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La terribile, innaturale, bavosa e oscena Italia che sarà (con stepchild adoption)

Facciamo che ci sono un mondo A che chiameremo A e un mondo B, chiamiamolo B. Il mondo A è la vostra rassicurante italietta che volete difendere con i denti dall’orda barbarica dei gay che mangiano i bambini (una pericolosa evoluzione di antichi uomini rossi), il mondo B è il dirupo in cui vorrebbero portarvi quella dannata Cirinnà e le lobby gay (non riesco a stare serio nemmeno a scriverlo, eh). Iniziamo.

Nel mondo A la piccola Serena si sveglia presto, deve andare a scuola e non può rischiare di arrivare tardi perché c’è il saggio di flauto. Vive con la madre, Elena, che ha avuto una figlia (ci interessa come? No. Sono cose personali e sconce, suvvia). Elena si è innamorata di Paola. Elena e Paola vivono insieme. Si amano. Amano Serena come si amano i figli, senza spartiti già scritti dentro al cuore. Fanno colazione ripassando i verbi facendo la conta dei quaderni nello zaino, che ci siano tutti. E il flauto. Che oggi c’è anche musica.

Nel mondo B la piccola Serena si sveglia presto, deve andare a scuola e non può rischiare arrivare tardi perché c’è il saggio di flauto. Vive con la madre, Elena, che ha avuto una figlia (ci interessa come? No. Sono cose personali e sconce, suvvia). Elena si è innamorata di Paola. Elena e Paola vivono insieme. Si amano. Amano Serena come si amano i figli, senza spartiti già scritti dentro al cuore. Fanno colazione ripassando i verbi facendo la conta dei quaderni nello zaino, che ci siano tutti. E il flauto. Che oggi c’è anche musica.

Non ci sono differenze? Sì, ovvio: nel rassicurante mondo A che Adinolfi, Formigoni, Alfano e compagnia cantante vogliono preservare la piccola Serena non sarà figlia legale anche di Paola che comunque la crescerà. Quindi non erediterà, non avrà benefici e non potrà contare su Paola in caso di qualsiasi necessità medica, scolastica e legale.

Avete ragione. È innaturale. Ma esattamente: contro chi state facendo la vostra battaglia?

(PS Un ringraziamento particolare all’Osservatorio sul razzismo in Italia per la bellissima idea)

Il piano B europeo di Varoufakis parte da Berlino

Stasera alle 20.30 a Berlino viene lanciato DiEM2025, il Movimento per la democrazia in Europa lanciato da Yanis Varoufakis e una nutrita serie di intellettuali, attivisti, politici di sinistra europei. L’elenco è lungo, ci sono francesi e tedeschi, italiani e britannici, francesi e persone di molti Paesi dell’Est. La crisi della sinistra e quella del modello europeo, l’assenza di alternative e il potere della burocrazia bruxellese e di Francoforte, tutto personale che decide e che non è eletto da nessuno, sono alla base dell’appello manifesto che comincia così: «Per quante preoccupazioni abbiano in materia di competitività globale, migrazioni e terrorismo, solo una prospettiva terrorizza davvero i poteri d’Europa: la democrazia! Parlano in nome della democrazia, ma solo per negare, esorcizzare e sopprimerla nei fatti. Cercano di cooptare, eludere, corrompere, mistificare, usurpare e manipolare la democrazia al fine di indebolirne le potenzialità e arrestare le sue possibilità».

L’assemblea di Berlino in diretta streaming

Il testo ricorda come il clima europeo e le scelte economiche fatte in questi anni di crisi abbiano contribuito a far crescere le risposte estremiste e xenofobe e come senza un movimento europeo dal basso, capace di trascendere gli egosimi e l’inutilità (nel senso di efficacia) dei partiti nazionali, il rischio è quello dell’implosione del progetto europeo. Il movimento che verrà lanciato stasera e che vedrà una nuova tappa a Madrid tra il 19 e il 21 del mese punta a costruire una rete di partecipazioni e di alternative praticabili che «rifiuti di chiudersi nel bozzolo dei confini nazionali e di arrendersi alla burocrazia europea». Quattro i principi su cui il movimento si fonda:

  • Nessun popolo europeo può essere libero finché di un’altra democrazia è violata
  • Nessun popolo europeo può vivere con dignità se questa viene negata ad altri
  • Nessun popolo europeo può sperare nella prosperità se un altro viene spinto nell’insolvenza permanente e nella depressione economica
  • Nessun popolo europeo può crescere senza beni di prima necessità per i cittadini più deboli, lo sviluppo umano, l’equilibrio ecologico e la determinazione a creare un’economia libera da combustibili fossili

Tra gli aderenti contiamo Ken Loach, Brian Eno (per parlare di non politici di un certo riguardo), Julian Assange, Slavoj Žižek, l’economista James K. Galbraith. A Madrid le giornate di Plan B Europa saranno più una cosa politica, tre giornate con molti rappresentanti della sinistra spagnola e lusitana, sindacati, movimenti.

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L’obbiettivo? Dare voce e visibilità a un’alternativa che non sia quella nazionalista, a partire da parole e toni che, in fondo, somigliano a quelli usati da molte campagne politico elettorali che in questi anni hanno funzionato: dalle vittorie in serie di Tsipras (che oggi ai firmatari dell’appello non piace più) a quella di Jeremy Corbyn, passando per i successi di Bernie Sanders. Non necessariamente le stesse proposte, ma la ripresa di toni populisti che oggi usano tutti (Trump e Renzi, Tsipras e Orban,
Hollande il nazionalista e Le Pen) per declinarli a sinistra. Obbiettivo finale? Facciamolo dire all’ex ministro dell’economia greco – a cui mesi fa dedicammo una copertina che, a questo punto, torna ad avere un significato. Il testo è un editoriale pubblicato il 5 febbraio da The Guardian.

Un’idea semplice e radicale è la nostra forza motivante: democratizzare l’Unione europea con la consapevolezza che altrimenti si disintegrerà a un costo terribile per tutti. La nostra priorità immediata è la piena trasparenza nel processo decisionale (live-streaming dei consigli europei, Ecofin e degli incontri dell’Eurogruppo, piena divulgazione dei negoziati commerciali; verbali della BCE, eccetera) e la ridefinizione delle istituzioni politiche dell’Ue diretta al perseguimento di politiche che affrontino la crisi del debito, delle banche, degli investimenti inadeguati, l’aumento della povertà e le migrazioni.

Il nostro obiettivo a medio termine è quello di convocare una assemblea costituente in cui gli europei decidano come portare avanti, nel 2025, una democrazia europea a tutti gli effetti, con un parlamento sovrano che rispetti l’autodeterminazione nazionale e condivida il potere con i parlamenti nazionali, le assemblee regionali e i consigli comunali.

È un progetto utopico? Ovviamente. Ma non più di quanto l’idea che l’attuale Unione europea possa sopravvivere la sua arroganza antidemocratica e l’incompetenza alimentata dalla sua irresponsabilità. O l’idea che la democrazia possa essere rilanciata in seno di uno stato nazione asfissiato da un mercato transnazionale unico e da accordi di libero scambio opachi.

 

Le “lettere dall’inferno” che raccontano le torture nei carceri egiziani che potrebbe aver subito anche Giulio Regeni

Giulio-Regeni torture egitto

Il governo egiziano continua a smentire che Giulio Regeni sia finito nelle mani degli apparati di sicurezza e sia stato torturato, ma tutti gli elementi finora a disposizione sembrano indicare il contrario. Il passaporto sparito, il cellulare che ancora non si trova, entrambe le orecchie mozzate, decine e decine di piccoli tagli sul corpo, fin sotto la pianta dei piedi, ossa rotte, le unghie di un dito della mano e di uno del piede strappate sono segni evidenti quanto inquietanti che raccontano molto degli ultimi giorni del ricercatore italiano.
Qualche tempo fa alcuni dei metodi di tortura utilizzati nelle carceri egiziane erano stati resi pubblici attraverso delle “lettere” illustrate di un detenuto, trapelate sul sito di informazione Rassd, e diffuse in occidente dalla Bbc. Se i sospetti sulla morte di Giulio Regeni fossero confermati, quelle stesse lettere, ribattezzate “lettere dall’inferno”, potrebbero rappresentare anche una credibile descrizione dell’inferno vissuto negli ultimi giorni di vita dal ventottenne italiano prima di essere brutalmente ucciso.
Qui potete leggere e vedere parte del contenuto delle lettere.


CONTINUA A LEGGERE:

Lettere dall’inferno, racconto illustrato delle torture nei carceri egiziani


Sono anni che le organizzazioni internazionali denunciano la disumanità dei governi egiziani. Secondo Human Rights Watch l’attuale regime di al-Sisi è il più “repressivo” della storia egiziana. Addirittura più violento della dittatura di Mubarak durata un trentennio e anch’essa denunciata già nel 2011 da Hrw proprio focalizzandosi sulle torture che venivano inflitte costantemente ai detenuti nelle carceri e nei commissariati egiziani dell’ex rais.

Nel suo rapporto annuale, pubblicato nel maggio 2015, il Consiglio nazionale egiziano per i diritti umani (NCHR) ha dichiarato che «il diritto alla vita ha subito un orribile deterioramento» nel 2013 e 2014. Il rapporto afferma che la violenza ha provocato circa 2.600 morti in quel periodo, tra cui 700 tra le forze di polizia, 1.250 sostenitori dei Fratelli musulmani e 550 altri civili.
Da quando al-Sisi è salito al potere, le autorità hanno fatto rispettare in modo aggressivo il divieto de facto di protesta e disperso manifestazioni anti-governative con la forza. Nel mese di gennaio 2015, almeno 20 persone sono morte durante gli eventi che celebravano il quarto anniversario della rivolta del 2011. Nel febbraio 2015, almeno 19 tifosi di calcio sono morti nella calca al di fuori di uno stadio del Cairo dopo che la polizia ha sparato gas lacrimogeni una folla di centinaia in fila per passare attraverso un corridoio di barriere di metallo. I pubblici ministeri hanno incriminato membri dei club di ultrà della squadra e presunti membri della Fratellanza per il caos, ma non ufficiali di polizia.
Per quanto riguarda la terribile situazione nelle carceri, un rapporto di Hrw documenta 323 casi di morte nelle prigioni egiziane tra agosto 2013 e settembre 2015, per «conseguenza diretta di torture, maltrattamenti o la negazione di cure mediche».
Secondo il rapporto, 52 morti sono stati documentati durante il governo del Consiglio Supremo delle Forze Armate tra febbraio 2011 e giugno 2012, mentre altri 56 sono stati documentati durante la presidenza di Mohamed Morsi – tra giugno 2012 e luglio 2013. Sono 132 i decessi documentati durante il governo ad interim dopo il colpo di stato militare rimasto al potere fino a giugno 2014, mentre 191 sono i morti di cui abbiamo notizia deceduti per questo tipo di cause da quando da Sisi è stato eletto nel giugno del 2014.

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Spagna, l’incredibile vicenda dei marionettisti arrestati a Madrid

Da venerdì scorso, due marionettisti, Alfonso Lázaro de la Fuente, di 29 anni, e Raúl García, di 34, sono in stato di arresto preventivo a Madrid con l’accusa di apologia del terrorismo basco dell’Eta e di quello jihadista. Il delitto sarebbe avvenuto, secondo l’accusa del magistrato Ismael Moreno, quando una marionetta di un poliziotto ha inalberato un cartello con la scritta “Gora Alka-Eta”.

La scena denunciava la pratica da parte della polizia della costruzione di false accuse di terrorismo per la repressione del dissenso in Spagna. Come in un teatro magia, il testo ha travalicato la scena irrompendo nella realtà, portando in carcere i due marionettisti attraverso la manifestazione un meccanismo identico a quello che volevano denunciare.

La ricostruzione che segue fa riferimento soprattutto all’esaustivo lavoro di Nuria Alabao, pubblicato su Contexto dove si trova anche il video dello spettacolo. Altre fonti reperibili sul web sono indicate alla fine dell’articolo, e verranno aggiornate.

Venerdì 5 febbraio, alle 17,00, nell’ambito delle celebrazioni del carnevale madrileno, patrocinate dal comune della capitale, nel quartiere di Tetuán va in scena uno spettacolo di marionette intitolato La Bruja y don Cristóbal (La strega e don Cristóbal). L’opera è presentata da “Titeres desde abajo” (Marionette dal basso), una compagnia di Málaga che fa teatro di marionette di impegno politico – e che già avevo lavorato con l’amministrazione di destra precedente. Lo spettacolo viene indicato sulla pagina Facebook dell’organizzazione del Carnevale di Madrid, ma non sui programmi del sito web, come “per un pubblico adulto”. Sul sito della compagnia viene classificato come Teatro popolare, non come Spettacolo per l’infanzia, voce che caratterizza altre opere del gruppo. Il pubblico, prima della rappresentazione, viene informato che, nel solco della tradizione del teatro popolare di marionette, lo spettacolo contiene scene violente.

La trama è semplicemente sviluppata per quadri successivi. La storia racconta di una strega che sta nella sua casa quando il proprietario arriva per sfrattarla. Nell’atto l’aggredisce e la violenta, lei reagisce e nella colluttazione il proprietario muore, non prima di portare a termine lo stupro e mettendo incinta la strega.

Dopo la nascita del la bambina si presenta a casa della strega una monaca che vuole sottrarla alla strega, nasce una colluttazione e anche la monaca muore. Arriva quindi un poliziotto che colpisce la strega fino a farla svenire. Qui la scena incriminata. Il poliziotto appoggia sul corpo della strega svenuta un cartello con la scritta “Gora Alka-Eta” e la fotografa. La scritta è un gioco di parole tra “alkate” (sindaco in basco), Eta (la banda terrorista) e Al Qaeda, e riprende per assonanza lo slogan “Gora Eta” (traducibile con Eta su tutti, Forza Eta) che inneggiava alla banda terrorista.

A questo punto arriva un giudice che, sulla base della prova fotografica, condanna alla forca la strega per terrorismo. Volontà è intenzione della satira sono evidenti. Il testo vuole denunciare la repressione del dissenso e della diversità da parte della polizia attraverso la costruzione di false accuse di terrorismo.
Trovano rappresentazione nel testo diversi sotto temi – dalla violenza sulle donne all’emergenza abitativa, fino alla funzione repressiva della chiesa – propri di una cultura politica di matrice anarchica e libertaria, non a caso uno dei due artisti è membro della Cnt, il sindacato anarchico spagnolo. Malgrado ciò un cittadino che assiste allo spettacolo presenta una denuncia per apologia del terrorismo. Il giudice di guardia che la riceve è Ismael Moreno Chavarro. Il quale senza ascoltare le spiegazioni dei due artisti e dei loro avvocati, valendosi della legislazione anti-terrorismo, ordina l’arresto preventivo senza possibilità di libertà su cauzione.

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C’è un po’ d’Italia in questa vicenda. Il referente principale è il teatro di marionette storico italiano di matrice napoletana, a sua volta in rapporto intrecciato con simili tradizioni iberiche. Il riferimento sono le storie di Pulcinella, che nelle numerose varianti delle sue avventure uccide il diavolo o il padrone di casa che lo vuole cacciare, nel percorso dell’antica tradizione che parte almeno dal XVIII secolo napoletano per giungere ai giorni nostri – per esempio, ne L’ultima notte di Don Giovanni, di Edmond Rostand del 1921, Pulcinella uccide Cassandra. Altra Italia c’è nell’elaborazione programmatica del discorso teatrale da parte degli autori, i quali, spiegando il loro testo, citano espressamente Dario Fo: «La satira è l’arma più efficace contro il potere: il potere non sopporta l’umorismo, neanche i governanti che si dicono democratici, perché la risata libera l’uomo dalle sue paure».

Ma c’è molto della tesa situazione politica spagnola e dei caratteri attuali del suo sistema giuridico, che ha diversi punti critici. Al sussistere di una dura legislazione d’emergenza anti-terrorismo, nata nella cornice della repressione del terrorismo indipendentista basco, che ha consentito la messa fuori legge di diverse organizzazioni politiche che si erano presentate alle elezioni nel Paese basco, suscitando pesanti dubbi sulla limitazione dei diritti politici e civili, si aggiunge una nuove produzione di leggi liberticide.

Come la Ley Mordaza (la Legge museruola), o Legge di sicurezza civica, varata lo scorso anno dal governo Rajoy, che limita pesantemente la libertà di manifestazione e quella di informare sulle manifestazioni politiche da parte degli organi d’informazione, tanto da essere oggetto di un richiamo da parte del Comitato dei diritti umani dell’Onu e da andare prossimamente al vaglio del Tribunale europeo dei diritti umani, in seguito a una denuncia di una piattaforma di giuristi e giornalisti spagnoli. La figura del giudice Ismael Moreno Chavarro, poi, rappresenta bene un altro problema del sistema giuridico spagnolo, quello della formazione dei giudici. Ancora oggi troppo dipendente da prassi endogamiche, dalla presenza di dinastie famigliari di giudici, dall’approccio di classe all’accesso alla professione, dalla limitata indipendenza della magistratura dal potere politico e appesantito da norme che hanno consentito la continuità nella magistratura di elementi della repressione del vecchio stato franchista nel nuovo assetto democratico.

Ismael Moreno Chamarro è da 28 anni all’ Audiencia Nacional, il Tribunale nazionale penale e amministrativo con sede a Madrid. Dal 1974 al 1983, quindi già dal franchismo alla Transizione fu un poliziotto (oggetto anche di accuse per aver forzato una testimonianza contro un uomo con problemi psichici accusato di omicidio, la cui sentenza di condanna venne in seguito annullata). Grazie a una legge che consentiva ai membri della polizia di intraprendere la carriera giudiziaria divenne giudice, continuando a emettere provvedimenti discussi. In un caso, sulla base di una falsa testimonianza di un confidente di polizia, accusò dodici emigranti di Barcellona di organizzare un attentato alla metropolitana; in un altro, sempre con prove manipolate dalla polizia, accusò un cittadino siriano-spagnolo di finanziare Al Qaeda.

L’episodio ci racconta, come dicevamo, anche del clima politico arroventato che si respira in Spagna. L’amministrazione madrilena, la sindaca Manuela Carmena governa con una coalizione tra il Psoe e Ahora Madrid, lista locale di Podemos, è il vero obiettivo delle accuse politiche e mediatiche riferite alla vicenda dei marionettisti. Forse per l’evocazione dell’Eta e del terrorismo nel procedimento giudiziario, la reazione della giunta è stata imbarazzata. Anche l’assessora alla Cultura, Celia Mayer, è stata denunciata, per collaborazione nell’apologia di terrorismo, mancata protezione dei minori e incitamento all’odio. Dal comune non si sono escluse ripercussioni su di lei anche se sono state negate le accuse relative all’apologia.

Saltando i particolari dello scambio di dichiarazioni politiche e delle prese di posizione sula vicenda, quello che emerge è che l’amministrazione di sinistra della capitale sembra essere oggetto di una campagna di discredito da parte della destra mediatica e politica, già manifestatasi durante le celebrazioni delle festività per i Re Magi, fulcro per i bambini spagnoli delle festività natalizie, quando scoppiò un’artificiosa polemica sui Re magi, rappresentati da attrici donne in alcune sfilate.

In un confronto politico portato avanti con colpi bassi, entra anche l’iniziativa di un giudice dai precedenti di carriera ampiamente discutibili. Politica, gruppi di interesse, media ufficiali e realtà del web, impegnate nella character assasination della sindaca e dell’esperienza di governo. Qualcosa che, pur con le dovute differenze, ricorda quanto accaduto, in Italia, al sindaco di Roma Ignazio Marino. Una parte della stampa spagnola sembra però, più della nostra, ancora tenere in conto le buone pratiche del lavoro giornalistico. Costituendo, per adesso, ancora uno strumento perché i cittadini possano formarsi un’idea autonoma dei fatti, riportando con correttezza le diverse voci.

La grande partecipazione democratica che conosce adesso la Spagna, fa il resto. E cresce la mobilitazione per la liberazione dei marionettisti. La rivista Contexto, con l’hashtag ‪#‎TitiriterosLibertad‬ (títere vuol dire marionetta in spagnolo, e titiritero è il marionettista) ha lanciato una campagna per la scarcerazione dei due artisti e un appello è stato firmato da intellettuali e politici madrileni.

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Cose iberiche

Super Claudio Santamaria arriva al cinema con “Lo chiamavano Jeeg robot”

Dal 25 febbraio arriverà nelle sale cinematografiche Lo chiamavano Jeeg Robot. Il protagonista è Claudio Santamaria che ritroviamo nei panni di un supereroe un po’ coatto, un Jeeg robot italiano che si destreggia tra le bande della periferia della Capitale e i social network. Dopo averlo visto in Diaz (per Daniele Vicari), dentro il pigiama di Pentothal che in Paz! (di Renato De Maria) urla «Amatemi» dalla finestra, e dopo aver incarnato un impeccabile Rino Gaetano per la tv, per il suo 35esimo film Gabriele Mainetti gli cuce addosso Enzo, il protagonista di Lo chiamavano Jeeg robot. Cresciuto a Prati, quartiere della Roma bene, Santamaria ha girato le scene a Tor Bella Monaca, periferia capitolina, «piuttosto pesante da vivere, una realtà dura dove i ragazzini si sparano in faccia», racconta l’attore. La linea tra realtà e fantasia, quando si parla di supereroi, è sottilissima.

Stavolta sei Enzo, un Jeeg robot italiano che si destreggia tra il Tevere, Tor Bella Monaca e i social network. Perché la gente ha bisogno dei supereroi?
Da una parte c’è un’identificazione. Ma credo ci sia anche la ricerca di un dio, cioè la speranza che arrivi un essere con dei poteri sovrannaturali che in qualche modo ci salvi e ci guidi.

Il supereroe che interpreti, all’inizio ha un carattere “negativo”: sei un ladruncolo che pensa di usare i superpoteri per la tua attività criminale. Poi diventa “positivo”, e combatte i criminali guidati dal boss di piccolo taglio interpretato da Luca Marinelli. È verosimile una tale trasformazione?
C’è una frase di David Lynch che è una delle cose più illuminanti che abbia mai letto in vita mia: «Le persone non cambiano, si rivelano». All’inizio il mio personaggio ha una chiusura verso il mondo dovuta a una sofferenza, a delle perdite, che lo hanno allontanato dalla gente e che lo fan- no pensare solo a sé. È un egoista, ma egoista non significa essere cattivi. Il cambiamento è l’amore, che è la vera trasformazione, il vero superpotere. È quello che lo trasforma da supercriminale in supereroe. Solo quando mette i suoi poteri al servizio degli altri, diventa un supereroe, non basta avere dei poteri altrimenti sarebbe solo “uno con dei poteri”.

«Se avessi davvero i superpoteri irromperei in Parlamento», hai dichiarato ad Adnkronos. E poi cosa faresti?
(ride) Beh è ironico… ma neanche tanto. Innanzitutto manderei via tutte le persone indagate, e poi farei giustizia, perché per me non abbiamo un governo giusto. Certo, in Parlamento già ci sono dei supereroi, persone che si battono per la verità e per l’onesta. Ed è questo secondo me quello per cui dovrebbe battersi un supereroe. Perciò se io li avessi farei questo, semplicemente: manderei via le persone che non sono né oneste, né sincere.

Insomma, sventurata la terra che ha bisogno di (super)eroi?
Esattamente!

Su Left abbiamo raccontato i nuovi supereroi “gentili”, quanto bisogno abbiamo in Italia di gentilezza?
Un bisogno smisurato. Quando ci viene dato un seme di gentilezza siamo talmente disabituati a questo che non ci crediamo più, appena arriva qualcuno che è onesto e vuole fare il bene di questo Paese siamo diffidenti, pensiamo sempre che ci vogliano fregare. E invece le persone che fanno davvero le cose per la gente esistono, ci sono. Bisogna ricominciare a fidarsi.

Per esempio?
Bisogna cambiare radicalmente. Ho spesso detto che credo molto nel Movimento 5 stelle. Poi, se un giorno mi deluderanno cambierò idea, ma in questo momento sono la forza politica che mi rappresenta di più. Credo che abbiano le qualità umane e le competenze per farlo, voglio dare loro fiducia.

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Questo articolo lo trovi sul numero 41 di Left

 

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La grafica d’avanguardia cubana per il cinema. In mostra a Torino

Con il titolo Hecho en Cuba il Museo nazionale del cinema di Torino presenta una scoppiettante serie di manifesti cinematografici usciti dalla grande fucina della grafica e della scuola del cinema cubana. In tutto circa 200 opere fra le quali anche bozzetti originali e serigrafie.

38_Niko 02_Proprio nell’isola caraibica, infatti, è fiorita una delle stagioni più originali edella grafica del Novecento. Tutto cominciò con la rivoluzione quando- come era già accaduto intorno al 1917 in Russia – molti artisti si cimentarono con messaggi agit prop che, secondo le intenzioni dei castristi dovevano aiutare e rafforzare l’adesione popolare al nuovo ideale rivoluzionario.31_Eduardo Munos Bachs_

Nacquero così cartelloni e murales che erano delle autentiche esplosioni di positività, di gioia, di colore in un momento oggettivamente non facile per l’isola caraibica isolata nel contesto internazionale.  La grande mancanza di mezzi economici, invece che dal deprimere sembrava  stimolare gli artisti e  grafici di tutte le generazioni a fare realizzazioni personali e  innovative.  Catturando ed elaborando in modo originale, spunti, fermenti, idee dalla vicina America ma anche dall’Europa.

I grafici dell’Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos reinterpretavano i contenuti di film internazionali  in modo sorprendente per varietà, colori, forza emotiva e iconografica, come si può vedere fino al 29 agosto  grazie alle locandine esposte nella Mole Antonelliana, sede del Museo nazionale del cinema, fra le quali spiccano locandine di capolavori di Chaplin, di film del cinema neorealistico italiano  ma anche cult anni Settanta come Arancia meccanica e altri prodotti del cinema americano, nonostante l’embargo.28_Basch - Niko - Olivio Martinez_

 Gran parte dei pezzi unici in mostra provengono dalla collezione di Luigino Bardellotto che li ha raccolti durante i numerosi viaggi a Cuba a partire dal 1998.  La storia di questa originale collezione è raccontata nel catalogo Hecho en Cuba! Il cinema nella grafica cubana. Manifesti della Collezione Bardellotto, edito da Silvana Editoriale che comprende, oltre alla riproduzione delle opere in mostra, saggi e approfondimenti  di Alberto Barbera, Jorge R. Bermúdez, Alessandra Riccio e Luciano Del Sette.

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@simonamaggiorel

Primarie Milano: il cul de sac è servito

Incredibile vizio umano la mediazione turbospinta che diventa compromesso e poi, con svelta nonchalance, tutti a scrollarsela di dosso.

Ma andiamo con ordine. A Milano sono andate in onda le primarie del centrosinistra. Meglio: sono andate in onda le primarie tra i nostalgici idealisti e visionari e dall’altra parte il Grande Partito della Politica Nazionale sempre in cerca dei manager più brillanti per la propria rete di vendita del consenso. Da una parte ci stavano i due candidati specializzati nell’umanità dei numeri (Majorino) e nell’etica della serietà (Balzani) mentre di là il manager più manageriale del momento, il Bertolaso in salsa renziana, il candidato Giuseppe Sala, l’universalmente esposto, macinava tutt’altro: fili di governo, sponsor importanti e quella faccia un po’ così di quello che ci sta facendo un piacere ad essersi candidato e pure “abbassato” a primeggiare nelle primarie prima della corsa vera. Quelli facevano le primarie e lui aveva già superato il colloquio di assunzione. Per dire.

Per carità, niente contro Giuseppe Sala: al di là della piccola spinta di un EXPO al posto dei gazebo come campagna elettorale, di un bilancio finale (dell’Expo) che ha acceso una difformità di interpretazioni nemmeno fosse stato il quinto vangelo e la sfortuna di avere avuto qualche collaboratore infingardo mi dicono comunque che sia uno bravo a fare di conto e hanno pensato bene di farne l’amministratore delegato di Milano. Con un piccolo neo: che Sala sta al progetto Pisapia (o comunque a quello che gli elettori hanno creduto di vedere nell’era Pisapia) come Formigoni potrebbe stare a Lady Gaga: possono scimmiottarne le mossette ma il risultato finale rimane piuttosto distante. Ah, c’è un altro piccolo neo: Sala ha vinto le primarie di centrosinistra senza essere di sinistra e forse appena appena di centro. Niente di grave, eh, sta benissimo nel nuovo corso del Partito Unico ma Milano ha il cuore morbido e chissà perché ci sperava ancora che questa cosa del Partito della Nazione fosse solo una maldicenza.

E mentre Giuliano Pisapia si travestiva da “signor Tentenna” prima con un’equidistanza talmente equivicina da essere invisibile e poi con la (tardiva) vicinanza a Francesca Balzani esibita con il brivido di un paio di linee di febbre, il movimento arancione è diventato un tramonto scambiato per alba. Majorino e Balzani a rivendicare ognuno la propria sinistrosità (ovviamente spargendola come sempre almeno in due) e dall’altra Giuseppe Sala che passava indifferente dal selfie con Umberto Ambrosoli (ah, a proposito, i “civici”, già), poi Piero Bassetti (il democristianissimo primo presidente di Lombardia, siamo nel 1970, per dire), il Ministro Maurizio Martina e, per finire, sventolando una maglietta del Che. Il McBeppeSala sarebbe da solo un menu completo.

E poi c’è Sel. Che un po’ mi piange il cuore a scriverlo perché lì ci sono quelli che hanno apparecchiato Milano per Pisapia nel 2011. Loro hanno deciso di partecipare alle primarie. Però Sala non gli piaceva. Però poi hanno deciso di partecipare appoggiando Majorino. Poi la Balzani. Hanno sottoscritto il patto delle primarie ma siccome ha vinto Sala  (ma va?) adesso dicono che “bisogna aprire una discussione” che è il modo politichese per dire “noi ci chiamiamo fuori”. E così riusciranno nel doppio miracolo di essere stati nel comitato organizzatore delle primarie e risultare comunque residuali in qualsiasi caso. Applausi.

E adesso? Già, adesso diranno che Civati e i suoi (che alle primarie non hanno partecipato dicendo, guarda un po’, che lo schieramento era troppo “ampio”) vogliono “far perdere il centrosinistra”. Il Pd avrà gioco facile ad additare Sel nella schiera degli sleali. La frattura a sinistra diventerà il lasciapassare di BeppeSala per aprire al centro e via. Tutti felici e contenti. Così le primarie sono un cul de sac per tutti tranne che per il Grande Partito della Nazione. Ma tranquilli: in caso di vittoria del PD Majorino sarà assessore alle lettighe, la Balzani assessore alle donne che bisogna comunque fare assessore e Possibile, Rifondazione e Sel potranno indossare la blusa dell’opposizione che come la portano loro non la porta nessuno. Ah, litigando tra loro. Ovvio.

Cinque cose da sapere sulle primarie del New Hampshire. La sesta è che Bloomberg potrebbe correre

epa05143653 Republican presidential hopeful Donald Trump speaks to members of the Manchester police department during a visit to the police force's headquarters in Manchester, New Hampshire, USA, 04 February January 2016. The New Hampshire primary will be held on 09 February 2016. EPA/JUSTIN LANE

E due, è arrivata la volta del New Hampshire, e così siamo alla seconda tappa in questa telenovela infinita che sono le primarie americane 2016. Il Granite State vota sempre per primo e, come l’Iowa ha una popolazione molto bianca e anziana, e dunque poco rappresentativa dell’elettorato americano in genere. Per dirne una, nel 2008, qui vinse Hillary Clinton. Qual’è lo stato della corsa in entrambi i campi e cosa è successo negli ultimi giorni di campagna elettorale e a cosa dobbiamo guardare per capire come è andata?

Prima però diamo la notizia del giorno: era nell’aria da tempo e ora è ufficiale, ma l’ex sindaco di New York, il miliardario e gigante dei media finanziari Michael Bloomberg ha annunciato, parlando con il Financial Times, che sta ragionando sull’ipotesi di correre da indipendente per la Casa Bianca.

L’indecisione degli elettori del New Hampshire. «Penso che il popolo americano si meriti di meglio. Trovo il livello delle discussioni e dei dibattiti penosamente banale e un oltraggio agli elettori» ha detto Bloomberg al quotidiano britannico, spiegando che, se deciderà di candidarsi, lo farà all’inizio di marzo. Ovvero quando, forse, sarà più chiaro chi saranno i candidati repubblicano e democratico. Se il repubblicano sarà Trump o Cruz e se il democratico sarà Bernie Sanders, Bloomberg correrà quasi certamente. Un guaio più per i democratici che per i repubblicani. Vedremo. Ma vediamo cosa ci aspetta oggi (e se l’annuncio di Bloomberg aiuterà Clinton).

Gli elettori del New Hampshire sono spesso indecisi

Già, le parole dell’ex sindaco potrebbero spingere molti tra i democratici che non hanno

epaselect epa05144998 People walk through Victory Park during snowfall from winter storm Lexi, in Manchester, New Hampshire, USA, 05 February 2016. Presidential candidates are criss-crossing the state to campaign before the 09 February primary in New Hampshire. EPA/MICHAEL REYNOLDS
(Epa/Michael Reynolds)

ancora scelto chi votare, a schierarsi con Clinton per evitare la corsa a tre. Nel primo Stato delle primarie, infatti, gli elettori, come se si sentissero incaricati di una missione speciale, tendono a seguire da vicino le campagne per decidere sulla base di informazioni di prima  mano. Per questo in New Hampshire conta avere una campagna porta a porta, parlare anche davanti a pochi. Le regole delle primarie locali, dove gli indipendenti possono scegliere a quale delle votazioni partecipare, complicano il gioco: se sono in indipendente che voterà democratico, posso partecipare alle primarie repubblicane e votare il candidato che meno mi spaventa per evitare la vittoria di un estremista conservatore. Ciò detto, nell’entourage di Clinton staranno facendo di tutto per premere su Bloomberg. Nella minuscola Dixville Notch, che ha già votato, hanno vinto Kasich e Sanders, ma non è un test, il primo ha preso 3 voti, il secondo 4.

Donald Trump resta l’uomo da battere

In campo repubblicano il miliardario newyorchese è avanti nei sondaggi da mesi. Di 15-20 punti. La domanda vera è di quanto vincerà e chi arriverà dietro di lui. Se vincesse di poco si confermerebbe l’idea che la campagna Trump non è in grado di mobilitare e organizzare la base, che la sua campagna è una one-man-band che funziona, ma che non è una macchina in grado di sostenere una lunga maratona elettorale. Dovesse non vincere, il vento smetterebbe di soffiare dalla sua parte e la storia delel primarie, probabilmente, cambierebbe completamente.

epa05148338 Republican presidential candidate and New Jersey Governor Chris Christie speaks at a campaign town hall meeting in Hampton, New Hampshire, USA, on 07 February 2016. The New Hampshire primary will be held on 09 February 2016. EPA/KATHERINE TAYLOR
Chris Christie Epa/Katherine Taylor

Rubio, Cruz, Christie, Kasich? Chi arriva dietro Trump

Nei sondaggi inseguono Marco Rubio e Ted Cruz. Quanti voti prenderanno? E poi il governatore del New Jersey, Chris Christie, che da giorni incalza a attacca Rubio: «È un politico furbo che impara a memoria le frasi giuste da dire».  Il corpulento governatore, così come Jeb Bush e John Kasich sono i moderati che sperano in un buon risultato per potersi guadagnare la fiducia dell’establishment. Tutti sparano a zero contro Rubio, che al momento è quello messo meglio degli altri: abbastanza moderato da non rappresentare un rischio eccessivo, abbastanza diligente da moderare la sua immagine su alcuni temi (l’immigrazione per prima). Nell’ultimo dibattito Tv, infatti, è stato il senatore della Florida e non Trump o Cruz, l’obbiettivo dei colpi bassi degli altri concorrenti. Se Jeb Bush andasse male, non si vede cosa lo potrebbe resuscitare.

Gli attacchi di Bill Clinton

In New Hampshire è cominciata davvero la vita politica nazionale di Bill Clinton nel 1992. Qui Hillary vinse le primarie nel 2008, dopo un brutto terzo posto in Iowa. Oggi però è dietro di brutto: Sanders genera entusiasmo e gioca in casa. Per cercare di ottenere un buon risultato, oltre ad aver fatto un gran lavoro organizzativo, Hillary ha scelto due testimonial d’eccezione: Madeleine Albright e Bill Clinton. Lo Stato è bianco e piuttosto anziano e gli ex

epa05150274 Democratic presidential candidate Hillary Clinton (C) is greeted by her husband, former US president Bill Clinton (L), and her daughter, Chelsea (R), during a rally at Manchester Community College in Manchester, New Hampshire, USA, on 08 February 2016. The New Hampshire primary will be held on 09 February 2016. EPA/JUSTIN LANE
Epa/Justin Lane

presidente e Segretario di Stato sono popolari in quella fetta di elettorato. Albright ha poi usato in campagna elettorale l’argomento di genere, invitando le giovani donne a fare la storia eleggendo la prima presidente donna: «Il lavoro non è finito, c’è un posto speciale all’inferno per le donne che non aiutano altre donne». Bill è invece andato contro Sanders: «Non puoi dire: chiunque non è d’accordo con me è uno strumento nelle mani dell’establishment», criticando poi una serie di troll che sui social attaccano Hillary e chi la sostiene, prendendo le parti di Bernie – la campagna Sanders invita da giorni i sostenitori del senatore a non attaccare Clinton, ma il fenomeno c’è.

Una vittoria per Bernie quanto pesa?

Dal canto suo Bernie Sanders prosegue per la direzione scelta: mobilitare giovani e altri che in genere non fanno politica e sommarli alla base liberal e di sinistra. Il senatore del Vermont ha le primarie del New Hampshire in tasca, ma una vittoria significherebbe sommare entusiasmo a entusiasmo e piccole donazioni ad altre

epa05148581 Democratic presidential candidate Bernie Sanders campaigns at Great Bay Community College in Portsmouth, New Hampshire, USA, 07 February 2016. The New Hampshire primary will be held on 09 February 2016. EPA/MICHAEL REYNOLDS
Epa/Michael Reynolds

piccole donazioni. Una misura da chiarire la portata del successo di Sanders  è appunto di quanto vincerà e chi lo voterà. Se coloro che di solito non votano andranno di più ai seggi, questo sarà un segnale che la cosa può accadere altrove. La campagna è ben organizzata e i volontari si sono spinti in montagna, in aree dove di solito la politica non arriva. Tanto che qualcuno, vedendo uno sconosciuto alla porta, ha chiamato la polizia. Usare i volontari è però fondamentale, specie per convincere, appunto, porzioni di elettorato che non sono abituate a votare alle primarie. Una telefonata non basta. Un successo rotondo e molti nuovi registrati al voto sarebbero un segnale. E creerebbero non pochi grattacapi a Clinton e all’establishment democratico.

Buon martedì di primarie. La stagione è appena cominciata. E se volete fare il tifo per Bernie Sanders, qui c’è la playlist dei suoi comizi. In cinque titoli c’è la parola Revolution, poi c’è Disco Inferno (si gioca con Burn, brucia, e Bern), Springsteen e gli O’Jays che dicono: “Date al popolo quel che vuole”.

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Bernie Sanders imita se stesso e le gaffe repubblicane: quattro video da vedere prima del New Hampshire

Domani si vota in New Hampshire, il risultato non è affatto scontato, specie in campo repubblicano (tra i democratici vince Bernie Sanders, ma non sarà una sorpresa nello Stato che confina con il suo). Abbiamo messo in fila qualche video che illumina sullo stato della corsa e ci racconta, anche, come e dove si combatta la campagna elettorale per le primarie. Dal porta a porta, dai piccoli comizi del piccolo Stato, dove i voti si conquistano uno a uno, passando per le comparsate agli spettacoli di punta della Tv, come più sotto Bernie Sanders. Qui sotto un reportage per sole immagini di Associated Press che ci aiuta a capire come e cosa siano i comizi e la campagna elettorale, la figuraccia dei candidati repubblicani (e degli organizzatori) all’ingresso dell’ultimo dibattito andato in onda e due video riguardanti Bernie Sanders, la partecipazione al Saturday Night Live e, dallo stesso show, uno sketch che lo prende in giro.

I comizi, la neve, l’indecisione degli elettori (un classico per lo Stato), i selfie nel reportage per sole immagini di Associated Press

L’ingresso dei candidati repubblicani sul palco è a chiamata. C’è chi non risponde, chi arriva tardi e chi aspetta. Certo è che se Donald Trump diventasse presidente, avrebbe bisogno di un maestro di cerimonie coi fiocchi

Bernie Sanders al Saturday Night Live sulla nave di migranti diretti a New York se la prende con le differenze tra il 99% e l’1%: «A me sembra che quel che dici suona come socialismo». «Socialismo democratico». «È che differenza c’è?» «Enoooorme». Bernie Sanders prende in giro se stesso e il suo imitatore Larry David al Saturday Night Live. Mesi fa c’era stata anche Hillary

Ancora Bernie Sanders, ma solo imitato: nello sketch il candidato fa campagna in Iowa, tratta male cinque elettori e, alla fine, perde per quei cinque voti. Larry David è un senatore del Vermont perfetto

Onu: la Siria tortura a morte i detenuti. Un altra barca affonda a Lesbos, 24 morti

epa05145817 Syrian refugees wait for food near a refugee camp in Bab Al-Salama city, northern Syria, 06 February 2016. A new wave of Syrian refugees leaving the country is expected to reach Turkey, according to local news. The Syrian Observatory for Human Rights said some 40,000 people were on the move in Aleppo province, after the Syrian army entered two pro-government Shiite towns outside of Aleppo and advanced against rebel forces in the northern province a day earlier, threatening to entirely encircle the opposition-held parts of the key city. EPA/SEDAT SUNA

Il governo siriano ha sterminato migliaia di detenuti nelle carceri del regime. O almeno questo è quel che sostengono gli investigatori del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite in un rapporto appena pubblicato. Lo studio spiega che sia le forze lealiste che quelle ribelli, specie Isis e al Nusra hanno commesso crimini di guerra.

Molti detenuti sono stati torturati, alcuni sono stati picchiati a morte, e altri sono morti per mancanza di cibo, acqua, o cure mediche. I risultati dell’inchiesta provengono da interviste con centinaia di testimoni e coprono il periodo dall’inizio delle proteste anti-governative marzo 2011. Il rapporto dice che migliaia di detenuti sono stati uccisi da prigionieri di parti in guerra negli ultimi quattro anni e mezzo.

Ventiquattro persone, compresi dei bambini, sono morte affogate nel mar Egeo nel tentativo di raggiungere Lesbos. Il 2016 è appena cominciato e i rifugiati e migranti morti in mare sono già 400.

Continuano intanto i bombardamenti su Aleppo e la fuga di migliaia di persone. Sono 30mila quelle ammassate al confine turco. Ankara non apre i confini ma ha contribuito a portare beni materiali e tende all’interno del confine siriano.

È in questo contesto che Angela Merkel è giunta in Turchia per un incontro con il suo omologo turco Davutoglu. La Germania chiede alla Turchia di accogliere più persone – e l’Europa ha promesso enormi risorse in cambio di una maggiore capacità di gestione e accoglienza – e al contempo chiede ad Ankara di chiudere le proprie frontiere di mare. Davutoglu chiede che forze Nato monitorino meglio le acque in maniera da controllare il traffico nel Mediterraneo. In cambio della collaborazione in materia di rifugiati, l’Europa sta chiudendo entrambi gli occhi sulla drammatica situazione nel Kurdistan turco, dove da mesi le forze di sicurezza di Ankara danno la caccia al dissenso autonomista con la scusa di fare la guerra al Pkk. Nei giorni scorsi, in un edificio di Cizre, isolata e sotto assedio da settimane, sono rimasti intrappolati nelle rovine di un edificio bombardato – e sono morti – 60 civili.