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Elena Cattaneo: «Le risorse per la ricerca non vadano a pochi noti»

Elena Cattaneo in Senato durante l'esame del DDL sulle Riforme, Roma, 16 luglio 2014. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Da quando Napolitano l’ha nominata senatore a vita, Elena Cattaneo usa il laticlavio per sostenere la ricerca italiana, affermarne il metodo, difenderne la necessaria autonomia. Questo impegno la porta ora a denunciare una scelta del governo Renzi che non condivide affatto. Quella di concentrare le risorse per la ricerca in poche mani. Mani libere di agire con i criteri che usano nel privato, efficienza manageriale innanzitutto, rapporti privilegiati con le grandi aziende, discrezionalità. «Nella scienza, così come in tutti gli altri ambiti, i ruoli devono essere distinti in base a obiettivi e competenze. È un bene che il governo decida di impegnare cospicue risorse pubbliche in un grande investimento per la ricerca – e sappiamo tutti quanto ce ne sia bisogno – ma non dovrebbe decidere tutto da solo, né improvvisare» dice la senatrice. A ciascuno il suo ruolo, dunque. «La politica, dopo aver acquisito le opportune informazioni, dovrebbe scegliere gli obiettivi da perseguire ma lasciare la selezione dei mezzi migliori per raggiungerli alla libera competizione fra idee e proponenti. Esperienze e analisi internazionali dimostrano che è un errore stabilire per legge quale progetto scientifico sostenere e che concentrare il denaro pubblico in poche mani produce una resa minore, una produttività scientifica inferiore, rallenta l’innovazione e ostacola l’eccellenza scientifica. È la diversificazione competitiva tra le idee, invece che la concentrazione su una proposta, che andrebbe perseguita».

In un documento depositato in Senato, Elena Cattaneo sostiene che l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, scelto da Renzi per il dopo Expo e che dovrebbe ricevere dallo Stato almeno 1,5 miliardi in 10 anni, non ha le competenze indicate per sviluppare Human Technopole. E già si comporta come collettore di competenze esterne e distributore di fondi pubblici. Quali i guasti di tale metodo?
Dal 2003, anno in cui è stato istituito, ad oggi, in Parlamento diverse interrogazioni chiedevano se il governo avesse in qualche modo approvato la trasformazione dell’Iit in agenzia di finanziamento, senza averne titolo né diritto. Di fatto, l’Istituto di Genova negli anni ha selezionato discrezionalmente e proposto il finanziamento a partner di ricerca da lui prescelti, utilizzando parte delle risorse disponibili, che – ricordiamo – sono fondi pubblici. Ciò ha permesso di attivare collaborazioni e di rinforzare la propria produzione scientifica attraverso l’acquisizione di lavori e idee di altri, non sviluppandone o stimolandone di nuove. L’aspetto che più mi preme è che, in altre parole, Iit ha “coinvolto o finanziato” studiosi che avrebbero titolo per competere presso la fonte delle risorse pubbliche direttamente, essendo loro gli ideatori della linea di ricerca, senza passare attraverso altri enti intermediari. Inoltre, la gestione di fondi pubblici comporta una serie di doveri e responsabilità: centri di ricerca come l’Iit, che appunto nasce come fondazione di diritto privato finanziata con ingenti risorse pubbliche, non possono sottrarsi alle pubbliche rendicontazioni e all’amministrazione trasparente, come più volte rilevato dalle agenzie di controllo.

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Il nono piano di Jessica Dimmock. Vivere a Manhattan in un appartamento occupato da eroinomani

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok

Fino al 24 maggio potrete visitare la mostra di Jessica Dimmock “Il nono piano” allestita a Officine Fotografiche a Roma.
Il progetto, di grande forza e impatto, è iniziato nel 2004 quando Jessica Dimmock è entrata per la prima volta in contatto con Jim Diamond, uno degli abitanti di un appartamento occupato da eroinomani al nono piano di un palazzo nell’Upper East Side, quartiere super chic di Manhattan.
Per tre anni la fotografa newyorchese convive con loro, raccoglie le loro storie, fotografa le loro giornate, entra nell’intimità delle loro vite con quella delicatezza che solo chi sospende il giudizio morale riesce ad avere. Qualche volta si crea un legame così profondo che Jessica riesce a seguire le vicissitudini dei suoi nuovi coinquilini anche dopo l’abbandono dell’appartamento, è il caso per esempio di una coppia che dopo la nascita della figlia sceglie di abbandonare quella strana comunità.

Tutto è iniziato nel 2004 quando Jessica Dimmock è entrata per la prima volta in contatto con Jim Diamond, uno degli abitanti di un appartamento occupato da eroinomani al nono piano di un palazzo nell’Upper East Side, quartiere super chic di Manhattan.

Per “Il nono piano” Jessica ha ricevuto il premio F per la fotografia impegnata e il premio Inge Morath di Magnum.
Nella mostra, che si tiene a Roma, curata da Eliana Bambino, Mariella Boccadoro, Sarah Carlet, Valeria Fornarelli, Mario Gentili, Elena Hanim Onem, Annalisa Polli, Flavia Rossi, coordinati da Alessandra Mauro e realizzata in collaborazione con Fondazione Forma, è esposta una selezione delle immagini del progetto, la stessa selezione è stata raccolta anche in un libro che ha ottenuto un buon successo di pubblico.

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

The Ninth Floor - © Jessica Dimmok
The Ninth Floor – © Jessica Dimmok

Gallery a cura di Monica Di Brigida

Nuit debout e Firma day referendum: due giorni di mobilitazione

Domenica 15 maggio il movimento francese Nuit Debout sarà in tutta Europa. In Italia la mobilitazione alcune città (Roma, Milano, Padova, Bologna) e si terrà in concomitanza con il firmaday, una due giorni (14 e 15 maggio) in cui sarà possibile firmare i Referendum sociali in più di 1000 piazze italiane, con l’obiettivo di raccogliere le 500mila firme necessarie per depositare i quesiti presso la Corte Costituzionale (qui le informazioni utili).

Scuola pubblica, inceneritori, trivelle e acqua bene comune. Il governo Renzi, con provvedimenti come la «Buona Scuola» e lo «Sblocca Italia» dimostra una sostanziale continuità con i governi precedenti, sostengono i promotori dei referendum. Le politiche di attacco al ruolo della scuola pubblica, di privatizzazione dei beni comuni, di aggressione all’ambiente e di attacco ai diritti del lavoro, fortemente volute, promosse e sponsorizzate dall’Unione Europea, sono state portate avanti da tutti gli ultimi esecutivi, il cui ruolo si è oramai ridotto a meri esecutori dei diktat provenienti da Bruxelles e Strasburgo.
Per questo – sostengono i comitati referendari – c’è bisogno di cominciare un percorso di lotta a livello europeo, che parta dal basso e che coinvolga movimenti studenteschi, sindacati, associazioni ambientaliste e comuni cittadini, che combatta le politiche di austerità e di devastazione ambientale portate avanti dai tecnocrati europei e dai governi dei paesi membri. Con l’obiettivo di pensare e immaginare un nuovo modello di sviluppo, democratico, aperto, rispettoso dell’ambiente e dei diritti di tutti.

Sei i quesiti previsti, assieme ad una legge di iniziativa popolare. I referendum sociali chiedono l’abrogazione di parte della legge 107, Buona scuola, il blocco di vecchi e nuovi inceneritori e lo stop all’apertura di nuove attività di prospezione, ricerca e estrazione di idrocarburi (le «trivelle”). Inoltre si può firmare una petizione popolare che chiede la gestione pubblica e partecipata dell’acqua: nonostante il referendum del 2011, un recente emendamento del Pd ha stravolto la normativa sulla gestione idrica, prevedendo la “gestione pubblica non obbligatoria”.
I referendum si inseriscono, a detta degli organizzatori, anche all’interno del percorso cominciato lo scorso 17 aprile con il referendum per fermare le trivelle a 12 miglia dalla costa, fallito a causa del mancato raggiungimento del quorum. Percorso rafforzatosi con l’imponente manifestazione tenutasi a Roma lo scorso 7 maggio per fermare le trattative segrete sul TTIP, il trattato di libero scambio in corso di negoziazione tra Ue e Stati Uniti.

La campagna è ufficialmente partita lo scorso 9 aprile. Al Coordinamento promotore aderiscono associazioni quali Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Movimento per la Scuola Pubblica, Campagna «Stop Devastazioni». Comitato «Si» Blocca Inceneritori.
Gli appuntamenti della Nuit Debout in Italia. A Roma il concentramento è previsto per le 17,00 in Piazza del Pantheon, a Milano alle 19,30 in Piazza XXIV maggio, a Bologna alle 19,00 in Piazza Santo Stefano, a Padova alle 17,00 al Listòn, via VIII febbraio.

«Nessuna paura, i robot migliorano la vita dell’uomo»

rivoluzione robot

Che cos’è la quarta rivoluzione industriale? Ne abbiamo parlato con Maria Chiara Carrozza, professore di Bioingegneria industriale all’Istituto Sant’Anna di Pisa (e già ministro dell’Istruzione nel governo Letta). Cominciamo dalla relazione tra Information & Communication Technology, Internet of Things e robotizzazione. «La quarta rivoluzione industriale è l’integrazione di tecnologie di artificial intelligence and deep learning, con tecnologie di robotica che permettono di avere agenti che svolgono compiti simili a quelli umani. Agenti connessi in cloud con intelligenze ed esperienze condivise, grazie a un sistema di comunicazione. Così si permette al robot di entrare nelle case, circolare nelle strade e di entrare in relazione con gli esseri umani. Internet of things è invece mettere in rete tramite infrastrutture oggetti, dati e informazioni, monitorando i prodotti nella loro vita, provvedendo alla manutenzione o sostituzione di essi, grazie a meccanismi di sorveglianza e sicurezza, con algoritmi che sono in grado di anticipare il futuro, nella vita sia degli oggetti/dati/informazioni, sia delle loro relazioni con la società. La quarta rivoluzione industriale segna il passaggio dal robot alternativo al robot coesistente all’uomo nello svolgimento sia dei compiti fisici che cognitivi».

Quali sono le applicazioni più socialmente utili?
Me ne occupo personalmente e ritengo che la biorobotica abbia rivoluzionato la medicina. Faccio degli esempi: il robot può coadiuvare il chirurgo nella limitazione del danno nella chirurgia invasiva, in riabilitazione può permettere il recupero di persone disabili, oppure facilitare ai paralizzati il recupero della mobilità grazie alle interfacce neurali. La biorobotica è l’incrocio tra il naturale e l’artificiale attraverso l’integrazione tra robotica e bionica, come la creazione di organi artificiali come pancreas e cuore o di interfacce neurali che dialogano con il sistema nervoso centrale. È socialmente utile quando provvede a funzioni che hanno uno scopo di sostegno, supporto, terapia, riabilitazione come nel caso degli esoscheletri che aumentano le abilità motorie, permettendo a persone fragili o deboli di migliorare la propria condizione di vita.

È possibile un conflitto tra la macchina e il lavoro umano?
È difficile dire se c’è un conflitto: potenzialmente potrebbe accadere dal punto di vista individuale. Una persona cioè può essere sostituita da una macchina se il compito è ripetitivo o di alta precisione oppure perché lo svolgimento della mansione porterebbe a fatica, usura, stanchezza, pericolosità. Ma il conflitto non sussiste su larga scala. La robotica migliora e non confligge con lo sviluppo della società, perché o migliora la qualità della vita del lavoratore oppure, nel caso della robotica esplorativa nello spazio, va dove l’uomo non può andare.

Ma è possibile immaginare uno sviluppo economico-sociale che tenga insieme sia l’avanzamento tecnologico che la conservazione dei posti di lavoro?
Ci sono delle forme di neoluddismo e movimenti di opinione che sono molto preoccupati di un’evoluzione pericolosa, ovvero che la quarta rivoluzione industriale possa rendere obsoleto il lavoro umano. In effetti esistono fabbriche cinesi senza lavoratori: robot che costruiscono robot, arrivando all’estremo del robot che replica se stesso. Tutto ciò è metafora dell’autodistruzione a meno che non si immagini la possibilità di stare tutti a riposo e far lavorare solo la macchina. Ma non penso che questo sia possibile. Bisogna saper anticipare scenari, anche estremi, ma che servano ai cittadini per far comprendere che siamo dentro una nuova rivoluzione. Tuttavia questo va fatto ponendo attenzione a problematiche di tipo educativo e formativo, altrimenti si rischia che masse di lavoratori possano essere tagliati fuori dalla società.

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Guerra di religione attorno al bagno transgender. Ma il tema sono le discriminazioni

In this photo taken Thursday, May 12, 2016, signage is seen outside a restroom at 21c Museum Hotel in Durham, N.C. North Carolina is in a legal battle over a state law that requires transgender people to use the public restroom matching the sex on their birth certificate. The ADA-compliant bathroom signs were designed by artist Peregrine Honig. (AP Photo/Gerry Broome)

Guerra fine di mondo per un bagno.  L’ultima culture war scatenata dai repubblicani negli Stati Uniti è quella attorno ai bagni per persone transgender in North Carolina. La legislatura dello Stato del Sud ha deciso che le persone transgender devono per legge utilizzare i bagni pubblici sulla base del sesso scritto sul loro certificato di nascita – si badi, di nascita.

Il governatore repubblicano Pat McCrory ha firmato la legge, voluta dai repubblicani in risposta all’ordinanza della città di Charlotte – governata dai democratici – che invece garantiva alle persone di scegliere il bagno che preferiscono. Nella disputa sono entrate le autorità federali, con il Dipartimento di Giustizia di Loretta Lynch che ha scelto di portare in tribunale la decisione della Carolina. Lo Stato ha risposto denunciando Washington che starebbe andando oltre i propri poteri e violando le prerogative di autonomia legislativa dello Stato. Da ultimo, il presidente Obama ha fatto preparare una lettera con una direttiva per le scuole del Paese da Dipartimento di Giustizia e dell’Istruzione nella quale si da indicazione di lavorare per favorire la non discriminazione degli allievi trangender. Non si tratta di un obbligo per le scuole, lo Stato federale non ha certi poteri, ma di una direttiva che potrebbe, ad esempio, condizionare l’arrivo di fondi nelle scuole che scelgono pratiche discriminatorie.

Tanto rumore per un bagno? No. Non è questo il punto. Non è la prima e non sarà l’ultima: nel 1966 un ragazzo nero viene ucciso in Alabama per aver voluto usare la toilette per soli bianchi – prevista all’epoca da una legge dello Stato. E le donne senatrici hanno dovuto aspettare un bagno delle donne fino al 1993 e nel 1990 una donna è finita sotto processo per aver usato il bagno degli uomini in un locale – eravamo in Texas e la signora voleva semplicemente evitare la fila (MotherJones mette in fila una cronologia della storia di toilette e generi). Il punto non è il diritto ad avere un bagno, ma la non discriminazione delle persone. Fossero una, due o tre o migliaia, il tema è il diritto a non sentirsi trattato diversamente a causa del colore della pelle, della religione e degli orientamenti sessuali. Che tra l’altro nel caso delle persone transgender è anche qualcosa in più, è un’identità cercata, perché quella “biologica” veniva vissuta male. Qui siamo oltre il chi voglio amare, siamo nel cosa voglio essere.

E infatti, proprio in questi giorni, un tribunale della Virginia ha dato ragione a Gavin Grimm, studente, già ragazza, che chiede di poter usare il bagno dei maschi della scuola, nonostante sia nato femmina. Un tribunale minore gli aveva dato torto.

A mettere bene in fila l’argomento è stata proprio la Segretaria alla Giustizia Loretta Lynch, con il discorso fatto annunciando la causa contro la North Carolina e nel dossier che accompagna la citazione in tribunale.

«Il sesso di un individuo è costituito da molteplici fattori, che possono non essere sempre in linea – tra questi i cromosomi, ormoni e identità di genere. Decidendo che l’identità sessuale si deve basare sull’etichetta in un ospedale apposta su di un certificato – e limitando l’accesso ai bagni sulla base di quel certificato – la North Carolina stigmatizza e sottolinea l’identità dei transgender, con il risultato di un isolamento e di esclusione, e perpetua l’idea che questi non siano degni di parità di trattamento e rispetto».

Attorney General Loretta Lynch pauses during a news conference at the Justice Department in Washington, Monday, May 9, 2016. North Carolina Gov. Pat McCrory's administration sued the federal government Monday in a fight for a state law that limits protections for lesbian, gay, bisexual and transgender people. (AP Photo/Evan Vucci)
Loretta Lynch (AP Photo/Evan Vucci)

Lynch fa anche riferimento alle leggi Jim Crow, le leggi razziali e discriminatorie approvate dagli Stati del Sud dopo la Dichiarazione di emancipazione, l’abolizione della schiavitù firmata da Lincoln. Oggi, che è il matrimonio tra persone dello stesso sesso è entrato nella costituzione – dopo la sentenza della Corte Suprema – gli Stati stanno emanando leggi capziose in materia. Una reazione di paura di fronte al mondo che cambia, sostiene Lynch. E anche un tentativo del partito repubblicano di alimentare i pregiudizi della propria base sperando di motivarne la partecipazione al voto.

Fino ai primi anni Duemila ha funzionato. Bush vinse le elezioni del 2004 grazie all’Ohio e a un referendum statale che puntava a limitare il diritto all’aborto e che era stato pensato apposta per portare ai seggi gli evangelici delle zone rurali che spesso non votano – nelle zone fortemente democratiche si fece di tutto per scoraggiare il voto. Era il 2004 e dopo di allora molte cose sono cambiate nella società americana: la sentenza della Corte Suprema in materia di matrimonio gay dice – letteralmente – questo: oggi quel matrimonio è considerato normale e quindi non possiamo che garantirlo come diritto.

E la scelta dei repubblicani di combattere guerre di retroguardia rischia di isolarli e renderli un partito conservatore del passato. Water o cesso alla turca che sia, spesso i diritti si muovono in avanti. Se ne accorgeranno anche coloro che ci vendono le unioni civili come il migliore dei mondi possibili?

Un “no” forte che getti via la zavorra ideologica

Matteo Renzi non è il pollo che sembra in televisione e che Crozza sfotte con grande gusto. Capisce la politica e decide con lestezza. Lunedì 9 maggio ha annunciato che dopo il referendum convocherà il congresso del Pd. Se dovesse vincere il Sì, ricevuta l’investitura popolare che gli manca, potrebbe delegare a un pretoriano la guida del partito. Se fosse invece sconfitto dai No, dopo la prevedibile manfrina “lascio come DeGaulle”, “No Matteo, la patria ha bisogno di te” vestirebbe la casacca di segretario per portare il Paese ad elezioni anticipate, probabilmente con una legge diversa dall’Italicum, per non lasciare il malloppo, cioè palazzo Chigi, a un Di Maio qualunque. Ci sa fare e nel suo mestiere, la tattica politica, non ha avversari. Se vivessimo in tempi normali, ce lo terremmo a lungo.

Ma non è ordinario il tempo che viviamo. La Terza Via, l’idea che si possa innestare il liberismo turbo capitalista nella vecchia pianta socialdemocratica, fa acqua ovunque. In Austria il cancelliere si dimette dopo che Spo ha preso l’11 per cento, in Germania l’Spd è un’ancella della Merkel, in Francia Valls prende schiaffi da destra (il suo ministro Macron) e da sinistra (Aubry e Monteburg). Persino in Gran Bretagna, nonostante Jeremy Corbyn, i laburisti non riescono più a rappresentare la sinistra che, in Scozia, vota per gli indipendentisti. E in Spagna, Sanchez passa da quasi premier a leader di un Psoe che potrebbe arrivare solo terzo alle elezioni del 26 giugno. D’accordo, Renzi è più bravo, ma la sua ricetta è la stessa: non si può cambiare nulla delle politiche neo liberali, mentre dalla Merkel si possono ottenere solo sconti, qualche bonus, in cambio di obbedienza quando serve.

The Third Way is a dead man walking. Perché non ci sarà in Europa una ripresa come negli anni 60, il ceto medio non riprenderà a spendere e spandere, i nostri figli non si batteranno per un lavoro sicuro magari meglio pagato del nostro. Le abissali disparità di reddito create dal capitalismo finanziario deprimono la domanda, le produzioni avanzate – in questo numero Left parla di robot e intelligenza artificiale – non creano abbastanza lavoro e non distribuiscono tanti soldi come fu con il boom dell’edilizia. La gente spende meno e la deflazione spegne, con la ripresa, il sorriso. Il nostro sonno si popola allora di incubi. Il terrorista, meglio viaggiare di meno. L’immigrato, che mi ruba il lavoro e minaccia la mia sicurezza. Nascono partiti xenofobi, tornano i muri, si evocano politiche protezioniste e tutti costoro definirebbero Tony Blair (o Matteo Renzi) uno stronzetto che fa “cheese” in televisione.

Solo una rivoluzione può salvare l’Europa. Non penso alla presa di un Palazzo d’Inverno, che non c’è, ma a una rivoluzione culturale europea, un rovesciamento del modo di pensare, un ribaltamento degli assiomi su cui l’accordo di Maastricht fondò l’Unione. Insomma, dire ai tedeschi che senza ristrutturare il debito dei Paesi mediterranei – povera Grecia, ancora costretta a pagare – senza un piano del lavoro europeo, una politica fiscale e industriale comune, senza difendere, non solo con la Russia ma anche con Ungheria e Turchia, diritti e libertà. Senza questo minimo imponibile l’Europa è già finita. E se loro tedeschi, i più favorevoli all’Europa -dice un sondaggio di Diamanti- se ne vogliono andare, che vadano, tanto non sanno dove.

Ma tutto questo Renzi non lo fa. Né lo faremo noi di sinistra se non ci liberiamo delle scorie e della falsa coscienza accumulate negli anni: movimentismo, operaismo, elettoralismo, ecologismo piagnone, pacifismo come postura, femminismo alla Clinton. Se non ci libereremo dalla pretesa di essere anziché fare, dalla comoda spocchia con cui proclamiamo una nostra diversità, che spesso è diversa solo dal buon senso e ci rende casta agli occhi dei Millennials. Vasto programma, direte. Ma, provvido, Matteo Renzi ci offre un’occasione: 5 mesi di campagna con il No, senza mescolarsi ma capaci di coinvolgere tutti, destra, sinistra e 5Stelle, in nome della restaurazione di regole buone e democratiche. Che permettano alle idee nuove di divenire una pianta rigogliosa.

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Ora è il Pd che conta gli indagati ai 5 stelle. Tra doppia morale e gara sul giustizialismo

Quello del Foglio è un appello disperato: «Che a nessuno venga in mente, dopo gli avvisi di garanzia a Federico Pizzarotti e Filippo Nogarin e ai loro assessori, di fare tabelloni e liste d’indagati grillini. Quelle sono cose che fa il Movimento 5 stelle con una furia giustizialista che non tiene conto dei princìpi basilari dello stato di diritto e in molti casi neppure della decenza».

E però è proprio quello che sta accadendo in queste ore, con il caso Nogarin prima e adesso quello di Pizzarotti, sindaco di Parma, a cui è arrivato un avviso di garanzia per abuso d’ufficio – un classico per un sindaco – per le nomine dei vertici del Teatro Regio. Il partito democratico sta gareggiando sul crinale del giustizialismo – precisando però sempre di esser garantisti – con il Movimento 5 stelle.

L’obiettivo del Pd è dimostrare che i 5 stelle non sono in grado di governare, con una classe dirigente improvvisata, alla vigilia delle elezioni. E si vuole colpire l’asse portante del Movimento nato dal VaffaDay, la rivendicata superiorità morale. L’accusa è invece di doppia morale, e non la riduce il fatto che il Movimento 5 stelle abbia sospeso, dopo ore di attesa, Pizzarotti. Sospendere Pizzarotti e non Nogarin, anzi è un’aggravante. Il capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato, ad esempio, dice così alla Stampa: «C’è un giustizialismo schizofrenico nel M5S. Fino a ieri un avviso di garanzia era una condanna, soprattutto se recapitato a un amministratore Pd. Poi, con i guai di Nogarin, è stato declassato, diventando una circostanza da valutare caso per caso. E oggi, con Parma, Virginia Raggi dice che è un manganello in mano alla magistratura».

In effetti l’inflessibilità dei 5 stelle non sembra più tale a sentire ciò che la candidata a Roma Virginia Raggi ha detto al Corriere: «Noi la questione morale la affrontiamo caso per caso. Una cosa è essere indagati per diffamazione, altro è un abuso d’ufficio, o la corruzione, la truffa. La legalità non può essere usata strumentalmente contro una forza politica: siamo onesti ma non siamo sciocchi. Se poi cadremo sotto la scure, vedremo. Ma io sono quella che vedete, vado in giro a testa alta. Gli avvisi di garanzia non possono essere usati come manganelli». Rispetto a quello che diceva Luigi Di Maio a dicembre 2015 il cambiamento è sensibile: «Di fronte a un avviso di garanzia bisogna dimettersi. sono contrario alla presunzione d’innocenza per un politico». 

Il debry tra Pd e 5 stelle fa però male a entrambi. Lo nota ad esempio Mauro su Repubblica. Secondo cui «il numero di amministratori del Pd coinvolti in inchieste giudiziarie dovrebbe da solo far capire all’intero gruppo dirigente che c’è nella principale forza della sinistra un problema di selezione delle cosiddette élite grande come una casa». Sarebbe meglio non alimentare il circuito, dunque, non seguire i 5 stelle, lasciando che sia l’evidenza a dimostrare i loro limiti: «I grillini», scrive ancora Mauro, «che pensavano di fischiare comodamente dagli spalti nella partita tra la politica e la magistratura, si trovano improvvisamente in campo mentre i fischi oggi sono per loro, impreparati e incapaci di gestire l’incoerenza tra i doveri pretesi dagli altri e le indulgenze domestiche».

I gesuiti, sì alla riforma Boschi. Il fronte cattolico è spaccato

Civiltà Cattolica, la storica rivista dei Gesuiti fondata nel 1850 a Napoli, dice sì alla riforma Boschi. Lo fa con un lungo, approfondito e anche equilibrato articolo di padre Francesco Occhetta che si intitola asetticamente La riforma della Costituzione. Ma il quadro “oggettivo” lascia trasparire il consenso alla riforma Boschi quando si fa riferimento all’«auspicabile successo del referendum». Nel testo (qui) Occhetta ripercorre la storia dei lavori che hanno portato alla riforma, a partire dalla Commissione dei saggi del governo Letta e  fotografa anche il dibattito attuale ricordando il documento dei 56 giuristi per il no. Della riforma si elencano gli elementi positivi e di rottura con il passato (il bicameralismo perfetto) con una apertura eventualmente a «successive modifiche migliorative che tengano conto delle critiche più motivate». Il testo – si legge – non intacca i principi sanciti dalla Costituzione, alla cui stesura ricordiamo, i cattolici hanno partecipato attivamente con Dossetti. Lo stesso Dossetti guarda caso che ieri sera a Porta a Porta il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha citato più volte.

Civiltà Cattolica, che, ricordiamo, è espressione della Segreteria di Stato vaticana –  Bergoglio, tra l’altro, è un gesuita – entra così nel pieno del dibattito attorno al referendum costituzionale, cita molto il presidente Mattarella ma inevitabilmente spiazza il fronte dei cattolici. «Mi stupisco che una rivista della tradizione e della storia come Civiltà Cattolica si schieri contro la parte più sensibile del mondo cattolico», afferma Gaetano Azzariti costituzionalista del Comitato del no. Azzariti cita centinaia e centinaia di cattolici che qualche settimana fa hanno firmato il manifesto dei cattolici del no. No alla democrazia dimezzata, il titolo di un testo (qui) che non lascia dubbi sulla volontà di opporsi alla riforma Boschi. «La posta in gioco tra il Sì e il No nel prossimo referendum costituzionale – scrivono i firmatari – non è il Senato ma è l’abbandono della Costituzione vigente e la sua sostituzione con un sistema di democrazia dimezzata in cui i valori e i diritti riconosciuti nella prima parte della Carta, da cui dipendono la vita, la salute e la possibile felicità del cittadini, sarebbero isolati e neutralizzati per lasciare libero campo al potere del denaro e delle sue istituzioni nazionali e sovranazionali». Esattamente il contrario di quanto sostiene Civiltà Cattolica. Tra i firmatari ci sono il giornalista Raniero La Valle, il missionario comboniano Alex Zanotelli, Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale, Lorenza Carlassare, costituzionalista, Vittorio Bellavite, “Noi siamo Chiesa”. Decine e decine di firme di docenti universitari, giornalisti, uomini di Chiesa e vicini ai movimenti cattolici e laici di fede cattolica. «La Costituzione è un bene comune e, pur provenendo ciascuno da parti diverse, comune deve essere la battaglia di uomini e donne per la sua cura e la sua difesa, ognuno lottando però con i suoi colori e con le sue bandiere», scrivono. I cattolici del no sentono la minaccia nei confronti dei principi fondamentali della Costituzione, manifestano la propria opposizione al nuovo disegno istituzionale, anche per una «questione di patriottismo costituzionale». Di tutt’altro avviso padre Occhetta che arriva alla conclusione che a «essere riformata è l’ingegneria costituzionale della seconda parte». Quindi nessun snaturamento dei principi chiave della Carta. Due testi che sembrano arrivare da due pianeti diversi, segno di uno scontro evidente dentro il mondo cattolico.

Chiesa e donne, la rivoluzione che non c’è

Siete tutti matti? I giornali sono tutti matti? Tutti? Quale sarebbe la notizia? Che Papa Francesco “istituirà una commissione che studi l’ipotesi del diaconato femminile nella Chiesa cattolica”? E che il cardinale Kasper disquisisca già se “benedirle queste donne o consacrarle”? Optando ovviamente per la prima delle soluzioni. Più soft.  Una semplice benedizione come per le badesse. È questa la rivoluzione? Sono talmente stanca di sentirne di rivoluzioni di Francesco che mi stanco anche a replicare. Il papa ha detto che “creerà una commissione che studi il tema” e boom! Proprio boom, prime pagine, peana interminabili. Mentre a me torna alla mente il libro di Giuliana Sgrena e le sue parole stanche mentre la intervisto. “Sono prediche e rimangono prediche”. Pari opportunità nella Chiesa? Le donne potranno battezzare e sposare? Ma non dare l’estrema unzione né benedire pane e vino? Nascerà un nuovo femminismo nella Chiesa? Suore e monache si ribelleranno al maschilismo del Vaticano? Si arriverà al sacerdozio femminile? Ci sarà un papa donna tra cinque secoli? O c’è già stata?

Questi i temi scottanti di oggi… e io mi chiedo solo quanto durerà? Quante pagine ancora? Quanto piombo? Oggi si cita a casaccio tutto, da Paolo di Tarso alla Genesi. Dal ruolo delle diaconesse nella Chiesa Primitiva al “genio femminile” evocato da Francesco. Allora piccolo sunto per semplici disperati “pensanti”. La donna non è fatta a immagine di Dio, ma di Adamo, per questo è inferiore, subalterna per creazione. Non esiste uguaglianza possibile. Non nelle Scritture, né per i Padri della Chiesa. In primis proprio Paolo di Tarso, uno dei più feroci, quasi sanguinario lo definirei, teorici della inferiorità congenita del genere femminile. Disuguaglianza fisica e mentale che nei secoli si è trasformata in un minus umano abnorme. Tutto questo può portare a Pari opportunità nel nome dei tempi moderni? Boh. Diaconesse nel Medioevo ci furono, più badesse che diaconesse, così si fuggiva da imposizioni violente o così si riusciva a “studiare” se si era donne. Di papesse una soltanto. Il famoso Giovanni VIII (872-882) lapidato vivo in processione appena i romani si accorsero che di donna si trattava.
Torniamo ai fatti allora (fonte ANSA): Papa Francesco, durante l’udienza cui partecipavano circa 900 rappresentanti dell’Uisg e delle comunità religiose femminili, nel corso della sessione di domande e risposte, quando gli è stato chiesto perché la Chiesa esclude le donne dal servire come diaconi, ha risposto: “Perché non costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione?”. E ha aggiunto che una volta aveva parlato della materia con un “buon, saggio professore”, che aveva studiato l’uso delle donne diacono nei primi secoli della Chiesa. Gli aveva chiesto: “Che cos’erano questi diaconi femminili? Avevano l’ordinazione o no?”. “Era un po’ oscuro”, aveva risposto il professore. “Qual era il ruolo della diaconessa in quel tempo?”. “Costituire una commissione ufficiale che possa studiare la questione?”, ha quindi chiesto Bergoglio ad alta voce. “Credo di sì. Sarebbe bene per la Chiesa chiarire questo punto. Sono d’accordo”. “Accetto”, ha detto il Papa successivamente. “Mi sembra utile avere una commissione che lo chiarisca bene”.
Notizia: avremo una commissione che studierà com’erano le diaconesse ‘in quel tempo’, se avevano o meno l’ordinazione. 
Conclusione: Il cardinale Kasper ci tranquillizza (fonte Corriere della sera): alla domanda “avremo donne prete”?, risponde “Francamente non credo. Il papa ha detto che questa porta è chiusa, dopo le parole molto chiare di Giovanni Paolo II sul No al sacerdozio femminile. Non posso immaginare che Francesco cambi quella decisione”.
Fine della discriminazione? Le donne non saranno più “impure”? Siamo nelle mani di una Commissione. Auguri.
Oggi Internazionale copertina ‘Scorrerà il sangue’. E scrive di una battaglia ancora molto lunga da combattere per mettere fine ad una discriminazione che ovviamente non è fisica. Mi sembra l’unica cosa seria da leggere oggi. Oltre a Left, naturalmente.

Il Vangelo secondo Matteo e la garanzia secondo Grillo

Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti, e gli slogan sono le tangenziali delle parole buttate lì con la leggerezza di chi sa che funzionano e che nessuno si prenderà la briga di smontarle. Così mentre la Chiesa viene rimandata a cuccia da una (bella) frase di Matteo Renzi tutt’intorno viene facile giovanardare come un Adinolfi qualsiasi: se c’è un buon motivo per essere felici della fresca (mezza) legge sulle unioni civili è la sconnessa reazione dei pretini, l’abbattimento degli jihadisti episcopali e le mendaci contrizioni dei puttanieri censori delle famiglie degli altri. Perché, diciamocelo, il rumore della tradizione che scricchiola nel sarcofago a forma di fede è in queste ore uno strisciare di unghie. E allora ben venga un rinculo di laicità, benché sotto forma di slogan, e lo dico io che con Renzi e renzini non sono mai stato troppo tenero. Con un solo piccolo però: spergiurare sulla Costituzione, quello sì, sarebbe un peccato mortale. Politicamente, s’intende.

Sempre per la rubrica delle “parole che sono importanti” c’è anche l’avviso di garanzia, in senso grillino.
Anche Scanzi (Scanzi, eh) nel suo editoriale di ieri scrive «Non ha senso dimettersi sempre per qualsiasi avviso di garanzia. Ma era proprio quello che ripeteva Di Maio fino a pochi mesi fa. O i 5 Stelle erano spericolatamente troppo giustizialisti a inizio percorso, o sono diventati fatalmente (e per quanto mi riguarda giustamente) più “realisti” giorno dopo giorno.» E proprio quel “dimissioni” urlato a tutti rischia di essere il migliore regalo ai garantisti per interesse (quelli che sono garantisti perché sono ladri, per intendersi): il cul de sac in cui si ritrovano Di Maio e Di Battista se lo sono cuciti con le loro mani e anche se è lapalissiano che le responsabilità politiche e etiche di Nogarin e Pizzarotti siano ben diverse dagli onorevoli in odor di mafia o dai sistematici corruttori di cui è piena la storia politica di questo Paese quello stesso rumore di fondo (che proprio loro hanno innescato) oggi alza la polvere addosso al Movimento.

Le parole sono importanti, appunto. E anche il tono e il modo, fino a qualche anno fa, era importante, era politica. E chissà che davvero non torni.

Buon venerdì.