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Se potessi avere 500 euro all’anno…

Tanto per riflettere sulle diseguaglianze della Buona scuola. Nella sala insegnanti di ogni scuola d’Italia d’ora in poi siederanno fianco a fianco due tipi di insegnanti. Uno di serie A e l’altro di serie B. Fanno lo stesso lavoro, le stesse ore, nelle stesse classi. Ma alcuni avranno sul proprio conto corrente (la spedizione è già iniziata) il bonus di 500 euro per la formazione e l’aggiornamento, altri invece non avranno assolutamente niente. Sì, perché il provvedimento contenuto nella Legge 107/2015 “Carta del docente” (qui il testo) esclude una bella fetta di docenti. Non godranno dei benefici della “Carta” infatti tutti quei docenti che non rientrano nel piano straordinario delle assunzioni e che hanno ricevuto “soltanto” una supplenza annuale e che quindi lavoreranno fino al 30 giugno o i più fortunati fino al 31 agosto. Per loro, che sono quelli che forse ne avrebbero più bisogno, visto che guadagnano meno, niente soldi per la formazione. Eppure potrebbero essere loro i più privilegiati, visto che sono precari. Invece la legge prevede i soldi per aggiornamento informatico, per spettacoli, musei, acquisto di libri o corsi di formazione, solo per i docenti attualmente di ruolo, così come quelli che saranno assunti nella fase C del piano straordinario, a novembre, circa 50mila. Secondo il sindacato Anief rispetto ai 650mila insegnanti che riceveranno il bonus, sono circa 300mila i lavoratori della scuola che rimarranno a bocca asciutta. In questo numero l’Anief fa rientrare anche tutto il personale Ata (amministrativi, tecnici e ausiliari) che, secondo il sindacato autonomo, avrebbe diritto alla formazione al pari dei docenti.

Per questo motivo l’Anief avvia un ricorso al Tar che scade il 19 novembre (qui). E anche la Flc Cgil annuncia che proporrà «di valutare eventuali azioni legali per chiedere l’attribuzione del bonus anche a coloro che ne sono rimasti esclusi».

Intanto, entro il 31 agosto 2016 tutti gli altri, i fortunati del bonus, dovranno presentare la rendicontazione delle spese effettuate. Tra l’altro, con proteste (vedi qui) da parte dei dipendenti delle segreterie amministrative che si troveranno una mole di lavoro immensa. Immaginatevi verificare gli scontrini o i biglietti degli spettacoli…

Infine, al di là degli annunci autoincensanti da parte del premier sulla Carta docente – che comunque è una buona cosa se fosse data a tutti -, ricordiamo che il contratto nazionale degli insegnanti è fermo da sei anni e che gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi d’Europa. Lo stipendio medio va da un minimo di 23mila euro per la scuola primaria e dell’infanzia ai 38mila nei licei. In Spagna un insegnante guadagna 46mila euro, in Francia 47mila, in Germania fino a 70mila, come racconta il rapporto Eurydice (qui).

E dulcis in fundo, il bonus è su un cedolino a parte, cioè è un importo decontrattualizzato. Insomma, una specie di mancia. Domanda: per ingraziarsi i prof che durante i mesi scorsi hanno combattuto la Buona scuola, promettendo di non votare Pd? Vedremo…

 

Metti una sera al bar di via Cestio

Gianluca mette i portacenere di plastica che sennò poi se li tirano addosso e glieli rompono. Mica per romperglieli che se li tirano, ma perché a un certo punto è possibile che scatta la rissa. Ma nemmeno ci sta sempre la rissa. Io per esempio ne ho vista una sola. Poi è arrivata la polizia. Stavamo tutti fuori perché un dentro vero al bar di Gianluca non ci sta. Il bar è piccolo, è sul marciapiede della Tuscolana. E insomma stavamo fuori e arrivano due macchine della polizia e scendono i poliziotti con la mano sulla pistola e fanno un gran casìno come se devono arrestare i terroristi e invece ci stiamo solo noi e non ci stava più nemmeno la rissa. Che poi non era proprio una rissa. Era che due s’erano messi a urlarsi contro cose del tipo Io ti spacco la faccia e roba del genere.

E io m’ero pure messo in mezzo. Dicevo una cosa del tipo Ragazzi calmatevi sennò arrivano le guardie, che infatti sono arrivate e sono scese dalle macchine come se c’era una rapina americana di quelle dei film che sparano col mitra e invece no. Invece c’eravamo noi che stavamo seduti a bere e a chiacchierare, però sono bastati quei cinque minuti di strilli e qualcuno ha chiamato le guardie. E queste ci urlavano che non dovevamo muoverci e gli dovevamo dare i documenti e a un certo punto io gli ho pure detto Vi stiamo dando i documenti e non ci muoviamo, è inutile che me lo ripeti. E infatti poi si sono dati una calmata. Poi me ne sono andato a casa ché s’era pure messo a piovere, ma insomma ci sarei andato lo stesso perché erano quasi le tre di notte. E mentre me ne tornavo a casa col furgone, piano piano, ho pensato a quello che era appena successo, cioè al fatto che mi ero messo in mezzo a due che si volevano spaccare la faccia e uno c’aveva pure la bottiglia in mano e magari me la spaccava in faccia o comunque bastava pure una gomitata o uno schiaffo che m’avrebbe sbattuto per terra. Io con le botte non sono mai stato proprio capace. E poi ho pensato che sono arrivate le guardie e noi al bar eravamo tutti tranquilli, ma magari c’era uno con la coca e cercava di scappare e quelli tiravano fuori la pistola per davvero o uno ubriaco che sbroccava o magari puro uno messo male con la testa che se vede le guardie imbastisce un casìno. Insomma, ho pensato che dopo le botte che potevo prendere nella rissa ci poteva scappare anche qualche casino con la polizia. E che potevo anche essere io quello che combinava il casino per il fatto che alla guardia gli ho detto che doveva abbassare la cresta perché lì al bar ci stava tutta gente tranquilla.

Che poi se ne sentono tante di storie di gente che viene menata dalle guardie. Uno a Milano è morto proprio così, cioè stava al bar e qualcuno ha chiamato la polizia che è arrivata, dice che Ferulli, così si chiamava quello che è morto, forse c’ha mezzo litigato e quelli hanno detto che dovevano fermarlo in qualche maniera e l’hanno fatto. Tant’è che poi è proprio morto. C’ha avuto l’infarto. Ma poi al processo hanno detto che il motivo dell’infarto non sono le botte, ma lo stress. Cioè che le botte gli hanno provocato uno stress che poi gli ha provocato l’infarto. Così hanno detto. E poi c’era pure quell’altro che è morto sempre nel settentrione, precisamente a Varese. Io c’ho dei parenti da quelle parti, ma non c’entra niente con la storia che sto scrivendo e nemmeno col film che ho appena girato e che sarebbe il motivo di questo articolo sulla rivista Left, ma se continuo di questo passo vado troppo fuori tema e allora riparto da Varese. Sì, appunto, a Varese è morto Giuseppe Uva. Pure lui aveva bevuto un po’, ma non stava più al bar, stava per strada con un amico e hanno spostato una transenna e allora deve essere successo pure lì che qualcuno ha chiamato le guardie. Poi il giorno appresso Giuseppe era morto.

E insomma io me ne torno a casa piano piano e penso a questa rissa e poi alle guardie e poi a questi due morti e vado piano perché se mi fermano e mi fanno il palloncino magari mi levano pure il furgone.

E questa cosa è successa una notte al bar all’angolo di via Lucio Sestio dove c’è anche la macchinetta per le fototessera e l’entrata della metro. Per il resto di litigate vere e proprie non ne ho viste, ma Gianluca è preoccupato per i portacenere e ha messo quelli di plastica.


Dopo il film La pecora nera, Ascanio Celestini torna al cinema con Viva la sposa, un film che racconta poeticamente il suo quartiere di nascita, il Quadraro, fra crisi economica e inaspettate visioni, come quella della bella bionda che attraversa le strade vestita da sposa. Ad interpretarla è Alba Rohrwacher. Accanto a lei Salvatore Striano, Francesco De Miranda, Veronica Cruciani e molti altri, compresa la bravissima Barbara Valmorin. Dopo la presentazione allo scorso festival del cinema di Venezia il film è in sala (questo articolo è comparso sul numero 40


 

E le bottiglie? gli faccio. Infatti pure quelle si tirano. Infatti ci stanno certi posti dove la bottiglia di birra la tiene in mano solo il barista. A te ti danno il bicchiere di plastica. A Bologna uno m’ha dato anche il vino nel bicchiere di plastica. Mi fa tutta la tiritera sui vini speciali che vende lui e poi mi mette il vino speciale nel bicchiere di plastica. Era al centro di Bologna in un bar fichetto. Poi è entrata una coppia di fichetti che conoscevano il barista e a loro gli ha dato il vino nel bicchiere di vetro. Il barista fichetto se n’è fregato che stava facendo una brutta figura con me. Non sono cliente, ecco tutto. Coi clienti fichetti fa il gentile, con me no.

Ma tornando al bar di Gianluca, beh quello è il posto che doveva essere il bar del mio film. Gianluca me l’ha detto cento volte Allora? quando lo giriamo ‘sto film? E invece non è stato possibile perché sta troppo in mezzo alla strada e per i permessi è un casìno, e poi c’è troppo rumore di giorno. Però Gianluca nel film mio ci sta. Mi da due bottiglie di Sambuca in una delle ultime scene. Io mi prendo la Sambuca e monto sul furgone proprio come quando andavo al bar di Gianluca per davvero e poi rimontavo sul furgone. E poi nel film ci stanno tutti quelli che stanno al bar. Cioè non proprio quelli veri, ma gente come loro. Gente come Agostino che è sardo e ogni tanto è un po’ triste. Gente come Stefano che stavo a comprare un computer da lui e m’ha lasciato il numero e invece del cognome mi dice Scrivi Stefano Microchip. E poi Marco detto Scimmia che mi dice degli anni Sessanta e delle pipe a terra che facevano ai prati dell’Appio Claudio. Marco è il tipo che gli offri una birra e poi lui te la apre col suo multiuso e col tappo ci fa uno scarabeo. E ci sta pure Magnum che ha saputo che facevo un film e lui s’è messo a cantare. Giulia ha detto Ammazza che canna! Dove la canna sarebbe la gola, che cioè significa che c’ha una voce potente. Non mi ricordo se ha detto proprio canna, comunque potrebbe essere che ha detto proprio canna, e se non era canna, era una cosa del genere. E poi un sacco di altra gente tipo Laura, Angela, Jim eccetera. Gente tipo quello che non avevo mai visto e mi fa Che me accompagni a casa col motorino, perché quella volta stavo col motorino e non col furgone che sta pure nel film. E io gli ho fatto presente che avevo solo un casco. E lui E vabbè, allora non se lo mettemo nessuno dei due er casco, e a me mi è sembrato un pensiero filosoficamente ineccepibile.

Nelle ultime duecentocinquanta parole che posso scrivere in queste pagine vorrei spiegare al lettore il perché di questo racconto che sembra che non parla per niente del film (Viva la sposa ndr), invece sì. Vedrai che nel mio film ci stanno i morti, le macchine incendiate, gli incidenti con l’effetto speciale, c’è l’amore ricambiato, ma anche no. Ci stanno prostitute e truffatori e uno viene anche massacrato di botte dalle guardie. Chi sono tutti questi personaggi? Che è questa storia? Allo spettatore gli dico Pensa che tutto quello che vedi è già successo. Pensa che tutti quei personaggi vivono come se fossero già morti da un secolo e vanno incontro al destino come se ce l’avessero già dietro le spalle e non hanno più niente da perdere. Pensa che non stai al cinema a vedere il film. Pensa che stai al bar. Spettatore, pensa al tuo bar, quello dove passi due minuti o tre ore, quello che ti fa piacere starci dentro anche solo per il caffè ristretto bevuto in fretta come i ciclisti che pisciano in corsa. Ecco, pensa che il mio film non è un film, ma una storia che senti al bar. Una storia di gente che non c’è più, ma che è uguale alla gente che c’è ancora e pure a te. E soprattutto ricordati che questa storia la racconta un attore ubriaco.

Bombe russe sugli ospedali in Siria. E’ la guerra aerea

L’ultimo bombardamento aereo russo in Siria ha causato almeno 13 morti: Sarmin, un villaggio della provincia di Idlib nella Siria nord-occidentale, e il suo ospedale da campo sono stati colpiti e distrutti. Almeno tre delle vittime facevano parte del personale medico che stava lavorando all’interno della struttura. Sopravvissuti e testimoni hanno confermato che l’ospedale è stato colpito da due attacchi aerei, molto ravvicinati l’uno all’altro. Secondo un portavoce del ministero della Difesa di Mosca, il generale Igor Konashenkov, obiettivo del raid sarebbe invece stato un “sito d’incontri tra capi di bande terroristiche” e lo “scantinato di una costruzione in abbandono”, dove sarebbero stati preventivamente avvistati da droni nove fuoristrada armati con mitragliatrici. Il bersaglio, ha dichiarato sempre il generale russo, sarebbe stato individuato mediante “intercettazioni radiofoniche”.

Le affermazioni della Russia sui suoi attacchi, a detta del governo esclusivamente mirati contro lo Stato Islamico, contrastano con le prove sul campo: le aree più pesantemente bombardate sarebbero zone in cui non è stata rilevata una significativa presenza dell’Isis. A rendere noto l’errore militare è stato Rami Abdel Rahman, direttore dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, organizzazione dell’opposizione non radicale in esilio, con sede a Londra, la cui denuncia è stata seguita da quella della Sams-Syrian American Medical Society, la fondazione privata americana responsabile appunto della struttura, il cui personale ha confermato l’attacco parlando di “ingenti danni” riportati dal complesso. Il Dr. Mohamed Tennari, direttore dell’ospedale di Sarmin, ha espresso forti dubbi sulla non intenzionalità dell’attacco: ha detto che la struttura sembrava essere stata presa di mira, probabilmente perché così non avrebbe più potuto fornire aiuto e cure mediche ai pazienti su una delle linee di guerra più pericolose e martoriate dagli attacchi. Inoltre ha raccontato che l’ospedale era già stato il bersaglio di almeno 10 altri attacchi aerei precedenti. Molte organizzazioni mediche internazionali hanno più volte confermato i dubbi del Dr. Tennari, sostenendo che le strutture sanitarie nelle zone di confine o in quelle dove le forze di opposizione sono più forti, vengono sistematicamente prese di mira.

L’associazione Medici per i Diritti Umani ha documentato, dall’inizio delle proteste contro il regime di Bashar al-Assad nel marzo 2011 alla fine di agosto 2015, ben 307 attacchi contro strutture mediche e la morte di almeno 670 persone che facevano parte del personale medico. «Le forze governative siriane sono state responsabili per oltre il 90% di questi attacchi, ognuno dei quali costituisce un crimine di guerra», ha dichiarato l’organizzazione. Khaled Almilaji, il direttore dell’associazione Medical Relief in Siria, ha detto: «il mondo intero dovrebbe indignarsi ogni volta che succede una cosa del genere, come è successo dopo l’attacco statunitense che ha distrutto l’ospedale di Kunduz in Afghanistan. La rabbia non può e non deve essere solo diretta nei confronti di Bashar al-Assad, che indubbiamente è stato disumano con noi. I russi sono altrettanto violenti, hanno solo tecnologie più sviluppate e sono più accurati nei bombardamenti. Nelle ultime tre o quattro settimane gli attacchi aerei (guidati dalle forze dell’aviazione russa) sono diventati molto precisi e molto intensi: questo ha fatto sì che la situazione peggiorasse e il numero degli sfollati aumentasse tantissimo».

Il direttore di Medici per i Diritti Umani, Widney Brown, si è spinto ancora oltre, sostenendo che la Russia stia ormai seguendo le orme del regime di Assad e che la lotta contro i terroristi non debba poter concedere ai governi il diritto di venir meno alle leggi di guerra, in particolare quando il risultato è colpire la salute di chi lavora e i servizi base per la popolazione, come l’assistenza sanitaria. Dall’inizio della campagna aerea contro l’Isis, meno di un mese fa, l’aviazione russa è stata già più volte accusata di aver colpito strutture sanitarie, anziché obiettivi militari: lo scorso 2 ottobre, sempre l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, aveva riferito di bombardamenti di un ospedale da campo nella provincia costiera di Latakia, e di un altro in quella centrale di Hama. Mentre altri due episodi simili nella provincia settentrionale di Aleppo erano stati segnalati la scorsa settimana dal giornalista e attivista umanitario Maamoun al-Khatib.

Sei videocamere mostrano a 360° le condizioni in cui si trova la Siria dopo quattro anni di guerra civile. Attraverso l’uso del cursore è possibile spostarsi in tutte le direzioni. Il reportage, realizzato dall’agenzia siriana Smart News, attraversa Jisr al-Shughur, una delle città al confine con la Turchia più colpite dal conflitto: fino al 2011 era abitata da 40 mila persone, adesso è sotto il controllo dei ribelli e ciò che resta sono solo cumuli di macerie.

L’accordo Usa-Russia sugli incidenti aerei

Intanto Usa e Russia hanno firmato un accordo per evitare incidenti aerei in Siria: lo ha confermato il Pentagono, che in una nota ufficiale ha specificato che «le discussioni che hanno portato a questo accordo non costituiscono una collaborazione o un sostegno statunitense alle politiche o alle azioni russe in Siria. Al contrario, continuiamo a credere che la strategia di Mosca sia controproducente e che il suo appoggio al regime di Assad aggravi la guerra civile». Conferme arrivano anche da Mosca: «questa mattina abbiamo ricevuto un memorandum approvato dai nostri colleghi americani per prevenire gli incidenti aerei in Siria tra l’aviazione russa e quella Usa, che regolerà sia i velivoli pilotati che i droni», ha dichiarato Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russa. Non appena l’accordo entrerà in vigore, saranno stabiliti canali di comunicazione 24 ore su 24 tra i comandi dell’esercito russo e americano. Stando al ministero della Difesa russo, gli Usa si sono impegnati a comunicare i dettagli del memorandum ai partner della coalizione anti-Isis in modo che anche loro possano seguire le stesse regole. Intanto, secondo media turchi, Mosca avrebbe negoziato con Ankara e la Nato un’uscita di scena soft per Bashar Al-Assad. Il presidente siriano potrebbe restare in carica sei mesi, con un ruolo simbolico, durante la prima fase della transizione.

Siamo tutti supereroi, cosa trovate sul prossimo Left

C’è una ”rivoluzione gentile” in corso, anche se non fa molto rumore. È quella dei supereroi della Marvel, la storica casa editrice di tanti personaggi dell’immaginario a fumetti, da Spider Man a X-Men, da Capitan America a Iron Man. Left questa settimana sceglie di raccontare la loro trasformazione in persone come tutti noi. Per esempio il protagonista della saga di Thor, il dio del tuono, non è più un lui ma una lei. E non è lady Tohr, è Thor e basta. Una donna che oltre a combattere i cattivi conduce una personale battaglia contro il cancro al seno. E lo stesso dicasi di Spider Man che non è più uno studente liceale ma un adolescente per metà portoricano e per metà afroamericano. Chi sono oggi i supereroi lo spiega a Left anche l’attore Claudio Santamaria interprete del film Lo chiamavano Jeeg robot, un eroe romano, ex ladruncolo, che usa i suoi superpoteri per combattere criminali di basso taglio che vagano nella metropoli. Left ha anche coinvolto Zerocalcare i cui personaggi, dice il disegnatore romano, «Non hanno nulla di eroico». Una nuova gentilezza dei miti del fumetto che viene colta anche dal filosofo Giulio Giorello che tra tanta saggistica ha dedicato un libro a Topolino. Infine, le strisce di Marco Corona disegnate appositamente per Left e dedicate alla Marvel.

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In Società un reportage dietro le quinte del raduno dei Cinque Stelle a Imola, con il sindaco di Parma Federico Pizzarotti che critica la mancanza di riflessione sui contenuti. E ancora per la politica, Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio ed esponente di Sel che dice la sua sulle prossime amministrative e sul rapporto col Pd.  Ma a quali diritti hanno diritto gli artisti? Un ampio sfoglio per parlare di Imaie e di rivendicazioni del gruppo Artisti 7607. E ancora: l’attendibilità dell’Auditel e lo scontro fra le emittenti; la crisi e gli italiani nel nuovo libro di Roberta Carlini, di cui Left pubblica un’anticipazione. Negli Esteri, il far west Gerusalemme alle prese con la nuova Intifada, il racconto di una ragazza turca militante curda, e un reportage da Opatovac, campo profughi sulla rotta balcanica. Infine, il musicista ivoriano Tiken Jah Fakoly ci parla delle elezioni in Costa d’Avorio. Questa settimana poi ad aprire la cultura ci pensa Erri De Luca dedicando uno scritto alla Resistenza. Poi scienza e trasparenza con Pietro Greco e lo psichiatra Massimo Fagioli che celebra i 40 anni dell’Analisi Collettiva. Infine, il punto sulla legge di iniziativa popolare sul fine vita e la vicenda dolorosa di Max Fanelli, mentre negli Spettacoli il regista francese Patrice Leconte racconta il suo nuovo film. A chiudere, una lunga intervista alla drammaturga Emma Dante.

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Left numero 41 è disponibile in edicola e in digitale dal 24 ottobre

 

SOMMARIO       ACQUISTA

Una zuppa per la Siria: 80 chef e un libro per l’Unhcr

Una zuppa per i rifugiati, ma non nel senso di pasto caldo. Un libro di zuppe, Soup for Syria. L’idea di raccogliere decine di ricette (80) da chef di fama internazionale e pubblicare un libro e donare i fondi al lavoro di assistenza dei rifugiati siriani è venuta a Barbara Abdeni Massad, fotografa e autrice libanese, che nei mesi scorsi ha osservato la nascita e la crescita di un campo profughi nella valle della Beekaa. Per tutto l’inverno scorso ha passato i fine settimana a cucinare pasti caldi per una cinquantina di famiglie, andandoli a distribuire  nel campo dove oggi vive mezzo milione di persone.

Poi le è venuta l’idea del libro e, coinvolgendo l’editore e mettendosi al lavoro ha radunato grandi firme della cucina internazionale, specie quelle almeno un po’ impegnate. Tra queste Alice Waters, la chef che ha portato il chilometro 0 negli Stati Uniti (e oggi vicepresidente di Slow Food Usa), l’israeliano Yotam Ottolenghi e il palestinese Sami Tamimi, il cui libro a quattro mani “Jerusalem”, è stato un successo editoriale planetario, lo chef americano Anthony Bourdain e il cuoco/critico/giornalista del New York Times, Mark Bittman. Tra le ricette anche alcune provenienti da sotto le bombe, come quella della zuppa di lenticchie rosse dell’architetto di Aleppo Haziz Allaj.

Tutti gli incassi delle vendite del volume andranno tutti ad Unhcr e delle spese di stampa e distribuzione si sono fatti carico gli editori: Interlink negli Usa e Pavillon e Guardian Bookshop per la Gran Bretagna. Il progetto prevede di raccogliere fondi anche organizzando e promuovendo l’organizzazione di cene collettive in “case, chiese, sinagoghe, moschee, biblioteche scuole o qualsiasi altra organizzazione”. Chissà che qualcuno non si decida a tradurre il libro anche in Italia.

Qui sotto abbiamo tradotto la ricetta della zuppa di finocchi dello chef australiano-libanese Greg Malouf

soup

(6-8 persone)
60ml di olio extravergine di oliva
2 cipolle affettate,
2 piccoli spicchi d’aglio, tritate grossolanamente
2 porri, tagliati e tritate grossolanamente
3 grandi finocchi affettati,
2 patate sbucciate e tagliate a dadini,

1,5 litri di brodo di pollo
Stecca di cannella 1
Buccia di ½ limone
½ cucchiaino di pimento
2 foglie di alloro
Sale e pepe nero, a piacere
2 tuorli d’uovo
Panna 120ml
Succo di 2 limoni

1 cucchiaino di cannella in polvere e 3 cucchiai di prezzemolo fresco, per guarnire

Scaldate l’olio e fate soffriggere cipolle, aglio, porri e finocchi per qualche minuto. Aggiungete le patate, il brodo, la stecca di cannella, buccia di limone, pimento e foglie di alloro. Portare a ebollizione, poi lasciate cuocere dolcemente per 20 minuti. Rimuovere la cannella, limone e alloro, e la stagione. In una ciotola a parte, sbattere i tuorli d’uovo e la panna, poi mescolare in un grande cucchiaio di zuppa. Frullare bene, poi punta nella minestra. Lentamente ritornare la zuppa appena al di sotto bollente, mescolando. Togliere dal fuoco e regolare il condimento con sale, pepe e succo di limone. Drizzle ogni ciotola con olio e cospargere con cannella e prezzemolo.

Migranti e rifugiati, il rapporto del Viminale si dimentica degli interessi criminali

Il Viminale ha presentato l’ormai consueto “Rapporto sull’accoglienza di migranti e rifugiati in Italia”: meno sbarchi e più richieste di asilo, nuove rotte e geografia di partenza. Il ministro Alfano ha snocciolato ogni singolo dettaglio: chi sono, quanti anni hanno, da dove provengono, dove vanno e dove vorrebbero andare, quanto costa accoglierlo. Ma tralasciando un “piccolo” dettaglio: non vi è alcuna traccia delle attività criminali sulla pelle dei migranti. «È preoccupante il silenzio sugli affari che si nascondono dietro i migranti», hanno subito evidenziato LasciateCIEntrare, insieme a Cittadinanzattiva e Libera: «Evidenziamo il mancato e totale riferimento alle illegalità, alle opacità, ai grandi affari che mafie e corruzioni, come dimostrano le recenti inchieste, hanno operato sulla pelle dei migranti. Alla politica, alle Istituzioni chiediamo trasparenza sulla gestione del sistema di accoglienza per richiedenti asilo».
Intanto, nei centri di accoglienza per migranti continua a succedere di tutto. A Mineo si continuano a susseguire gli scandali. A Pozzallo oltre cento persone sono state espulse nelle ultime settimane: donne, anche incinte, minori e persone “vulnerabili”, lo ha denunciato Medici senza frontiere, dicendosi preoccupata «per questo improvviso cambiamento nelle procedure di identificazione” e si aspetta “un chiarimento da parte delle autorità competenti».

 

Migranti a bordo della nave P.03 "Denaro" della guardia di finanza dopo essere stati tratti in salvo al largo delle coste libiche, Mar Mediterraneo 22 aprile 2015..ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Un migrante a bordo della nave P.03 “Denaro” della Guardia di finanza dopo essere stato tratto in salvo al largo delle coste libiche, Mar Mediterraneo

Chi sono i richiedenti?

Il Viminale, riepilogando sui dati del 2014, definisce la situazione «del tutto singolare a livello europeo», per la ridotta presenza di donne (7,6%) e minori (6,8%), (le medie Ue sono rispettivamente del 29,7% e 25,5%).
Provengono da Paesi africani (4 tra i primi 5 paesi d’origine); le prime tre nazionalità sono la Nigeria (10.138, +188% sul 2013), il Mali (9.771, +441%) e il Gambia (8.556; +386%). Infine, analizzando l’applicazione del regolamento di Dublino III, il Rapporto fa notare come “il numero dei trasferimenti effettivi sia molto esiguo rispetto alle richieste di competenza dei Paesi”. I dati italiani al primo semestre 2015 registrano 4.871 richieste di competenza dall’Italia ai Paesi membri Ue, a fronte di 14.019 richieste di competenza dai Paesi Ue all’Italia, mentre al 7 settembre sono rispettivamente 7.071 e 17.224. I principali stati membri richiedenti sono Germania (5.218), Svizzera (3.502), Svezia (1.318), Francia (986), Austria (838), Norvegia (562), Regno Unito (442), Danimarca (314), Paesi Bassi (269). Le principali nazionalità in relazione alle richieste di competenze sono Eritrea (2.898), Somalia (1.672), Siria (1.465), Nigeria (1.221), Gambia (857), Afghanistan (494)

Chi giudica le richieste d’asilo?

A “decidere” se un richiedente ha diritto a una qualche forma di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria o protezione umanitaria), in Italia ci sono 40 Commissioni territoriali. L’aumento, anzi il raddoppio (da 20 a 40) di questi organi collegiali ha permesso che – oltre a registrare un aumento delle domande di asilo del 31% (dalle 47.130 giunte nei primi nove mesi del 2014 alle 61.545 del 2015) – anche il numero di richieste esaminate dalle Commissioni sia aumentato, del 70% (46.490 nel 2015, contro le 27.393 del 2014). Ma sono cresciute pure le domande rigettate, che quest’anno sono 23.905 contro le 9.564 dell’anno scorso, il passaggio successivo per chi può permetterselo è fare ricorso in tribunale, ricorso quasi sempre accolto. Il Viminale ha sottolineato l’aumento delle Commissioni territoriali, fatto sicuramente importante dal momento in cui l’Italia (con 64.625 domande) è il il terzo Paese Ue per numero di richiedenti asilo (dopo Germania e Svezia). Ed è apprezzabile pure che il Belpaese mantenga un organo collegiale nella funzione giudicante, mentre il resto d’Europa si orienta verso la figura del “commissario”, più veloce nell’assunzione di decisioni – certo – ma che garantisce assai meno chi sta dall’altra parte del tavolo e aspetta di essere “giudicato”.

Cara-Mineo
Il Cara di Mineo

Quanto costa l’accoglienza?

La spesa per l’accoglienza dei migranti in Italia nel 2015 ammonta a 1.162 milioni di euro. In particolare, stima il ministero dell’Interno: 918,5 milioni dovrebbero servire a coprire le uscite per le strutture governative (Cara, Cda, Cpsa) e temporanee e 242,5 milioni quelle per i centri Sprar. Questi costi, precisa il rapporto, «sono in gran parte riversati sul territorio sotto forma di stipendi a operatori, affitti e consumi».

InCAStrati

C’è un secondo – oltre agli interessi criminali – e grande assente nel rapporto del Viminale: i Cas, i Centri d’accoglienza straordinari, ovvero le strutture che (palestre, ex scuole o qualunque stabile buono nell’emergenza) ospitano alla meno peggio oltre 40.000 persone. Dei Cas non c’è una mappa pubblica, non si hanno informazioni sui soggetti gestori, né sulle convenzioni, sulla gestione economica e, soprattutto, rispetto agli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto.

Ricordate la campagna LasciateCIEntrare? Fu il piede di porco che aprì le porte blindatissime dei Cie. Oggi, una nuova campagna si fa largo in Italia: InCAStrati – promossa da Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare e Libera – che nel mese di giugno ha rivolto al ministero dell’Interno e alle 105 prefetture italiane «un’istanza di accesso civico ai sensi della legge sulla trasparenza (D. Lgs 33/2013), chiedendo la pubblicazione dell’elenco dei Cas presenti sul territorio nazionale, degli enti gestori, di informazioni inerenti gare, convenzioni, rendicontazioni, esiti delle attività di monitoraggio sui servizi erogati». Il ministero e gran parte delle prefetture interpellate – denunciano le tre associazioni – salvo alcune eccezioni, hanno rigettato in buona sostanza le istanze, limitandosi a fornire alcuni dati generici sul numero complessivo degli ospiti delle strutture e sui bandi di gara relativi agli affidamenti, affermando laconicamente che le informazioni richieste non fossero soggette ad obbligo di pubblicazione. E per queste ragioni è stato depositato un riscorso al Tar del Lazio, predisposto dall’avvocato Maria Cento di Cittadinanzattiva-Giustizia per i diritti.

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Robert Capa, ovvero la guerra e il fotogiornalismo

Una foto di Robert Capa la hanno vista quasi tutti una volta nella vita. Nel 1947, con pochi colleghi, anche loro passato alla storia (David “Chim” Seymour, Henri Cartier-Bresson, George Rodger e William Vandivert) ha cambiato il modo di raccontare gli eventi per immagini e fondato la prima agenzia di fotografi freelance della storia, la Magnum. Ebreo ungherese, trasferitosi prima a Vienna, poi a Praga e infine Berlino, ha raccontato la guerra civile spagnola, i primi momenti dell sbarco in Normandia a Omaha beach (di quel reportage rimangono solo 11 foto), la resistenza cinese all’invasione giapponese. E poi anche lo sbarco in Sicilia, Napoli dopo le bombe e la fondazione di Israele. Capa, nato Endre Friedmann, muore nel 1952, saltando su una mina mentre è al lavoro per documentare la guerra tra vietnamiti e francesi.

"Soldati americani a Troina nei pressi della cattedrale di Maria Santissima Assunta, dopo il 6 agosto 1943": una delle foto esposte alla mostra dedicata a Robert Capa. Si tratta di 78 immagini in B/N esposte a Palazzo Braschi a Roma, 2 ottobre 2013. ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum ? Collezione del Museo Nazionale Ungherese +++ DA UTILIZZARE SOLO IN RELAZIONE ALLA NOTIZIA DELLA MOSTRA+++
Soldati americani a Troina nei pressi della cattedrale di Maria Santissima Assunta, dopo il 6 agosto 1943
(ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum, Collezione del Museo Nazionale Ungherese)

"Soldato americano in perlustrazione nei dintorni di Troina, 4-5 agosto 1943": una delle foto esposte alla mostra dedicata a Robert Capa. Si tratta di 78 immagini in B/N esposte a Palazzo Braschi a Roma, 2 ottobre 2013. ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum ? Collezione del Museo Nazionale Ungherese +++ DA UTILIZZARE SOLO IN RELAZIONE ALLA NOTIZIA DELLA MOSTRA+++
Soldato americano in perlustrazione nei dintorni di Troina, 4-5 agosto 1943
(ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum, Collezione del Museo Nazionale Ungherese)

"In coda per l?acqua in una via di Napoli - ottobre 1943": una delle foto esposte alla mostra dedicata a Robert Capa. Si tratta di 78 immagini in B/N esposte a Palazzo Braschi a Roma, 2 ottobre 2013. ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum ? Collezione del Museo Nazionale Ungherese +++ DA UTILIZZARE SOLO IN RELAZIONE ALLA NOTIZIA DELLA MOSTRA+++
In coda per l’acqua in una via di Napoli – ottobre 1943
(ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum, Collezione del Museo Nazionale Ungherese)

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"Benvenuto alle truppe americane a Monreale, 23 luglio 1943": una delle foto esposte alla mostra dedicata a Robert Capa. Si tratta di 78 immagini in B/N esposte a Palazzo Braschi a Roma, 2 ottobre 2013. ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum ? Collezione del Museo Nazionale Ungherese +++ DA UTILIZZARE SOLO IN RELAZIONE ALLA NOTIZIA DELLA MOSTRA+++
Benvenuto alle truppe americane a Monreale, 23 luglio 1943
(ANSA/ Robert Capa © International Center of Photography/Magnum, Collezione del Museo Nazionale Ungherese)

 

epa04100229 A visitor observes with a magnifying glass a contact sheet of the work 'Morgue y Hospital' (Morgue and Hospital) by Herda Caro, during the exhibition 'La Maleta Mexicana' (The Mexican Suitcase) in Mexico City, Mexico, 25 February 2014. The suitcase that was found in Mexico on 2007, with negatives by Robert Capa, Gerda Taro and David 'Chim' Seymour, is not only a precious document about the Spanish Civil War but also has helped Mexican children of refugees to discover photographs of their parents. EPA/ALEX CRUZ
Un visitatore osserva con la lente d’ingrandimento uno dei negativi di scatti di Robert Capa, Gerda Taro e David ‘Chim’ Seymour sulla guerra civile spagnola, ritrovati in una valigia a Città del Messico. (EPA/ALEX CRUZ)

Egitto al voto, parte l’#invecediandareavotare

In this Thursday, Oct. 15, 2015 photo, Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, an independent candidate, waves from a vehicle as she campaigns in her neighborhood in Giza, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. The 40 year-old woman is a manager of a family-owned school. It's her first time to run in elections, and says her family has been supportive of the move. (AP Photo/Eman Helal)

55 milioni di egiziani hanno iniziato a votare domenica 18 ottobre per il rinnovo del Parlamento, sciolto e mai più rinnovato dopo la deposizione dell’ex presidente Mohammed Morsi nel 2013. Secondo un complicato meccanismo elettorale le giornate elettorali sono 4: 18 e 19 ottobre per il primo turno e l’elezione di quattordici governatorati del paese e 21 e 22 ottobre per i restanti tredici governatorati. I risultati finali delle elezioni legislative si sapranno ufficialmente il prossimo 4 dicembre. Il successo del dittatore, ex generale dell’esercito, Abdelfatà al-Sisi, risulta però alquanto scontato. La bassissima partecipazione elettorale registrata finora ha portato gli analisti a considerare l’astensionismo alle urne una vera e propria forma di protesta contro al-Sisi nel Paese. E sui social network, in particolare su Twitter e Facebook, più difficilmente controllabili da parte delle autorità del regime, i giovani egiziani si sono divertiti a scherzare sulla bassa affluenza e sul meccanismo volutamente farraginoso con cui si vota nel Paese.

L’#badal_min_tantajib (“invece di andare a votare”) ha canalizzato tutte le battute e i pensieri di chi non è andato a votare e lunedì 19, il secondo giorno delle votazioni, è diventato un topic di tendenza con più di 7.000 messaggi. L’idea, lanciata da vari attivisti, ha incoraggiato i cittadini a proporre altre attività migliori del recarsi alle urne: un modo originale per promuovere il boicottaggio delle elezioni. Alle elezioni non sono infatti stati ammessi gran parte dei partiti di opposizione laica e islamista, o perché messi fuori legge, come i Fratelli Musulmani, o perché non vi erano le minime garanzie per partecipare alla competizione elettorale. Inoltre, molti osservatori hanno parlato di violazioni fuori dai seggi, inclusi episodi di voto di scambio da parte di singoli candidati, per non parlare dei noti provvedimenti restrittivi presi alla vigilia del voto nei confronti delle donne completamente velate o con abiti succinti, che non possono prendere parte al processo elettorale. Attualmente, non esiste una cifra ufficiale per la partecipazione, anche se fonti governative l’hanno collocata intorno al 22%. Durante il secondo giorno di votazioni, le autorità hanno dichiarato una giornata di festa per i dipendenti pubblici, che rappresentano la maggioranza della forza lavoro, e hanno pubblicamente ricordato che la legge prevede multe di 500 sterline (poco più di 50 euro) per chi non compie il dovere civico di recarsi alle urne. Il regime di al-Sisi dovette già ricorrere a strategie mirate ad aumentare la partecipazione nelle elezioni presidenziali dello scorso anno, che raggiunsero il 46% dei votanti. Come, per esempio, rimandare le votazioni di un giorno, prolungando le votazioni all’ultimo.

«Io sono uno dei primi a partecipare a #badal_min_tantajib, vedrò il film Everest», ha scritto nel suo account Twitter l’attivista Jamal Eddin Bin, poco prima dell’apertura dei seggi. Altri partecipanti invitavano a mettersi lo smalto, a ballare, a bere vodka, o a tirare uno schiaffo a qualcuno a caso, con il pretesto, per esempio, della recente svalutazione della sterlina egiziana nei confronti del dollaro. Tutto, pur di non andare a votare.

Un noto blogger egiziano, The Big Pharaon, ha scritto nel suo account Twitter: «secondo le tendenze di Twitter in Egitto, (l’attore ndr) Morgan Freeman, attualmente in visita nel Paese, è più popolare che le elezioni per il Parlamento».

Nonostante i social network siano espressione di libertà, l’ironia troppo pungente non è sempre piaciuta al regime: Amr Nohan, un normalissimo ragazzo egiziano è stato infatti condannato a tre anni di carcere semplicemente per aver postato su Facebook una foto del presidente al-Sisi con le famose orecchie made in Disney di Topolino. L’accusa principale contro di lui è stata «tentativo di rovesciare il governo».

La prova che i seggi elettorali fossero vuoti è stata così innegabile che anche i media governativi, espressione del regime, hanno dovuto ammettere il fallimento che le elezioni stanno rappresentando. «Il governo annuncia una quota di partecipazione non inferiore al 22%. Non c’era bisogno di annunciarlo, le persone non sono mica cieche!» titolava il quotidiano Al-Dustur. Nelle sue pagine, molti commenti critici sono stati spesi inoltre per la legge elettorale, disegnata ad hoc per favorire il ritorno dei capi locali, molti dei quali membri del disciolto partito di Mubarak.

 

Le foto delle donne impegnate nella campagna elettorale

In this Thursday, Oct. 15, 2015 photo, volunteer Nehal Mohamed makes phone calls to elderly citizens citizens who live in the neighborhood to let them know the location of their polling station, at the headquarters for Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, an independent candidate for parliament, in Giza, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. (AP Photo/Eman Helal)
La volontaria Nehal Mohamed fa delle telefonate per supportare la campagna di Ahmed Abdel (AP Photo/Eman Helal)

 

In this Thursday, Oct. 15, 2015 photo, campaign posters for Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, an independent candidate for parliament, are seen near her campaign headquarters in Giza, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections later this month. Hakeem is a manager of a family-owned school. It's her first time to running in an election and she says her family has been supportive. (AP Photo/Eman Helal)
I poster della campagna di Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, candidata indipendente (AP Photo/Eman Helal)

 

In this Thursday, Oct. 15, 2015 photo, Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, 40, an independent candidate, center, makes last-minute preparations at her campaign headquarters in Giza, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections later this month. Hakeem is a manager of a family-owned school. It's her first time to run in an election and she says her family has been supportive. (AP Photo/Eman Helal)
La campagna elettorale di Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, 40 anni, candidata indipendente. (AP Photo/Eman Helal)

 

In this Thursday, Oct. 15, 2015 photo, Asmaa Ahmed Abdel Hakeem, an independent candidate, center, makes last-minute preparations at her campaign headquarters in Giza, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. The 40 year-old woman is a manager of a family-owned school. It's her first time to run in elections, and says her family has been supportive of the move. (AP Photo/Eman Helal)
(AP Photo/Eman Helal)

 

In this Sunday, Oct. 11, 2015 photo, Hanan Allam, the president of the women's committee and a candidate from the Salafi Al-Nour party, front row left, and Hasnaa Hassan, another candidate, front row second right, attend a women's campaign rally of their party in Alexandria, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. As required by law for all party lists, the ultraconservative Al-Nour party has seven women on each of its two party lists of 15 candidates. Al-Nour supported the military-led ouster of former President Mohammed Morsi and his now-banned Muslim Brotherhood. (AP Photo/Eman Helal)
(AP Photo/Eman Helal)

 

In this Sunday, Oct. 11, 2015 photo, Hanan Allam a candidate from the Al--Nour party, speaks with journalists after attending a women's campaign rally in Alexandria, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. As required by law for all party lists, the ultraconservative Salafi Al-Nour party has seven women on each of its two party lists of 15 candidates. Among the women is Allam, a 45-year-old pediatrician and head of the women's committee at Al-Nour party, which supported the military-led ouster of former President Mohammed Morsi and his now-banned Muslim Brotherhood. (AP Photo/Eman Helal)
Hanan Allam candidata di Al–Nour, il partito erede dei Fratelli Musulmani, messi fuori legge dal presidente Mohammed Morsi and his now-banned Muslim Brotherhood. (AP Photo/Eman Helal)

 

In this Sunday, Oct. 11, 2015 photo, Hanan Allam, a candidate from the Al--Nour party, right, speaks with a woman at a women's campaign rally in Alexandria, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. As required by law for all party lists, the ultraconservative Salafi Al-Nour party has seven women on each of its two party lists of 15 candidates. Among the women is Allam, a 45-year-old pediatrician and head of the women's committee of Al-Nour, which supported the military-led ouster of former President Mohammed Morsi and his now-banned Muslim Brotherhood. (AP Photo/Eman Helal)
Donne che sostengono il partito Al-Nour (AP Photo/Eman Helal)

 

In this Saturday, Oct. 10, 2015 photo, Hanan Allam, president of the women's committee and a candidate from the Al-Nour party, speaks at a campaign rally in Alexandria, Egypt, ahead of Egyptian parliamentary elections. As required by law upon all party lists, the Salafi Al-Nour party is fielding seven women out of the 15 candidates in each of its two party lists. Among the women is Allam, a 45-year-old pediatrician and head of the women's committee at Al-Nour party, which supported the military-led ouster of former President Mohammed Morsi and his now-banned Muslim Brotherhood.(AP Photo/Eman Helal)
Hanan Allam, candidata del partito di Al-Nour durante un comizio elettorale (AP Photo/Eman Helal)

 

 

L’omeopatia? «Manca di una verifica basata su dati significativi»

«La mia opinione sull’omeopatia? Ha una attenzione particolare all’anamnesi e alla storia naturale del paziente quindi ne condivido l’approccio filosofico. Ma non ci sono prove sperimentali che dimostrano l’efficacia dei rimedi omeopatici». Il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, parla con Left nel dibattito sollevato dal professor Garattini, curatore del libro edito da Sironi “Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull’omeopatia”, con i contributi di diversi ricercatori dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri (Irccs). «L’omeopata – prosegue Pregliasco – è particolarmente attento nella fase conoscitiva delle problematiche e della presa in carico del paziente, e questo lo distingue da quei medici che di fronte alla colicisti infiammata si occupano solo… della colicisti infiammata, limitando al minimo indispensabile il rapporto con la persona. Tuttavia, fatte salve le dichiarazioni d’intenti, gli omeopati non hanno al momento la possibilità di provare scientificamente se i loro trattamenti producano degli effetti. Sicuramente l’effetto placebo esiste, ma ciò che non si conosce sono le conseguenze sul sistema immunitario dei “pazienti”, non esistono quadri chiari di correlazione tra la somministrazione del prodotto e la reazione della persona. Per ora ci sono solo ipotesi. La ricerca è in alto mare».

Rispetto all’omeopatia che propone una serie di rimedi personalizzati, la medicina convenzionale è più standardizzata quindi favorisce l’applicazione del metodo scientifico. «Non è facile – osserva il virologo dell’Università di Milano – reclutare 5mila persone che hanno avuto tutte la stessa patologia, lo stesso grado di gravità di malattia e lo stesso approccio di tipo omeopatico. Questo è il limite che impone cautela a chi parla di cure omeopatiche. Perché non ha dati scientifici a disposizione per poterne valutare gli effetti. Informazioni che invece nella medicina convenzionale si ottengono normalmente, riproducendo più volte la stessa situazione e verificando le diverse ipotesi».

Un elemento in comune tra i rimedi omeopatici e la medicina convenzionale si riscontra nell’azione del “farmaco” che si concentra sul sintomo e non sulla causa della patologia. «La medicina tradizionale – spiega Pregliasco – usa i sintomatici, cioè i farmaci che riducono la febbre o il dolore che è un segnale della risposta immunitaria. Però si sa che non sono curativi. L’aspirina o il paracetamolo sono usati come complemento, affinché una persona stia meglio, per portare ad esempio la febbre a una temperatura più tollerabile. Dall’altra parte c’è una filosofia che si basa su un meccanismo di “reazione e contro reazione”: come dire, prendo freddo a piccole dosi per non sentire freddo. L’idea può anche essere condivisibile ma non ne è dimostrata l’efficacia. Manca del tutto una verifica basata su dati statisticamente significativi riguardo gli effetti e anche rispetto al meccanismo reale, cioè l’azione fisiologica del trattamento».

E qui si presenta l’ostacolo più ingombrante. «Se pensiamo al confronto con i vaccini emergono aspetti insormontabili», precisa il virologo. «Caratteristica di una vaccinazione è l’inserimento di antigeni in concentrazioni che sono ritenute esagerate da parte di chi ha questa idea che si basa sulla “memoria dell’acqua”. E quindi, attribuendo al “ricordo” del passaggio di una molecola, un’azione terapeutica, riduce in parti infinitesimali il principio attivo contenuto nel prodotto omeopatico. Si tratta anche qui di un’ipotesi indimostrata scientificamente, e “difficilmente” verificabile, a fronte dell’efficacia verificata e dimostrata della medicina preventiva nella battaglia contro numerose malattie di carattere virale».

 

Marino resiste e fa penare Orfini e il Pd romano

L’opzione non è così lontana. Ignazio Marino ha fatto intendere abbastanza chiaramente di non escludere un passaggio formale in aula, di chiedere un voto ai consiglieri sulle sue dimissioni. Per il Pd sarebbe un problema non di poco conto. Lo sarebbe anche perché i 19 consiglieri comunali democratici sono assai meno convinti, di quanto non lo siano Matteo Renzi e Matteo Orfini, della fine dell’esperienza Marino. Più di metà del gruppo, anzi, in una riunione convocata da Orfini ha detto al commissario romano del partito che piuttosto  che passare per l’aula e votare la fiducia preferirebbe dimettersi. Orfini per ora ha però tenuto il punto e a Marino ha recapitato il solito messaggio con un lungo post sul suo profilo Facebook: «È finita».

E se per la tempistica del ritorno al voto non cambierebbe molto (comunque, sfiducia o dimissioni ci sarebbe un commissariamento fino alla prima finestra elettorale utile che è a maggio o giugno del 2016, con Milano, Bologna e compagnia), per l’immagine del Partito non è la stessa cosa. Ad aumentare l’imbarazzo ci si è messa anche Sel, con quello che è in realtà l’ennesimo cambio di posizione: anche se nelle ore più calde il coordinatore cittadino dei vendoliani Paolo Cento si era detto pronto a votare una mozione di sfiducia del Pd, è il consigliere Gianluca Peciola ad aprire a un confronto, a chiedere di verificare le condizioni per un nuovo patto.

Ignazio Marino in queste ore sta continuando con la sua attività, riunisce la giunta, porta a termine le delibere rimaste sospese. Che possa trovare i numeri per andare avanti e superare questa crisi (forte di un ridimensionamento dell’affaire scontrini), è improbabile, ma con il Pd romano non si può mai dire. Di renziani puri, in consiglio comunale, non ce ne sono quasi. Molti sono gli orfiniani, tanti sono quelli che devono soprattutto rendere conto ai territori (dove i presidenti di municipio preferirebbero continuare a governare, ovviamente), tanti quelli che devono rendere conto agli elettori. E poi c’è l’incognita del voto, i sondaggi che danno i 5 stelle 12 punti avanti (19 Pd, 31 M5s), e il buio assoluto su un candidato che accetti la sfida.

L’incertezza del quadro ha spinto il prefetto Gabrielli a ricordare che il nome del commissario che si occuperà della città può esser deciso solo dopo le effettive dimissioni del sindaco, o dopo lo scioglimento del consiglio comunale. La data è quindi il 2 novembre. Salvo che Marino non tiri fuori una tempra insperata.