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La casa bruciata al sindaco e l’abusivismo che diventa un’eccezione

Qualche ora prima era apparso nella trasmissione televisiva di Giletti, ospite per la sua battaglia personale contro l’abusivismo a Licata, la città di cui è sindaco, e poi si è ritrovato a contare i danni di un incendio (doloso, secondo gli investigatori) che ha colpito durante la notte la sua casa di campagna. Così Angelo Cambiano sindaco di centrodestra alla guida del comune agrigentino si è ritrovato di colpo sulle prime pagine di tutti i giornali.

La sua battaglia è iniziata alcuni mesi fa quando, con un protocollo sottoscritto anche dalla Prefettura di Agrigento, ha deciso di abbattere le 150 abitazioni costruite a pochi passi dal mare. Un atto che in realtà avrebbe dovuto compiersi già una decina di anni fa (e infatti la Procura ora ha aperto un’inchiesta per omissione d’atti di ufficio) ma che per ragioni da chiarirsi solo in questi mesi ha trovato uno sbocco fattivo: in città l’azione del sindaco è stata vista da alcuni come un abuso di potere contro il “diritto alla casa” e, come spesso succede, le regole sono diventate di libera interpretazione nell’agone politico.

Il Ministro all’Interno Angelino Alfano è arrivato oggi per incontrare l’amministratore e gli altri quaranta sindaci che sono scesi in piazza per solidarietà e per chiedere che il Governo adotti le misure necessarie. «Siamo qui a ribadire una cosa molto importante – ha dichiarato Alfano – cioè che per il futuro se non avvengono queste demolizioni, ci saranno altre case abusive. E che è finito il tempo della politica che coccolava gli abusivi per avere qualche migliaio di voti. Oggi è giunto il tempo della politica e delle istituzioni che fanno rispettare le leggi, puntando al consenso democratico di tutti quei cittadini che, onestamente, per fare una cosa chiedono il permesso. Proporrò una scorta al sindaco e una vigilanza ai luoghi della sua vita perché la scelta di amministrare una città, non significa fare un scelta dell’eroismo. La paura è un sentimento naturale e lo Stato deve intervenire per sottrarre paura a chi ce l’ha avendo avuto il consenso del popolo per governare un terra splendida e difficile come questa».

Mentre la procura indaga per incendio e minacce il sindaco Cambiano ha confermato che il suo impegno contro l’abusivismo andrà avanti senza nessuna esitazione. «Ho un figlio in arrivo – ha detto – e sicuramente non gli dirò che suo padre alla prima difficoltà si è fatto da parte». Resta comunque, al di là dell’episodio, il tema delle difficoltà degli amministratori che molto spesso (succede con l’abusivismo ma non solo) non sembrano in gradi di ottenere tutti gli strumenti necessari per una vera azione di governo nell’amministrazione della propria città. Lo stesso Cambiano ha dichiarato fino a ieri di essersi sentito “lasciato solo” e certo, al di là della presenza di oggi, andrebbe ripensato un sistema che negli ultimi anni, nei piani regolatori redatti dalle regioni, sembra aver voluto carezzare l’edilizia “spinta” per tentare di accontentare le imprese e “far ripartire l’economia”. Forse in questo Paese più che la scorta servirebbe dire basta ai condoni. Ma questa per molti “è un’altra storia”. Dicono.

Il MoMA in casa vostra, o quasi: 67mila opere digitalizzate e online

Umberto Boccioni, Forme Uniche della Continuità nello Spazio, 1913.

Da oggi sarà possibile ammirare la famosa Notte stellata di Vincent Van Gogh o la celebre Persistenza della memoria di Salvador Dalì senza spostarsi dal proprio divano di casa. O quasi.

Il celebre Museum of Modern Arts (MoMa) di New York è uno dei principali templi della cultura mondiale. Fondato nel 1929 da Abby Aldrich Rockefeller è uno dei primi musei statunitensi a occuparsi interamente di cultura moderna. Oggi, la raccolta del MoMA conta circa 200.000 opere provenienti di oltre 10.000 artisti diversi. Oltre a quadri e sculture sono presenti 22.000 film e centinaia di fotografie d’arte. Tra i capolavori ospitati al suo interno ci sono, oltre a quelli già citati, Les demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso, Forme Uniche della continuità nello Spazio di Umberto Boccioni, Canto d’Amore di De Chirico e molte altre ancora.

Archivio. Sezione fotografie.
Archivio. Sezione fotografie.

Se, per ragioni di tempo e denaro, non è possibile a tutti visitare il museo e godere in prima persona di questo incredibile patrimonio artistico, il MoMa ha proceduto alla digitalizzazione di ben 67.000 opere realizzate tra il 1860 e il 2016, rendendole fruibili almeno online al pubblico. La consultazione è intuitiva: è possibile filtrare le opere in base alla tipologia (dipinto, scultura…) e al periodo storico.

Archivio. Sezione film.
Archivio. Sezione film.

Ma come funziona la codificazione digitale di queste opere d’arte?

Il problema di fronte al quale i tecnici del Moma si sono trovati è quello di garantire che i posteri capiscano che tipo di file si troveranno davanti e capire in che maniera utilizzarlo. In altre parole, anche se riusciamo a mantenere una copia perfetta di un file video per 100 anni, potrebbe succedere che le persone che si troveranno un giorno a utilizzarlo non siano in grado di capire di che tipo di prodotto tecnologico si tratta e come usarlo. Per evitare questo scenario è stato usato un “packager” (letteralmente un “confezionatore”) open-source chiamato Archivematica, che analizza i materiali digitali di tutti i tipi, e registra i risultati in un formato di testo confezionato e conservato con i materiali stessi, utile a capirne la natura. Così da aiutare le future generazioni a comprendere che tipo di “flusso di bit” abbiano di fronte e come usarlo.

Archivio. Sezione sculture.
Archivio. Sezione sculture.

C’è poi la questione dell’autenticità dell’opera. Come possiamo dimostrare in 100 anni che un dato oggetto digitale della collezione non sia stato modificato, né danneggiato? Per risolvere questo problema, il confezionatore assegna a ciascun file digitale un algoritmo chiamato checksum; tale valore ci permette di confrontare lo stesso file a 100 anni di distanza: se la serie di lettere e numeri combacia al 100 per 100 significa che l’oggetto in questione non è stato né manomesso né corrotto.

Questi pacchetti d’archivio vengono poi inviati all’interno di un sistema di archiviazione digitale, chiamato il “magazzino”, gestito dalla divisione infrastrutture del reparto IT del MoMA. Questo magazzino conta attualmente circa 80 terabyte (80.000 gigabyte) ma è stato previsto che entro il 2025 il magazzino arrivi a pesare circa 1,2 petabyte (1,2 milioni di gigabyte). Inoltre, grazie ad una società denominata Archivium, si sta giungendo a un sistema completamente automatizzato e “robotizzato” di raccolta di dati.

Voto di fiducia sulle unioni civili. E Marchini fa l’ “obiettore”

ALFIO MARCHINI

È direttamente Monica Cirinnà a ricordargli che esiste l’articolo 328 del codice penale, sull’omissione di atti d’ufficio. Alfio Marchini si è preso però la scena del dibattito corteggiando il Vaticano, nel giorno in cui la legge sulle unioni civili supera alla Camera il passaggio delle questioni pregiudiziali, poste da Lega e Fratelli d’Italia, e avanza verso il voto di fiducia, chiesto dal governo tra le proteste delle opposizioni, e poi verso il voto finale.  Mentre il presidente del Consiglio Renzi, non fidandosi, si tiene a distanza sia dai catto dem sia dal lavoro di lobbing dalle associazioni per i diritti degli omosessuali.

Così, attendendo il voto finale che Maria Elena Boschi ha indicato come «epocale», dobbiamo quindi parlare di Marchini: il candidato alla guida del Comune di Roma ha annunciando che, se sarà sindaco, eviterà di celebrare unioni omosessuali. Continua così la corsa a destra del candidato un tempo «libero dai partiti» e ora sostenuto da Forza Italia, che in aula annuncia il voto contrario, sia sulla legge che sulla fiducia, prevedendò però almeno la libertà di coscienza. Si becca l’applauso di Maurizio Gasparri,  in questo modo il costruttore Marchini, ma anche molte critiche.

Marchini dunque vuole segnare la distanza dall’ex sindaco Marino che delle unioni civili aveva fatto una bandiera e al tempo stesso segnala una questione non del tutto risolta: se il voto in aula è scontato, infatti, meno lo sarà l’applicazione della legge.  I fantasiosi “sindaci obiettori” potrebbero aggrapparsi ai regolamenti e  ai decreti attuativi in mano a Angelino Alfano. Dal Pd assicurano che non lasceranno solo il ministro, ma sicuramente continuerà lo scontro con i centristi, che al Senato hanno ottenuto l’esclusione di qualunque tipo di adozione per le coppie omosessuali e l’eliminanzione di ogni riferimento al matrimonio, ma proveranno ancora a strappare qualcosa.

Nella disccusione spicca per i toni catastrofici la dichiarazione di Maurizio Sacconi. Che chiede a Mattarella di rinviare la legge al parlamento perché «si avvia, con la legge sulle unioni civili finalizzate alle famiglie artificiali, il progetto di sovversione antropologica». Ovviamente non accadrà. Quello che invece dovrebbe arrivare è un referendum abrogativo, promosso da centristi, leghisti e e crociati alla Adinolfi.

Intanto il premier Renzi annuncia: Nella riattribuzione delle deleghe di governo abbiamo deciso che il ministro Boschi assumerà la presidenza sulle adozioni internazionali e la delega per le pari opportunità”.

Giuliana Sgrena: «Ecco perché le tre religioni monoteiste odiano le donne»

GIULIANA SGRENA

Oggi, 10 maggio, alle 17,30 alla Casa delle donne (Via della Lungara 19, Roma) viene presentato il libro di Giuliana Sgrena Dio odia le donne (Il Saggiatore). Con l’autrice ne parleranno Laura Balbo e Raffaele Carcano. Su Left in edicola l’intervista a Giuliana Sgrena.

Dio odia le donne. Questo è il titolo del nuovo libro di Giuliana Sgrena. L’immagine in copertina è quella di una donna esangue, un robottino quasi. Alieno. Col capo coperto e lo sguardo vuoto. Forse l’autrice ha provato ad immaginare come l’avrebbe voluta Dio, la donna. Senza sangue, perché il sangue la rendeva impura, e Dio non ama l’odore della donna mestruata (Levitico 15, 19-30). Col capo coperto, perché coperto doveva essere il capo e il volto di chi «non era stato fatto a immagine di Dio, ma di Adamo». Quasi senza vita. Persino. Un robottino appunto, finalizzato alla riproduzione della specie.
Dentro, il libro della Sgrena, è “senza grazia”. Come forse devono essere le cose urgenti, che vanno dette e basta. Un elenco. Secco. Tre religioni e il loro rapporto con le donne. Con la donna. Subalterna per creazione, inferiore per nascita, impura, tentatrice, strega. Per i tre monoteismi l’unica salvezza per il genere femminile è essere vergine, o madre e moglie. Poco meglio o tanto peggio, l’accanimento pensato e agito sulla donna dalle tre fedi non cambia. E nel libro tutto torna, tutto si riallaccia. L’infanzia dalle suore, i viaggi in Afghanistan e Somalia, le battaglie contro le mutilazioni genitali femminili, la prigionia. E poi, lo studio delle fonti, dal Talmud al Corano, da Platone a Paolo di Tarso fino all’ultimo sinodo sulla Famiglia dell’ottobre scorso. Inevitabile chiederle il motivo che l’ha spinta a tanto.
Come mai hai scritto questo libro?
Intanto perché negli ultimi anni mi sono occupata di Paesi musulmani; in particolare, mi sono concentrata sull’islam e il suo rapporto con le donne. E sull’utilizzo della religione come strumento per imporre regole alle donne. Per opprimerle e discriminarle. Dopodiché, è stato ovvio che i fondamentalismi non sono solo nell’islam ma in tutte le religioni monosteiste. In questi anni, ogni volta che mi ritrovavo a fare dibattiti sull’islam, saltava sempre su qualcuno che mi diceva: “Questo accade anche nella religione cattolica e nell’ebraismo”. Da qui è nata la mia voglia di saperne di più, per capire quanto ci fosse in comune nei tre monoteismi. E senza voler fare una nuova esegesi, ho voluto scrivere un libro fondato sulle fonti e non solo sui comportamenti attuali. La scoperta è stata che, effettivamente, tutte e tre le religioni sono solo un alibi per il patriarcato.
Io, poi, sono atea, nel libro spiego perché. Forse sono partita anche da questa esigenza personale, per nulla calcolata, ma che è venuta fuori.

Dio-odia-le-donne
Le tre fedi monoteiste odiano le donne, e non è solo un problema di comportamenti, scrivi, ma di “subalternità ab origine”. Cioè la donna, per le fonti, “non essendo fatta a immagine di Dio ma dell’uomo”, è inferiore per nascita…
Sì, il fatto stesso che nell’Antico Testamento (nella versione che ha prevalso) venga tratta da una costola, cioè viene creato l’uomo e poi dall’uomo viene creata la donna per fargli compagnia dimostra che fu concepita, sin dal principio, come un oggetto per l’uomo. Perché gli animali non andavano bene.
Epperò non è andata bene neanche lei, perché è stata causa di peccato originale. La donna è “impura” per tutti e tre i monoteismi.
È proprio il peccato originale che determina la sua impurità “permanente”. E questa impurità non solo le sbarrerà tutta una serie di ruoli (spianando invece la strada al patriarcato) ma è una condizione da cui non potrà più affrancarsi.
Si può dire che la religione cattolica ne esce peggio di tutte? Dalla sessuofobia sistematizzata di Agostino d’Ippona alla criminalizzazione delle donne in Paolo di Tarso…
Sì, si può dire. Ho cercato di affrontare le tre religioni senza preconcetti, ma purtroppo è vero. Ho scoperto che la religione cattolica – quella che, per certi versi, si è rinnovata di più -, non ha in alcun modo cambiato atteggiamento nei confronti delle donne, con questa ideologia/ossessione della verginità di Maria come modello. Una donna che ha concepito senza avere rapporti sessuali, ha partorito senza sangue… insomma, nella storia del cattolicesimo che sembra cambiare, sulle donne si continua ad infierire nello stesso identico modo.
Perché? Ti sei data una spiegazione?
La più semplice è che la Chiesa ha sempre avuto un rapporto molto forte con il potere e dal potere era meglio escludere le donne. Estrometterle definitivamente. Anche questo papa, che piace tanto alla Sinistra e che su ambiente e questioni sociali sembra più aperto dei suoi predecessori, sulle donne non sposta una virgola e ci rimanda a papa Giovanni Paolo II. Se pensiamo a come ha svolto l’ultimo sinodo della famiglia. In pratica non c’erano donne, come se la famiglia fosse fatta di soli maschi, anzi di soli cardinali e poche coppie “felici”. è proprio “non riconoscere” la realtà e volerne imporre una versione mistificata.

Questo articolo lo trovi sul n. 19 di Left in edicola dal 7 maggio

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Uniti per vincere. A sinistra. Chiuso l’accordo tra Podemos e Izquierda unida

Sumamos para ganar. Ci uniamo per vincere. L’accordo tra Podemos e Izquierda unida è andato in porto, andranno uniti alle prossime elezioni del 26 giugno. E i sondaggi, al momento, danno loro ragione: l’alleanza conta già il 22,3%, più del 20% al quale restano ancorati i socialisti di Sanchez, e a soli due punti dai popolari di Rajoy, che provano a cavalcare la paura dell’ingovernabilità.

Così, Pablo Iglesias e Alberto Garzon provano a dare una scossa allo stallo spagnolo. La campagna elettorale, infatti, fino a poche ore fa sembrava un déjà vu: perché le forze politiche in cui è divisa la Spagna restano le medesime quattro: Partito popolare, Psoe, Podemos e Ciudadanos. E, sigillata l’alleanza, adesso non rimane che ratificare con un referendum online della base di Podemos, anche perché gli iscritti di Izquierda unida si sono già espressi favorevolmente la scorsa. Alla formazione della sinistra radicale, dovrebbero andare sei seggi considerati sicuri – al momento ne ha 2 – con una proporzione di un deputato di Iu ogni sei eletti di Podemos.

L’accordo arriva a pochi giorni da una data simbolicamente importante. Tra pochi giorni – il 15 maggio – gli Indignados celebreranno il quinto anniversario del movimento. Ed è lì che Pablo Iglesias e Alberto Garzon si sono dati appuntamento, alla Porta del Sol di Madrid. Tira un’aria buona in Spagna, sabato su Left in edicola ne parliamo anche con gli eurodeputati Miguel Urban (Podemos) e Marina Albiol (Izquierda unida).

Chi è Rodrigo Duterte “il punitore”, nuovo presidente filippino

Rodrigo Duterte, 71 anni, avvocato e per molti anni sindaco di Davao City nell’isola di Mindanao è il nuovo presidente delle Filippine. Lo ha annunciato lui stesso, ancora prima dello spoglio definitivo dei voti: il suo inseguitore, Manuel Roxas II nipote dell’ex presidente, era sotto di 6 milioni di voti.

Camicia a quadri e pugno alzato, così si è presentato davanti alle telecamere il neo presidente che ha promesso di voler cambiare subito la Costituzione. Duterte ha vinto dopo una campagna elettorale incentrata sulla lotta alla corruzione e alla criminalità. Le Filippine crescono del 6% l’anno, creano milioni di nuovi posti di lavoro, vedono arrivare grandi investimenti esteri e migliorano dal punto di vista della quantità di entrate fiscali, ma la maggior parte della popolazione non sembra avvertire il cambiamento: in un Paese dove la politica è retta da famiglie che si passano il potere e le diseguaglianze aumentano, il politico che parla come l’uomo strada, vince. La vittoria del candidato più popolare e populista si spiega anche così.

Sindaco di Davao dal 1988, rieletto più volte negli anni successivi, Duterte è riuscito ad attirare un grande consenso nella popolazione filippina che ha partecipato in massa alle elezioni (80%). Secondo Edna Co, politologa all’università delle Filippine, come riporta Le monde, «La gente può identificarsi con il suo modo di fare, il suo linguaggio. Lui promette di cambiare le cose a suo modo, con le sue regole». In effetti, Duterte, è un personaggio pieno di contraddizioni. Il suo soprannome, non a caso è The punisher, il punitore, dopo che un articolo del Time lo aveva chiamato così nel 2002. Viene anche definito un Donald Trump orientale, per i modi spicci e le parole pesanti, ma ha definito il candidato americano «un bigotto». Non ha avuto nessuna remora a lanciare battute anche durante la visita di papa Bergoglio nelle Filippine, che avrebbe causato un inaccettabile blocco nel traffico. Famose anche le sua battute sul Viagra, sulle sue amanti e su uno stupro avvenuto proprio nella sua città. Tra le caratteristiche di Diterte, insomma, c’è anche una buona componente di sessismo.

Durante i suoi anni alla guida di Davao City  ha cambiato le condizioni di vita di una città che, quando arrivò lui, alla fine degli anni 80, era chiamata Nicaragdao, per la violenza della malavita e i traffici criminali. Oggi la terza città delle Filippine è diventata una città vivibile e meta turistica, dotata di una forte presenza delle forze dell’ordine, addirittura la nona città più sicura al mondo. Secondo organizzazioni internazionali come Human Rights Whatch, Duterte sarebbe riuscito a soffocare la violenza usando però metodi simili a quelli delle bande criminali che combatteva. «Come credete che sia riuscito? Li ho uccisi tutti», aveva ammesso lo scorso anno, salvo poi ritrattare questa dichiarazione choc che comunque dimostrerebbe il suo legame con gli “squadroni della morte” che secondo Al Jazeera tra il 1998 e il 2015 avrebbero ucciso a Davao City 1424 persone di cui 132 minorenni.

Duterte ha comunicato subito la sua vittoria che cambierà la Costituzione, per trasformare lo stato in un sistema parlamentare federale. E forse tra i provvedimenti futuri a livello nazionale potrebbero esserci le norme che ha applicato nella sua Davao City: il divieto di bere alcolici a tarda notte («Dobbiamo lavorare il giorno dopo», ha detto), il coprifuoco per i minori non accompagnati dalle 22 e il divieto di karaoke “forte” nel cuore della notte.

Mimmo Lucano torna a far parlare di sé. A Riace l’acqua non si pagherà più

Ne avete letto e sentito parlare, di Mimmo Lucano, che grazie al modello di accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo nel suo Comune si è aggiudicato un posto tra i 50 leader più influenti del mondo secondo la rivista Fortune. Adesso Riace, la cittadina calabrese guidata dal sindaco Mimmo Lucano, torna a far parlare di sé per l’acqua pubblica. Il sogno di usufruire dell’acqua potabile senza pagare la bolletta a Riace diventerà presto realtà.

Come tanti altri Comuni della regione, anche Riace è indebitata con la Sorical (la Società Risorse Idriche Calabresi), molti si sono visti effettuare il taglio del servizio idrico. Perciò, insieme a un geologo fidato, Lucano ha fatto scavare un pozzo e ha trovato l’acqua che sgorga da una falda acquifera che si sarebbe formata 40 milioni di anni fa, tra Riace marina e superiore. E, ha annunciato, non appena l’acqua raggiungerà l’acquedotto comunale rifornirà tutte la case dei riacesi, gratis.

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Per scavare il pozzo, il sindaco di Riace non ha atteso nessun aiuto esterno e ha deciso di realizzare i lavori impegnando i soldi di bilancio che risparmierà una volta che non dovrà pagare la Sorical. Così, la mancata spesa per l’acqua è diventata una risorsa da investire in anticipo per rendere Riace autosufficiente dal punto di vista idrico.

Le foto, pubblicate da Ciavula.it ritraggono lo stato dei lavori: «Già sgorgano 2 metri cubi di acqua al secondo», riporta il giornale della Locride, «ma a regime la portata sarà superiore ai 20 metri cubi al secondo, sufficiente non solo per rifornire tutte le case di Riace ma anche un piccolo laghetto.

#paninarialgoverno: bastonano ma chiedono la tregua, minacciano elezioni ma non si vota

Signore e signori è andata in onda la direzione del Partito Democratico che, ieri più che mai, è sembrata una brutta puntata di Happy Days: Matteo Renzi spaccone di rinculo ha cercato di abbassare i toni riuscendo a parlare a lungo evitando attentamente qualsiasi discussione reale sul tavolo e quindi disserta di Europa, di immigrazione, di elezioni e sbadato dimentica Verdini, le posizioni della minoranza sul referendum e la polemica sui magistrati.

Ma basta metterlo in controluce per vederci sotto in inchiostro simpatico il Renzi di sempre: prova a parlare di cultura ma lo fa per dirci che lui che ne ha parlato da Fazio ha fatto il picco di share (quindi per logica la trasmissione dei pacchi diventerà una commissione parlamentare permanente); dice che non intende polemizzare con i magistrati (tanto ha il plotone d’esecuzione nella redazione de l’Unità); chiede un tregua (verrebbe da chiedere a chi, visto che ha reso un partito a sua immagine e somiglianza); avvisa che i risultati delle amministrative sono “storicamente più bassi” delle politiche (per sbaglio gli devono avere consegnato i sondaggi veri, dimenticandosi di correggerli con la bava) e per finire annuncia il congresso anticipato. Fantastico. Renzi è il politico che usa sempre il voto come doping personale anche se poi non si vota mai. Gli basta il pensiero, si vede.

Ma il punto più alto, la morte del cigno, è l’uscita di Maria Elena Boschi: dopo avere detto che “chi vota no al referendum vota come Casapound” riuscendo in un battito d’ali a mettere nella stessa melma i fascisti e i partigiani (l’ANPI voterà no, al referendum, bastava una ricerchina veloce su google) è riuscita a difendersi facendo peggio: dice la Boschi che quello che ha detto “è una semplice constatazione, non è un’equiparazione”. Che è una frase che anche se ci pensate tutto il pomeriggio vi accorgerete che non significa niente. Poi ha piagnucolato che anche a lei dicono sempre che vota con Verdini, cercando di chiarire: insomma per lei essere contro una riforma (deformante) vale come stare nella stessa maggioranza di governo. Per cui tutti quelli che non sono salumieri sono in mezzo alle professioni tra cui ci sono anche i killer, non essendo salumieri, sappiatelo.

Poi Renzi, che per l’occasione ha indossato le brachette da boy scout “volemose bene”, dopo avere cercato di fare il mediatore per tutta la direzione del partito ha chiuso, tanto per tenere bassi i toni, con una considerazione che è la tipica considerazione di chi ci tiene per davvero all’ecologia della discussione: «Dire che così si danno troppi poteri al presidente del Consiglio, non è vero. Per gli archeologi travestiti da costituzionalisti segnaliamo che questa parte della Costituzione non è stata cambiata: forse stanno difendendo il codice di Hammurabi». Probabilmente a quel punto sono scattati i coriandoli, le lingue di carta e il naso rosso. Fine della direzione.

Buon martedì.

Un Renzi preoccupato chiede una “tregua” alla minoranza Pd

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi durante la trasmissione di La7 "Otto e Mezzo", condotta da Lilli Gruber, Roma, 27 ottobre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

La sintesi di Chiara Geloni, giornalista vicinissima all’ex segretario Bersani, è ottima: «Renzi cerca i toni di un discorso da leader unitario, ma elude tutti i punti che dividono: Verdini, campagna elettorale, riserve della minoranza sul referendum». È andata così la direzione del Pd, dove il premier ha cercato in tutti i modi di evitare anche il tema della giustizia, concedendo poche parole – peraltro tutte già pronunciate – al rapporto con la magistratura.

Preferisce parlare di Europa, di migranti e di cultura («Non è un caso», dice, «che da Fazio il picco di share l’abbiamo fatto parlando di cultura»), e chiede un partito «banchino permanente», impegnato sulle amministrative prima e sul referendum costituzionale dopo. Deve avere brutti sondaggi in mano, il premier, perché si spinge a chiedere espressamente una «tregua» alla minoranza interna: «Non abbiamo motivo di continuare una sfibrante battaglia interna quando siamo impegnati nella campagna per le amministrative», dice.

Chiede una pausa, Renzi, comunque consapevole che i suoi continueranno il lavoro. L’ultima è Maria Elena Boschi, che ha affiancato la sinistra contraria alla riforma costituzionale a Casa Pound e – bacchettata da Cuperlo in direzione – ha confermato, e si chiesta retorica se «ci sarà mai una direzione, una, dove la minoranza non attaccherà questa dirigenza». L’Unità continua con le paginate sui giudici che fanno politica, ancora, ma Matteo Renzi insiste a dire che no, «non troverete mai un mio commento su un magistrato», «mai un mio commento su una sentenza».

Matteo Renzi è adesso dunque quello che ha riconosciuto una questione morale, e che ora chiede di abbassare i toni, «per far crescere il simbolo del Pd», che evidentemente è molto indietro, salvo l’isola felice di Torino, dove Fassino rischia di essere l’unico sindaco di una grande città eletto in questa tornata.

E la minoranza, al netto di qualche appunto, accetta. Più o meno. Non rinuncia alla polemica con Boschi (e poi con Giachetti), Cuperlo, ma dice anche: «Renzi ha speso parole molto serie sulla questione morale», «per due anni abbiamo accettato che ci si rappresentasse come la sinistra che aveva solo pregiudizi verso la nuova gestione. Abbiamo sbagliato. Da adesso fino al 20 di giugno vorrei approvare l’idea di una moratoria». Ci si prepara al congresso, così, che sarà subito dopo il referendum costituzionale. Referendum che vedrà tutto il partito impegnato per il sì, salvo che non vada più bene, a un certo punto, che Matteo Renzi dica nella stessa frase di non volere il plebiscito e poi però confermi che non solo il suo governo ma la sua carriera politica è legata a quel voto.

Canada, perché l’incendio di Fort McMurray è così devastante

Da oltre una settimana un enorme incendio sta devastando Fort McMurray, nella Provincia dell’Alberta, in Canada, un’area ricca di sabbie bituminose da cui viene estratto il petrolio greggio. Lo scorso venerdì il governo canadese ha dichiarato lo stato d’emergenza, mentre il ministro della Pubblica sicurezza, Ralph Goodale, ha parlato di «situazione pericolosa e imprevedibile», visto il pesante bilancio: oltre 100.000 sfollati, 1.600 abitazioni andate distrutte e circa 17.000 persone ancora da trarre in salvo. Il centro della città è comunque rimasto intatto, e il capo dei vigili del fuoco, Chad Morrison, si è detto «molto contento» a causa di una lieve pioggia e di una diminuzione delle temperature. Per fronteggiare il fuoco sono stati mobilitati 1.100 pompieri, 145 elicotteri, 138 mezzi pesanti e 22 aerei cisterna.

La stagione degli incendi si allunga: colpa del riscaldamento globale?
Secondo gli esperti, negli ultimi anni le temperature medie dell’area sono aumentate considerevolmente rispetto alla norma. Per questo la regione sta sperimentando inverni sempre più secchi e poco piovosi, siccità e un aumento degli incendi – se ne contano 330 da inizio gennaio, più del doppio della media annuale. Secondo uno studio pubblicato da Nature Communications nel 2015, dal 1979 la stagione degli incendi si sta allungando notevolmente in tutto il mondo. Come sostiene l’organizzazione indipendente Climate Central, l’incendio di Fort McMurray sarebbe l’ultimo di una lunga serie di fatti “indicativi di un clima che cambia”. Sarà solo un caso che le la lavorazione delle sabbie bituminose sia un processo altamente inquinante – si pensi che produce oltre il 37% in più di emissioni di gas serra rispetto a quella del petrolio convenzionale?

Un'immagine colorata: in giallo le aree bruciate, in viola la foresta ancora intatta. L'area in fiamme è più grande di New York EPA/Image courtesy DigitalGlobe ©
Un’immagine colorata: in giallo le aree bruciate, in viola la foresta ancora intatta. L’area in fiamme è più grande di New York EPA/Image courtesy DigitalGlobe ©

Produzione ridotta di un quarto
La situazione rimane molto critica a causa del caldo secco e ventoso dei giorni scorsi, che ha complicato le operazioni condotte per domare il maxi-incendio. Nelle ultime ore l’area coperta dalle fiamme è quintuplicata, e fonti vicine al Governo hanno rivelato che la porzione di territorio su cui si sono estese le fiamme è pari a circa 161mila ettari. Il primo maggio, data dello scoppio dell’incendio, erano 7500 gli ettari di terra bruciata. Le cause, sconosciute, sono in corso di accertamento, ma secondo alcuni scienziati la mancanza di fulmini e fenomeni di carattere elettrostatico fanno pensare al fattore umano. Il rogo sta provocando lo stop di un quarto della produzione petrolifera canadese e rischia di causare seri danni all’economia.

Che cosa sono le sabbie bituminose
Le sabbie bituminose del nord dell’Alberta costituiscono la terza più grande riserva di petrolio del mondo i “giacimenti” dell’Arabia Saudita e del Venezuela. Conosciute anche come «tar sands», sono depositi semi-solidi di petrolio «non convenzionale» estratto attraverso un processo molto costoso e dispendioso in termini di energia, che comporta pesanti costi ambientali. Negli ultimi 40 anni oltre 300 miglia di foresta boreale e zone umide nell’Alberta sono state completamente disboscate, alterando pesantemente il paesaggio e colpendo le comunità aborigene che vivevano di caccia e pesca. Le raffinerie della zona riversano sull’ambiente circostante i propri scarti di lavorazione, tra cui liquami altamente inquinanti. Ma anche i costi sociali e sanitari sono molto gravi: Greenpeace ha sottolineato come nella zona c’è stato negli ultimi anni un preoccupante aumento di tumori e malattie auto-immuni contratte dai nativi aborigeni. Inoltre, sono aumentati anche gioco d’azzardo, abuso di sostanze, alcolismo, gioco d’azzardo e episodi di violenza familiare.

Nuove politiche con il cambio di governo
L’ex presidente Stephen Harper, sostenitore dell’economia fossile e duro oppositore del Protocollo di Kyoto – fece uscire il Canada dall’accordo nel 2011 – ha perso le elezioni lo scorso ottobre. La vittoria del liberale Justin Trudeau potrebbe rappresentare un punto di svolta: il nuovo premier si è detto favorevole a prendere in considerazione le emissioni legate alla costruzione di nuovi oleodotti. Poco dopo la sua elezione, ha inoltre sostenuto: «Dovrà essere chiaro a tutti che gli anni in cui il Canada è stato un partner recalcitrante sui temi ambientali appartengono oramai al passato». Anche la nuova governatrice di centro-sinistra dell’Alberta, Rachel Notley, si è detta favorevole ad attuare politiche di contrasto al cambiamento climatico, quindi all’imposizione di royalties più alte per petrolio e gas.

Ma le imprese continuano a investire
Tuttavia, nella regione dell’Alberta, multinazionali come Suncor, Statoil e Shell, che hanno impiegato miliardi di dollari per avviare la costruzione di impianti di lavorazione e raffinazione del greggio dalle sabbie bituminose, stanno tutt’ora avviando nuovi progetti. E difficilmente smetteranno di investire, sia per gli alti costi iniziali sia per la natura stessa di questo tipo di siti non convenzionali: a differenza di altre tipologie di estrazione – che prevedono la continua trivellazione di pozzi per mantenere stabili i livelli di produzione – questi giacimenti, una volta sviluppati, producono centinaia di migliaia di barili al giorno, per un massimo di trent’anni. Nonostante la drastica diminuzione del prezzo del petrolio e la perdita di redditività delle sabbie bituminose, il giornale ambientalista «The Ecologist» sostiene che i piani dell’industria canadese prevedono di produrre 25 miliardi di barili di petrolio nel periodo che va sino al 2050. Tutto questo dipenderà dall’andamento del prezzo del petrolio. E dal coraggio del governo del Canada. Il cui Pil dipende per il 10% dai combustibili fossili.