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Nessuno nasce criminale

Cappi e manette… e c’è anche chi evoca la ghigliottina! Avanza il partito trasversale dei giustizialisti capeggiato della destra leghista e illiberale alla continua ricerca di capri espiatori. Una destra che, “immemore” dei 49 milioni fatti sparire dal partito fondato da Bossi, vuole spedire nei lager libici i migranti “colpevoli” di non esser morti nel Mediterraneo e vuole richiudere, quelli che sono riusciti a salvarsi, nei centri di detenzione italiani per periodi sempre più lunghi. Una recente sentenza del tribunale civile di Roma (che ha accolto il ricorso dell’Asgi e di Amnesty) ha stabilito che i respingimenti sono illegali e chi li subisce ha diritto a vedersi risarcire il danno, ma soprattutto ha il diritto di presentare domanda di protezione internazionale nel Paese da cui è stato respinto. E ancora, a proposito di illegalità, nel solco della legge Bossi-Fini (che ha sdoganato l’equazione xenofoba “immigrato = delinquente”), i decreti legge Salvini su sicurezza e immigrazione, violano l’articolo 10 della Costituzione sull’asilo, i trattati internazionali a partire dalla Convenzione di Ginevra sui diritti umani, nonché storiche leggi del mare. Ma ancora si attende dal Conte II quel segnale di discontinuità che era stato promesso con l’accordo di governo fra Pd e M5s. È trascorsa anche la Giornata internazionale dei diritti dell’uomo 2019 e nulla è stato fatto né detto di positivo in questo senso da esponenti di governo e dal premier stesso che, mesi addietro, conveniva che si dovessero almeno recepire i rilievi del Capo dello Stato sui provvedimenti firmati da Salvini e divenuti legge.

Ed è tutto un tintinnar di manette nella retorica grillina che accompagna il varo della riforma della prescrizione, che entrerà in vigore il prossimo gennaio, in coda alla cosiddetta legge spazzacorrotti. Che cosa comporta? In pratica al termine del primo grado di giudizio il meccanismo della prescrizione non funziona più. «In presenza di una sentenza di primo grado non vi è più scadenza alla durata del processo», denuncia il costituzionalista Giovanni Russo Spena. Si dilatano così a dismisura i tempi dei processi, che già in Italia hanno durata pari al doppio della media europea. E se è vero che proprio grazie all’istituto della prescrizione possiamo solo scrivere che Andreotti trattò con la mafia fino al 1980, è altrettanto vero che «la durata ragionevole del processo è u principio costituzionale. E dunque “il fine processo mai” è incostituzionale». Sulla riduzione della durata dei processi la riforma Bonafede non dice nulla di chiaro e di definito. Chi è imputato rischia di esserlo a vita e sarà più difficile per le vittime essere risarcite, come spiega Cesare Antetomaso (Giuristi democratici) in questo sfoglio particolarmente ricco di contributi autorevoli. Come quello dell’avvocato Felice Besostri che insieme a Maurizio Turco, segretario del Partito radicale sta preparando un’azione giudiziaria in favore della durata ragionevole dei processi. Turco sta anche portando avanti una iniziativa per un referendum sul taglio dei parlamentari, passato lo scorso ottobre (anche con il sì del Pd) con gran tripudio dei grillini che per l’occasione hanno rispolverato tutta la loro retorica anti casta. Ma ben vedere c’è poco di cui essere contenti visto che, a fronte di un piccolo risparmio (che si sarebbe potuto ottenere tagliando gli stipendi dei Parlamentari) questa riforma costituzionale riduce gravemente la rappresentanza. Inoltre, ad un mese dalla scadenza dei termini, non si parla di referendum confermativo (previsto dalla Costituzione quando è in ballo una legge di riforma della Carta). Perciò con la tesoriera Irene Testa, il segretario del Partito radicale ha deciso di scrivere al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedergli «di intervenire con estrema urgenza, per ripristinare il diritto sottratto ai cittadini della Repubblica ad essere informati».

Colpisce che tutto questo non abbia fin qui suscitato una discussione pubblica ampia e adeguata, dal momento che parliamo di norme che mettono in discussione principi cardine sanciti dalla Costituzione antifascista, come la durata ragionevole del processo, appunto, e che toccano anche la funzione della detenzione che deve essere rieducativa, volta al recupero della persona e non vendetta. Come scrive la penalista Valentina Angeli su questo numero di Left, «i costituenti sapevano che il fascismo si può annidare in ogni espressione ed esercizio del potere pubblico, di cui il potere giudiziario è massima espressione, poiché, attraverso il processo penale, può legittimamente comprimere quegli stessi diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione, principalmente quello alla libertà personale». Di più. L’avvocato Angeli suggerisce con questa sua lettura profonda dei principi costituzionali che nella nostra Carta si può leggere in filigrana un’idea del cittadino come persona a tutto tondo, scevra dall’ideologia religiosa che ci vorrebbe tutti irrimediabilmente segnati dal male, in quanto figli di Caino. La violenza non è innata nell’essere umano e i costituenti, che pure avevano vissuto il fascismo, con grande spessore umano e intelligenza, l’avevano compreso.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 13 dicembre

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Giustizia, non vendetta

ROME, ITALY - JANUARY 25: The Supreme Court President Giovanni Mammone (L) listens to Italy's Justice Minister Alfonso Bonafede during the opening General Assembly of the Supreme Court of Cassation for the inauguration of the judicial year and for the report on the administration of justice on January 25, 2019 in Rome, Italy. (Photo by Stefano Montesi - Corbis/Corbis via Getty Images)

È la goduria del tintinnare delle manette. Un minus “atavico”, lucido, incorreggibile di chi solo con la vendetta riesce ad avere la sensazione di sfiorare la soddisfazione. Nei ruoli mischiati della politica di questi ultimi anni, qui dove tutto è diventato confuso perché piatto, senza valori e senza contenuti la destra con la bava alla bocca (quella che si definiva garantista e almeno su questo punto sembrava irremovibile) ha tentato di riportare il concetto di giustizia indietro di secoli. E in qualche modo ha fatto breccia. Sia chiaro, è un lavoro che parte da lontano e che ha parecchie colpe anche dalla parte del centrosinistra: dopo Tangentopoli è rimasta nel Paese una scia di veleno che hanno raccolto in molti, per farne materiale infiammabile da propaganda elettorale e il muro del garantismo (che ormai mica per niente è diventata un’offesa, quasi indicibile) sembra definitivamente abbattuto.

In principio fu Travaglio che provò a convincere ampie fette di popolazione che la corruzione, il malaffare e le mafie fossero solo materie per Procure e che la politica dovesse sdraiarsi emettendo solo irretita indignazione: il direttore de Il Fatto quotidiano insiste nel provare a convincerci che la soluzione sia arrestare tutti i corrotti, tutti i corruttori, tutti i mafiosi e chiudere tutto in un bel sacchetto dell’indifferenziata da buttare nel cassonetto. Quando qualcuno ha provato a controbattere proponendo letture più sociali e storiche dei fenomeni criminali è stato bollato come un difensore dei cattivi. Punto. Fine. Sciò. Antonino Di Pietro (che ultimamente in molte interviste si dice pentito di avere piegato la politica alla semplice attività della magistratura) ha incarnato perfettamente il ruolo dell’angelo vendicatore in difesa degli italiani: come non poteva essere credibile l’uomo che aveva tenuto alto il nome del pool di Mani Pulite? E senza accorgersi, mentre la folla plaudente godeva delle sevizie ai presunti criminali, abbiamo cominciato a perdere diritti un po’ tutti e l’alfabetizzazione del carcere come luogo rieducativo e di reinserimento nella società è diventato roba da anteguerra, fisime da buonisti. “In galera!” è l’urlo della gente che abbaia per sputare una vendetta travestita da giustizia e “in galera!” è stato l’urlo liberatorio per chi si era convinto di avere trovato una soluzione rapida, efficace e indolore per riparare tutti i mali del Paese. Su quell’urlo il Movimento 5 stelle (che da Travaglio in fondo nasce, raccogliendone le tesi in materia di giustizia) ha spinto ancora di più sull’acceleratore: mentre…

L’articolo di Giulio Cavalli prosegue su Left in edicola dal 13 dicembre

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Chi ha (ancora) paura della democrazia

A piazza Fontana, il 12 dicembre, l’Italia si accorse della fragilità della sua democrazia. Lo stragismo italico del secondo dopoguerra aveva, certo, già colpito duramente, a partire dall’uso della mafia contro i braccianti in lotta per la riforma agraria a Portella della Ginestra. Ma tuttavia, nei poveri corpi dilaniati di Piazza Fontana come nella defenestrazione di Pinelli come nella carcerazione di Valpreda viene tracciato un solco profondo della storia d’Italia. Una tragica discontinuità, che dall’uccisione di Mattei, a piazza Fontana, giunge fino a Brescia, a Bologna, ad Ustica e sino alla uccisione di Ilaria Alpi e Hrovatin, vittime dei traffici di armi e droghe mascherate come cooperazione. Quale è il punto? Sono stragi ossessivamente accomunate dal sistematico “depistaggio” di organi dello Stato per impedire che si pervenisse alla verità sulle responsabilità delle stragi. Occultando il criminale intreccio tra servizi, fascisti (e, a volte, criminalità organizzata). Sono stato componente della commissione bicamerale del Parlamento che indagava sulle stragi ; non a caso la Commissione, dopo approfondite ricerche, chiese al Parlamento di introdurre nel codice penale lo specifico reato di “depistaggio”. Invano. Nulla cambiò. Sono stato, successivamente, a cavallo del 2000, relatore, in Commissione Antimafia, per l’indagine sull’uccisione di Peppino Impastato, a 22 anni del suo assassinio da parte della mafia. Scrissi, a nome dell’intera Commissione, all’inizio della relazione: «Italiane e Italiani, a nome dello Stato italiano vi chiediamo scusa. Avremmo potuto, infatti, scoprire immediatamente che Impastato fu ucciso dalla mafia. L’abbiamo scoperto solo ora, 22 anni dopo, perché settori dei carabinieri e della magistratura depistarono l’inchiesta non permettendo che si giungesse alla evidente verità”.

Altro grave vulnus democratico, collegato, fu l’apposizione sistematica del segreto di Stato. Di cui ancora oggi chiediamo la “desecretazione». Quella molto parziale, avvenuta negli ultimi anni, è stata, spesso, una presa in giro. Ma chiediamoci: le bombe di piazza Fontana volevano destabilizzare, come, per autodifesa, propagandò il potere costituito? No, esse volevano proprio stabilizzare il potere, preservarlo dalla critica di massa. Ci ricordavano, con il massacro, lo stato di “sovranità limitata” del nostro paese nello scacchiere geopolitico di Yalta, che ci ingabbiava dentro la Nato e l’egemonismo USA. E, nelle dinamiche sociali interne, tentavano di far scattare il “riflesso d’ordine”, chiudendo il biennio rosso ’68/’69, frantumando l’unità di classe che si era realizzata, rinchiudendo nuovamente gli studenti nell’ordine disciplinare delle scuole e lavoratrici e lavoratori nella disciplina gerarchica delle aziende , tentando di abbattere antagonismi ed auto organizzazione. Che cosa, infatti, faceva paura alla borghesia? La saldatura, che solo in Italia si era realizzata, nel nostro “lungo’68 “, tra studenti e lavoratori contro i processi di valorizzazione del capitale, che cominciava a globalizzare se stesso con una forte torsione liberista ed una feroce ristrutturazione tecnologica.

La sfida divenne aspra tra autonomia dei saperi operai e del lavoro da un lato e tentativo di sussunzione dei saperi dentro un capitale che non era restauratore ma anarchico (in senso marxiano). Si parlò (e si parla tuttora) di “servizi deviati”, di “Stato parallelo”. Non concordo. Furono organi dello Stato, suoi settori che si misero al servizio della ristrutturazione capitalistica diventandone braccio armato, attori della “strategia della tensione”. Oggi, quindi, 50 anni dopo, non intendiamo solo ripetere un rito, ma collegare memoria storica alla necessaria lotta democratica di oggi. Perché il filo nero delle tendenze autoritarie unisce, purtroppo, quel lontano 12 dicembre alla realtà politica attuale.

Uno di loro

Continua la disputa tra Formigli e Renzi. Anzi, Renzi furbescamente manda avanti i suoi sostenitori. Ma li sceglie lui, con poca cura, evidentemente. Ieri l’ex premier ha deciso di rilanciare il post di Enzo Puro, un suo fan che ha deciso di proporre come modello per le sue parole. Aveva scritto Puro (nomen omen):

“TU A ME SQUADRISTA NON MI CI CHIAMI.

Più ci penso e piu’ mi sale la rabbia.
Formigli tu a me squadrista non mi ci chiami. Nè a me nè ai miei compagni.
Mi sale la rabbia perché per anni ed anni abbiamo sopportato la valanga di fake news che ci avete sparato addosso, il fango che trasmissioni come le tue hanno spalmato abbondamentemente sui nostri leader, allora del Pd oggi di Italia Viva.
Chi pelosamente oggi prende le tue parti dice che sei un bravo giornalista. Io non lo credo. Anche le tue trasmissioni hanno pompato, dedicandoci ore ed ore di trasmissione con la stessa cattiveria con cui oggi le dedicate ad Open, inchieste finite in un nulla di fatto; avete usato anche voi le veline di certe procure, avete costruito una character assassination perfetta scatenandovi come i cani da tartufo senza mai trovare il tartufo e, caratteristica dei “bravi” giornalisti come te è quella di non chiedere scusa, di non fare trasmissioni riparatrici.
OGGI FAI LA VITTIMA E CI CHIAMI SQUADRISTI.” 

Seguite bene: Renzi rilancia questo pensiero. Dice Renzi: “Enzo Puro, uno di noi, scrive queste parole. E dice: a me squadrista non mi chiama nessuno. Io sono con lui. E con chi difende la privacy di tutti, non solo la privacy di alcuni. Grazie Enzo”. Chiaro?

Ma non è finita qui. Leggendo il tweet di Renzi penso: alla fine la natura delle persone viene sempre a galla. E lo scrivo. Mi risponde il condottiero puro: “l’unica vera natura che viene a galla è la sua natura di tipo che monta in cattedra come tutti i falliti. Stia al merito”. Vabbè. È arrabbiato. Ci sta. E poi ancora: “Cavalli il vero squadrista nell’animo sei tu”.

Ma non è finita qui, no. Scorrendo nei tweet di Puro si trova  “un giornale di m…” riferito a L’Espresso. Bianca Berlinguer è “una grandissima str…”. Anche Repubblica è “un giornale di m…”, mentre il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è “una m… d’uomo”. La stessa definizione usata poi per Ezio Mauro. Anche l’ex ministra Federica Guidi “è proprio una gran str…”. Sono solo alcuni degli esempi.

Ora, senza generalizzare (in Italia Viva ci sono molte persone molto serie che prendono molto seriamente la politica e il bullismo digitale) la domanda spontanea è: caro Renzi, sicuro che sia uno di voi da prendere come esempio? Davvero davvero?

Buon giovedì.

Blocco della prescrizione, una controriforma della giustizia

Un momento della manifestazione degli avvocati genovesi, che protestano contro la proposta di bloccare la prescrizione nei processi dopo il primo grado. A margine di un convegno organizzato dall'Ordine degli Avvocati sono partiti da Palazzo di Giustizia e hanno raggiunto la sede dell'Ordine indosssando la toga. Genova, 06 dicembre 2019. ANSA/LUCA ZENNARO

È chiaro che l’esigenza di una modifica strutturale delle norme che regolano il sistema giudiziario italiano è priorità da chiunque abbia avuto l’occasione di approcciarsi, anche in maniera occasionale, col sistema giustizia.
Ed infatti, sia nell’ambito civile che in quello penale, i problemi sono numerosi e – nella maggior parte dei casi – i medesimi: i tempi, la carenza del personale, la mancanza di strumenti idonei ed all’avanguardia e la commistione della politica nelle scelte dell’organo di autogoverno della magistratura, solo per dirne alcuni.

In questo senso, il provvedimento che presenta una serie di preoccupanti elementi di allarme e lacune è rinvenibile nella cosiddetta Legge Spazzacorrotti, che, certamente da un lato ha il merito di aver innalzato le pene per i corruttori, senza tuttavia, dall’altro lato, risolvere nulla sul lungo periodo, anzi.

Il passaggio da censurare in questa Legge è senza dubbio quello concernente la sospensione della prescrizione: in particolare, l’art. 1, lett. d), e), f) prescrive sul punto che il corso della prescrizione rimanga sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado (non solo di condanna ma addirittura di assoluzione) o del decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.

È evidente come una soluzione del genere – che dispiegherà i propri effetti dal 1 gennaio 2020 – sia assolutamente inadeguata ed inadatta a diminuire i tempi dei processi e, anzi, pregiudichi irrimediabilmente la posizione giuridica della persona sottoposta a processo penale.

Le manifestazioni contrarie sono molteplici ed arrivano da più fronti: la maratona oratoria dell’Ucp (Unione camere penali) di fronte alla Cassazione, presso la quale – tra le tante forze – si è recata una delegazione di Italia Viva, Forza Italia, della Lega e del Pd, oltre all’apprezzabile presenza della senatrice Emma Bonino. Ed ancora la manifestazione promossa da Italia Stato di diritto e dal prof. Marcello Gallo avanti al Palagiustizia di Torino, coi penalisti in toga per dire “no” a quella che più che un passo avanti pare una controriforma.

I penalisti, presieduti dall’avvocato Caiazza, hanno anche incontrato l’onorevole Andrea Orlando – vice segretario del Partito democratico – e la senatrice Dem Pinotti, componente della segreteria del Pd per conoscere «i concreti intendimenti del Partito Democratico per impedire che dal primo gennaio 2020 diventi operativa la regola del processo infinito», come si legge in una nota e nelle agenzie di stampa.

Non si dimentichi l’appello rivolto ai Senatori, ai Deputati, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro della Giustizia, dai 120 professori universitari di Diritto Costituzionale, di Diritto Penale, di Diritto processuale penale col quale, assieme alla Giunta dell’Unione delle Camere penali italiane, si è chiesto tecnicamente il blocco della nuova prescrizione.

Forse non ci si rende conto: per una lunga fase, la “nuova non prescrizione” dovrà convivere con la disciplina sulla prescrizione introdotta nel 2017 dalla “legge Orlando”, così determinandosi nel sistema la contemporanea operatività di almeno tre diversi regimi sostanziali. Ma ancora di più: dare un “fine processo mai” è sinonimo di assenza di ragionevolezza.

Possibile che sia così complicato ipotizzare regole per rendere effettiva la funzione di filtro dell’udienza preliminare (oggi totalmente disattesa, come tale) oppure un rilancio dei riti alternativi con l’innalzamento dei limiti edittali che consentono l’operatività del patteggiamento, estendendone l’operatività; favorire l’accesso al giudizio abbreviato condizionato in modo più snello. Anzi, ridurre i termini di prescrizione piuttosto che eliminarli e sanzionare chi non si allinea ad una “ragionevole durata del processo”.

L’assunto logico è semplice: la diminuzione della durata dei processi passa necessariamente attraverso la riduzione del numero degli stessi. E allora, risulta chiaro come una soluzione in questo senso possa essere identificata – in ambito penale – nell’anticipazione della lotta dei fenomeni criminali, soprattutto quelli relativi ai reati societari, nel terreno della prevenzione, al posto di quello della repressione.
Un dato è certo: la riforma non è più rimandabile e la prescrizione, come un diamante, va incastonata in una montatura complessa ed uniforme per garantire la sua esatta collocazione.

L’avvocato Alessandro Parrotta è direttore Ispeg, Istituto degli studi politici economici giuridici

 

La guerra per il gusto di fare guerra

(FILES) In this file photo taken on November 28, 2019, US President Donald Trump speaks to the troops during a surprise Thanksgiving day visit at Bagram Air Field in Afghanistan. - President Donald Trump has shattered through norms and niceties on the world stage in his nearly three years in office. Entering an election year, Trump is unlikely to slow down as he seeks what has largely eluded him -- a headline-grabbing victory. The tycoon turned president closes 2019 with a new stride after what was perhaps his most unambiguous achievement -- US commandos' raid that killed the leader of the Islamic State extremist group. But the year was also full of tosses and turns for Trump. On his ambition to end the war in Afghanistan, he startled Washington by inviting the Taliban to talks but then declared the talks dead before resuming them. (Photo by Olivier Douliery / AFP) (Photo by OLIVIER DOULIERY/AFP via Getty Images)

Il Washington Post ha pubblicato oltre duemila pagine di documenti sotto il nome di Afghanistan Papers con cui si dimostra che la guerra in Afghanistan è una lunga sequela (18 anni) di dubbi e di bugie che ha attraversato la presidenza Bush, poi Obama e infine Trump.

«Entro sei mesi – osserva il quotidiano – gli Stati Uniti avevano ampiamente realizzato ciò che si prefiggevano di fare. I leader di al-Qaida e dei talebani erano morti, catturati o nascosti. Ma poi il governo degli Stati Uniti ha commesso un errore fondamentale che ripeterà ancora e ancora nei successivi 17 anni», come mostra l’enorme mole di documenti governativi ottenuti dal Post. «In centinaia di interviste riservate che costituiscono una storia segreta della guerra, funzionari Usa e alleati hanno ammesso di essere andati in direzioni che avevano poco a che fare con al-Qaida o l′11 settembre. Espandendo la missione originale, hanno spiegato di aver adottato strategie di guerra fatalmente imperfette basate su ipotesi errate su un Paese che non capivano. Il risultato: un conflitto impossibile da vincere senza una facile via d’uscita».

Una guerra che risponde solo al bisogno di fare guerra: se qualcuno di voi chiedesse ai comandanti militari contro chi stanno combattendo nessuno saprebbe rispondervi.

Sullo sfondo la solita truffa di esportazione della democrazia: «Ci sono state diverse ipotesi errate nella strategia: l’Afghanistan è pronto per la democrazia da un giorno all’altro, la popolazione sosterrà il governo in breve tempo, più di tutto è meglio», dice Bob Crowley, un colonnello dell’esercito in pensione.

I numeri sono impressionanti: 775.000 soldati impegnati, 2.300 morti, 20.589 feriti. È l’Afghanistan il vero Vietnam. Un terrorismo al contrario.

Dice Gino Strada: «Il terrorismo è la nuova forma della guerra, è il modo di fare la guerra degli ultimi sessant’anni: contro le popolazioni, prima ancora che tra eserciti o combattenti. La guerra che si può fare con migliaia di tonnellate di bombe o con l’embargo, con lo strangolamento economico o con i kamikaze sugli aerei o sugli autobus. La guerra che genera guerra, un terrorismo contro l’altro, tanto a pagare saranno poi civili inermi».

È una notizia enorme. Eppure è così poco diplomatica, così antieconomica che vedrete che se ne parlerà pochissimo. Noi qui rimaniamo sulle nocciole.

Buon mercoledì.

 

Ostentano precarietà

Italian Premier Giuseppe Conte (C) with Roberto Gualtieri, Minister of Economy (L) and Foreign Minister Luigi Di Maio (R), at the lower Chamber of Deputies, in Rome, Italy, 2 December 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Ci deve essere qualcosa di malsano, come una perversione, per trascinare un governo come se fosse un fardello, passare giorno dopo giorno ad aspettare l’ennesimo summit di governo per dirsi che si è trovato l’accordo di trovarsi d’accordo fra un mese, promettendo che sarà un accordo che li farà andare d’accordo fino al 2023 e mentre lo dicono le diverse parti intanto minacciano di rompere l’accordo di poter andare d’accordo nel caso in cui le proprie istanze non trovino completa soddisfazione.

Il governo Conte bis, comunque la si pensi, è un quotidiano trascinamento di qualcosa che nessuno sembra volere davvero (Conte escluso, ovviamente, quando gli ricapita una roba del genere…) con il Movimento 5 Stelle che non assomiglia al suo leader Di Maio (democraticamente eletto da una mano sulla spalla di Grillo) che vorrebbe andare al voto ma vorrebbe andarci al 51% (eh sì, facile così) mentre il Partito Democratico tiene il peso della responsabilità facendosene usurare con l’aggiunta del solito tiepido indecisionismo e tutte le sue solite contraddizioni e Italia Viva che gioca a fare l’opposizione nella maggioranza per recuperare almeno i voti che la tengano sopra la soglia di sbarramento.

È uno spettacolo anche abbastanza triste, a vederlo da fuori, tant’è che viene il dubbio che questo continuo galleggiare sia un enorme toccasana per la destra che infatti continua a incassare (scende di poco la Lega ma Fratelli d’Italia guadagna più di quanto perda la Lega) e infatti molti elettori chiedono qualcuno che decida, che abbia una linea chiara.

Ma ciò che lascia perplessi è proprio l’ostentazione di questa precarietà, come se fosse un vanto: tutti i giorni tutti gli attori in commedia ci tengono a farci sapere che potrebbero fare cadere il governo da un giorno all’altro e lo dicono con un sorriso sardonico e con malcelata soddisfazione.

Vorrebbero fare i grandi comunicatori e invece sono una masnada di autosabotatori. Ma sorridono guardando in camera, come nei battesimi e nei matrimoni.

Avanti così.

Buon martedì.

Troppo facile con il professore razzista

Luigi Di Maio e Elio Lannutti durante la presentazione dei candidati del M5s nei collegi uninominali, Roma, 29 gennaio 2018. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Quando ci si è accorti dei tweet del professore Emanuele Castrucci (quello pro-Hitler, per intendersi quello dei Savi di Sion) la gazzarra è stata fin troppo facile: c’era tutto scritto, certificato da un social autorevole e popolare come Twitter e un professore universitario è una preda comunque facile per la valanga che l’indignazione generale riesce a provocare.

«Le vergognose esternazioni del Prof. Castrucci offendono la sensibilità dell’intero Ateneo; ho già dato mandato agli uffici di attivare provvedimenti adeguati alla gravità del caso», scrisse il Rettore Francesco Frati, il giorno dopo aver twittato: «(…) il Prof. Castrucci scrive a titolo personale e se assume la responsabilità. L’Università di Siena, come dimostrato in molteplici occasioni, è dichiaratamente anti-fascista e rifugge qualsiasi forma di revisionismo storico nei confronti del nazismo».

«Magnifico Rettore dell’Università di Siena, veramente lei pensa che insultare la vita di milioni di persone ridotte in cenere per la colpa di essere nati ebrei, o rom, o disabili, o Testimoni di Geova, o di essere oppositori politici del più grande criminale che la storia abbia visto, veramente lei pensa che difendere il contenuto di un falso storico conclamato e progenitore delle più spaventose tesi antisemite come i Protocolli dei Savi anziani di Sion, sia “opinione personale” del professor Castrucci, docente di Filosofia nel suo Ateneo, come da lei asserito? Ma lei non si vergogna delle parole che ha detto dall’alto del suo scranno di rettore di una delle più antiche Università del mondo? Quale insegnamento ha dato ai suoi studenti? Che la libertà è anche quella di esaltare chi la negò? Veramente siamo arrivati a questa trasfigurazione dell’idea di Libertà?», ha detto il deputato del Pd Emanuele Fiano.

Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha comunicato: «Come pensiamo di poter combattere l’antisemitismo quando nelle aule universitarie un docente insegna i pregiudizi antiebraici? Faccio appello al ministro dell’istruzione Fioramonti e al rettore affinché allontanino immediatamente questo professore».

«Questa mattina ho sentito il rettore Francesco Frati che mi ha subito comunicato la sua intenzione di prendere provvedimenti. Bene. Su queste cose non si scherza. Mai.», ha twittato il ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti.

È «davvero inquietante che un professore si abbandoni ad espressioni di esaltazione del nazismo e dell’antisemitismo. La scuola e l’università condannano da sempre il nazismo e l’antisemitismo in tutte le sue forme. Il professore si vergogni e chieda scusa», ha detto la viceministra dell’istruzione Anna Ascani.

Tutto bene. Tutto bello. Però c’è un senatore del Movimento 5 stelle, Elio Lannutti, già Italia dei valori, che citò anche lui il Protocollo dei Savi di Sion (che è un falso storico a cui credono solo i nazisti e gli ignoranti) come fonte per raccontarci della «dinastia che ancora oggi controlla il Sistema bancario internazionale». Lannutti non ha mica perso il posto di lavoro, no. Sta sempre lì nel M5s e da buon alleato del Partito democratico.

L’altro ieri il M5s ha candidato alla presidenza della Commissione d’inchiesta sulle banche il senatore Elio Lannutti.

E quindi?

Lui chiede di «non tornare più su quell’episodio». E invece noi ci torniamo.

Quindi?

Buon lunedì.

Diritto all’asilo? Prima i pisani

Colpire i bambini per colpire gli adulti. Ma solo quelli che non avrebbero la pisanità nel proprio dna. La giunta di destra, a guida Michele Conti, infatti, ha deciso che dal prossimo anno scolastico l’accesso agli asili comunali seguirà un nuovo criterio. Non quello del bisogno delle famiglie in base al reddito, ma quello della “storicità della residenza”, la nuova categoria sociale partorita in casa Lega con il “prima gli italiani” che a Pisa è diventato “prima i pisani”.

Una decisione che sarà presentata il 19 dicembre in Consiglio comunale dove probabilmente passerà grazie ai voti di una destra più che compatta. Proprio in tempo per far passare un felice e tranquillo Natale a tutti i bambini che saranno rifiutati dagli asili comunali perché colpevoli di vivere in famiglie che non possiedono la “bandiera residenziale”. Forse nemmeno il Dio del Vecchio Testamento avrebbe potuto inventarsi una malvagità simile. Perché, con questo nuovo criterio, i bambini di famiglie che abitano da più tempo a Pisa, anche con un reddito da nababbi, avranno la precedenza rispetto ai loro coetanei che vivono in famiglie che stentano ad arrivare a fine mese e che, sfortunatamente, hanno un curriculum residenciae inferiore ai primi.

«È questo uno dei vergognosi obiettivi strategici che la Giunta leghista del sindaco Conti ha inserito nel Documento unico di programmazione che sarà approvato dal consiglio comunale nelle prossime settimane – ha scritto alla stampa la coalizione “Diritti in Comune” (Una città in comune – Rifondazione Comunista – Pisa Possibile) – . La Giunta ha infatti aggiunto come “criterio premiante” per l’assegnazione dei posti nei nidi di infanzia il maggior numero di anni di residenza nel Comune di Pisa. Si tratta, in poche parole della riarticolazione in salsa pisana dello slogan leghista – ripreso da Casapound e Forza Nuova – “prima gli italiani”, che in questo caso va a colpire i bambini e le bambine più piccole. Nei fatti siamo davanti ad una norma inaccettabile in cui la storicità della residenza, ovvero una condizione assolutamente irrilevante per il godimento di un diritto come quello riguardante gli interventi per l’infanzia, viene usato come fattore di esclusione e discriminazione. Si tratta – conclude Ciccio Auletta, capogruppo di “Diritti in Comune” – dell’ennesimo intervento di propaganda con cui si mira a colpire lo “straniero”. In realtà si colpiscono tutte le giovani coppie, magari precarie, che magari si sono trasferite da poco in città. Si tenta, infatti, di far valere meno il criterio del minor valore Isee, ovvero del reddito del nucleo familiare, rispetto al luogo in cui si abita o si è abitato. Si favorisce dunque chi è più benestante, come già accaduto per il bonus acqua o il bonus mamma. Pisa non può tollerare questa barbarie».

Già, perché la cosa più intollerabile di questa giunta, che se ne frega dei diritti dei cittadini costituzionalmente garantiti, è che non è la prima volta che usa il criterio della storicità della residenza per escludere proprio le persone più deboli economicamente dagli interventi per l’emergenza abitativa e da vari bonus ed agevolazioni. Ci chiediamo. Che aggettivo usare per questo modus operandi di una giunta “alla Salvini” che, per emarginare gli stranieri dal proprio territorio, non si fa scrupolo di catarpillare i diritti di quella povera gente a cui pretende di rivolgersi quando vuole parlare alla “pancia degli italiani”?

Politica ottusa? Politica miope? Queste scelte non sono “incidenti di percorso”, rappresentano il “midollo spinale” del fare politica della Lega & company. Contro i più poveri. Per garantire benefici ai più ricchi. Non sarà che il “caso di Pisa” aiuterà le centinaia di migliaia di adoratori del capitano senza timone ad aprire gli occhi? Da che parte stanno Salvini e compagnia cantante? Dalla parte dei più poveri, dei più bisognosi? Sicuramente no. A Pisa ci auguriamo che il pendolo di Galileo, custodito all’interno della Cattedrale in piazza dei Miracoli, segni il tempo di un “non ritorno”. Amministrazioni come quella pisana devono trovare la forte opposizione proprio da parte di quella gente che è stata spudoratamente illusa unicamente per squallidi fini propagandistici.

Non cancellate la plastic tax

plastic bottles and other garbage washed up on a beach in the county of cork, ireland.

La cosiddetta plastic tax, un’imposta sulla plastica monouso non riciclabile, è un primo strumento, insufficiente seppur necessario, per avviare le politiche di transizione ecologica verso un sistema economico “circolare”, non distruttivo e capace di assicurarci un futuro.
La nostra associazione, EcoLobby, ha fin da subito sottolineato quanto l’iniziativa dell’attuale governo fosse limitata, e soprattutto l’importante concetto che la Conversione Ecologica non può essere un modo per fare cassa, penalizzando il reddito dei cittadini più deboli.
Accanto alle tasse, infatti, ci vogliono investimenti, incentivi, detassazioni per comportamenti e prodotti virtuosi, salvaguardia dei redditi bassi.
Ciononostante, l’attacco portato in queste ore da alcune forze politiche alla plastic tax, non ha niente a che vedere con tutto questo, ma appare soltanto come la difesa corporativa e conservatrice dello status quo.
E allora noi diciamo ai cittadini: facciamoci sentire.
Abbiamo organizzato un mail bombing: ovvero invitiamo tutti voi, chi vorrà farlo, entro lunedì 9 alle ore 18, a mandare email a proprio nome ad un indirizzario di parlamentari di maggioranza, per convincerli a non recedere da questo provvedimento, anzi ad implementarlo con ben più corpose misure.
Le istruzioni sono contenute al link sottostante: il testo suggerito, e l’elenco delle email dei parlamentari di competenza.
Perdeteci due minuti, e magari consigliatelo anche a qualche amica o amico.
Buon invio!

Mauro Romanelli – Presidente Ecolobby

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ECOLOBBY ORGANIZZA UN MAIL BOMBING!

Scrivi ai Parlamentari di maggioranza di non abrogare o decurtare la tassa ecologica sulla plastica monouso.

(Ti suggeriamo di copiaincollare il seguente testo, e comunque di scrivere in linguaggio rispettoso. Manda la mail dal tuo indirizzo personale, e aiutaci a convincere tante altre persone a inviarla, a loro nome e dal loro indirizzo email!)

(TESTO DA COPIAINCOLLARE)

Oggetto: Non eliminate la plastic tax!

Gentile Parlamentare,

con la presente sono ad esprimerLe il mio netto dissenso rispetto alla volontà, che si evince dalla lettura di articoli stampa, di decurtare, rinviare o addirittura annullare la tassazione sulla plastica monouso.

A tale proposito, mi sento di condividere questa dichiarazione dell’Associazione “Ecolobby”:

“La plastica monouso non riciclabile va tassata, senza dubbio. Contemporaneamente si devono usare i proventi di questa tassazione, oltrechè risorse aggiuntive – poichè sul tema dell’Ecologia si deve investire, non fare cassa! – per incentivare la vendita di prodotti sfusi, per l’innovazione nel senso del riciclo e della biodegradabilità dei contenitori, per la riconversione industriale.
L’argomentazione, immancabilmente addotta, dei posti di lavoro a rischio, non ci convince e ci sembra una scusa.
Il lavoro si può creare, invece, grazie all’innovazione e all’ecologia, come anche si può convertire la manodopera attuale.
Mentre l’Europa si appresta a mettere fuori legge la plastica monouso, e il Mondo si pone il problema di una conversione urgente e necessaria, di fronte al rischio di una catastrofe ecologica, non possiamo accettare passi indietro dalla politica italiana, considerata anche la scarsa incidenza delle politiche messe in campo fino ad adesso, ivi compresa la plastica tax stessa, già non troppo incisiva persino nella sua versione originaria”

Confidando nella Sua sensibilità, porgo

Cordiali Saluti

Nome Cognome

Email a cui ti suggeriamo di inviare (presidenti e vice presidenti di maggioranza commissioni ambiente, industria, bilancio e finanze, di camera e senato, capigruppo di maggioranza camera e senato – M5s, Pd, Italia Viva, Liberi e Uguali, Più Europa)

[email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected], [email protected]