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Il numero: 53 miliardi

È la spesa annuale in dollari dei governi del mondo per i sussidi energetici alle aziende di combustibili fossili. L’equivalente di 10 milioni di dollari al minuto. Uno studio del Fondo monetario internazionale rivela che i contributi previsti solo per il 2015 rappresentano il 6,5% del Pil globale e sono di gran lunga superiori alla spesa sanitaria annuale di tutti gli Stati. Nicholas Stern, economista del clima alla London School of Economics, ha dichiarato: «Questo importante studio frantuma il mito dei combustibili fossili a buon mercato, mostrando quanto sia enorme il loro costo nella realtà. Non vi è alcuna giustificazione per lo sconsiderato utilizzo che facciamo dei sussidi per i combustibili fossili, che oltre a distorcere i mercati dall’interno, danneggiano le economie, in particolare quelle dei Paesi più poveri». Nel suo rapporto, l’Fmi stima che l’interruzione delle sovvenzioni ridurrebbe le emissioni globali di carbonio del 20% e, contemporaneamente, il numero di morti premature dovute all’inquinamento dell’aria esterna del 50%: circa 1,6 milioni di vite all’anno salvate.

Verticomics: la rivoluzione mobile del fumetto

Abbiamo fatto una chiacchierata con Mirko Oliveri che insieme a un gruppo di ragazzi, tutti orgogliosamente under 30, ha dato vita a Verticomics la prima app per leggere fumetti e graphic novel dal proprio smartphone. Ogni giorno infatti chiunque scarichi l’app ha la possibilità di leggere gratis “il fumetto del giorno” oppure di acquistare e scaricare dallo shop uno qualsiasi degli altri titoli presenti nella libreria. La cosa che salta subito agli occhi parlando con Mirko è che questa storia inizia da una grande passione e da un primo rivoluzionario sito web che si chiama verticalismi.it

Come ti è venuta l’idea di creare Verticomics?
Sono un grande appassionato di fumetti, nel 2010 decido di mettere in piedi una piattaforma web, verticismi.it, dove si potessero leggere i fumetti sparsi per la rete in modo comodo. Spesso infatti quello che c’era in giro aveva un formato poco leggibile perché in genere le tavole erano organizzate come gallery fotografiche, quindi riuscivi a vedere solo una pagina per volta e per riuscire a leggerla dovevi zoomare continuamente avanti e indietro. L’effetto era a dir poco compulsivo e rendeva la lettura de fumetti in formato digitale scomoda e stancante.
Mi sembrava assurdo in un mondo all’avanguardia e libero come quello di internet era assurdo che non si trovasse un modo, un formato che facilitasse la lettura invece di svilirla. Così ho deciso di creare verticalismi applicando le teorie di Scott McCloud, uno dei pionieri e dei maggiori teorici del fumetto digitale. Secondo McCloud infatti il fumetto sul web non va inteso e presentato come un libro, ma piuttosto come una pergamena digitale da scorrere, senza nessuna interruzione, visualizzando solo una porzione per volta della storia. Come fosse un flusso continuo di lettura.

E poi finalmente nel 2015, arriva anche l’app Verticomics

A partire da quella ho deciso di fondare un’azienda che avesse come principale modello di business questa tipologia di fumetto e sulla sua fruizione. E visto che nel 2015 il luogo dove si accede ai contenuti ancora più del web sono le app, abbiamo pensato di realizzare Verticomics permettendo così di leggere i propri autori preferiti da mobile. Il consenso, come con verticalismi.it, è stato molto alto: l’apple store ha inserito Verticomics in classifica come “Migliore nuova app” e abbiamo avuto, in soli 4 mesi, già circa 20 mila dowload. E l’accoglienza non è stata ottima solo tra il pubblico, ma anche tra le principali case editrici del settore come la Bao Publishing che ha fra i suoi autori anche Zerocalcare. Nello store dell’app infatti è disponibile tra i tanti titoli anche l’ultimo libro di Zerocalcare L’elenco telefonico degli accolli, in questo caso particolare la versione che noi offriamo ai nostri lettori è pregiata da una copertina “variant” realizzata da Leo Ortolani, il creatore di Rat Man. Insomma, essendo noi per primi degli appassionati, puntiamo sulla qualità e cerchiamo di collaborare e coinvolgere le principali star del fumetto.

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Nella vostra libreria ci saranno anche graphic novel che trattano temi giornalistici?

Il fumetto è un linguaggio, è nato per raccontare le cose, tra queste ci sono a buon diritto anche i fatti, le notizie, la cronaca, la politica, le inchieste… Con verticomics vogliamo portare avanti una visione a 360° e il graphic journalism è un genere del fumetto molto importante. Basta pensare ad esempio a un autore come Joe Sacco che ha disegnato tavole e tavole sul conflitto di Gaza, sulla guerra mondiale e su quella che ha sconvolto l’ex-Jugoslavia. Nella nostra libreria online ci saranno quindi lavori che parmettano al pubblico di conoscere qualcosa in più sui fatti accaduti e, a volte anche, di appassionarsi a storie, temi e problematiche dal carattere sociale. Ancora non posso svelare nulla ma…molto presto proprio gli appassionati di giornalismo potrebbero avere una bella sorpresa.

 

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Vivere, mangiare, commerciare sull’acqua: il mercato del lago Dal

A Kashmiri vegetable vendor poses for photographs as he waits for customers at the floating vegetable market on Dal Lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. Vegetables traded in this floating market are supplied to Srinagar and many towns across the Kashmir valley. It's one of the major sources of income for the lake dwellers who spend years carefully nurturing their floating gardens from the weed and rich soil extracted from the lake bed. (AP Photo/Dar Yasin)

Il lago Dal si trova nel Kashmir indiano, tutte le attività che vi si svolgono ruotano attorno all’acqua: dalle case galleggianti, agli orti sulle sue sponde, fino al mercato, fonte di approvvigionamento di molte delle valli circostanti. Il mercato comincia prima dell’alba e finisce in fretta.  (AP Photo/Dar Yasin)

Kashmiri men take a break to chat while selling their produce at the floating vegetable market on Dal Lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. Vegetables traded in this floating market are supplied to Srinagar and many towns across the Kashmir valley. It's one of the major sources of income for the lake dwellers who spend years carefully nurturing their floating gardens from the weed and rich soil extracted from the lake bed. (AP Photo/Dar Yasin)

A Kashmiri flower vendor rows his boat at the floating vegetable market on Dal lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. Vegetables traded in this floating market are supplied to Srinagar and many towns across the Kashmir valley. It's one of the major sources of income for the lake dwellers who spend years carefully nurturing their floating gardens from the weed and rich soil extracted from the lake bed. Sometimes a boat will weave through, selling flowers to the tourists who stay in the houseboats. (AP Photo/Dar Yasin)

A Kashmiri man, left, negotiates the rate as he prepares to pay money after buying vegetables from a vendor at the floating vegetable market on Dal Lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. It's just before dawn when boats laden with fresh produce appear, floating through a maze of waterways on the Dal Lake in Indian Kashmir's main city of Srinagar. In this idyllic setting boatmen haggle over price and vegetables are traded and shifted from one boat to another amid the chirping of birds. (AP Photo/Dar Yasin)

Kashmiri men sell vegetables at the floating vegetable market on Dal lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. It's just before dawn when boats laden with fresh produce appear, floating through a maze of waterways on the Dal Lake in Indian Kashmir's main city of Srinagar. In this idyllic setting boatmen haggle over price and vegetables are traded and shifted from one boat to another amid the chirping of birds. (AP Photo/Dar Yasin)

A Kashmiri man, right, pays money after buying vegetables from a vendor at the floating vegetable market on Dal Lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. It's just before dawn when boats laden with fresh produce appear, floating through a maze of waterways on the Dal Lake in Indian Kashmir's main city of Srinagar. In this idyllic setting boatmen haggle over price and vegetables are traded and shifted from one boat to another amid the chirping of birds. (AP Photo/Dar Yasin)

Kashmiri men sell their produce at the floating vegetable market on Dal Lake in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Tuesday, Oct. 6, 2015. It's just before dawn when boats laden with fresh produce appear, floating through a maze of waterways on the Dal Lake in Indian Kashmir's main city of Srinagar. This is Kashmir's floating vegetable market, deep inside the lake and surrounded by scenic house boats and water lilies. (AP Photo/Dar Yasin)

(AP Photo/Dar Yasin)

La psicosi degli scontrini, Marino è solo l’ultima vittima

Niente. Ignazio Marino il suo autogol (eh, uno dei tanti in questa storia) l’ha firmato quando ha consegnato pubblicamente i faldoni con le sue spese all’opinione pubblica. «Ma cosa fa, è pazzo? È l’inizio della fine», pensai osservandolo depositare il malloppo.

Non perché vi fossero particolari pregiudizi nei suoi confronti, né tantomeno perché non sia giusto rendere pubblico l’impiego di risorse pubbliche.
Il deterrente del controllo del cittadino sulla singola spesa, funziona fin troppo bene, e infatti non viene applicato – se non per vaghi e generici capitoli di spesa privi di annesso scontrino che dimostri la veridicità di quanto dichiarato. Vedersi piazzato uno scontrino del sexyshop nel bilancio, fidatevi che è difficile da far passare nelle “spese di cancelleria”. O un trattore (autore ancora ignoto, Emilia-Romagna), una motosega (“Batman” Fiorito, Lazio), centinaia di animali in ceramica (Liguria), ritiri spirituali (Marche), terme (Lombardia), tintura per capelli (Campania). Niente ammette e concede tutto ciò.

Il problema è un altro e riguarda la pantomima in scena in questi giorni e puntualmente,  nel momento in cui si traduce il proprio operato amministrativo e politico in scontrini fiscali e lo si offre al pubblico che da quei numeri leggerà esclusivamente la parola “spesa”, si dà il via alla psicosi dello scontrino. Una spirale dalla quale mai si esce politicamente vivi. Qualcosa che non va, viene trovato sempre. Perché, ci crediate o meno, la correttezza di un amministratore non è appaltata esclusivamente a un regolamento che divide il lecito e l’illecito – per altro troppo vaghi nella maggior parte dei casi – ma a quanto l’opinione pubblica sia disposta o meno a tollerare. Anche se l’azione è lecita, a norma di legge, potrebbe comunque essere immorale. O addirittura il contrario: un risparmio potrebbe essere non previsto dal regolamento e dunque illegittimo – come accadde ai due consiglieri regionali 5 stelle in Emilia-Romagna che acquistarono un divanetto a basso prezzo da Ikea anziché dal costoso service con cui la Regione aveva stipulato una non vantaggiosa convenzione.

Certo, fare politica non è e non deve essere a costo zero. Che grillini e puristi del risparmio si diano pace: per amministrare i soldi servono. Per fare politica, i soldi vanno utilizzati. E non perché si voglia campare da nababbi, o perché si appartenga necessariamente alla casta, ma perché capacità governative richiedono competenze che a loro volta richiedono pagamenti. Stesso dicasi per trasporti e colloqui. E questo si dimentica troppo spesso.

In realtà, a prima vista sembrerebbe semplice, tutto sommato: a cena con la moglie con i soldi pubblici, no. Usare carte di credito e rimborsi pubblici per coprire spese e acquisti personali, nemmeno. Eppure, tranne i casi più eclatanti – e sicuramente escludendo la menzogna – chi sa dire se è lecito o meno offrire il pranzo alla mensa ai collaboratori? Guai sia, detto così: fulmini e saette! “Sicuramente saranno amici e parenti e soprattutto se lo pagassero col proprio stipendio, che tanto pago io anche quello”, si dirà. Poi, magari, invece, si scopre che, a differenza dei dipendenti pubblici, i collaboratori co.co.co. non solo non hanno rimborsi né buoni-pasto, ma vengono spesso pagati poco e quindi il gesto da parte del datore di lavoro potrebbe risultare poi non così sconveniente e soprattutto più lecito di un pranzo in un ristorante del Gambero rosso col tale dirigente sanitario – del tutto ammesso e quindi lecito, dal regolamento. O magari rispetto a un volo di Stato per andare a Modena a incontrare John Elkann e il suo banchiere di fiducia, Byron Trott, come ha fatto l’altro ieri il Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Liceità e moralità sono a cavallo di un su e giù che poggia sullo stomaco dei cittadini, stanchi e spesso – anche quando nel giusto – troppo poco informati sulla reale condotta delle persone, e può perdersi dei vari anfratti di definizioni paludose come “spese di rappresentanza” o “trasferta”.

Nei fatti, i regolamenti ci sono, ma sono spesso talmente vaghi, che nemmeno i funzionari comunali o regionali, sanno dirvi con precisione cosa è ammesso e cosa no e l’impiego di fondi destinati all’attività pubblica, è appaltato alla coscienza del singolo. Ed è questa che la psicosi dello scontrino va a colpire e condannare. E attecchisce non sono nel processo alle singole intenzioni fatto da giornali e cittadini nei confronti del malcapitato e sì, troppo spesso malintenzionato, amministratore; ma anche nel soggetto stesso. Agitazione e paranoia s’impossessano improvvisamente di anche degli eletti più sfacciati.

In Emilia-Romagna, come in tutte le Regioni coinvolte nell’ondata d’inchieste ribattezzate “spese pazze” che tra il 2013 e il 2014 ha fatto cadere più di un governo e rinviato decine di consiglieri a processo, la psicosi dello scontrino aleggiava nei corridoi, e aveva influito a tal punto da bloccare perfino le attività politiche sul territorio: «se non sappiamo come possiamo utilizzare i fondi, chi si muove?», era il leitmotiv di consiglieri regionali abituati ad antichi fasti e ora nel pallone.

Famosa (e galeotta) fu una delle riunioni dei capigruppo, registrata dall’allora capogruppo Del M5S Andrea Defranceschi e consegnata su richiesta della Procura per essere acquisita come prova nel processo sui rimborsi a carico dei consiglieri: l’ex capogruppo Pd Marco Monari, era talmente esasperato dai controlli della Guardia di finanza e soprattutto dei giornalisti, allora accampati in Viale Aldo Moro, da non controllarsi più. «Ora, tutto quello che è stato fatto fino adesso è difficile da spiegare», si sfogava con i colleghi. «È inutile far finta di niente: la parte più critica delle spese ce l’abbiamo proprio su questo: pranzi, cene e rimborsi chilometrici». Era teso, insultava i giornalisti «sevi della gleba» e in particolare la Gabanelli, «quella tro**a». Se ne scuserà a posteriori: «era un periodo di fortissima pressione emotiva», dirà. Perché in quanto capogruppo aveva la responsabilità di tutti e 25 i membri eletti del suo partito, ciascuno dei quali usufruiva di una carta di credito con un plafond fisso al mese senza obbligo di rendicontazione: «Non posso sapere che cazzo fanno 25 consiglieri regionali dalla mattina alla sera in giro per l’Emilia Romagna, e soprattutto non lo voglio sapere». E gli scontrini stavano venendo fuori uno per uno. Compreso il più ridicolo: quello per il rimborso di un bagno pubblico (ebbene si) di 50 centesimi del consigliere Thomas Casadei: «scusate, ho sbagliato, li restituisco», risponderà.

Ecco, una frase del genere è al pari di Marino che dichiara di “regalare” 20.000 euro alle casse di Roma: è sintomo di una psicosi che non consente ormai più lucidità e abdica al buon senso. Ed è li che cominciano, se non ce ne fossero state prima, le colpe. Si mente, si insulta, non ci si ricorda e si dichiara a caso. Un po’ come l’ex capogruppo della Lega Nord, Stefano Galli che, dopo aver pagato il pranzo di nozze della figlia con i soldi della Regione e fior di consulenze al neogenero dotato di terza media, ha secondo lui trovato motivazione nei rapporti coniugali: «Tutta colpa di mia moglie, ma ora mi separo». Allora occhei.
Marco Monari finrà in disgrazia di lì a poco (e immediatamente abbandonato dal partito, com’è nelle migliori tradizioni del Pd) proprio perché dei fondi del Gruppo regionale faceva il suo lusso. Come molti, troppi altri.

Tuttavia, la psicosi degli scontrini, alimentata dal Movimento 5 stelle – che ne fa addirittura la propria (a volte unica) carta d’identità politica – e cavalcata da una magistratura un po’ troppo intenta ad apparire come castigatrice della classe politica corrotta sui giornali, ha spesso poco a che fare con la giustizia e ancor meno con il controllo. È un fenomeno mediatico che coinvolge indistintamente onesti e disonesti, e dal quale puntualmente non esce un sistema di rendicontazione più preciso e funzionante, per un semplice motivo: tranne il Movimento 5 stelle, che poi si trova a capire sulla propria pelle cosa significa amministrare, e capisce che senza soldi non è possibile, non lo vuole nessuno.

E sicuramente, non lo vuole Matteo Renzi.

Da Sabato a Sabato. Dal Sud Carolina alle elezioni in Guinea

A model wears a creation for Junko Shimada's 's Spring-Summer 2016 ready-to-wear fashion collection presented during the Paris Fashion Week, Tuesday, Oct. 6, 2015 in Paris, France. (AP Photo/Francois Mori)

APTOPIX Paris Fashion Manish Arora

Fashion bloggers posano lungo la Senna in attesa dell’inizio della sfilata Primavera / Estate 2016 della designer indiana Manish Arora durante la  Fashion Week  di Parigi (AP Photo/Jerome Delay)

 

Cardinals and bishops leave at the end of a morning session of the Synod of bishops, at the Vatican, Friday, Oct. 9, 2015. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Vescovi e cardinali alla fine di una delle sessioni mattutine del Sinodo sulla Famiglia che si svolgerà in Vaticano fino al 31 ottobre. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

 

A man makes his way through floodwaters in the parking lot of The Citadel Beach Club on Isle of Palms, S.C., Monday, Oct. 5, 2015. The Charleston and surrounding areas are still struggling with flood waters due to a slow moving storm system. (AP Photo/Mic Smith)

Un uomo passeggia attraversando l’acqua che ha allagato il parcheggio del Citadel Beach Club sull’isola di Palms in South Carolina. Il Charleston e le zone circostanti sono ancora alle prese con le acque che hanno inondato la regione. (AP Photo/Mic Smith)

 

Afghan security forces take a wounded civilian man to the hospital after Taliban fighter's attack, in Kunduz city, north of Kabul, Afghanistan, Saturday, Oct. 3, 2015. Three staff from Doctors Without Borders were killed and 30 were missing after an explosion near their hospital in the northern Afghan city of Kunduz that may have been caused by a U.S. airstrike. (AP Photo/Dehsabzi)

Le forze di sicurezza afghane trasportano un civile ferito all’ospedale dopo l’attacco delle milizie talebane a Kunduz, città afghana a nord di Kabul. Sempre a Kunduz una bomba è esplosa sull’ ospedale civile della città a causa di un attacco aereo americano. L’organizzazione umanitaria MsF ha accusato gli Stati Uniti e le truppe della Nato di aver commesso un crimine di guerra a Kunduz, in Afghanistan, bombardando l’ospedale, dove si trovavano circa 180 persone e in cui ne sono morte 22. Msf accusa gli Stati Uniti di aver violato le convenzioni di Ginevra sul rispetto del diritto umanitario in zone di guerra e chiede un’inchiesta indipendente sull’accaduto. (AP Photo/Dehsabzi)

 

In this photo taken Wednesday, Oct. 7, 2015, supporters of UFR presidential candidate Stadia Toure ride on the back of a bus during a political rally in the city of Conakry, Guinea. Political clashes between the opposition and ruling party in Guinea are setting the stage for the country’s second democratic election in more than half a century. The international community watches the West African country, unable to shake the deadly Ebola virus, with concern that ethnic and political tensions brought to the surface in past elections haven’t declined in the past five years. (AP Photo/ Youssouf Bah)

In Guinea la popolazione manifesta il suo sostegno ai candidati alle elezioni. Sono le seconde elezioni democratiche che si tengono nel Paese recentemente messo a dura prova dalla diffusione del virus Ebola. (AP Photo/ Youssouf Bah)

 

Kashmiri protestors throw stones at Indian security personnel in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Friday, Oct. 9, 2015. Police fired teargas and rubber bullets to disperse hundreds of Kashmiris who gathered after Friday afternoon prayers to protest against the arrest of separatist leaders and civilians. They were also protesting against what they said were attempts by the coalition government of the Bharatiya Janata Party and the regional Peoples Democratic Party to divide residents on the basis of religion and choking political space in the restive state. (AP Photo/Dar Yasin)

Manifestanti della regione del Kashmir lanciano pietre contro il personale di sicurezza indiano a Srinagar, nella parte della regione del Kashmir che al momento è ancora sotto il controllo del governo indiano.  (AP Photo/Dar Yasin)

 

A Palestinian man walks in the old city in Jerusalem, Thursday, Oct. 8, 2015. A Palestinian stabbed a Jewish seminary student in Jerusalem on Thursday as the Israeli prime minister barred all Cabinet ministers and lawmakers from visiting a sensitive holy site in the Old City in an effort to calm tensions that have gripped the country for weeks. (AP Photo/Sebastian Scheiner)

Un palestinese passeggia fra le strade della città vecchia di Gerusalemme. (AP Photo/Sebastian Scheiner)

 

Lebanese riot policemen are seen through the spray of water cannons used against anti-government protesters against the ongoing trash crisis and government corruption, in downtown Beirut, Lebanon, Thursday, Oct. 8, 2015. Lebanese security forces used water cannons and eventually fired tear gas canisters to disperse dozens of anti-government protesters who tried to get past security barricades and reach parliament. (AP Photo/Hassan Ammar)

Poliziotti libanesi in tenuta da assalto schierati contro i manifestanti anti-governativi. (AP Photo/Hassan Ammar)
 

Kunduz, prima, dopo e durante il raid

Front gate of the Boost Hospital, Lashkar Gah, Helmand, Southern Afghanistan.

«Un Paese che da 14 anni vive in una situazione di violenza e di instabilità che non è stata risolta dagli interventi militari. Quattordici anni dopo, sono sempre di più quelli che fuggono. E’ amaro constatarlo, ma da quello che osservano i nostri medici e operatori, dal 2001 a oggi poco o nulla è cambiato». Così Loris De Filippi, coordinatore italiano di Medici Senza frontiere in riferimento all’Afghanistan. Umberto De Giovannangeli lo ha intervistato su Left in edicola per parlare del dopo raid americano a Kunduz. Qui sotto le foto della città inviateci da Medici Senza Frontiere

Scene outside of a local pharmacy in Kunduz city, Northern Afghanistan.
Fuori da una farmacia di Kunduz

Kunduz as seen through the window of the cottons seed oil refinery at the Spinzer Cotton Factory in Kunduz.
Una vista di Kunduz

Aftermath of Kunduz hospital 03 Oct bombings_1

Nell’ospedale di Kunduz durante il raid americano

Fires burn in the MSF emergency trauma hospital in Kunduz, Afghanistan, after it was hit and partially destroyed by missiles 03 October 2015.
L’ospedale di Kunduz in fiamme

A destroyed areas of the MSF hospital, in Kunduz, Afghanistan is visible 03 October 2015 at first light, the morning after the facility was hit by sustained bombing.
Una delle aree distrutte dell’ospedale di Kunduz

Emergency surgery and medical activities continue in one of the remaining parts of MSF's hospital in Kunduz in the aftermath of the bombing 03 October 2015.
Medici al lavoro dopo il raid aereo a Kunduz

Bombe contro la sinistra ad Ankara, una strage

La scena la vedete qui sotto: una piazza che si riempie per una manifestazione dell’opposizione che invoca pace (in Kurdistan) e una bomba che esplode. Poco dopo ne esploderà un’altra che, come hanno raccontato i testimoni, ha fatto tremare alcuni grattacieli circostanti. Le vittime di questo orribile attentato sono almeno 97, 400 i feriti secondo la Associazione dei medici turchi.

Qualche mese fa era stata la volta di Suruc, dove i volontari che portavano auti a Kobane erano stati oggetto di un attacco simile. E nel giugno scorso, durante la campagna elettorale precedente, era proprio un comizio dell’Hdp a essere stato preso di mira.

A poche settimane dalle elezioni politiche di novembre la Turchia è di nuovo teatro di violenza politica. L’Hdp, il partito di sinistra e filo kurdo (ma non solo) ha condannato l’attentato sostenendo che dietro c’è la mano dello Stato. Testimoni hanno raccontato che dopo le esplosioni la politzia ha sparato lacrimogeni e impedito alle ambulanze di passare. Nel tweet qui sotto la dichiarazione di Demirtas: un attentato dello Stato contro il popolo.


In queste settimane, con la ripresa delle ostilità tra PKK e Ankara, i poliziotti e soldati turchi uccisi, la tensione nella comunità curda era molto salita e ci si aspettava qualcosa di simile. Che si tratti di un’azione da parte di gruppi ultranazionalisti di destra o di quello Stato parallelo molto legato al passato kemalista – non proprio amico dell’AKP di Erdogan – poco conta. Nel frattempo il PKK ha dichiarato un nuovo cessate-il-fuoco unilaterale. Segno di responsabilità e tentativo di favorire uno svolgimento dignitoso della campagna elettorale nel Kurdistan, dove il tentativo sarà quelli di scoraggaire in ogni modo la gente dall’andare a votare (Hdp).

Il presidente ha provato a mettere tutto in un calderone: sul sito della presidenza un comunicato condanna ogni forma di terrorismo, quello di Ankara così come quello del PKK.
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La Turchia che va al voto è davvero un paese in enorme difficoltà: oltre alla tensione con i curdi, c’è la crisi siriana ai confini, 2 milioni di profughi, l’ISIS alle porte e l’economia che rallenta dopo anni.

Nel video qui sotto il caos dopo l’esplosione.

 

Camminare è un gesto rivoluzionario. Cinque buoni motivi per farlo

Domani, 11 ottobre, è la Giornata del camminare. Oltre 150 itinerari e passeggiate in tutta Italia. Ecco la “sana” filosofia che c’è dietro alla mobilità “dolce”.

Camminare è un atto “rivoluzionario”. Sembra la solita esagerazione in tempi in cui di rivoluzione non c’è nemmeno l’ombra… E invece non è affatto così e vi spiegheremo perché.

Camminare fa bene alla salute, sia dal punto di vista fisico che psichico. Camminare fa socializzare, permette di scoprire la città e le persone – magari di altre culture e Paesi – che vi abitano, consente di riappropriarsi dello spazio in cui si vive, fa risparmiare soldi e diminuire l’inquinamento. Camminare può essere infine anche uno strumento simbolico per dimostrare la propria solidarietà, la partecipazione al dramma di quei popoli che in questi tempi si trovano a camminare in fuga verso la libertà e lontano dalle guerre e dalla fame. «Nel camminare quotidiano si cambia la propria visione del mondo, si vedono i dettagli dei luoghi, si diventa partecipi dei problemi della città. Per me è una delle rivoluzioni più grandi». Paolo Piacentini è il presidente della Federtrek che ogni anno organizza la Giornata del camminare. Domani (qui il programma) si terranno oltre 150 iniziative in tutta Italia, isole comprese. A Piacentini, che si definisce un “camminatore folle”, capace di andare da un capo all’altro di una città pur di non usare i mezzi privati, abbiamo chiesto di spiegare la “filosofia” che sta alla base della Giornata del camminare 2015.

Camminare è solidarietà

Sono decine le iniziative in collaborazione con Medici senza frontiere, molte al Sud, Bari, Palermo, poi Firenze, Ancona, Roma (qui l’elenco). «Abbiamo sostenuto la campagna di sensibilizzazione #Milionidipassi, proprio per avvicinare le persone al dramma dei popoli migranti in fuga», afferma Piacentini. «Camminando è come se tu ti mettessi al loro livello, è un modo per capire di più la loro sofferenza, aiuta a vedere in modo meno distratto».

Camminare è salute psico-fisica

Basta andare in un parco cittadino per vedere, soprattutto la mattina o la sera d’estate, decine e decine di camminatori, alcuni dei quali a passo svelto. Più della corsa – che talvolta è traumatica – il camminare è consigliato come prevenzione di alcune malattie da tutti i medici di base, è un “precetto” della stessa Organizzazione della sanità che suggerisce di percorrere almeno 3 km al giorno. Camminare, soprattutto in mezzo alla natura, disintossica anche mentalmente, libera il pensiero.

Camminare è riprendersi le città

Quest’anno nella Giornata del camminare ci sono eventi che ripropongono il Pedibus, cioè l’andare a scuola a piedi accompagnati: un modo per fare movimento e anche per far riscoprire e “sentire” la città ai bambini. Hanno aderito molti comuni delle province di Treviso, Venezia e Rovigo (qui le iniziative). Ma al di là di queste pratiche piuttosto rare, perché ormai le città sono diventate difficili per i più piccoli, camminare nei centri abitati quotidianamente, secondo Piacentini, serve, e molto. «Camminando ci si riappropria dello spazio, della città. Si scoprono dettagli che in auto sfuggono. Aumenta la coscienza civica perché conoscendo meglio un luogo si diventa più partecipi ai problemi», continua il presidente della Federtrek. Addirittura, sostiene Piacentini, con un maggior numero di pedoni si potrebbero salvare quei piccoli negozi che, tagliati fuori dal flusso principale del traffico, rischiano di scomparire.

Camminare è risparmio e mobilità sostenibile

Ma la vera “rivoluzione” consiste nella “mobilità dolce”. Immaginatevi una grande città in cui i mezzi pubblici funzionano davvero e sono collegati a “piste” pedonali, con tanto di cartelli e mappe che indicano i percorsi più veloci. Utopia? «Alcune città si stanno organizzando: Torino, Firenze e Bologna stanno realizzando – anche attraverso bandi europei – dei percorsi tabellati è il walking in the city. Validi per i turisti ma anche per i cittadini che la mattina si devono recare a lavoro e che in questo modo possono lasciare a casa la propria auto», continua Piacentini. L’ideale sarebbe avere dei percorsi tracciati a terra, ma anche mappe pedonali o app sul cellulare o sul tablet possono essere utilissime. Bisogna solo fare attenzione ai tempi: un passo normale consente di percorrere 4 km in un’ora. Spostarsi a piedi talvolta è veramente inconcepibile e risulta “strano”, tanta è l’abitudine di usare la macchina, anche per piccoli tragitti, al di là della cronica penuria di mezzi pubblici. «Un giorno ero a Napoli per un convegno proprio sul turismo sostenibile, dovevo andare dal centro a Pietrarsa, sette km, ma invece di prendere i mezzi decisi di andare a piedi. Quando mi fermavo a chiedere informazioni ai bar, mi davano del matto. Però in quel modo ho visto quanto è cambiata la città e ho conosciuto anche molti napoletani simpatici», racconta Piacentini.

Camminare è turismo

Celebre il famoso cammino di Santiago de Compostela, frequentato per il 30 per cento anche da chi non è religioso, continua il presidente Federtrek. Anche in Italia esistono “vie storiche”, che riprendono i percorsi degli antichi pellegrinaggi e che potrebbero essere un’opportunità per scoprire e rivitalizzare certi territori fuori delle rotte turistiche. Come la via Francigena, la via Laureatana (da Loreto ad Assisi e Roma), la via Romea, consolare germanica. Il Ministero dei beni artistici e culturali è al lavoro per valorizzare questi percorsi e infatti il 24 ottobre si terrà un convegno proprio su questo tema.

Curiosità della Giornata

Tra gli eventi, da segnalare gli oltre venti itinerari che interessano la Capitale. L’anno scorso aveva partecipato anche il sindaco Marino, molto attento ai trasporti ecosostenibili, quest’anno, l’aria è completamente diversa. Ma la scelta che è stata fatta è significativa: per tutti, appuntamento alle 9 all’arco di Costantino, per scegliere 22 itinerari che, una volta tanto, dal centro porteranno in periferia. Tra questi anche quello dei Pontieri del dialogo di Andrea Fellegara che si chiama Di scuola in scuola e che è un percorso all’insegna dell’integrazione tra cittadini di culture diverse. Oppure Eur Dark walk all’Eur (partenza alle 18.30) in cui il camminare diventerà scoprire architetture e spazi urbani ma sfruttando l’oscurità (qui). Poi ancora: a Cinecittà tra gli stabilimenti cinematografici, nei parchi e tra le ville di Roma e anche sconfinamenti nell’agro romano (qui tutti gli itinerari di Roma)

Sempre per facilitare l’incontro in realtà disagiate, a Napoli è prevista, tra le altre, una passeggiata al rione Sanità.

E ancora: Cento donne in cammino con te in Abruzzo, a Grottaglie in Puglia Beni comuni ciclocarrozzella per persone disabili, a Torino camminate insieme a Portici di carta, e ancora decine e decine di altre iniziative curiose, ecologiche, divertenti, d’impegno civile. In tutti i casi, là dove passeranno i camminatori, i luoghi saranno più vivibili, perché lo spazio abitato solo da macchine frenetiche è disumano. E, siamo certi, per alcune ore passeggiare sarà davvero un gesto “rivoluzionario”.

Accordo di pace in Libia: cosa succede adesso

Il processo di pace in Libia può finalmente ripartire. La notizia è nota: dopo mesi di difficili negoziati le delegazioni riunite in Marocco hanno raggiunto un accordo sul nuovo governo di unità nazionale e sulla lista dei nomi dei candidati alla guida del Paese. L’annuncio è arrivato dal rappresentante speciale dell’Onu per la Libia, Bernardino Leon. «Esprimiamo la nostra gioia perché c’è almeno una chance. Troppi libici hanno perso la vita, troppi bambini e troppe madri hanno sofferto. Secondo le agenzie Onu, circa 2,4 milioni sono in una grave situazione umanitaria. A tutti loro vanno le nostre scuse per non essere stati capaci di proporre prima questo governo», ha dichiarato Leon.

Il quadro della situazione

L’accordo dovrà passare adesso al vaglio dei due governi rivali che si contendono il potere nel Paese nordafricano: quello di Tobruk, affiliato alle milizie laiche del generale Haftar, primo Parlamento legittimamente eletto dalla caduta del dittatore Gheddafi e unico governo riconosciuto dalla comunità internazionale e quello di Tripoli, autoproclamatosi legittimo la scorsa estate, di stampo islamista e affine alle posizioni della Fratellanza musulmana in Egitto. Il nuovo governo libico dovrà, in ogni caso, affrontare molte sfide, trovandosi a operare in un contesto nel quale non esiste il monopolio dell’uso della forza e nel quale centinaia di milizie e tribù locali controllano ancora buona parte del territorio, mentre gruppi jihadisti, tra cui lo stesso Isis, continuano a minacciare la stabilità del paese.

libia(La situazione in Libia, in celeste le aree controllate dal governo riconosciuto, in verde quelle controllate dal generale Haftar, a sud le milizie e le tribù, in nero le zone di attività di gruppi collegati all’IS – Bbc)

 

I nomi proposti

Fayez Serray, ex ministro della Casa in uno dei governi del dopo-Gheddafi, è stato proposto dalle Nazioni Unite come primo ministro. Assieme a Serray, l’Onu ha individuato i 3 vice-primi ministri che insieme al premier faranno parte del Consiglio di Presidenza, ovvero l’organismo di guida collettiva del governo: saranno Ahmed Maetiq, di Misurata, città situata ad ovest e membro del governo di Tripoli, Moussa Kony, proveniente dalla regione del Fezzan, nel sud e Fatj Majbari, espressione della Cirenaica, regione ad est della Libia. «Serray è un signor nessuno. Non è una figura di rilievo nel panorama politico libico ed è stato scelto per questo: per non dar noia a nessuna delle due parti in gioco. É originario di Tripoli ma è, nello stesso tempo, un membro del Parlamento di Tobruk. I 3 vice-premier sono invece stati scelti appositamente per garantire una completa rappresentanza delle varie regioni del Paese, provenendo rispettivamente dall’ovest, dal sud e dall’est del Paese», ci spiega Mattia Toaldo, analista presso lo European Council on Foreign Relations esperto di Libia. «Chi non ha assolutamente interesse a che l’accordo venga siglato è invece il generale Haftar. Il suo ruolo è sempre stato quello di osteggiare le delegazioni impegnate nel portare a termine la missione. Dato che il nuovo accordo prevede l’azzeramento delle cariche militari, di cui lui è diretta espressione (essendo stato nominato capo del ricostituendo esercito libico nel marzo 2015 na), per lui l’intesa raggiunta in Marocco dalle delegazioni sotto l’egida dell’Onu è altamente controproducente». Il nuovo governo potrebbe, quindi, trovarsi a contrastare diversi oppositori: da una parte le milizie più radicali e l’Isis, dall’altra Haftar che potrebbe rifiutarsi di cedere il controllo di parte delle forze armate.

I primi obiettivi del nuovo parlamento

«Il grande punto interrogativo adesso è rappresentato dalla ratifica dell’accordo, che i governi di Tobruk e Tripoli dovranno siglare o meno nei prossimi giorni. L’accordo prevede la nascita di una costituzione, che deve essere votata dai 2/3 del nuovo parlamento. In questo momento la maggioranza parlamentare non c’è. Se per miracolo l’accordo dovesse venire ratificato, il nuovo parlamento dovrà immediatamente confrontarsi con due grandi sfide: quella di mettere in sicurezza il paese, in particolare la città di Tripoli, dilaniata dagli scontri e quella di far ripartire l’economia del paese. Quest’ultimo punto è di fondamentale importanza», dice Toaldo. E continua: «la Libia era un Paese molto ricco. La maggior parte delle risorse economiche sono state utilizzate per foraggiare la guerra civile. Il paese è stato prosciugato e persino la sua risorsa più forte, il petrolio, non viene più prodotta ed esportata. Se i soldi finissero si andrebbe verso una crisi finanziaria che piegherebbe in due il paese. La Banca Centrale, organismo rimasto neutrale rispetto alle parti in conflitto, sta infatti pagando dall’inizio del conflitto gli stipendi di tutti i lavoratori attingendo alle proprie riserve. Se questo, da una parte ha permesso alla guerra civile di essere frenata e non dilagarsi, come invece è successo in Siria, dall’altra potrebbe portare, nel caso vengano utilizzati gli ultimi depositi di denaro, ad un collasso dell’intera economia e quindi ad una recrudescenza del conflitto. Già adesso il popolo è stremato dalla mancanza di elettricità, di acqua e dalla mancanza di medicinali, che non vengono più forniti. Più di metà della popolazione soffre la fame, le malattie, la mancanza di beni di sussistenza primaria».

la-oe-wehrey-libya-haftar-20140530(Un sostenitore del generale Heftar)

La possibilità di un intervento internazionale in Libia e il futuro ruolo dell’Italia

Il capo della diplomazia Ue, Federica Mogherini, ha espresso soddisfazione per l’intesa raggiunta dalle delegazioni delle formazioni libiche sulla nascita di un governo di unità nazionale sotto egida Onu e ha detto che: «l’Ue è pronta ad offrire un immediato e concreto sostegno politico e finanziario, pari a 100 milioni di euro, al nuovo governo». Per l’Unione Europea e, in particolare per l’Italia, la Libia è di fondamentale importanza: « L’Italia oltre ad avere un ruolo militare importante, ha un forte ruolo economico e se il nuovo governo darà il suo assenso ad un eventuale missione internazionale, l’Italia dovrebbe essere pronta ad assumersi un ruolo di guida», spiega Mattia Toaldo. «Ovviamente la missione internazionale potrebbe partire solo dopo che tutto il paese, ma in particolare la zona di Tripoli sarà pacificata. Entrare in Libia senza che questi due presupposti siano raggiunti sarebbe pericoloso» aggiunge. La missione internazionale dovrebbe risolvere molti problemi che affliggono il paese e minacciano da vicino anche il blocco europeo: la presenza dell’Isis a poche miglia dal confine sud del continente, il costante flusso di migranti dall’Africa attraverso il Mediterraneo e il fiorire di traffici illeciti. Ma senza la ratifica dell’intesa tra Tripoli e Tobruk l’Italia, e come lei gli altri Stati europei e la stessa Onu, non è disponibile a invischiarsi nello scenario libico.

Gli eventi che hanno portato la Libia al collasso
Dalla rivoluzione del febbraio 2011, nata sull’onda delle cosiddette primavere arabe con l’intento di far crollare il regime ultraquarantennale del colonnello Muʿammar Gheddafi, salito al potere il 1º settembre 1969 dopo un colpo di stato, la Libia è piombata nel caos più totale. Un anno dopo la morte di Gheddafi, la caduta del regime e l’intervento della coalizione internazionale si sono svolte nel luglio 2012 le prime elezioni libere che hanno conferito al Paese una prima vera svolta democratica. Ma gli scontri accesi e le violenze tra le varie milizie e gli ex ribelli che non hanno abbandonato le armi, hanno ulteriormente aggravato la situazione. Ma è nell’estate del 2014 che è avvenuto il tracollo delle istituzioni, quando è esplosa la guerra tra le milizie di Zintan e di Misurata per il controllo di Tripoli. Il nuovo Parlamento eletto, insieme al governo del premier Abdullah al Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale, è stato costretto a rifugiarsi a est e a insediarsi nella città di Tobruk, in Cirenaica. Nello stesso periodo la capitale è caduta sotto il controllo delle milizie filo-islamiche di Fajr Libya, che hanno imposto un vero e proprio governo opposto a quello di Tobruk e legato ai Fratelli musulmani. Il risultato è un Paese spaccato in due con in mezzo, nell’area di Sirte, la presenza minacciosa dei jihadisti dell’Isis, che hanno imposto una sorta di emirato basato su una rigida interpretazione della sharia.

Né sacrificio né misericordia, per la rivoluzione occorre ben altro

Giuro che non faccio come Scalfari che vi parla sempre di Francesco. Anche perché ci sono buone notizie che dovremmo cavalcare noi di “sinistra”, tipo Adelphi che si sgancia da Rcs libri e non viene acquisita da Mondadori, la Svezia che, riducendo l’orario di lavoro da otto a sei ore al giorno, scopre che aumenta la produttività e pure la felicità dei lavoratori (e non stiamo parlando della comune dei fricchettoni ma della Toyota di Goteborg), il 65% degli operai americani della Fiat di Detroit, Toledo (Ohio) e altre ancora che hanno detto No al piano Marchionne. Landini che in un momento di entusiasmo abbozza una ribellione (occupiamo le fabbriche)… Insomma ce ne sarebbero di belle notizie per noi perdenti (oggi mi hanno detto così in un programma televisivo, “sei di sinistra e quindi ti piace perdere!”) ma mi preme tornare su un piccolo grande passaggio di questa settimana. I nostri giornali sono stati invasi dall’outing di monsignor Krzysztof Charamsa, il teologo ufficiale della Congregazione per la Dottrina della vera Fede che ha confessato le sue inclinazioni sessuali, e dall’inizio del Sinodo sulla famiglia. Avete capito bene, siamo stati invasi di piombo e immagini di un signore in abito talare che ha pensato di convocare una conferenza stampa per “confessare” al mondo che era omossessuale e che amava Eduard, il suo compagno. E dalle immagini di una riunione allargata a più di 300 signori, sempre in abito talare, che per una settimana discutono di famiglia (senza mai averne avuta una, come ha commentato un nostro lettore!). La vulgata generale è che Francesco riuscirà ad imprimere la sua grande rivoluzione: comunione per i divorziati, ruolo della donna, rispetto per gli omosessuali… una nuova gloriosa Chiesa cattolica romana al passo con i tempi. Che richiedono misericordia e non sacrificio. «Guardiamoci dall’avere un cuore duro che non lascia entrare la misericordia di Dio». E ancora: «Dove c’è il Signore c’è la misericordia. Misericordia voglio, e non sacrificio!», ha detto Francesco. E allora, sarà la mia fissazione per il significato delle parole, ma sarà quel- la la “rivoluzione” di Francesco?

Left n. 39 |10 ottobre 2015

Il passaggio dal sacrificio alla misericordia? Dal “rendere sacro”, sacer+facere, al sentimento di compassione per la miseria altrui (morale o spirituale) misereor+cordis, che nell’etica cristiana si concretizza in opere di pietà? Pietà. La pietà sarebbe dunque la rivoluzione di Francesco. La pietà per le miserie altrui. Morali o spirituali. Non è gran cosa allora, il passaggio saliente sarebbe quello, visto e rivisto nei secoli, da una Chiesa altra, distante quasi cattiva, sacra, inaccessibile (qualcuno dice anche ipocrita) ad una aperta, accogliente, misericordiosa, ospedale da campo. Nel Medioevo la madonna della Misericordia è stante (in piedi) ed è rappresentata nell’atto di accogliere sotto il suo manto i fedeli o i religiosi a lei devoti, di solito inginocchiati in preghiera. L’oscillazione tra Chiesa buona e Chiesa cattiva è una costante seriale, quasi una coazione a ripetere malata che i secoli ci hanno mostrato inalterata. Fino a dimostrarci che ne arriverà un’altra cattiva. Inesorabilmente. Perché cattivi siamo e cattivi restiamo, non per niente Cristo è morto in croce per i nostri peccati. Con questo voglio solo ripetere ancora una volta che con la pietà, e con la misericordia, non è possibile fare alcuna rivoluzione. E neanche una semplice ribellione. Che la Chiesa oscillerà tra periodi buoni e periodi cattivi ma è un’istituzione intrinsecamente immobile nei secoli dei secoli. Forse i divorziati potranno fare la comunione, ma dovremo convincerci che abbiamo bisogno di ben altro. Radicalmente altro per fare la rivoluzione. Senza nessuna ambiguità o confusione. E lo dico a chi la sinistra la vuole costruire, come noi.

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