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La Lega punta su Bologna. Ma come mai?

«Saremo 100mila» assicura Matteo Salvini, pronto alla “calata” su Bologna per la giornata di «liberazione nazionale dal premier». E per la sua Pontida in terra d’Emilia, chiama a raccolta un «nuovo centro destra».
Attorno al Nettuno sbarcheranno 400 pullman di celti da Lombardia e Veneto (700 previsti da tutto lo Stivale), e 35 da tutta la Regione. Siccome in un comizio del Carroccio il folklore rustico non può mancare, dalla Toscana annunciano perfino la presenza di una ruspa. E naturalmente tutti i rappresentanti locali che a partire da mezzogiorno sfileranno insieme al leader sul palco: Alan Fabbri, capogruppo in Regione, Fabio Rainieri, segretario della Lega Nord Emilia e Jacopo Morrone, segretario della Lega Nord Romagna. Ancora però, nessun candidato ufficiale comune da spingere sullo scranno di Palazzo d’Accursio, non se ne abbia la favorita e già incoronata dalla Lega, Lucia Borgonzoni (capogruppo in Comune).
E poi Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi.

Al di là della commedia a due con quest’ultimo, “vengo-non vengo-dai vieni-vabbeh”, una cosa è innegabile: con o senza Forza Italia, con o senza tutto lo stato maggiore nazionale e locale presente oggi sul palco di Piazza Maggiore, la Lega Nord da anni anela a prendersi il capoluogo emiliano-romagnola. Ma perché proprio Bologna?

Anzitutto, c’è da considerare che il “modello Emilia-Romagna” è in crisi. Il legame  partito-cooperative e la garanzia corrispondente di posti di lavoro e buoni servizi, è un mito un po’ scrostato. Le fabbriche dell’eccellenza locale (dai motori, passando per l’edilizia, fino alla pasta) non garantiscono più la piena occupazione e anche l’artigianato non si sente molto bene. C’è una crepa nel tradizionale rapporto operai-imprenditori nella quale la Lega riesce a inserirsi sicuramente meglio del Movimento 5 stelle, col quale dovrà comunque contendersi la fascia degli elettori “arrabbiati”.

C’è poi un’altra crepa che percorre il terreno della regione rossa: quello di un Pd sempre più vicino a multi-utilities e grandi opere convenienti a qualche colosso e sempre più distante dal popolo delle sezioni e feste dell’Unità. Non sarà una caso se alle elezioni regionali del 23 novembre 2014, il Carroccio ha sbaragliato, raggiungendo quasi il 30% dei voti. Certo, allora l’affluenza fu a imbarazzanti minimi storici (al 37,71%, rispetto al 68% di 5 anni prima), ma in ogni caso 374,736 persone avevano optato per recarsi alle urne e depositare la loro fiducia (o protesta) sotto forma di X sulla coalizione leghista. Alleanza, quella con Forza Italia e Fratelli d’Italia che non ha influito particolarmente, dato che solo l’8 per cento ha votato gli azzurri e nemmeno il 2 percento i reduci di Alleanza nazionale. Una destra quasi completamente estinta, in Emilia Romagna e in particolar modo a Bologna. Cosa che Salvini sa, ed eventualmente utilizzerebbe per rivendicare ancor più la sua forza.

È stato proprio lo sconosciuto candidato Fabbri, già sindaco di Bondeno (Ferrara), senza bisogno di particolari sforzi a sfondare – e questo nonostante dubbi (ma esilaranti) video come quello qui sotto su cui avevano puntato in campagna elettorale.

  Assieme alla totale assenza di un’alternativa di destra, è proprio questo, il solco che la Lega spera di sfruttare: portare a casa alti numeri che risulterebbero ancor più impressionanti proprio perché localizzati in una regione notoriamente inespugnabile, di sinistra, e storicamente avversa a tutto ciò che Salvini vorrebbe rappresentare.
Oltre dunque a servirgli da volano per dimostrare di avere radicamento su territori popolari e produttivi, dimostrerebbe così anche il fallimento del sistema partitico e soprattutto di governo della sinistra, a questo punto renziana (per quanto questo possa suonare come un ossimoro). È sempre Renzi, ricordiamolo, il suo vero antagonista nella battaglia a candidarsi volto glamour dell’Italia.

In sostanza, come ha detto lo stesso Salvini: «Se devo lanciare la sfida per il futuro a Renzi non lo faccio a Treviso, dove ho il 40%, ma dove ci sono le Coop e la Cgil».

Dunque, in vista delle amministrative della prossima primavera, ci riprovano, a partire dalla giornata di oggi. Salvini si metterà perfino la camicia bianca – cosa che senz’altro farà la differenza – forse per accalappiare la borghese popolazione bolognese con un’immagine di formalità secondo canoni imprenditoriali, è il caso di dirlo, di credo berlusconiano. Ringrazia Berlusconi «per l’intelligenza e la generosità», lo stesso contro il quale ha spesso infierito. Una fra tutte, durante le scorse regionali lombarde: «La presenza di Berlusconi non aiuta a parlare di programmi e proposte concrete, speriamo in un centrodestra nuovo e pulito». Ipse dixit.

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Sta di fatto che Bologna è pronta da giorni alla risposta. Manifestazioni e cortei hanno scaldato le strade sotto le Due Torri per tutta la settimana, striscioni e murales già annunciano a chiare lettere che la “conquista” non andrà oltre la piazza. Come a circondare al di là dei «sei-settecento metri di cordone» nei quali si barricheranno i pacifisti leghisti (così almeno hanno voluto presentarsi), e al di là dei 1000 rappresentanti delle forze dell’ordine schierati a proteggere quella che, ironia della sorte, è definita la “zona rossa”, un fior fiore di iniziative rappresentanti lo strato della società che il Carroccio vorrebbe andare a conquistare: coordinamento dei migranti, famiglie arcobaleno e organizzazioni trans, centri sociali e movimenti per la casa, raduni antifascisti e commemorazione della Resistenza. Per la giornata di oggi, sono annunciati centinaia di perone in almeno 4 cortei di contestazione, al di là degli scontri con i centri sociali che a Salvini farebbero solo buon giocoUn po’ più delle «quattro zecche» che si aspettava Salvini, che dovrà fare i conti, oggi come a maggio, con numeri ben più alti di una sinistra che, nonostante Renzi, in Emilia-Romagna ancora resiste, è sana, radicata e organizzata.

I suoi più probabili “alleati” alle prossime elezioni? Quelli che, comprensibilmente, resteranno a casa.

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E se fosse il giornalismo a salvare Facebook?

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Facebook tenta di coccolarci in tutti i modi e Zuckerberg sembra volerci ricordare costantemente quanto siamo importanti per la vita del suo social network. Accedendo alla propria bacheca è possibile, ad esempio, trovarsi di fronte a post del genere:

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Queste attenzioni ovviamente derivano dal fatto che sono fortemente diminuiti i contenuti che gli utenti pubblicano sul sul Facebook. E visto che i contenuti sono il core business di un social network, questa crisi potrebbe portare il colosso di Zuckerberg a un lento ma inesorabile declino.
Secondo i dati Global Web Index, riportati dal Wall Street Journal, oggi a postare contenuti scritti su Facebook è solo un terzo degli utenti, l’anno scorso gli utenti attivi erano il doppio (circa il 70%). Mentre le foto vengono condivise solo dal 37% con un calo rispetto al 2015 del 59%. Ad incidere e alimentare il fenomeno di dissafezione nei confronti della piattaforma creata da Mark Zuckerberg sono vari elementi. Da un lato gli utenti più giovani preferiscono social “meno impegnativi” e soprattutto meno presidiati dai genitori come come Instagram e Tumblr. Dall’altro la condivisione dei momenti più intimi e personali, della routine che una volta affollava le bacheche di facebook, avviene in altri luoghi virtuali: WhatsApp, Snapchat, Telegram. Lo spiega bene Giovanni Boccia Artieri, professore di sociologia all’Università di Urbino e esperto di media digitali, in un post sul suo blog ospitato dal sito doppiozero.com:

«Facebook è diventato per i giovani un luogo in cui appuntare eventi particolari, più che di condivisione quotidiana del proprio vissuto. Va bene per ricordare il proprio compleanno, il superamento di un esame, il saggio di musica e danza o una competizione sportiva una tantum. Il post vale una candelina accesa, è un segnaposto esistenziale, un modo per ricordare che ci sei. È una celebrazione in pubblico o un promemoria collettivo. Adatto ad attirare like e condividere momenti personali di rilevanza per una propria audience connessa ma solo per qualche occasione.
La narrazione della vita quotidiana connessa si sta spostando altrove. In una dieta (social) mediale che combina ambienti conversazionali, come ad esempio WhatsApp, e luoghi di condivisione del proprio immaginario per immagini, come Instagram (da notare: piattaforme entrambe acquistate da Facebook che, evidentemente, sapeva bene come stavano cambiano i comportamenti degli utenti). Luoghi in cui controllare meglio contemporaneamente la comunicazione e le cerchie sociali. Spesso su Instagram troviamo, per i giovanissimi, profili chiusi. Mentre su WhatsApp, lo sappiamo bene, gestiamo conversazioni interpersonali e di gruppo con finalità specifiche e distinguendo bene tra i nostri “pubblici”.

 

Per Boccia Artieri insomma il social creato da Mark Zuckerber si sta trasformando progressivamente in un “segnaposto esistenziale”, un luogo in cui ricordare le tappe importanti della vita. E a ben vedere verso questa direzione hanno spinto anche le varie evoluzioni di Facebook: dalla sostituzione del wall con la timeline alla funzione On This Day, che ogni giorno ricorda all’utente cosa ha condiviso sul suo profilo negli anni precedenti.

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Ma non sono solo i giovanissimi ad aver abbandonato l’ossessiva abitudine di postare tutto su Facebook, anche gli adulti hanno sviluppato nuove modalità di utilizzo della piattaforma, soprattutto per tutelare la propria privacy. Non è un caso quindi che, mentre ad accedere al flusso di notizie è circa il 65% degli utenti, la percentuale di coloro che si dimostrano utenti attivi – e non si limitano a leggere i contenuti altrui  – è invece di gran lunga più bassa. Secondo Boccia Artieri quella che sta emergendo è una tendenza di Facebook a “mainstreamizzarsi” , ad essere:

«vissuto come uno strumento conversazionale e maggiormente come un canale su cui sintonizzarsi. Entrare su Facebook per dare un’occhiata, fare zapping nello stream dei contenuti. Contenuti che trovano in modo crescente una produzione da parte di soggetti/pagine appartenenti a brand, istituzioni, politici, celebrities, siti di news ecc. Tra informazione ed intrattenimento».

E a giudicare dalle novità che proprio nel campo dell’informazione si stanno sviluppando attorno al social di Zuckerberg le intuizioni del sociologo della “Carlo Bo” di Urbino sembrano essere confermate. È il caso ad esempio dell’app Instant Articles che promette la fruizione interattiva delle news di Facebook. Un po’ come già avviene per il competitor Snapchat nella sezione “Storie” dove è possibile trovare ogni giorno una serie di articoli interattivi e video curati da canali di intrattenimento e informazione come: Vice, CNN, Daily Mail, National Geographic o Mtv.
Se gli utenti insomma si sono stufati di condividere contenuti, Facebook, per non morire schiacciato da questa sindrome da “guardo ma non posto”, sembra puntare su chi può fornirne, perché questo fa di mestriere. E a testate e giornali offre in cambio il vantaggio di un pubblico immenso e targhettizzato per ogni esigenza.

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Lo sapevate che il Pakistan è tra i maggiori coltivatori di zucchero al mondo?

epa04984057 A Pakistani prepares brown sugar from sugarcane juice in Peshawar, Pakistan 19 October 2015. Pakistan is the worlds 6th largest producer of sugarcane in terms of acreage, and the 8th largest producer of sugar. Sugarcane is grown on approximately 1.1 million hectares and provides the raw material for 88 sugar mills with an annual crushing capacity of over 6.5 million tones. The sugar industry is the countrys second largest agriculture-based industry after textiles. EPA/BILAWAL ARBAB

Attualmente il Pakistan è il quinto Paese al mondo in termini di superficie coltivata di canna da zucchero, l’undicesimo per produzione e il sessantesimo per rendimento. L’industria dello zucchero è, nel campo agricolo, la seconda per importanza economica in Pakistan. Nel Paese si contano più di 80 zuccherifici che producono ogni anno circa 6,1 milioni di tonnellate di prodotto. Ecco come avviene il processo di lavorazione:

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gallery a cura di Monica Di Brigida

testi a cura di Giorgia Furlan

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Giubileo come Expo, in fondo che differenza c’è?

Giubileo Roma

Il papa è buono e voleva tanto cambiare la Chiesa. Poi mannaggia, ancora due corvi (un po’ come i gufi della politica che frenano l’ardore di cambiamento del premier Renzi) glielo vogliono impedire. Cattivi! Anzi cattivoni, è proprio il caso di dirlo. Far uscire documenti riservati e conversazioni private – anche del pontefice – dai quali si evincono le sterminate risorse del Vaticano e l’uso (o l’abuso) che ne viene fatto, non è ammissibile. E così si corre ai ripari: in galera la strana coppia di corvi (monsignor Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui, rispettivamente l’economo e la commissaria del papa), fonti segrete di due libri che preoccupano il Vaticano (Via crucis di Gianluigi Nuzzi e Avarizia di Emiliano Fittipaldi) perché offuscano l’ardore di “cambiamento” anche di Francesco. Imponendo una “trasparenza”, questa volta non desiderata, su ricchezze sterminate, immobili per quattro miliardi di euro, decine di scandali finanziari, fondazioni vaticane dedicate ai bambini che investono migliaia e migliaia di euro per le case di cardinali importanti e soldi, tanti soldi, di imprenditori indagati ancora nascosti dallo Ior.

Nulla di strano, nulla che non sapevamo, se non fosse che ci massacrano di pagine per convincerci che questa è la Chiesa del cambiamento, quella che, pensate, ammette alla comunione “persino” i divorziati (gloriosa conclusione del sinodo della famiglia!) e che dovrebbe assolvere (o dissolvere) il compito della sinistra. Ed invece è sempre quella roba lì, quella del 1015 o del 1075, dei vescovi-conti e del Dictatus papae di Gregorio VII, travolta da scandali ed eresie pauperistiche, sempre alle prese con la propria presunta infallibilità. Ed invece evidentemente fallibile, come sempre. Costretta a mascherarsi da secoli dietro un supposto dominio spirituale per nasconderne uno “troppo” temporale.

E tutto scivola mentre, come racconta Alberto Asor Rosa su Il manifesto di qualche giorno fa, a Roma, nel 2015, come fosse l’anno 1000: «Un bel giorno papa Francesco proclama un Giubileo straordinario della Misericordia… Ci sono state consultazioni preventive in proposito? Qualcuno, al di qua del Tevere (in ordine il “fu” Marino, Zingaretti, Renzi, ndr), ha risposto che andava tutto bene? Improbabile. Dunque, il Vaticano dispone di Roma come fosse cosa sua (è già accaduto altre volte nella storia, anche dopo il 1870). I poteri democratico-rappresentativi a quel punto sono spinti inevitabilmente in un angolo. Cosa potrebbero dire o fare di fronte a un messaggio universalistico-religioso di tale portata? Ma il messaggio universalistico-religioso si trasforma rapidamente in una serie di Ukase (comandamenti, ndr) politico-temporali sempre più assillanti e persino, da un certo momento in poi, anche violenti: avete chiuso le buche? Avete rattoppato le metropolitane? A che punto siete con l’accoglienza? Siete in grado di garantire il ristoro? E la sicurezza, la sicurezza, come va?».

E «i poteri democratico-rappresentativi» accorrono, non resistono a lungo nell’angolo, non è questa la natura di Renzi, e si mettono al servizio. Efficienti. Via Marino, arriva il commissario Tronca. E si piega, tanto. Si inchina e bacia la mano. Al vecchio sovrano di Roma. Perché gli «Ukase politico-temporali» dei tanti vescovi-conti di oggi si fanno sempre più assillanti e «poi anche violenti». Quasi fosse una moderna Canossa nella quale l’imperatore (Renzi) non si umilia ma umilia (Marino) davanti al pontefice e ottiene l’investitura: buche, metropolitane, sicurezza e accoglienza… tutto sarà pronto per la kermesse romana. Giubileo come Expo. In fondo che differenza c’è?

Questo editoriale è sul numero 43 di Left in edicola dal 7 novembre

 

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Morire ammazzati a Chicago: Spike Lee la prende con ironia (il trailer)

Black Lives Matters e la strage di persone che si compie ogni anno a Chicago, m con grande ironia. Questo sembra essere lo spunto di Chi-Raq ultimo film di Spike Lee a giudicare dal trailer che vedete qui sotto. Nella windy city, la città del vento, dove Obama ha fatto i primi passi in politica e dove probabilmente tornerà a vivere dopo il 2o16, solo quest’anno sono già morte 428 persone. Un anno record e un morto ogni 17 ore, 80% neri, come si vede dalle immagini qui sotto. Nel film di Spike Lee, ispirato alla lontana da Lisistrata di Aristofane, le donne fanno lo sciopero del sesso contro questa strage fatta di circolazione di armi facili e cultura gangsta (e ghetti dai quali non si esce). Il film è prodotto da Amazon e si è attirato polemiche per l’ironia. Il regista di Brooklyn risponde con dei video su Vimeo, ne postiamo uno legato al tweet qui sotto. Il film uscirà il 4 dicembreSchermata 2015-11-07 a 9.34.49 AM

Schermata 2015-11-07 a 9.34.19 AM

Da Hebron a San Pietroburgo, fino a Messina. Le foto della settimana

In this Russian Emergency Situations Ministry photo made from the footage, made available on Friday, Nov. 6, 2015, a Russian Emergency Situations Ministry employee examines damaged seats of a passenger jet bound for St. Petersburg in Russia that crashed in Hassana, Egypt, on Thursday, Nov. 5, 2015. Five days after a Russian jetliner broke apart high above the Sinai, Russia and Egypt on Thursday dismissed Western suggestions that a terrorist bomb may have caused the crash that killed 224 people, saying the speculation was a rush to judgment. (Russian Emergency Situations Ministry photo via AP)

People gather to place floral tributes at the foot of the Alexander Column at Dvortsovaya (Palace) Square in St. Petersburg, Russia, Wednesday, Nov. 4, 2015. A Russian official says families have identified the bodies of 33 victims killed in Saturday's plane crash over Egypt. The Russian jet crashed over the Sinai Peninsula early Saturday, killing all 224 people on board. Most of them were holidaymakers from Russia's St. Petersburg. (AP Photo/Dmitry Lovetsky) San Pietroburgo, Fiori per commemorare i morti dell’aereo caduto in Sinai  (AP Photo/Dmitry Lovetsky)

A Palestinian protester uses a slingshot during clashes with Israeli soldiers following a funeral of Ibrahim Skafi, 22, in the West Bank city of Hebron, Thursday, Nov. 5, 2015. Skafi rammed his vehicle into an Israeli police officer in the West Bank on Wednesday, seriously injuring the officer before he was shot and killed, police said. (AP Photo/Majdi Mohammed) Hebron, scontri con l’esercito israeliano (AP Photo/Majdi Mohammed)

 

A protester screams holding a paper that reads "Corruption has killed - Romania wake up" back-dropped by the communist era built House of the People, now housing the Romanian parliament during a rally joined by thirty-five thousand people, according to local media quoting the Romanian Gendarmerie, calling for early elections, in Bucharest, Romania, Wednesday, Nov. 4, 2015. Prime Minister Victor Ponta announced the resignation of his government Wednesday following huge protests the day before in the wake of a nightclub fire that killed more than 30 people.(AP Photo/Vadim Ghirda) Bucrest, la protesta contro il governo( AP Photo/Vadim Ghirda)

+++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++ Militari dell'Esercito al lavoro per fronteggiare la nuova emergenza idrica a Messina, 04 novembre 2015. ANSA/ UFFICIO STAMPA ESERCITO Militari dell’Esercito al lavoro per fronteggiare la nuova emergenza idrica a Messina, 04 novembre 2015. Ansa

 

Un momento della prima udienza del maxiprocesso "Mafia Capitale", fuori dell'aula Occorsio del Tribunale di Roma, 5 novembre 2015. ANSA/ MASSIMO PERCOSSI Un momento della prima udienza del maxiprocesso “Mafia Capitale”, fuori dell’aula Occorsio del Tribunale di Roma, 5 novembre 2015. ANSA

 

Occorre compiere un salto di qualità nelle nostre battaglie

Oggi a Roma i parlamentari che hanno lasciato il Pd e quelli di Sel presentano i nuovi gruppi parlamentari tassello del percorso unitario della sinistra. Qui (e su Left in edicola) Stefano Fassina ci spiega perché questo è un passaggio necessario ma non sufficiente. 

La fase politica e parlamentare in corso ruota intorno a temi di straordinaria rilevanza democratica, economica e sociale: da un lato, alla Camera, è già avviato in commissione l’iter del disegno di legge di revisione costituzionale per una seconda lettura soltanto formale, in vista dell’approvazione definitiva entro la primavera prossima, in modo da consentire in autunno lo svolgimento del referendum, proposto dal premier come plebiscito sulla sua persona e le sue “imprese storiche”; dall’altro, al Senato, è incominciata la discussione sul disegno di legge di Stabilità, provvedimento di evidente segno elettorale, finalizzato a consolidare il riposizionamento del Pd, Partito della Nazione, verso gli interessi più forti e le fasce di orfani del berlusconismo. Sono entrambi provvedimenti di impianto regressivo. Portano avanti l’iniziativa del governo Renzi nel segno della restrizione degli spazi di partecipazione democratica, di svalutazione del lavoro e di tagli al welfare. Sono in piena coerenza con i principali e distintivi “successi” imposti dal governo Renzi al Parlamento: dal celebrato Jobs act, alla controriforma della scuola pubblica; dall’Italicum allo Sblocca Italia alla sottomissione della Rai al pieno controllo dell’esecutivo. Alimentano il trasformismo messo in campo negli ultimi mesi dall’esecutivo per allargare nei fatti la maggioranza a transfughi di Forza Italia.

In tale contesto, dopo un anno e mezzo di posizioni condivise e voti analoghi sulle misure distintive del governo Renzi è ora di mettere insieme in un gruppo parlamentare unito sia alla Camera che al Senato quanti, da sinistra, hanno combattuto per frenare l’offensiva di svalutazione del lavoro e di svuotamento della democrazia. È ora di compiere un salto di qualità nelle nostre battaglie parlamentari, non solo per contrastare le misure del governo, ma per far avanzare le nostre proposte alternative.

La nascita dei gruppi è una tappa, non la prima e certamente non la conclusiva, di un percorso già avviato nei territori e in una serie di appuntamenti a livello nazionale dall’intero arco di soggetti politici della sinistra. A breve, segue un’assemblea nazionale per l’avvio della fase costituente del partito. Intanto, i tempi sono maturi per offrire un riferimento istituzionale alla costruzione del progetto di una sinistra di governo, alternativa all’agenda liberista portata avanti dal Pd. Una forza politica che non si accontenti di occupare uno “spazietto” a sinistra del Pd, ma si misuri con la sfida della ricostruzione della soggettività politica del lavoro, condizione imprescindibile per ridare senso alla democrazia. Come ha ben descritto Stefano Rodotà in un recente commento su la Repubblica, i gruppi parlamentari intendono svolgere la funzione di “terminali sociali”, riferimento autonomo e attivo delle mille domande del variegato universo del lavoro, delle esperienze di volontariato sociale, culturale, civico, dei movimenti impegnati per la difesa del territorio e dell’ambiente, per la valorizzazione della scuola pubblica, per le iniziative di rilancio dei principi della nostra Costituzione. Vogliono essere interlocutore sistematico delle rappresentanze economiche e sociali e dei governi territoriali in una pratica efficace del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale. Insomma, un primo tassello per rigenerare il funzionamento della democrazia costituzionale.


 
 
 
 

Questo commento è stato pubblicato sul numero 43 di Left in edicola dal 7 novembre

 

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Il colore gentile di Daido Moriyama

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«Il bianco e nero racconta il mio mondo interiore, le emozioni e i sentimenti più profondi che provo ogni giorno camminando per le strade di Tokyo o di altre città, come un vagabondo senza meta», scrive Daido Moriyama, il fotografo giapponese noto per le sue visioni notturne intime, sensuali, sfuggenti. Nudi di donna che emergono dalla penombra, scorci di città nel fioco bagliore dei lampioni, presenze anonime e magnetiche nel cuore della metropoli. Tutto nelle foto in bianco e nero di Daido Moryama rimanda al rapporto con lo sconosciuto, schiudendo possibilità di un incontro imprevisto, in un’atmosfera sospesa, quasi fuori dal tempo. Lo hanno raccontato  anche in Italia mostre come Visioni del mondo, di cui resta memoria in un ponderoso catalogo edito da Skira.

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Ma c’è un lato di questo maestro della fotografia che non conoscevamo abbastanza: la sua fantasia a colori e il dinamismo che in questa variegata cromia assumono le immagini. “Il colore descrive ciò che incontro senza filtri, e mi piace registrarlo per come si presenta ai miei occhi. Il bianco e nero è ricco di contrasti, è aspro, riflette a pieno il mio carattere solitario. Il colore è gentile, riguardoso, come io mi pongo nei confronti del mondo”, racconta lui stesso, presentando la serie intitolata Color  che dal 6 marzo approda al Foro Boardi di Modena (in collaborazione con la Galleria Carla Sozzani di Milano e prodotta dalla Fondazione Fotografia Modena ) .Una mostra, che per la prima volta raccoglie in Italia una selezione di 130 fotografie inedite, realizzate tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta. Anni di svolta nella fotografia di  Moriyama, vissuti soprattutto sulla strada. Lo sguardo qui  sembra farsi più poetico e giocoso, lo sguardo del desiderio lascia il posto qui allo sguardo curioso, vitale, di chi osserva il fluire della vita nella metropoli e si lascia trascinare dal movimento incessante della sue strade. In quel periodo anche per l’allora trentenne Moriyama  fortissimo era il richiamo della beat generation e  ad alimentare la sua immaginazione e voglia di libertà, come per molti dei giovani di allora, era soprattutto il mito letterario del viaggio creato da  Jack Kerouac, con il romanzo Sulla Strada.  Così in queste foto i paesaggi della metropoli giapponese si sovrappongono a quelli americani, come appaiono in certi film di quegli anni, fra auto abbandonate lungo la strada, corridoii di insegne luminose e malinconiche lampadine appese nel nulla, motel di infima categoria e scene quasi da noir che oggi hanno acquisito un fascino vintage.

Le foto scelte dal curatore Filippo Maggia per questa mostra milanese raccontano  un Giappone in bilico fra tradizione e modernità poco prima del boom economico e dei consumi.  Dopo Milano la mostra è dal 6 marzo all’8 maggio  2016 al Foro Boario di Modena.

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In viaggio con la lepre e gli irresistibili antieroi di Paasilinna

Anticonformisti, timidi, sempre di spigolo con le convenzioni e i riti del vivere “civile”, i personaggi di del finlandese Arto Paasilinna hanno un fascino irresistibile. Che si fa strada a poco a poco. Pagina dopo pagina. Fino a farsi compagni di viaggio irrinunciabili, da cui alla fine della lettura ci si separa a malincuore. Accade così con i due protagonisti del nuovo romanzo tradotto in italiano dello scrittore finlandese Il liberatore dei popoli oppressi (Iperborea), il glottologo Viljo Surunen e la dolce maestra di musica Anneli Immonen  che, con disarmante idealismo,  scrivono lettere ai dittatori sparsi nel mondo per farli desistere dai loro intenti distruttivi.

Accadeva così per Rauno Rämekorpi, l’ex boscaiolo e self made man protagonista de Le dieci donne del cavaliere, che per il suo sessantesimo compleanno decide di distribuire fiori, caviale e champagne che ha ricevuto dalle varie autorità, alle donne della sua vita.  Solo per fare due esempi, fra i moltissimi che potremmo fare ricordando Lo smemorato di Tapiola, Piccoli suicidi fra amici, L’allegra apocalisse (con il suo Asser Toropainer, vecchio comunista “bruciachiese”) e altri romanzi, già diventati dei classici della letteratura, firmati da questo originale ex tagliaboschi, ex giornalista, romanziere e poeta finlandese che si è guadagnato l’attenzione del pubblico internazionale nel 1975 con un libro cult, L’anno della lepre, che si può leggere nell’edizione italiana di Iperborea e ora si può anche ascoltare grazie all’audiolibro interpretato da un attore molto amato anche dal pubblico televisivo come Giulio Scarpati, che il 7 novembre presenta questa produzione Emons con un reading al Pisa Book Festival.arto-paasilinna-by-esther-berelowitsch

Protagonista de L’anno della lepre è il giornalista Vatanen che, a quarant’anni è stanco del suo lavoro diventato sempre più razionale e meccanico, è stanco del cinismo che lo circonda  e dalla stolidità borghese della moglie, è stanco senza esserne consapevole. Finché una sera al tramonto, viaggiando in auto con un collega lungo una strada sterrata, investe accidentalmente una lepre. Sarà proprio quell’ animale ferito ad aprirgli un mondo di avventure, girovagando per boschi, piccoli paesi e riviere, in cui l’uomo ritrova la fantasia e la gioia di vivere. Il piccolo animale che fa ritrovare la tenerezza a Vatanen e  il gusto della libertà nella Lapponia a nord (terra dove Paasilinna è nato) si rivelerà anche un imprevedibile sovvertitore di regole sociali e  di gioghi religiosi, scorrazzando per chiese, brucando fiori sugli altari e disseminandoli allegramente di pallette di sterco. Con sottile, giocosa, ironia sarà proprio la lepre a guidare il protagonista del romanzo, insieme al lettore, alla scoperta di una nuova e imprevista visione della realtà, decisamente contagiosa.

«L’anno della lepre è stato un libro molto amato, quasi un romanzo simbolo, per la mia generazione», dice  l’attore romano che sta registrando nuove puntate di Un medico in famiglia e a più avanti nella stagione metterà in scena all’Ambra Jovinelli il film di Ettore Scola Una giornata particolare. «Mi incuriosiva rileggere il romanzo di Paasilinna oggi – racconta  Scarpati – per capire se ha ancora mantenuto il suo fascino». E come lo ha trovato? «Ancora straordinario e  di grande attualità perché propone un percorso fuori dagli schemi, che mette a nudo i rapporti consunti, che si sono inariditi. Il viaggio  che si compie in questo romanzo è un viaggio  formativo, di scoperta del nuovo, di apertura alle possibilità, ad incontri imprevisti».

E’ possibile cambiare vita? Sì sembra dirci Paasilinna, la vita può cambiare in un attimo. Certo ci vuole coraggio e un pizzico di follia.  «Ma anche ironia, per vedere il risvolto comico della burocrazia, dei meccanismi sociali che ci ingabbiano», aggiunge l’attore. «Quella di Paasilinna è un tipo di ironia molto nordica, che si esprime con un certo understatement, non in modo sottolineato ed  immediatamente evidente come succede nella nostra tradizione», precisa Scarpati.giulio-scarpati2

«Sull’automobile viaggiavano due uomini depressi – recita l’incipit del romanzo – Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi… Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera. Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano ormai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare». Il registro ironico di Paasilinna è seducente anche per la malinconia e la bonomia dei suoi personaggi? «Non c’è  mai freddo cinismo, in loro – conclude Scarpati – anche quando Arto Paasilinna tratteggia personaggi negativi lo fa a tutto tondo, raccontando anche i loro lati nascosti, più umani, così come la sua fantasiae  l’elemento utopico non sono astratti, ma rivelano un legame profondissimo con la realtà».

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Rifugiati, la Germania accelererà i rimpatri

Members of a Syrian family wait on a road to be guided by volunteers to a resting point shortly after arriving on a dinghy to the Greek island of Lesbos from the Turkish coasts, on Thursday, Oct. 8, 2015. More than 500,000 people have arrived in the European Union this year, seeking sanctuary or jobs and sparking the EU's biggest refugee emergency in decades. (AP Photo/Santi Palacios)

A casa e in fretta. Dopo le settimane dell’accoglienza, ora vengono le settimane dell’efficienza teutonica. Angela Merkel ha annunciato che cinque centri speciali gestiranno le domande dei richiedenti asilo con poche possibilità di ottenerlo.

Da settimane cristiano-democratici e socialdemocratici litigano sul da farsi per governare il flusso di centinaia di migliaia di persone in entrata. La Germania ha annunciato che accoglierà circa 800mila persone, ma l’idea dei tedeschi è quella di rispedire al mittente coloro che non abbiano le caratteristiche richieste dalle leggi sull’asilo. Le persone provenienti dai paesi inclusi nella lista dei cosiddetti sicuri, le persone già espulse dal Paese che tentano di rientrare e coloro che si rifiutano di cooperare con le autorità.

«Abbiamo preso una buona e importante decisione», ha detto la cancelliera Merkel, che era stata messa sotto accusa dai membri del suo partito per essere stata troppo aperta nei confronti della crisi dei rifugiati. L’idea delle nuove misure è che le domande di questi richiedenti asilo destinati ad essere respinti verranno processate in settimane, mentre oggi ci vogliono mesi. In questo periodo le persone saranno accolte in questi centri e poi, in caso di diniego da parte delle autorità, rispedite a casa.

Bene per l’efficienza – meglio non lasciare le persone mesi o anni nel limbo – ma restano tutti le domande sui diritti umani e i rischi per gli espulsi e resta il fatto che il partito della Merkel ha costretto la sua leader a fare diversi passi indietro rispetto a settembre.

Ieri intanto, l’Ue ha annunciato che ci si attende un flusso pari a tre milioni di persone entro la fine del 2017 (non si sommano ai già arrivati, sono il totale). Sono molte, ma è pur sempre un misero 0,4% della popolazione.