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In viaggio con la lepre e gli irresistibili antieroi di Paasilinna

Anticonformisti, timidi, sempre di spigolo con le convenzioni e i riti del vivere “civile”, i personaggi di del finlandese Arto Paasilinna hanno un fascino irresistibile. Che si fa strada a poco a poco. Pagina dopo pagina. Fino a farsi compagni di viaggio irrinunciabili, da cui alla fine della lettura ci si separa a malincuore. Accade così con i due protagonisti del nuovo romanzo tradotto in italiano dello scrittore finlandese Il liberatore dei popoli oppressi (Iperborea), il glottologo Viljo Surunen e la dolce maestra di musica Anneli Immonen  che, con disarmante idealismo,  scrivono lettere ai dittatori sparsi nel mondo per farli desistere dai loro intenti distruttivi.

Accadeva così per Rauno Rämekorpi, l’ex boscaiolo e self made man protagonista de Le dieci donne del cavaliere, che per il suo sessantesimo compleanno decide di distribuire fiori, caviale e champagne che ha ricevuto dalle varie autorità, alle donne della sua vita.  Solo per fare due esempi, fra i moltissimi che potremmo fare ricordando Lo smemorato di Tapiola, Piccoli suicidi fra amici, L’allegra apocalisse (con il suo Asser Toropainer, vecchio comunista “bruciachiese”) e altri romanzi, già diventati dei classici della letteratura, firmati da questo originale ex tagliaboschi, ex giornalista, romanziere e poeta finlandese che si è guadagnato l’attenzione del pubblico internazionale nel 1975 con un libro cult, L’anno della lepre, che si può leggere nell’edizione italiana di Iperborea e ora si può anche ascoltare grazie all’audiolibro interpretato da un attore molto amato anche dal pubblico televisivo come Giulio Scarpati, che il 7 novembre presenta questa produzione Emons con un reading al Pisa Book Festival.arto-paasilinna-by-esther-berelowitsch

Protagonista de L’anno della lepre è il giornalista Vatanen che, a quarant’anni è stanco del suo lavoro diventato sempre più razionale e meccanico, è stanco del cinismo che lo circonda  e dalla stolidità borghese della moglie, è stanco senza esserne consapevole. Finché una sera al tramonto, viaggiando in auto con un collega lungo una strada sterrata, investe accidentalmente una lepre. Sarà proprio quell’ animale ferito ad aprirgli un mondo di avventure, girovagando per boschi, piccoli paesi e riviere, in cui l’uomo ritrova la fantasia e la gioia di vivere. Il piccolo animale che fa ritrovare la tenerezza a Vatanen e  il gusto della libertà nella Lapponia a nord (terra dove Paasilinna è nato) si rivelerà anche un imprevedibile sovvertitore di regole sociali e  di gioghi religiosi, scorrazzando per chiese, brucando fiori sugli altari e disseminandoli allegramente di pallette di sterco. Con sottile, giocosa, ironia sarà proprio la lepre a guidare il protagonista del romanzo, insieme al lettore, alla scoperta di una nuova e imprevista visione della realtà, decisamente contagiosa.

«L’anno della lepre è stato un libro molto amato, quasi un romanzo simbolo, per la mia generazione», dice  l’attore romano che sta registrando nuove puntate di Un medico in famiglia e a più avanti nella stagione metterà in scena all’Ambra Jovinelli il film di Ettore Scola Una giornata particolare. «Mi incuriosiva rileggere il romanzo di Paasilinna oggi – racconta  Scarpati – per capire se ha ancora mantenuto il suo fascino». E come lo ha trovato? «Ancora straordinario e  di grande attualità perché propone un percorso fuori dagli schemi, che mette a nudo i rapporti consunti, che si sono inariditi. Il viaggio  che si compie in questo romanzo è un viaggio  formativo, di scoperta del nuovo, di apertura alle possibilità, ad incontri imprevisti».

E’ possibile cambiare vita? Sì sembra dirci Paasilinna, la vita può cambiare in un attimo. Certo ci vuole coraggio e un pizzico di follia.  «Ma anche ironia, per vedere il risvolto comico della burocrazia, dei meccanismi sociali che ci ingabbiano», aggiunge l’attore. «Quella di Paasilinna è un tipo di ironia molto nordica, che si esprime con un certo understatement, non in modo sottolineato ed  immediatamente evidente come succede nella nostra tradizione», precisa Scarpati.giulio-scarpati2

«Sull’automobile viaggiavano due uomini depressi – recita l’incipit del romanzo – Il sole al tramonto, battendo sul parabrezza polveroso, infastidiva i loro occhi… Lungo la strada sterrata il paesaggio finlandese scorreva sotto il loro sguardo stanco, ma nessuno dei due prestava la minima attenzione alla bellezza della sera. Erano un giornalista e un fotografo in viaggio di lavoro, due persone ciniche, infelici. Prossimi alla quarantina, erano ormai lontani dalle illusioni e dai sogni della gioventù, che non erano mai riusciti a realizzare». Il registro ironico di Paasilinna è seducente anche per la malinconia e la bonomia dei suoi personaggi? «Non c’è  mai freddo cinismo, in loro – conclude Scarpati – anche quando Arto Paasilinna tratteggia personaggi negativi lo fa a tutto tondo, raccontando anche i loro lati nascosti, più umani, così come la sua fantasiae  l’elemento utopico non sono astratti, ma rivelano un legame profondissimo con la realtà».

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Rifugiati, la Germania accelererà i rimpatri

Members of a Syrian family wait on a road to be guided by volunteers to a resting point shortly after arriving on a dinghy to the Greek island of Lesbos from the Turkish coasts, on Thursday, Oct. 8, 2015. More than 500,000 people have arrived in the European Union this year, seeking sanctuary or jobs and sparking the EU's biggest refugee emergency in decades. (AP Photo/Santi Palacios)

A casa e in fretta. Dopo le settimane dell’accoglienza, ora vengono le settimane dell’efficienza teutonica. Angela Merkel ha annunciato che cinque centri speciali gestiranno le domande dei richiedenti asilo con poche possibilità di ottenerlo.

Da settimane cristiano-democratici e socialdemocratici litigano sul da farsi per governare il flusso di centinaia di migliaia di persone in entrata. La Germania ha annunciato che accoglierà circa 800mila persone, ma l’idea dei tedeschi è quella di rispedire al mittente coloro che non abbiano le caratteristiche richieste dalle leggi sull’asilo. Le persone provenienti dai paesi inclusi nella lista dei cosiddetti sicuri, le persone già espulse dal Paese che tentano di rientrare e coloro che si rifiutano di cooperare con le autorità.

«Abbiamo preso una buona e importante decisione», ha detto la cancelliera Merkel, che era stata messa sotto accusa dai membri del suo partito per essere stata troppo aperta nei confronti della crisi dei rifugiati. L’idea delle nuove misure è che le domande di questi richiedenti asilo destinati ad essere respinti verranno processate in settimane, mentre oggi ci vogliono mesi. In questo periodo le persone saranno accolte in questi centri e poi, in caso di diniego da parte delle autorità, rispedite a casa.

Bene per l’efficienza – meglio non lasciare le persone mesi o anni nel limbo – ma restano tutti le domande sui diritti umani e i rischi per gli espulsi e resta il fatto che il partito della Merkel ha costretto la sua leader a fare diversi passi indietro rispetto a settembre.

Ieri intanto, l’Ue ha annunciato che ci si attende un flusso pari a tre milioni di persone entro la fine del 2017 (non si sommano ai già arrivati, sono il totale). Sono molte, ma è pur sempre un misero 0,4% della popolazione.

Radio Libri, parole in sintonia per amare la lettura

I libri, ovunque, a lavoro, durante il tempo libero, in viaggio. Alla scoperta di autori, luoghi e blog letterari, librerie, editori, curiosità. Insomma una full immersion nella parola scritta. Se in Italia si assiste negli ultimi anni alla flessione di lettori (4 su 10 italiani si recano in libreria) la sfida di RadioLibri è originale e storica. Sì perché si tratta della prima e unica web radio dedicata ai libri, ai lettori, agli editori e ai librai. Dietro a Parole in sintonia che figura nel logo, Radio Libri è uno spazio interattivo in cui promuovere la riflessione sul panorama editoriale, sui personaggi che popolano quel mondo e anche un’occasione di divertimento e di svago.

Nata grazie all’editore Matteo Fago Radio Libri è stata ideata da un team di professionisti della radio e naturalmente dell’editoria. Non poteva essere altrimenti.

Così incontriamo come direttore editoriale, autore e conduttore Giorgio Gizzi, con una vasta esperienza di libraio all’estero, per le librerie di Franco Maria Ricci, direttore di librerie indipendenti e di alcuni megastore della Feltrinelli a Roma. Station manager di Radio Libri è Carlo Mancini, un pioniere delle emittenti indipendenti italiane, collaboratore della Rai e poi direttore artistico e station manager dei network radiofonici Rds e Radio Capital. Nel 2012 ha ideato il master in radiofonia dell’università Suor Orsola Benincasa di Napoli, l’unico corso di studi italiano sulle professioni della radio.

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Radio Libri offre 80 rubriche settimanali, a partire dalle 6 di mattina, 24 finestre quotidiane tra cui  Libro del giorno, incontro con il personaggio, Freschi di stampa sulle novità editoriali, C’era una volta dedicato ai piccoli lettori, ma anche Viaggiare leggendo sui luoghi degli scrittori, La nobile arte del delitto, sui gialli. Radio Libri propone anche momenti di scambio e incontri per i librai, con rubriche come Il libro in festival, Città di carta, L’editore al centro. Insomma, la prima web radio è uno strumento utile anche per i librai e gli editori e allo tempo offre la possibilità ai lettori di conoscere un mondo editoriale non paludato, ma anzi, ancora più vicino agli interessi dei lettori.

Radio Libri si può ascoltare su tablet o su smartphone scaricando la app, oltre che in streaming i programmi si possono scaricare e ascoltare in podcast. 

 

A lezione di “geografia artistica” con l’Orchestra di Piazza Vittorio

La materia è “geografia artistica”, gli studenti sono quelli di una scuola di Centocelle, a Roma, e alla cattedra c’è un’orchestra intera. Si tratta dell’Orchestra di Piazza Vittorio, la formazione multietnica composta da musicisti di dieci diverse nazionalità reduce dal successo di una originale Carmen, che fino al 13 novembre girerà la Capitale per incontrare gli studenti di quattro scuole.

Un percorso – di sensibilizzazione e scambio, più che didattico – dal contenuto innovativo: una sorta di giro del mondo tra i suoni e le culture, con l’obiettivo – spiegano gli orchestrali- «di rafforzare la relazione tra “cittadini” e “stranieri”, coinvolgendo scuole e famiglie».

 

Le speciali lezioni partono dal vissuto di uno dei componenti dell’Orchestra per poi terminare con il racconto sonoro della loro terra. «Proponiamo ai ragazzi la stessa scoperta che abbiamo fatto noi quando ci siamo conosciuti», spiega uno dei musicisti. «Mai prima avremmo pensato che le nostre note avrebbero potuto accordarsi con quelle di persone provenienti dai quattro angoli del Pianeta». Ora la speranza è che le entusiasmo dei ragazzi di Centocelle e dei loro coetanei delle tappe successive consenta al progetto di proseguire anche dopo questo primo ciclo.

«Kerry? Un dodicenne! Il presidente israeliano? Ininfluente». Il portavoce di Netanyahu fa infuriare Usa e Israele

«Ecco un esempio di antisemitismo contemporaneo occidentale». «E’ il momento di augurare al Segretario Kerry dei successi mentre facciamo il conto alla rovescia dei prossimi due anni con la speranza che il prossimo capo al Dipartimento di Stato si svegli e cominci a vedere il mondo attraverso gli occhi di un uomo con una età mentale sopra i dodici anni». Ran Baratz che vive in un insediamento di coloni e ha fondato un sito conservatore, deve pensare di essere molto spiritoso. E usa i social media con disinvoltura, dispensando giudizi drastici su chiunque sia un suo avversario politico. Peccato che di mestiere faccia il portavoce del primo ministro di Israele Netanyahu e che la prima frase riportata qui sopra sia riferita a un discorso di Obama (la seconda al suo Segretario di Stato Kerry).

La nomina di Baratz, che ha scritto o detto la frase su Obama facendo riferimento alle parole del presidente Usa sull’accordo nucleare iraniano, non è andata giù alla Casa Bianca. Il presidente Usa aveva infatti detto: «So che in Iran si sono espressi ignobili concetti antisemiti, ma il governo israeliano non ci spiega come fare a risolvere la questione cruciale, ovvero come fare in modo che Teheran non si doti di una bomba atomica». Non esattamente un “moderno antisemitismo”.

«Ci aspettiamo rispetto da qualsiasi funzionario straniero, specie se si tratta di un Paese tra i nostri più vicini alleati» ha detto il portavoce di Kerry, aggiungendo che il Segretario di Stato e il premier israeliano si sono parlati e che Netanyahu ha detto che ragionerà sulla nomina al ritorno dalla visita negli Usa in questi giorni (visita importante viste le tensioni nei Territori).

Baratz, che fa il lettore di filosofia, non è nuovo a commenti simili: in passato ha postato sulla sua bacheca Facebook una foto del presidente israeliano Reuven Rivlin che viaggia in seconda classe tornando da un viaggio ufficiale. «E’ così ininmportante che non ci sono preoccupazioni per la sua sicurezza, potremmo mandarlo nel Sinai dove c’è l’ISIS e ce lo restituirebbero chiedendo di tornare in Iraq, basta che ce lo riprendiamo». Lette queste parole anche Netanyahu ha dovuto dire qualcosa: «Quei commenti sono inaccettabili e non riflettono in nessun modo il mio pensiero o quello del governo». Probabile che al suo ritorno in Israele Bibi si disfi del suo portavoce. Ciò detto, il premier di un Paese dovrebbe fare due controlli prima di nominare una figura importante come un portavoce.

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I commissari sbarcano a Roma, tra emergenza e propaganda. L’anticipazione di Left in edicola

Defenestrato Marino, Renzi si prende Roma. Dopo gli scandali di Mafia Capitale e la telenovela delle dimissioni, il Pd del premier segretario ha bisogno di recuperare consensi e credibilità in vista delle amministrative. La soluzione? Mettere la Capitale nelle mani del prefetto Francesco Paolo Tronca, uno dei protagonisti del “modello Expo”. E fare anche del Giubileo un successo mediatico, reso più facile dai nuovi fondi annunciati appena Marino è diventato ex. Da una fiera all’altra, dunque.

Nella storia di copertina di questa settimana, Left ha provato ad andare oltre la “meganarrazione” di Renzi e sodali, raccontando cosa c’è dietro la discesa dei commissari e il nuovo “dream team”: bulimia di potere e, come spiega il sociologo Marco Revelli nell’intervista a Left, ricerca di consenso per «giustificare la pratica renziana di decostruzione dell’impianto istituzionale e democratico».

 

Tutti gli uomini del Viminale
Ora che l’ex prefetto di Milano si è insediato nella Capitale, il governo avrà anche da gestire la diarchia con Franco Gabrielli, al quale toccherà coordinare da plenipotenziario il lavoro sul Giubileo. Intanto, il “dream team” può attendere (probabilmente i grandi nomi arriveranno a supporto del prefetto di Roma) e Gabrielli ha nominato i subcommissari che affiancheranno Tronca, alcuni dei quali suoi collaboratori in passato: 5 prefetti e un dirigente della Ragioneria generale dello Stato saranno gli “assessori” della Capitale fino alle elezioni. C’è l’ex capo di gabinetto di Tronca a Milano, Ugo Taucer; c’è uno dei collaboratori di Expo, Livio Panini D’Alba; ci sono Iolanda Rolli dal dipartimento Vigili del Fuoco, Clara Vaccaro che ha seguito la questione rifiuti a Roma con Pecoraro commissario all’emergenza e Giuseppe Castaldo, già commissario a Reggio Calabria. Il bilancio da far quadrare è in mano a Pasqualino Castaldi.

Una scelta tecnica e di “discrezione mediatica” – come anche quella del commissario – per evitare che in questi mesi di campagna elettorale protagonismi inattesi offuschino la popolarità del premier. La domanda aperta è se, nel loro operato, commissario e subcommissari andranno oltre l’ordinaria amministrazione adottando scelte dalla forte connotazione politica, come ad esempio, la privatizzazione dell’Ama, l’azienda dei rifiuti, o politiche sociali e sulla sicurezza più vicine alle posizioni del Viminale a guida Alfano che non a quelle dei cittadini romani che avevano votato per Marino. O – peggio ancora, temono i movimenti sociali – eccedano in sgomberi delle occupazioni e degli sfrattati e in ferree limitazioni del diritto al dissenso.

 


 

L’approfondimento continua sul numero 43 di Left in edicola dal 7 novembre

 

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La kermesse vaticana
Sull’Anno santo, invece, Matteo Renzi ha annunciato un profilo sobrio che punti su luci notturne, trasporti e periferie, chiarendo che «non sarà un grande evento». Ma intanto, dopo mesi di latitanza, ha preso in mano la situazione appena confermata l’uscita di scena di Marino, al quale finora era stato soltanto concesso di utilizzare 50 milioni derogando al patto di stabilità. Ora di milioni stanziati dall’Esecutivo se ne annunciano 300 se non di più. Come racconta il focus sul bilancio capitolino nelle pagine di Left in edicola, «Tronca e Gabrielli godranno invece dei benefici dell’urgenza, che si sarebbe potuta evitare se negli ultimi due anni ci fosse stata più pianificazione, e quindi più rapporto con palazzo Chigi».

Basta vedere in quale provvedimento sono inserite le misure e i fondi stanziati per Roma, per capire quanto il premier punti sul fattore “emergenza”. Non ci sarà, infatti, un decreto ad hoc per la Capitale, ma – ha spiegato il sottosegretario Claudio De Vincenti – tra una settimana arriverà un decreto su «Bagnoli, Terra dei Fuochi, il futuro di Expo e il rafforzamento delle funzioni di Gabrielli e del prefetto Tronca». L’obiettivo, stavolta, è trasformare il “modello Expo” in “modello Giubileo” per ottenere un duplice vantaggio: il recupero di popolarità del premier e il recupero di voti per il candidato sindaco espresso dal suo partito.

Romania, un incendio che ha scosso una generazione

Protesters hold banners reading "Corruption kills" and "The Church washes brains and launders public money" during a rally joined by thirty-five thousand people, according to local media quoting the Romanian Gendarmerie, calling for early elections, in Bucharest, Romania, Wednesday, Nov. 4, 2015. Prime Minister Victor Ponta announced the resignation of his government Wednesday following huge protests the day before in the wake of a nightclub fire that killed more than 30 people. (AP Photo/Vadim Ghirda)

Cosa sta succedendo in Romania? La notte del 30 ottobre il Colectiv club, un locale della Capitale, si incendia, 32 ragazzi muoiono, altre 200 rimangono gravemente ferite; pochi giorno dopo (il primo novembre) dai 20mila ai 60mila giovani iniziano a manifestare spontaneamente per le strade di tutto il Paese. Quello seguente il premier Victor Ponta si dimette portandosi appresso tutto il governo socialdemocratico.

Questi sono i fatti, fra i quali non è di facilità immediata leggere le connessione. La parola chiave per ristabilirla è, purtroppo, corruzione.

Basti dire che proprio l’ormai ex primo ministro, dallo scorso 17 settembre è incriminato dal Dipartimento nazionale anticorruzione (Dna) per 17 reati, fra cui: corruzione, falsificazione di documenti, complicità in evasione fiscale, riciclaggio di denaro sporco e immancabilmente conflitto di interessi per aver messo a capo del ministero dei Trasporti Dan Sova, un uomo col cui studio legale Ponta intratteneva dubbi rapporti commerciali. Anche l’ex senatore è ora sotto accusa per i medesimi capi d’imputazione. Già a giugno, quando scoppiò l’indagine, il presidente romeno Klaus Iohannis (amato sindaco per tre mandati di Sibiu ed eletto nel 2014 a causa dell’ennesimo scandalo che aveva investito sempre Ponta, candidatosi alle presidenziali seppure già a capo dell’Esecutivo), ne aveva chiesto le immediate dimissioni. Allora, il Parlamento votò in suo favore, con maggioranza parlamentare, l’immunità. Lo stesso Parlamento respinse a fine settembre la mozione di sfiducia presentata dal Partito nazionale liberale (Pnl) mentre già allora, nel centro della capitale romena, migliaia di persone protestavano contro il governo Ponta davanti al Parlamento.
Dimissioni respinte naturalmente dal diretto interessato, che adesso pare invece non aver più potuto evitare. L’inchiesta choc ha infatti aumentato l’instabilità del Paese, dopo che quest’anno una serie di arresti di alto profilo ha attraversato la società.

La morte di 32 persone ha ora fatto deflagrare una generazione che si può dire essere anestetizzata da anni, e che sembra in questi giorni essersi risvegliata tutta insieme: l’incendio è stata la crepa decisiva che ha portato alla frantumazione di una generazione ingessata. Una sorta di autunnale e civilissima Primavera romena che non ha più intenzione di accettare compromesso con una classe dirigente corrotta e mai veramente sbocciata nel dopo-Ceaușescu, ma che tuttavia continuava a perpetuarsi. «Serviva una tragedia per arrivare alla fine del governo di Victor Ponta», ha infatti duramente commentato Iohannis, accompagnando le dimissioni del premier.

Decine di migliaia di persone – alle quali molte altre stanno continuando ad aggiungersi – stanno continuando a manifestare, sempre pacificamente, anche in queste ore a Bucarest, Brasov, Cluj, Timișoara, Costanza, Iasi e Ploiesti. E hanno promesso che le dimostrazioni di dissenso continueranno anche nei prossimi giorni. Sono giovani, per la gran parte, e sembrano anche visivamente un fiume in pena. Il sentimento generale «è di rabbia», raccontano: «Per essere stati presi in giro per quasi 30 anni». Più o meno l’età di molti di loro.

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In effetti, la Romania è un Paese che da qui conosciamo poco, ma che in questi giorni sembra intenzionato a farsi sentire anche sul campo delle rivendicazioni civili. Politicamente, è una pentola a pressione. Un largo strato, spesso insofferente quanto indolente, distaccato e annoiato, stava aspettando solo la scintilla per potersi riattivare, un polo magnetico da seguire che finora è mancato. Così come è mancato, nella generazione politica che li ha preceduti e che li governa la capacità di formare un vero e proprio dialogo politico. «Dopo la rivoluzione si sapeva così poco di come funziona la politica democratica, che c’è stata una gran confusione nella quale nessuno è riuscito a ragionare a livello di politiche sociali o di qualunque tipo», spiega Cristian Stanescu, giovane programmatore di Bucarest che anche stasera sarà in piazza. «Si votavano le promesse e i programmi politici, senza necessariamente definirli di destra o sinistra. Anche perché considera che la destra non è nemmeno lontanamente paragonabile alle destre europee. Niente liberismo o razzismo nazionalista, o simile alla vostra Lega: non abbiamo immigrazione o ricchezza da generarli. La definirei più una sinistra meno di sinistra».

È la voce della gioventù romena – colta, istruita, anche se priva di un’educazione politica vera e propria, di sinistra per una strana crescita spontanea che ha saltato una generazione, figlia di una borghesia a sua volta intellettuale e post comunista – che sembra essersi svegliata di colpo. L’incendio nella discoteca ha fatto divampare l’indignazione dei romeni, che si è trasformata in un vero e proprio tumulto.

Ora, oltre a chiedere la testa di Ponta, vorrebbero le dimissioni non solo del sindaco del quarto distretto di Bucarest (dove si è svolta la tragedia della discoteca) Cristian Piedone (anche queste giunte in giornata), ma anche del vicepremier Gabriel Oprea, anch’egli al centro di numerosi scandali. L’ultimo dei quali due settimane fa: Oprea, è finito nel mirino dell’opinione pubblica quando uno degli agenti di polizia che seguiva il suo convoglio, un ragazzo di 28 anni, è deceduto a seguito di un incidente con la moto. Oprea non si sarebbe nemmeno fermato a soccorrerlo. E il tribunale di Bucarest ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo. Anche allora la gente era scesa in piazza e il Presidente della Repubblica aveva tuonato che premier e vicepremier quantomeno prendessero posizione.  Tra le altre accuse, rischia anche l’incriminazione per abuso d’ufficio: alla scorta avrebbero diritto presidente, premier e i presidenti di Camera e Senato.

Oggi, a Bucarest, i dimostranti hanno organizzato un corteo che è transitato dinanzi alle sedi di governo, Parlamento e del quarto Municipio. Vorrebbero un governo tecnico, «senza politicanti», quello che non c’è mai stato dopo l’89: la vecchia Nomenklatura – rigettata dalla sollevazione popolare che con l’ondata della caduta del muro di Berlino aveva fatto cadere la dittatura di Nicolae Ceaușescu – si era immediatamente rimpossessata delle redini del governo, in un ponte con la Securitate, la polizia segreta, ufficialmente abolita subito dopo la caduta del Conducător (“il Condottiero”). Inciucio del quale il Paese non si è tutt’ora liberato: molti degli membri del Corpo sarebbero ora uomini d’affari e personaggi influenti della politica romena.

 

Ma il vento sembra cambiare. «Ho guardato con attenzione le manifestazioni di piazza. Sono molto contento del fatto che siano state manifestazioni senza violenza, senza esagerazioni e ho un messaggio molto importante per tutti coloro che sono stati le ultime due notti in strada: vi ho visti, vi ho sentiti e terrò conto delle vostre richieste», ha detto il Capo dello Stato. Stando a quanto previsto dalla Costituzione romena, spetterà a lui il compito di nominare un nuovo premier ad interim – il nome prescelto è Sorin Campeanu, ministro dell’Istruzione nell’ultimo governo di Victor Ponta – che garantirà l’attività del governo sino alla nomina di un nuovo esecutivo. «Le consultazioni con i partiti si svolgeranno tra oggi e domani. Voglio che questa settimana venga completato il primo giro di colloqui politici», ha assicurato Iohannis, che ha poi precisato che a seguire, «consulterò anche la società civile e la strada». Una delegazione in rappresentanza della società civile sarà infatti invitata alle consultazioni che dovrebbero portare alla scelta di un nuovo premier, scongiurando fra l’altro le ipotesi di nuove elezioni.

Quello che è certo, è che il nuovo governo avrà un nuovo fiato sul collo.

 

 

Parte il processo Mafia Capitale. Cosa c’è da sapere per seguirlo

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L’aula, nel tribunale di Roma, a piazzale Clodio, è gremita. Già sono tanti gli imputati, 46, poi ci sono gli avvocati, i giornalisti, e i praticanti avvocati e gli studenti di giurisprudenza venuti a vedere il maxi processo romano, Mafia Capitale, perché almeno qualcuno possa impararne sicuramente una qualche lezione.

Nel giorno dell’avvio (il percorso sarà lungo), parlano (entrambi per bocca degli avvocati) Massimo Carminati e Buzzi. Quello di Carminati, Giosuè Naso, in particolare ha tenuto a specificare che per loro questo sarebbe «un processetto dopato da una campagna mediatica». Ci ha poi comunicato che Carminati sarebbe indispettito, tanto per l’uso della parola «mafia», quanto per l’accostamento con la droga che – sia mai – «gli fa veramente schifo».

La settimana prossima il processo si sposterà dentro Rebibbia, carcere romano, nell’aula bunker, meglio attrezzata. E si potrà seguirlo in video, seppur in differita.

Per seguire meglio gli sviluppi vi lasciamo qui un sintetico riassunto della situazione. Che non è proprio «un processetto», converrete, e per questo quello che segue è proprio solo poco più che uno schema.

L’accusa, intanto, è composta dai Pm Giuseppe Cascini, Paolo Ielo e Luca Tescaroli, guidati da Giuseppe Pignatone, procuratore capo. La loro inchiesta spazia dalle opere pubbliche in città alla gestione dei migranti, e quindi al mondo delle cooperative. Lo spettro è vasto, ed è ben reso dalla varietà degli indagati, molti dei quali sono già arrestati, i più ai domiciliari alcuni (come Buzzi e Carminati) in carcere, costretti a seguire il processo in videoconferenza. Si va da Massimo Carminati, l’ex terrorista dei Nar, quello che per i Pm è il vertice dell’organizzazione, Salvatore Buzzi, capo della 29giugno, e Luca Odevaine, vicecapo di gabinetto con Veltroni e poi membro del tavolo nazionale sui migranti, fino a Fiscon, ex amministratore delegato dell’Ama, a consiglieri e assessori comunali (come Coratti, Patané, del Pd, o Tredicine e Gramazio per Forza Italia) e a una serie di personaggi minori, le cui facce non avreste riconosciuto al debutto in tribunale (e non solo perché smagrite): militanti dei partiti che lavoravano con Buzzi o impegnati comunali.

Buzzi e Carminati sono accusati da Pignatone di essere a capo di «un’associazione a delinquere di stampo mafioso». Ecco perché Carminati si dice offeso. Il procuratore capo di Roma parla di un «ramificato sistema corruttivo» per l’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal comune di Roma e dalle aziende municipalizzate. Nelle aree verdi romane regna l’incuria: questo processo è dunque una possibile risposta.

E se Luca Odevaine dice «a Roma non c’è un sistema mafioso che gestisce la città. Io non c’entro nulla con Carminati, affronto serenamente questo processo dopo un percorso che mi ha portato a collaborare con i magistrati», è bene ricordare che quanto invece sostenuto da Pignatone: «Nella capitale non c’è un’unica organizzazione mafiosa a controllare la città, ma ce ne sono diverse. Oggi abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato Mafia capitale, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo mafioso».

Per fare luce sui fatti, molte saranno le testimonianze interessanti, che arriveranno nelle prossime settimane. Tra queste quella di due ex sindaci, Ignazio Marino e Gianni Alemanno. Parleranno anche Gianni Letta e l’attuale ministro, già capo delle cooperative, Giuliano Poletti.

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NoTav, dal banco degli imputati a quello dell’accusa. In Val Susa arriva il Tribunale dei Popoli

«Le popolazioni devono essere consultate prima di interventi statali o privati che modificano l’ambiente in cui vivono, e che possono incidere sulla loro salute e sul loro modo di vivere. Non farlo è una grave violazione del diritto degli esseri umani a una vita degna», scrive il giornalista e scrittore uruguaiano Raul Zibechi in uno dei tanti messaggi di sostegno al Tribunale Permanente dei Popoli dedicata a Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere. Per rivendicare questo diritto, in Val Susa, dal 5 all’8 novembre si terrà la sessione conclusiva del Tpp su grandi opere e diritti fondamentali dei cittadini e delle comunità locali (per leggere il programma dettagliato potete cliccare qui).

L’accusa

Dal Tav al Mose, dal Muos a Notre Dame des Landes. Sul banco degli imputati del Tribunale permanente dei popoli (Tpp) ci sono le grandi opere d’Italia e d’Europa, «espressione di una politica che nega diritti e cancella spazi di democrazia», dicono i promotori: «I cittadini europei sono vittime delle politiche neocoloniali dei loro governi e delle grandi lobby economiche e finanziarie». Erede del Tribunale Russell – l’organismo indipendente e non ufficiale fondato da Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre nel novembre 1966 per indagare sui crimini commessi dall’esercito statunitense nella guerra del Vietnam – il Tpp indaga sulla violazione dei diritti fondamentali di una intera comunità, costretta a difendersi da governi e grandi lobby.

volantino Tpp in ValSusa

 

Le tappe del percorso

Il cammino ha inizio l’8 aprile del 2014, quando il Controsservatorio Valsusa presenta un esposto (qui il testo dell’esposto) al Tpp denunciando la violazione di diritti fondamentali dei cittadini e della comunità della Valsusa in relazione al progetto della linea Tav Torino-Lione. 
L’esposto porta anche le firme del presidente e del vicepresidente della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone e di numerosi sindaci e amministratori locali. E il sostegno del movimento NoTav, migliaia di cittadini si esprimono favorevolmente alla resistenza che da 25 anni coinvolge la Valsusa. Cinque mesi dopo, il 20 settembre 2014, il Tpp accoglie l’esposto e, di più, apre una specifica sessione dedicata ai Diritti fondamentali, partecipazione delle comunità locali e grandi opere (qui la risposta del Tpp). 
E sotto esame non c’è solo la Tav, ma anche altre realtà italiane e non solo: Mose, Sottoattraversamento Av di Firenza, Muos, Notre Dame des Landes, le testimonianze sudamericane di Ernesto Cardenal dal Nicaragua, di Mons. Raul Vera e Gustavo Esteva dal Messico, Flavio Valente dal Brasile
. Altri sei mesi e, il 14 Marzo 2015, a Torino si inaugura la sessione del Tpp. In una gremita Aula magna, l’Università ospita il movimento NoTav che per la prima volta salta il banco degli imputati e passa a quello dell’accusa. In questi giorni, dal 5 all’8 novembre è in corso la sessione conclusiva. La giuria (qui la composizione della giuria) è composta da giudici provenienti da provenienti da Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Cile e Colombia. La “sentenza” verrà pronunciata domenica 8 e, data l’autorevolezza e il peso del Tpp (qui alcune info sul Tribunale dei popoli ), stavolta le ragioni dei NoTav non potranno rimanere inascoltate.

È possibile seguire la diretta, con gli aggiornamenti e gli atti prodotti sul sito Controsservatoriovalsusa.org

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Bush senior contro Cheney e Rumsfeld: «Arroganti e rabbiosi, hanno danneggiato mio figlio»

Nella sua biografia Bush il vecchio spara a zero contro l’amministrazione di suo figlio e i neocon che ne hanno guidato la risposta agli attentati dell’11 settembre 2001. Il libro, scritto di Jon Meacham, si basa su diari audio che George H. W. Bush ha registrato durante la sua permanenza alla Casa Bianca (1989-1993) e su interviste registrate negli anni successivi – nelle quali, appunto, Bush padre parla dell’esperienza presidenziale di suo figlio.

Parlando di Cheney, suo Segretario alla Difesa e vice del figlio, l’ex presidente dice: «No so, ha adottato una linea molto dura ed è diventato una figura diversa da quella del Dick Cheney che ho conosciuto e lavorato». Sia Rumsfeld che Cheney vengono definiti «arroganti» e «troppo duri» (“iron ass”, culo di ferro, dice Bush).

Bush critica anche suo figlio – pur difendendone l’operato nel complesso – per aver dato troppo spazio e potere a Cheney «Che si era costruito un Dipartimento di Stato parallelo» e per il discorso sull’asse del male «che non ha portato nulla di buono». Il riferimento è all’idea che oltre al suo team anche pezzi della famiglia Cheney (la moglie Lynne e la figlia Liz) ne influenzassero le scelte politiche.

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Altri complimenti per Cheney e Rumsfeld vengono quando Bush padre parla di arroganza e incapacità di pensare a politiche in Medio Oriente che non fossero portare la guerra. L’idea di Bush senior è che l’ala che guidava la politica militare ed estera degli Stati Uniti in quegli anni abbia seguito senza riflettere le idee dei falchi del Pentagono.

Quanto a Rumsfeld, Bush lo definisce arrogante e spiega: «Non mi piace quel che ha fatto e credo che abbia danneggiato il presidente (…) c’è poca umiltà nel suo modo di fare e non ascolta quel che gli interlocutori dicono».

Che il presidente sia stato danneggiato dai falchi neocon che hanno preso in mano la gestione degli affari correnti dopo l’11 settembre è un dato assodato. Difficile difendere un presidente tra i più deboli che si siano visti nella storia Usa. Il padre non lo difende troppo, ma spiega: «E’ mio figlio, è ovvio che stessi con lui».

Quanto a Cheney, la sua risposta non è tardata: parlando con FoxNews ha detto di essere lieto di essere stato definito iron ass, «lo prendo come un complimento – aggiungendo che – in famiglia spesso scherziamo sull’influenza che avevano mia moglie e mia figlia. E’ il punto di vista di Bush, ma nessuno ha lavorato per indurire le mie scelte, ci sono arrivato per conto mio». E’ pure vero che Liz ha lavorato al Dipartimento di Stato negli anni di Bush e che assieme a lei, Cheney ha scritto Exceptional, why the world needs a powerful America, un libro in cui si spiega che Obama ha ridimensionato il potere americano.