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Calvino e il 25 aprile

ITALO CALVINO

Se c’è uno scrittore che più di tutti è spaventosamente contemporaneo nella narrazione della Resistenza (contemporaneo perché risponde anche ai fascisti di oggi, lo so, sembra incredibile) è Italo Calvino. Per questo i fascisti temono i libri come l’aglio. Perchè basta leggerli per ritrovarci dentro già tutto.

Ad esempio i nuovi sovranisti dicono che i partigiani avessero uno sguardo bieco e corto? Ecco la risposta di Calvino:

“I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra. Solo quando lo stomaco è pieno, il fuoco è acceso, e non s’è camminato troppo durante il giorno, ci si può permettere di sognare una donna nuda e ci si sveglia al mattino sgombri e spumanti, con una letizia come d’ancore salpate”.

Sui silenzi sui partigiani? Ecco qui:

“Certe cose sulla vita partigiana nessuno le ha mai dette, nessuno ha mai scritto un racconto che sia anche la storia del sangue nelle vene, delle sostanze nell’organismo”.

Sul fatto che non si dovrebbe fare di tutti i fascisti un fascio? Ecco qui:

“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c’erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono”.

Sul fatto che ci fossero pessimi partigiani? Ecco qui:

“D’accordo, farò come se aveste ragione voi, non rappresenterò i migliori partigiani, ma i peggiori possibili, metterò al centro del mio romanzo un reparto tutto composto di tipi un po’ storti. Ebbene: cosa cambia? Anche in chi si è gettato nella lotta senza un chiaro perché, ha agito un’elementare spinta di riscatto umano, una spinta che li ha resi centomila volte migliori di voi, che li ha fatti diventare forze storiche attive quali voi non potrete mai sognarvi di essere!”.

Sarebbe bastato leggere Calvino.

Buon giovedì.

 

Le idiozie che ancora circolano sul fascismo

I partigiani che hanno lottato per la democrazia e la libertà, lasciandoci una splendida Costituzione, avevano in sé un’idea di uguaglianza, avevano il senso del collettivo, passione politica e civile. Avevano valori, ideali, coraggio, che si scontravano con la logica disumana e criminale dei nazifascisti che, annullando la realtà umana degli ebrei, dei rom e degli oppositori politici, li sterminavano come insetti, cercando poi di cancellarne anche la memoria.

Rossi e neri non sono uguali. Da una parte, pur fra mille errori, c’era la lotta per la liberazione dall’oppressione, dall’altra c’era un agghiacciante progetto di morte e di distruzione.

La storia è storia. Gli antifascisti hanno liberato l’Italia dal nazifascismo. Il fascismo è un crimine. È fuorilegge. Contro questa verità si infrange il negazionismo del ministro Salvini che ama citare Mussolini e, incurante del senso delle istituzioni, mette sullo stesso piano fascisti e partigiani e annuncia di voler disertare la festa nazionale del 25 aprile.

Contro i cattivi maestri che vorrebbero iniettare veleno nella mente dei più giovani, contro le fake news che hanno contribuito a costruire il mito degli italiani brava gente, contro il revisionismo che propone letture normalizzanti e auto assolutorie del fascismo proponiamo di tornare alla grande lezione dello storico e partigiano Marc Bloch, suggeriamo di rileggere i libri di Angelo Del Boca e di Filippo Focardi (Il cattivo tedesco e il bravo italiano, Laterza, 2013, qui il suo appello per una mobilitazione culturale contro il neofascismo) ma anche di approfondire importanti pagine di storia locale antifascista guidati da Portelli, De Petra e Gori dell’Anpi. Con testimonianze dirette e documenti alla mano mostrano bene come il fascismo non sia stato affatto una parata carnevalesca, sgangherata e grottesca.

Il duce non fu una macchietta fanfarona. Il fascismo fu un regime totalitario e criminale, corporativo, razzista, imperialista, misogino, ottuso, violento, sanguinario, spietato. E tale fu Mussolini, al quale Hitler si ispirò.

Primo Levi diceva sempre che il cancro dei lager nazisti era nato da metastasi italiane. E allora ripetiamolo ancora: il regime fascista si rese responsabile di un genocidio in Libia. Fu il primo ad usare armi chimiche contro la popolazione civile in Etiopia. E non solo. Concepì e promulgò le leggi razziali che causarono deportazioni di massa e milioni di morti nei forni crematori.

Si macchiò di assassinii feroci come quello del deputato socialista Giacomo Matteotti il 10 giugno del 1924. «Mussolini fu il maggior massacratore degli italiani della storia» scrive Francesco Filippi nella prefazione del suo incisivo Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo (Bollati Boringhieri, 2019), libro che torniamo a consigliare, convinti che dovrebbe stare in tutte le scuole (e redazioni).

«La base di un possibile futuro totalitario passa anche dalla riabilitazione del passato totalitario», avverte lo storico e presidente dell’associazione Deina che organizza viaggi di memoria e corsi di formazione.

Un passaggio pericoloso in questo senso avvenne nel 1994 quando i neofascisti, con Fini, si presentarono alle elezioni come Msi-An, alleandosi con Forza Italia di Berlusconi e con la Lega Nord. Ma allo sdoganamento del neofascismo hanno concorso anche la tv invitando esponenti di Forza Nuova e CasaPound a parlare nei talk show, e scelte politiche come quella compiuta dal Pd che ha cancellato l’antifascismo dal proprio statuto.

Anche di questo abbiamo parlato al Parlamento europeo durante una tavola rotonda con le europarlamentari Eleonora Forenza e Ana Miranda che, con Soraya Post, hanno promosso una risoluzione Ue per lo scioglimento e la messa al bando di tutte le formazioni neofasciste. Dopo quell’importante voto il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha avuto l’ardire di affermare che «Mussolini ha fatto anche cose buone». Suscitando grande scandalo, tanto da essere costretto a ritrattare.

E noi, con Francesco Filippi, torniamo a ripeterlo come un mantra: nemmeno i treni erano puntuali sotto il fascismo (tra le due guerre l’Italia aveva una rete ferroviaria del tutto inadeguata e arretrata). Contro le falsità che ancora girano in rete ricordiamo che il duce non ha creato le pensioni (la previdenza sociale nacque nel 1898 con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Mentre la pensione sociale viene introdotta solo nel 1969). Né tanto meno ha istituito la cassa integrazione, che fu varata nell’agosto 1947. Mussolini non inventò l’indennità di malattia (fu istituita il 13 maggio 1947 e nel ’68 fu estesa a tutti i lavoratori). E ancora: Mussolini non concesse il voto alle donne, che erano ammesse alle votazioni solo per piccoli referendum locali mentre erano del tutto escluse al voto per le elezioni politiche. La prima volta che le donne furono ammesse al voto fu al referendum del 1946. Contro le bufale che producono una pericolosa falsa memoria, contro i danni della memoria corta torniamo a studiare la storia. Come diceva la partigiana Tina Costa: Studiate per la libertà.

Le europee dei lavoratori: Non meno Europa ma un’Europa diversa

Il sindacato europeo, Etuc, chiama ad una manifestazione per una Europa dei lavoratori. L’appuntamento è per il 26 aprile a Bruxelles.

Sono esplicitamente richiamate le elezioni europee e la posizione del sindacato sul futuro dell’Europa.

Non meno Europa ma una Europa diversa.

Contro l’austerity, il dumping sociale, per un lavoro degno.

Contro le destre.

La questione sindacale è un punto chiave del futuro dell’Europa.

Nazionalismo e razzismo dividono profondamente i lavoratori e li mettono gli uni contro gli altri.

Ma i lavoratori e le lavoratrici sono anche divisi dalle differenze salariali, dalla precarietà, dalle privatizzazioni, dalle liberalizzazioni.

Sono divisi per territori, per età, per genere, per origine.

L’Europa del liberismo e della austerity ha fatto l’esatto contrario di quella sociale: ha diviso e non unito.

E lo ha fatto volutamente per dividere il lavoro, per favorire i più forti.

Ma la Storia insegna che è il lavoro, la sua coscienza, le sue conquiste che aiutano ad unire.

Pagherete la vostra apologia alla disperazione

C’è in giro una schiera si sgherri che in tutti i modi cerca di fare sbirciare la disperazione che potrebbe essere (anzi, secondo loro dovrebbe essere) a meno che l’uomo forte non continui a illuminarci e difenderci. È una sorta di apologia alla disperazione che non ha niente di diverso dalla rassicurante presenza che il fascismo offriva ai lavoratori che avevano provato la fame e avevano il terrore di tornare in quello stato. Qui c’è qualcosa di diverso: non abbiamo corso periodi cupi, non abbiamo provato i morsi della fame e non abbiamo mai toccato con mano la povertà dei nostri nonni eppure ci basta vedere la disperazione degli altri per provare il terrore di caderci dentro, come se potesse inghiottirci, come se non riuscissimo a scrollarci di dosso il senso di colpa che proviamo nel vedere i cenciosi trascinarsi di fronte a voi.

È curioso che coloro che spingono con questa apologia alla disperazione, quelli che ci dicono che sta arrivando l’inverno freddo dei sentimenti e dei consumi, siano poi in fondo quelli che siedono in posizioni comodissime o addirittura coloro che da soli detengono una buona fetta della ricchezza mondiale. Farci avere paura di diventare poveri mentre ci impoveriscono è il loro capolavoro più grande, degno di un trattato di psicologia sul controllo delle menti.

Ci tolgono i diritti e ci dicono che lo fanno per noi, per non fare saltare l’intero sistema. Ci tartassano e ci dicono che altrimenti tutto l’insieme non si tiene in piedi. Dicono che sono costretti a trattare con i potenti perché altrimenti cambierebbe lo status quo. Amano la frase “non c’è alternativa” e ce la ripetono all’infinito.

Ma la domanda vera è: se ogni giorno noi siamo più erosi da questo sistema che ci consuma, a noi, sinceramente, cosa cambierebbe se saltasse tutto? Dico, non potrebbe essere una fortuna?

E invece la comunicazione continua a essere univoca e d’altra parte rimane solo lo spazio per l’indignazione. Indignazione che diventa il perfetto combustibile per l’apologia alla disperazione.

Non so. A me è una cosa che mi fa saltare in aria il cervello.

Buon mercoledì.

Elezioni in Spagna, le donne si schierano unite contro il ritorno del franchismo

epa07422682 Thousands of people take part in a rally on the occasion of the International Women's Day next to Puerta del Sol in Madrid, Spain, 08 March 2019. Artist perform during a concert held at Puerta del Sol. EPA/David Fernandez

«Per favore, compagne, sorelle, andate a votare il 28 aprile. Mai i risultati di una elezione hanno minacciato i nostri diritti e le nostre libertà in questa maniera. Non restiamo in casa. Andiamo a bloccare l’ultra destra». #28ALasFeministasVotamos, le femministe votiamo è l’hashtag con cui le femministe lanciano la propria campagna, come elettrici, per le elezioni politiche del prossimo 28 aprile in Spagna.
I corpi, la sessualità, i diritti sessuali e riproduttivi delle donne continuano ad essere al centro della scena politica spagnola, anche negli ultimi giorni prima delle elezioni generali, a un mese di distanza da quelle europee e da quelle municipali e delle regioni autonome. Appuntamenti importanti a causa della «tensione politica, del progresso dei fondamentalismi e del rischio di una regressione dei diritti raggiunti», come spiega il manifesto firmato finora da oltre 150 organizzazioni e collettivi femministi e presentato la scorsa settimana ai principali partiti politici.

Il suo obiettivo è che si tenga conto delle richieste del movimento femminista prima delle elezioni. All’incontro a Madrid c’erano il Psoe, Podemos e Ciudadanos. Il Partito Popolare non si è neanche presentato.
Quello delle femministe è un documento scaturito da un ampio dibattito e da un consenso negoziato, diviso in 10 punti tematici con più di 80 iniziative proposte, va oltre le semplici rivendicazioni nella lotta contro la discriminazione e la violenza maschile contro le donne, ma propone moltissime misure su economia, salute, istruzione, assistenza, sessualità, consumo, immigrazione e laicità dello Stato, trasformando il documento in un vero programma elettorale femminista. Le proposte possono sembrare puntuali, isolate, dirette solo alle donne, ma se si uniscono tra loro, si scopre che la vera richiesta è quella di modificare il sistema di produzione e consumo, il sistema giudiziario, quello dell’istruzione e della sanità. Oltre il lavoro produttivo, che sfrutta e discrimina soprattutto le donne, bisogna ripensare il lavoro riproduttivo e di cura. Occorre riconsiderare tutto ciò che riguarda l’abitabilità, tornando alla funzione sociale e non speculativa della casa.

In materia di violenza di genere, ci sono richieste specifiche come l’applicazione della Convenzione di Istanbul e il riconoscimento giuridico di tutte le vittime di violenza domestica, non solo quelle del partner o ex partner come è adesso; la revisione delle leggi sull’immigrazione e la violenza di genere per sradicare di fatto la discriminazione contro le donne immigrate, tra le altre. Richieste per il rifugio, la cittadinanza e la chiusura dei Cie.
C’è la denuncia contro la violenza economica, con la richiesta di abrogazione delle ultime due riforme del lavoro e la definizione di un modello di politica economica che abbia tra le priorità «la piena occupazione, dignitosa e equamente distribuita tra uomini e donne».

Ci sono sei proposte che costituiscono il tema della cura, basato sulla copertura dell’istruzione dei bambini da 0 a 3 anni e l’attenzione alle persone dipendenti per disabilità, o malattia, o vecchiaia. Un tema riguarda i meccanismi istituzionali per un’efficace uguaglianza tra donne e uomini, come la reintroduzione del ministero per l’uguaglianza e la definizione della Spagna come stato laico. Vengono anche affrontate misure più divisive
sullo sfruttamento sessuale di donne e ragazze e c’è la richiesta di una legge integrale, sul modello di quella svedese, che include l’abolizione della prostituzione.

Le femministe sanno che è il momento di esigere, che, dopo aver ascoltato per strada le loro richieste, è il momento di renderle efficaci, ora non valgono più le parole vuote o le promesse non mantenute.
Le donne spagnole sono consapevoli della forza del femminismo che, mobilitata, ha la capacità, ora, di invertire qualsiasi forza regressiva che comporti un passo indietro. Ma sono anche consapevoli di poter cambiare il significato del voto.

 

I costi della falsa scienza

Per pubblicare articoli su riviste predatorie, cioè che millantano standard scientifici senza rispettarli, professori e ricercatori italiani hanno speso oltre 2,5 milioni di dollari. Il dato emerge da uno studio condotto da Mauro Sylos Labini del dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, da Manuel Bagues dell’Università di Warwick in Inghilterra e da Natalia Zinovyeva dell’Università di Aalto in Finlandia. I tre ricercatori hanno esaminato i curricula di 46mila ricercatori e professori che hanno partecipato alla prima edizione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale del 2012-13, una procedura che serve per partecipare ai concorsi per diventare professore nelle università italiane. I risultati della loro analisi sono stati appena pubblicati su in un numero monografico della rivista Research Policy dedicato al tema delle cattive pratiche scientifiche.

«Una stima conservativa basata sulla nostra indagine – dice Sylos Labini- suggerisce che per pubblicare circa 6mila articoli i ricercatori del campione hanno speso oltre due milioni e mezzo di dollari, una media 440 dollari ad articolo. Parte di questa cifra esce direttamente dalle tasche dei ricercatori, ma parte proviene invece dai loro fondi di ricerca pubblici, e si tratta comunque di una stima che non tiene conto delle spese per la partecipazione a conferenze “predatorie”, spesso associate a queste pubblicazioni».

Come emerge dallo studio, a livello complessivo, sono oltre duemila i ricercatori, circa il 5% dei partecipanti all’Abilitazione scientifica nazionale, che hanno pubblicato su riviste “predatorie”. I settori scientifici maggiormente interessati sono economia aziendale, organizzazione e finanza aziendale. Ma per l’aspetto economico, lo spreco di risorse sembra essere maggiore in medicina dove alcuni ricercatori hanno pagato fino a 2.500 dollari per pubblicare un singolo articolo.

«I costi monetari in realtà sono la classica punta dell’iceberg» conclude Sylos Labini. «Il fatto che molti ricercatori e professori pubblichino articoli su queste riviste e le inseriscano nei loro curricula dimostra che ci sono enormi problemi nella valutazione della ricerca. I nostri risultati suggeriscono infatti che quando questa viene fatta da ricercatori poco esperti questi articoli possono persino essere valutati positivamente».

La Sinistra alle europee, uno squarcio di sole su Cipro

Niyazi Kizilyurek potrebbe essere il primo turco-cipriota a diventare europarlamentare. Così dicono i sondaggi che premiano la decisione molto coraggiosa di Akel di candidarlo nelle proprie liste. Akel è lo storico partito della sinistra cipriota, aderente al Gue. Ha avuto anche consensi superiori al 30% ed ha espresso sia governi che presidente della Repubblica.

L’isola di Cipro fu occupata in parte dalla Turchia nel 1974 con l’autoproclamazione dell’indipendenza di quell’area nel 1982 che non ha avuto il riconoscimento internazionale.

L’isola è materialmente divisa da un muro. Akel è fortemente impegnato per una Cipro riunita ed indipendente. Kizilyurek è un accademico poliglotta che si definisce federalista e la sua elezione rappresenterebbe un esempio e un viatico sia per il futuro dell’isola, che contro l’affermarsi delle destre nazionaliste. Ma anche per una Europa diversa che riprenda un ruolo di pace.

PER APPROFONDIRE

Hanno sgomberato il Cara di Mineo. Sì, ma come?

Migranti davanti la sede del Cara dove sono partiti i primi 50 per essere trasferiti in tre Centri di assistenza straordinaria, atto iniziale, Mineo (Catania), 7 febbraio 2019ANSA/ORIETTA SCARDINO

«Abbiamo sgomberato il Cara di Mineo»: il ministro dell’Interno Matteo Salvini annunciava festoso qualche tempo fa l’ennesimo sgombero, da parte di chi, incapace di costruire, esulta ogni volta che riesce a distruggere qualcosa come è nella sua indole da ruspatore sempre in favore di telecamera incapace di stare nel posto dove dovrebbe stare e sempre alla ricerca di nuove demolizioni (di persone o di diritti) per mantenere la propria immagine da duro.

Alcuni degli sfollati del Cara di Mineo invece sono finiti (ma va?) stipati nell’ex-caserma Gasparro nel rione Bisconte di Messina e le condizioni di vita (era difficile riuscirci, in effetti) sono addirittura peggiori di quelle a cui erano abituati. Il ministro dell’Interno ha pensato bene di stipare decine di letti a castello in stanze dove, le immagini parlano chiaro, non ci sono nemmeno i centimetri per poter passare tra un letto e l’altro. Con una capienza massima di 250 posti la caserma ospita oggi almeno 300 persone, tutte in attesa che venga valutata la propria richiesta di asilo e tutti in fila nei pochi bagni che la struttura ha a disposizione.

Ma non è tutto, no, no, aspettate. Nel Cara di Mineo c’erano circa mille e cinquecento persone che sono state (per così dire) distribuite tra Palermo, Agrigento, Messina e Trapani. Perché, nonostante la retorica salviniana le persone, come si sa fin da piccoli, non spariscono nel nulla nonostante le premesse e le condizioni dei diversi centri siano tutte assolutamente emergenziali.

Anzi, no. Non è vero. Spariscono le persone. Eccome. Si dissolvono nel nulla quando vengono caricati sui pullman (di cinquanta in cinquanta, come merce da spargere in giro, come sacchi dell’umido da nascondere negli anfratti perché tutto intorno sembri pulito) e scappano inoltrandosi nella campagna cercando soluzioni per raggiungere altri Stati europei. Un disastro organizzativo che sta facendo indignare tutte le associazioni umanitarie che tengono sott’occhio la situazione ma che non riesce a trovare spazio sulle pagine dei giornali e figurarsi nel dibattito pubblico.

Rimane un’immagine, iconica e solitaria, del ministro che ripete in ogni intervista: «Sul Cara di Mineo stiamo mantenendo le promesse.»

Contento lui. Intanto ci piacerebbe sapere dove sia, tutta questa sicurezza tanto decantata.

Buon martedì.

La storia vista con gli occhi di chi la subisce

La storia si dice sia maestra di vita. Lo sentiamo ripetere spesso. Il più delle volte da chi la storia la conosce poco. Ancora più frequentemente da chi tende a usarla come arsenale accusatorio o assolutorio, secondo necessità, come un enorme magazzino dal quale prendere a proprio piacimento l’articolo più conveniente, sottraendolo al proprio scaffale, decontestualizzandolo, per promuovere tesi altrimenti inverosimili, insostenibili o impopolari. Né in un caso né nell’altro la storia può insegnare qualcosa. Chi non la conosce, o la conosce poco, potrà cullarsi nell’illusione di essere un unicum, finendo però, quasi ogni volta, con lo scoprire l’acqua calda o col ritenersi vittima di un fato ineluttabile, qualunque cosa accada. 

Chi la usa a proprio piacimento, potrà cullarsi nella sensazione di aver introdotto o di voler introdurre cambiamenti epocali e, magari, potrà anche convincere le moltitudini sull’originalità del proprio disegno, ignorando però, anche a proprio svantaggio, i precedenti esiti di tentativi analoghi. La trasformazione della storia, da fonte di conoscenza e di orientamento per la vita, in uno strumento al servizio della politica, in una sorta di manganello retorico, da brandire per reclutare adepti e discriminare nemici, potrà agevolare l’annunciazione di un presunto “nuovo” con tutta l’enfasi possibile, ma non sarà di nessuna utilità per dare realtà a finzioni o a miti, o per rendere durevolmente positivo ciò che nasce dall’improvvisazione e da una mancata visione d’insieme. «Solo colui al quale una sofferenza presente opprime il petto, e che a ogni costo vuol gettar via il peso da sé, ha bisogno della storia critica, vale a dire di quella che giudica e condanna», sosteneva oltre un secolo fa Friedrich Nietzsche, cogliendo nell’uomo contemporaneo la tendenza a rifuggire dalle proprie responsabilità e a cercare riparo nel mito da una vita troppo complicata rispetto alle proprie capacità e alla propria volontà di comprenderla.

Accade così che il passato possa tornare, a volte con molti dei suoi difetti peggiori, rivestito di altri panni, di altre camicie, ma molto simile nella sostanza e nella sua pericolosità, trovando le moltitudini impreparate, come lo erano state la prima volta o, addirittura, le volte precedenti.

Ecco allora che una delle descrizioni più compiute e meticolose del contesto, delle dinamiche e dei con…

 

Il testo di Alessandro Portelli prosegue su Left in edicola dal 19 aprile 2019


SOMMARIO ACQUISTA

La Sinistra alle europee, perché ci sono anche i diritti degli animali nel programma di Podemos

Riconoscere gli animali come essere senzienti. È uno dei punti del manifesto dedicato agli animali predisposto da Podemos. Al primo punto il no alle corride che invece sono sponsorizzate dalle destre. Poi servizi veterinari più convenienti e accessibili. Evitare sofferenze agli animali destinati alla alimentazione. Cura degli animali domestici. Ed altri punti che si possono leggere sulla versione integrale. Il benessere animale è un punto importante nella relazione tra specie viventi che caratterizza la nostra Terra. La specie umana dovrebbe avere responsabilità particolari ed invece usa ed abusa degli animali in modi crudeli ed anche autodistruttivi sia dal punto di vista dei cicli ambientali che della salute. Gli allevamenti massivi e senza terra; galline e polli in batteria deprivati dell’imprinting e con una vita ridotta a niente come tempo e destinati a produzione seriale e per parti. D’altronde la specie umana è l’unica che pianifica la distruzione di suoi appartenenti e dunque sa essere particolarmente crudele verso altre specie. Nacque come cacciatrice e raccoglitrice ed è diventata allevatrice e coltivatrice. Così si è moltiplicata ma ha anche prodotto forme che si sono fatte distruttive e che vanno ripensate.

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