontro, dobbiamo chiederci: siamo ancora una democrazia parlamentare, pluralistica e solidaristico sociale o non più? Se la risposta fosse affermativa, allora, quando sono in gioco diritti e libertà fondamentali, è lo Stato che deve decidere, con provvedimenti concordati, discussi, costruiti insieme anche alle autorità locali, ma dentro una cornice che non può essere lasciata all’iniziativa unilaterale dei presidenti di Regione e tanto meno del solo presidente del Consiglio. In una democrazia come la nostra, è lapalissiano che simili misure debbano essere adottate dal legislatore, direttamente o con quelle procedure in cui l’intervento del governo passa comunque attraverso il controllo e l’azione di collegamento del Parlamento (procedure attuate in Francia, in Germania e in altri Paesi che si professano democrazie avanzate come dovrebbe essere la nostra).


* Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers institute on Anti-corruption studies (Riacs) di Newark (Usa). È ricercatore dell’Alta scuola di Studi strategici sulla criminalità organizzata del Royal united services institute di Londra. È stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Per approfondire, vi invitiamo a leggere il nostro libro ITALIA FASE 3

===> Sommario <===
===> Premessa <===

Fare come i razzisti, ma al contrario

«Vivo in Italia da 16 anni, ho la cittadinanza italiana e ho fatto qui tutte le scuole. Sto continuando gli studi all’Università, gioco a basket in carrozzina con la Nazionale italiana e mi considero in tutto e per tutto italiana. Eppure sono stata aggredita. Mio papà è in ospedale probabilmente con uno zigomo rotto perché a detta loro siamo stranieri del ca**o che devono tornare al loro paese. Tralascio le offese che mi sono presa perché sono disabile. Io e mamma eravamo dentro e un tipo ci urlava di uscire. Papà stava tornando dalla sua consueta passeggiata e non è riuscito quasi a parlare, colpito da una testata e altro. Urlava anche davanti ai carabinieri: ho un curriculum criminale, a tua figlia handicappata la becco per strada e mi faccio fare un lavoretto… Sono stati davvero brutti momenti. E non mi dite che il razzismo in Italia non esiste. L’ho vissuto oggi dopo 16 anni che vivo qui e fa molto male. A chi ci ha aggredito dico di vergognarsi, saremo anche stranieri ma abbiamo più dignità di loro e chi ha guardato tutto senza fare nulla si dovrebbe vergognare ancor di più».

A raccontare questa storia è Beatrice Ion, stella della nazionale italiana paralimpica di basket, italiana da ben 16 anni e di origine rumena. Beatrice ha incontrato il modello di razzista perfetto: quello che odia gli stranieri, odia i disabili e che riesce addirittura a vedere dei privilegi riservati ai deboli che lui non riesce a sopportare. È una storia significativa perché di fronte al razzismo e alla ferocia ci racconta che non basta nemmeno l’intervento di un genitore, della famiglia ma il razzismo è un liquido velenoso che ha bisogno che tutti si facciano argine per non permettergli di infilarsi dappertutto.

Ma è una storia che va raccontata. Ci ho pensato, mi sono detto che forse era una storia ormai vecchia di qualche giorno e che forse era un caso isolato e poco paradigmatico poi ho pensato che invece queste storie andrebbero raccontate tutte, una per una, tutti i giorni, tutte le volte, ripeterle sui giornali, per strada, al bar, con la stessa ostinazione con cui i razzisti giocano perfidi al sottile gioco di ripetere una bugia per farla diventare parvente verità.

Bisogna fare come loro, al contrario: raccontare il razzismo tutti i giorni così che diventi un’emergenza, qualcosa di cui ci stanchiamo di parlare e di sentire parlare, un atteggiamento troppo ripetuto per poter essere sostenibile. Una cosa così.

E allora, cara Beatrice, sappi che sono in molti a difenderti, moltissimi.

Buon mercoledì.

Le macerie della pandemia nel mondo sono i bambini

Scusate se mi permetto di non seguire la polemica di qualche presidentessa di regione che cerca di lucrare su qualche decina di migranti, mi pare davvero troppo spendere qualche riga per una regione con un sistema sanitario completamente devastato dalla politica che si preoccupa di degli arrivi via mare mentre invoca a piene mani e senza controlli quelli via terra, ma ieri è uscito un rapporto di Save The Children che merita attenzione perché parla di un argomento che sfugge da qualsiasi discussione dei cosiddetti grandi del mondo e che rende perfettamente l’impatto della pandemia nel futuro un po’ più largo della visione del nostro semplice quartiere.

Dice il rapporto ‘Save our education – Salvate la nostra educazione’ che a oggi nel mondo sono 1,2 miliardi gli studenti colpiti dalla chiusura delle scuole e che la crisi provocata dal Covid-19 potrebbe costringere almeno 9,7 milioni di bambini a lasciare la scuola per sempre entro la fine di quest’anno, mentre milioni di altri bambini avranno gravi ritardi nell’apprendimento.

L’indice prende in considerazione in particolare tre parametri: il tasso di abbandono scolastico precedente all’emergenza, le diseguaglianze di genere e di reddito tra i bambini che lasciavano la scuola e il numero di anni di frequenza scolastica. L’analisi di questo indice mette in evidenza come in 12 paesi – Niger, Mali, Ciad, Liberia, Afghanistan, Guinea, Mauritania, Yemen, Nigeria, Pakistan, Senegal e Costa d’Avorio – il rischio di incremento di abbandono scolastico sia estremamente elevato. Anche in questo caso sono le donne quelle che rischiano di subire di più: sono 9 milioni le bambine in età di scuola primaria che rischiano di non mettere mai piede in una classe, a fronte di 3 milioni di bambini.

Ha detto Inger Ashing, ceo di Save the Children: «Circa 10 milioni di bambini potrebbero non tornare mai a scuola: si tratta di un’emergenza educativa senza precedenti. Proprio per questo i governi devono investire urgentemente nell’apprendimento, mentre al contrario siamo a rischio di impareggiabili tagli di bilancio, che vedranno esplodere le disparità esistenti tra ricchi e poveri e tra ragazzi e ragazze. Sappiamo che i bambini più poveri ed emarginati che erano già i più a rischio hanno il danno maggiore, senza accesso all’apprendimento a distanza o qualsiasi altro tipo di istruzione, per metà dell’anno accademico».

È qualcosa di spaventosamente mostruoso, una di quelle situazione di cui non ci occupiamo perché ci appare così grande rispetto ai nostri piccoli problemi locali e che poi invece torna qui, sulle nostre coste. No?

Buon martedì.

Si vergognano di essere fascisti

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 25-04-2020 Roma, Italia Cronaca Coronavirus, festeggiamenti liberazione 25 Aprile Nella foto: Testaccio, flash mob con bandiere ANPI e canti "bella ciao" Photo Mauro Scrobogna /LaPresse April 25, 2020  Rome, Italy News Coronavirus outbreak, Liberation Day In the picture: Flash mob in Testaccio district with National Association of Partisans (ANPI) flags and singing "bella ciao"

Io davvero non vi capisco voi che siete fieramente fascisti durante l’aperitivo o mentre vi date di gomito mentre inneggiate a Lui insieme ai vostri amici e poi vi offendete quando vi danno dei fascisti. O meglio, vi capisco nella vostra vigliaccheria che rivendete come pudicizia ma non capisco perché ci teniate tanto a fare i fascisti buoni.

Non capisco quello di Fratelli d’Italia che vorrebbe fare l’uomo di destra più amato dalla sinistra e si finge illuminato quando si parla di diritti e di doveri per poi vedere antifascisti dappertutto che vorrebbero mettergli un cappio al collo. Avete deciso di usare la violenza verbale come timbro di quest’epoca del centrodestra? Siete o no quelli che pregano tutto il giorno che qualche italiano venga ferito o insultato o disturbato da uno straniero per potere rilanciare la notizia sui social mentre vi dimenticate di fare il contrario? Benissimo, è legittimo, anche se fa un po’ schifo, però poi non date lezioni di pesi e di misure a noi, rimanete nel vostro recinto di odio e di bava e continuate sulla vostra linea.

Non capisco nemmeno Salvini, quello che “lecca” in ogni occasione gli amici di CasaPound e che eccita gli animi dei nostalgici di Mussolini: vuole farlo? Lo faccia. Viene contestato, si becchi le contestazioni. Ma questo suo sogno di diventare il super eroe dei due mondi per cui vorrebbe essere l’idolo dei nipoti di Mussolini e contemporaneamente dei nipoti di Berlinguer è qualcosa che andrebbe studiato e curato con attenzione. Scelga una parte, non se ne vergogni, sia capace di sostenerla.

E non capisco nemmeno quelli che provano a convincerci che il fascismo non esista più, che non ci sia pericolo (che sarebbe meglio così, tutti felici e contenti) e poi sono gli stessi che ci dicono che in Italia esiste un clamoroso pericolo che si chiama antifascismo. Ma davvero? Ma fate sul serio?

Se non esiste nessun pericolo allora anche questo articolo non serve a niente. Oppure più semplicemente questi si vergognano di essere fascisti. Come capita da sempre. Semplicemente.

Buon lunedì.