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Meno bonus, più sanità pubblica

Nulla di nuovo all’orizzonte nonostante la pandemia, ci verrebbe da dire in riferimento all’acceso dibattito che si sta consumando in questi giorni sul cosiddetto “Bonus psicologo”, perché in realtà la discussione va collocata nel contesto più ampio delle sterili politiche di sostegno al welfare degli ultimi trent’anni che oggi non mostrano in alcun modo segnali di cambiamento. L’argomento non può essere affrontato in modo riduzionistico cercando soltanto vantaggi e svantaggi, effetti positivi e negativi del provvedimento, perché sarebbe una semplificazione di un tema che in realtà investe, anche in considerazione del grande interesse che ha suscitato, temi politici, economici, culturali e, oserei dire, antropologici.

La salute delle persone intesa secondo la definizione dell’Oms come «stato di benessere dinamico bio-psico-sociale, condizionato da fattori determinanti strutturali della società: relazioni familiari e sociali, istruzione, formazione, lavoro, ricerca, infrastrutture, ambiente» – a cui noi aggiungiamo economia, politica e cultura – apre orizzonti di riflessione molto ampi, che interessano la vita dell’uomo ed il suo sviluppo dalla nascita fino alla morte. Le politiche economiche degli ultimi anni che hanno condizionato le nostre esistenze in effetti sono state ispirate dalle logiche pervasive del mercato esprimendosi, sulle persone e sulla loro salute, in termini di medicalizzazione della vita, di erogazione di prestazioni, di spesa e profitto.

«Il processo di globalizzazione se da un lato ci ha aperto mondi fino ad ora sconosciuti, dall’altro ha cambiato la nostra antropologia in conseguenza proprio dell’impatto delle logiche economico-finanziarie su tutti gli aspetti della nostra vita, compresi quelli del welfare e della salute minacciati dalla pervasività del mercato e trasformati in privilegio individuale, in costi per prestazioni di consumo che, pertanto, possono vendersi e/o comprarsi», questo abbiamo scritto nella presentazione della piattaforma programmatica “La salute che vogliamo”, realizzata dalla nostra organizzazione (Fp Cgil medici e dirigenti Ssn, ndr).

In tale contesto le politiche di welfare, negli anni, hanno smarrito via via la vocazione di provvedimenti strutturali e strutturanti la società e le persone. Sono state interpretate non come un investimento che favorisse lo sviluppo sociale e quindi economico del Paese, ma come una voce di spesa da controllare e se possibile ridurre o tagliare. I bonus, siano essi per la famiglia, per la scuola, per il sostegno al reddito o per la salute, assumono così il significato di concessioni in cui si perde il senso di un diritto da una parte e di un valore dall’altro. Il cd. “Bonus psicologo”, in…

*L’autore: Andrea Filippi è psichiatra e segretario nazionale Fp-Cgil medici e dirigenti Ssn


L’articolo prosegue su Left del 28 gennaio 2022 

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SOMMARIO

Nebbia sull’irto Colle

Foto Ettore Ferrari/LaPresse/POOL Ansa 27-01-2022 Roma, Italia Politica Camera dei Deputati - Elezione del Presidente della Repubblica Nella foto: Maria Elisabetta Alberti Casellati, Roberto Fico Photo Ettore Ferrari/LaPresse/POOL Ansa 27-01-2022 Rome, Italy Politics Chamber of Deputies - Election of the President of the Republic In the pic: Maria Elisabetta Alberti Casellati, Roberto Fico

Se i partiti vivono l’elezione del presidente della Repubblica come occasione di accrescimento del prestigio personale dei proponenti e non come momento di responsabilità per eleggere un garante della Repubblica, è inevitabile che lo spettacolo sia quello che è. L’elemento straordinariamente prevedibile è che ancora una volta tutti riescono meravigliosamente ad apparire perdenti, confusi, egoisti e non all’altezza. Come è sempre accaduto in questi ultimi anni.

Così negli ultimi giorni abbiamo assistito a una girandola di nomi che non vengono discussi per il Presidente che potrebbero essere, ma che vengono marchiati dal proponendo, dimostrando ancora una volta che l’arco parlamentare non riesce ad elevarsi nemmeno di fronte al più alto atto repubblicano, ovvero la convergenza sul più alto rappresentante. Prevedibile anche questo: sono gli stessi partiti che hanno dimostrato ben poco senso di responsabilità e di unità di fronte a una pandemia.

Di fondo c’è che i partiti, ma soprattutto le coalizioni, sono messe maluccio. Nel centrodestra Salvini è sempre di più il disturbatore che si affanna per apparire nelle inquadrature. Sono giorni che ci dice di avere un nome di alto profilo e poi ci rifila il brodino di indigeribile berlusconiano. Del resto il leader leghista usa anche il Quirinale semplicemente per duellare con Giorgia Meloni, vivendo qualsiasi epoca politica come occasione di show. Il centrodestra non esiste ed è sempre uguale a se stesso: solo l’auto candidatura di Berlusconi è riuscita a tenere a cuccia la coalizione. Siamo sempre lì, sono ancora lì.

Resta da capire come Pd e M5s possano pensare di costruire un fronte progressista se non riescono a trovare un punto comune nel giudizio delle personalità in campo. Non si tratta solo della tiepidezza delle proposte (proporre un Mattarella bis e Draghi come ripiego è la solita scelta non-scelta di sponda di chi non sa decidersi per decidere), le trattative per il Quirinale hanno mostrato la fragilità (per usare un eufemismo) dell’accordo tra un partito, il Pd, con un gruppo parlamentare più fedele a un fuoriuscito che al suo segretario e con il M5s che è evidentemente attraversato da correnti. Anche nel loro caso guardandoli da fuori non fanno una gran figura.

Così si cerca affannosamente un nome autorevole estraneo alla politica senza rendersi conto che il ruolo del Presidente sia invece politicissimo, ma politico nel senso alto del termine, di quella consapevolezza e avvedutezza che sarebbe richiesta. Avere un presidente del Consiglio e un presidente della Repubblica che hanno come principale caratteristica quella di essere non politici non è una buona notizia. Si sperava che avessimo imparato la lezione, e invece no.

In un’elezione rivolta più ai sondaggi e al branding che all’individuazione di una figura all’altezza è inevitabile che possa accadere di tutto, perfino che si trovi un accordo all’ultimo momento. Del resto inseguire il sentimento dell’indignazione porta i leader di partito a cedere alla velocità come elemento fondamentale dell’elezione del Presidente. C’è un’emergenza, scrivono qui fuori, e quelli dimenticano che la politica è trattativa (leale e alta, possibilmente) e che Sandro Pertini fu eletto dopo 16 scrutini con il Paese nel buio dell’uccisione di Aldo Moro avvenuto un paio di mesi prima. Non è la quantità del tempo ma è la qualità del tempo a essere sconsolante.

Fumo molto, sostanza poca.

Buon venerdì.

Esiste anche la salute mentale

Nei due anni di necessarie misure di distanziamento sociale a causa della pandemia, di apprensione per la salute propria e dei propri affetti, e di preoccupazione per la crisi economica, si è registrato un forte aumento della richiesta di cure psichiche. Come emerge da un sondaggio Ipsos condotto in collaborazione con il World economic forum, già a marzo 2021 i dati mostravano un peggioramento della salute mentale per il 45% degli intervistati a livello internazionale. E l’Italia figurava tra i Paesi in cui i cittadini hanno subito maggiormente le conseguenze del Covid. Nello stesso sondaggio «più della metà degli italiani intervistati (54%) ha dichiarato un peggioramento e soltanto l’8% un miglioramento» del benessere psichico.

Nella vita reale questo si è tradotto in una maggiore richiesta di accesso alle cure, che però ha dovuto fare i conti con la crisi che si è abbattuta sul mondo del lavoro. Stando a uno studio dell’Istituto Piepoli, nel 2021 il 27,5% delle persone che volevano iniziare un percorso psicoterapico non ha potuto farlo per ragioni economiche. Mentre il 21% è stato costretto a interromperlo. A giugno 2021 su Left, Massimo Cozza, direttore del dipartimento di salute mentale della Asl Roma 2 (il più grande d’Italia con un bacino di utenza di 1,3mln di abitanti), sollecitato dai colleghi psichiatri e psicoterapeuti Alice Dell’Erba e Riccardo Saba, notava che dopo la progressiva riapertura le richieste d’aiuto urgenti rivolte agli psichiatri erano aumentate a dismisura.

«Quella principale riguarda gli adolescenti – ci ha spiegato Cozza -. Si tratta di disturbi depressivi, di gesti autolesivi e di disturbi del comportamento alimentare, rispetto ai quali stimiamo un aumento della richiesta di circa il 30%». Mancavano pochi giorni alla II Conferenza nazionale convocata dal ministro Speranza, considerata da tanti operatori un’occasione di rilancio delle tematiche centrate sulla tutela della salute mentale in età evolutiva e non solo. Finita la Conferenza, però, come un fiume carsico, il dibattito politico si inabissato scomparendo dai media mainstream per riemergere all’inizio del 2022 con la proposta, appoggiata da tutti i principali gruppi parlamentari, di inserire nella legge di Bilancio il cosiddetto “bonus psicologo”, un voucher di 50 milioni di euro complessivi per aiutare economicamente le persone che decidono di rivolgersi a uno psicologo, uno psichiatra o uno psicoterapeuta.

Se ne è discusso brevemente dopo la bocciatura del “bonus” da parte del governo e di nuovo la questione della salute mentale è scomparsa dai radar dell’informazione generalista. Come se il benessere psichico degli adolescenti e degli adulti non fosse altrettanto prioritario della salute fisica. Come se i problemi che gravano sulla salute mentale non fossero legati a doppio filo a deficit strutturali della sanità pubblica dopo vent’anni di tagli, deficit che il coronavirus ha reso più evidenti.

Una lezione di sensibilità e senso civico arriva dal sindacato studentesco della Rete degli studenti medi che, come leggerete nella storia di copertina, ha inserito il diritto alla salute mentale tra i 4 pilastri di un documento dal titolo Il futuro è nostro. Ripartiamo da zero. Ovvero, scrive l’autrice dell’inchiesta, Angela Galloro, si riparta dal punto in cui i giovani sentono tristemente di essere stati lasciati. «Abbiamo il diritto a essere ascoltati per superare le problematiche che la nostra età e la realtà ci mettono di fronte, vogliamo incontri a scuola con esperti per poter affrontare e prevenire l’ansia, la depressione che la pandemia ha reso più frequenti» raccontano gli studenti intervistati riportando in primo piano il ruolo fondamentale della scuola e quindi del servizio pubblico nella tutela della salute psichica.

Va detto che dei segnali positivi ci sono stati. Ad esempio, ad oggi, in seguito al protocollo di intesa tra l’Ordine degli psicologi e il ministero dell’Istruzione siglato a settembre 2021, il 69% degli istituti scolastici ha attivato la presenza di una figura professionale di sostegno. Tuttavia, come sottolineano gli studenti della Rete, questa si limita a poche ore a settimana, insufficienti per i tanti ragazzi che vorrebbero usufruirne.

Insomma, di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio e con questo nuovo numero di Left vogliamo rivitalizzare il dibattito e tenere alta l’attenzione sulla portata e le conseguenze di un problema diffuso e irrisolto. Per questo abbiamo sollecitato il ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha risposto alla nostra intervista, e abbiamo aperto un dibattito coinvolgendo la senatrice Paola Boldrini, vicepresidente della Commissione Sanità e prima firma dell’emendamento sul Bonus salute mentale, Nicola Fratoianni, deputato di Sinistra italiana, Andrea Filippi, segretario nazionale Fp-Cgil medici, e Marta Bonafoni consigliera della Regione Lazio che nei giorni scorsi ha varato un “bonus psicologo” da 2,5mln.

Senza negare il lavoro fondamentale svolto da psichiatri, psicoterapeuti e psicologi in ambito privato vogliamo approfondire la riflessione avviata da Cozza su Left sull’opportunità del voucher e sul rischio che una sua (già ventilata) riproposizione in futuri provvedimenti risponda a logiche di mercato e a una svalutazione del ruolo fondamentale del Servizio sanitario nazionale, che invece – ribadiamo – va implementato in termini di figure professionali e finanziato a dovere, perché tutti possano avere accesso alle cure. Per questo si potrebbe, per esempio, iniziare con il dirottare verso la salute mentale qualche miliardo destinato ad inutili armamenti. Chiediamo troppo?


L’editoriale è tratto da Left del 28 gennaio 2022 

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Carlo Greppi: Vi racconto la storia di Jacobs, il partigiano tedesco

Scegliere da che parte stare, anche a rischio della vita. Scegliere di stare dalla parte degli ideali democratici, della giustizia, della lotta antifascista, disertando, trovandosi a combattere contro le squadracce fasciste e contro i propri ex commilitoni nazisti. Rudolf Jacobs (Brema, 26 luglio 1914-Sarzana 3 novembre 1944) ebbe il coraggio e l’umanità di fare questa scelta, schierandosi con i partigiani. Al pari del suo attendente austriaco, di cui, prima di questo appassionante libro dello storico Carlo Greppi, Il buon tedesco (Laterza), poco o nulla si sapeva.
Di Jacobs, per fortuna, gli abitanti della Lunigiana avevano ricordo, qualcuno addirittura conservardo sue foto fra quelle della propria famiglia. «La sua storia è stata tramandata grazie al fatto che nel territorio toscano dove disertò, i partigiani ne hanno sempre curato la sua memoria», ci dice Greppi.

La sua è una vicenda straordinaria, affascinante, drammatica, che nel libro emerge in tutta la sua dimensione umana.
Jacobs aveva solo da perdere nel fare quella scelta irreversibile di passare dall’altra parte, dalla parte della Resistenza. Siamo fortunati perché la sua è una storia abbastanza ben documentata, sebbene, come gli storici ben sanno, come sempre ci siano un sacco di punti che non verranno mai chiariti e di domande che resteranno aperte.

Ricostruendo la sua storia, lei si è imbattuto in quella del suo attendente che invece era rimasta sempre in ombra?
Sì, sempre citato dalle fonti, rimaneva però una figura estremamente misteriosa. Ho cercato di battagliare con l’oblio per dare un nome e un volto a quest’uomo che ha sempre accompagnato Jacobs nella sua scelta.

Lei è riuscito a dargli un nome come si scopre leggendo il suo libro, di cui non vogliamo svelare tutto, invitando a leggerlo.
Ho cercato di farlo anche con altri, ma devo dire questa storia dell’attendente austriaco, rimasto a lungo senza nome, mi ha preso, ha cominciato un po’ ad ossessionarmi, perché credo che il compito di uno storico sia anche quello di dare la dignità che meritano a figure fondamentalmente eroiche come queste.

Jacobs veniva dalla buona borghesia di Brema. Come capitano doveva costruire fortificazioni. Avrebbe anche potuto starsene in villa, ma non ebbe problemi a mettersi insieme ai comunisti. Che cosa li univa?
C’era una travolgente voglia di libertà. Le resistenze europee riuscirono a trasmetterle ai propri combattenti e a chi via via si univa a loro insieme alla popolazione civile che li sosteneva. Tracimarono così oltre le linee, arrivando a convincere, con l’esempio e con l’azione, anche presunti nemici.

Il collante era un internazionalismo, anche di valori?
La prospettiva internazionalista secondo me è fortissima e ampiamente sottovalutata da tutte le storiografie compresa quella italiana. Perché, se poi se si va a vedere, questa capacità di…

Nell’immagine: tavola tratta dal trailer Laterza


L’intervista prosegue su Left del 21-27 gennaio 2022 

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L’epidemia parallela

Un’emergenza sanitaria meno manifesta del Covid, subdola e silenziosa, ha colpito giovani e adulti indistintamente negli ultimi due anni di pandemia.
All’isolamento, alla didattica a distanza, allo smart working, al cambiamento radicale dei rapporti sociali e dei luoghi associativi che eravamo abituati a frequentare, già nel primo anno di pandemia è corrisposto un incremento di casi documentati di ansia, depressione, disturbi alimentari (questi ultimi son aumentati del 30% da febbraio 2020 a febbraio 2021, fonte Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica). Questioni che fanno riflettere e delle quali Left si occupa costantemente, ma c’è una cosa che va ulteriormente sottolineata e per certi versi rappresenta una novità. I ragazzi sentono l’esigenza di tutelare la propria salute mentale più degli adulti, lo urlano a gran voce in manifestazioni e assemblee. Questa reazione che è un chiaro grido di aiuto e di allarme tuttavia non ha ancora ricevuto un risposta adeguata da parte del governo e del Parlamento. Si è molto parlato nei giorni scorsi di un bonus per la psicoterapia, bocciato dall’Aula, ma una misura del genere non avrebbe certamente soddisfatto tutte le richieste di cura.
Non possiamo dimenticare i report dell’Oms in cui emerge che i disturbi del comportamento alimentare sono ancora la seconda causa di morte per gli adolescenti dopo gli incidenti stradali.

In Italia la rete di prevenzione – la scuola, le istituzioni, la famiglia, la sanità – che dovrebbe tutelare la loro salute mentale non è sufficiente a far fronte a tutte queste situazioni patologiche.
Quel che è più grave, denunciano i ragazzi, è un problema culturale, una diffusa mancanza di fiducia nelle potenzialità della psicoterapia anche come intervento precoce che permette di evitare in molti casi ricoveri drammatici.
La tutela della salute mentale è uno dei quattro pilastri del documento redatto già all’inizio dell’anno scolastico dal sindacato studentesco Rete degli studenti medi, intitolato Il futuro è nostro. Ripartiamo da zero, ovvero dal punto in cui i giovani sentono tristemente di essere stati lasciati.
Alessia, Roberta, Valeria, Marco e i loro compagni, che incontriamo prima di un’assemblea della Rete, ci parlano dell’aumento di ansie, depressioni, per qualcuno anche attacchi di panico, episodi di autolesionismo, per molti disturbi del comportamento alimentare. C’è anche chi, come Giulia, nome di fantasia, ci racconta di un drammatico ricovero in ospedale per anoressia. E si dice «fortunata» ad aver trovato posto in reparto.

La pressione sugli ospedali dovuta ai pazienti Covid, come abbiamo denunciato nelle scorse settimane su queste pagine, ha ricadute gravissime non da oggi sul diritto alla cura di chi soffre di altre patologie. Nell’aprile del 2021 i medici neuropsichiatri infantili delle Regioni Piemonte, Val d’Aosta e Liguria in una lettera aperta denunciavano la carenza di risorse per l’aumento di accessi al pronto soccorso e i ricoveri lunghi per acuzie, ma prima di tutto un’insufficiente rete di prevenzione per i giovani e per i nuclei familiari. La Società italiana di pediatria, in un’indagine condotta su nove Regioni italiane, ha segnalato un +84% degli accessi in pronto soccorso per patologie neuropsichiatriche dei giovani tra marzo 2020 e marzo 2021 con un significativo aumento dei casi di ideazione suicidaria (+147% rispetto al periodo pre-Covid).

«Già da marzo-aprile 2020 abbiamo visto un incremento delle urgenze…


L’inchiesta prosegue su Left del 28 gennaio 2022 

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La memoria dimenticata

Esercitare la memoria non significa imparare perfettamente le date e i protagonisti degli eventi che furono. Esercitare la memoria significa tenere a mente i segnali degli accadimenti che furono e allenare le antenne per riconoscerli nel presente. Conoscere significa riconoscere gli eventi quando provano a ripetersi.

I morti della Shoah furono moltissimi perché intorno allo sterminio degli ebrei (e delle popolazioni slave delle regioni occupate nell’Europa orientale e nei Balcani, dei neri europei, dei prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e portatori di handicap mentali e/o fisici) si crearono le condizioni per essere ferocemente indifferenti e si instillò la normalizzazione degli eventi.

La normalizzazione delle morti oggi è una sindone laica che contiene il sangue dei profughi annegati nel mediterraneo (il vagone merci del binario 21 è stato sostituito da qualche barchino pericolante che affronta le onde), c’è il sangue dei bambini nello Yemen ammazzati dai sauditi considerati addirittura amici, c’è il sangue che scorre in Siria, ci sono i bambini congelati nel confine del Canada, c’è il sangue degli annegati nel canale de La Manica, ci sono i morti di freddo sulla rotta balcanica, c’è il sangue senza ossigeno degli emigranti che sono morti senza farsi trovare.

La normalizzazione delle idee che portarono a quegli eventi sta nella “matrice” che qualche partito di destra insiste nel non voler scorgere, nei nuovi fascismi che oggi indossano l’abito della festa e fingono di essere illuminati, sta nell’antifascismo visto come sentimento di parte e non come sentimento di democrazia.

Veniamo da giorni in cui 7 migranti sono morti di freddo uccisi da un’Europa che appalta le frontiere, un dodicenne a cui è stato augurato il morire nei forni perché ebreo e un co-fondatore di Fratelli d’Italia che ha collezionato una bella quantità di voti per la presidenza della Repubblica.

C’è da fare, più che ricordare.

Buon giovedì.

Perché l’elezione di Draghi sarebbe un pericolo per la democrazia

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 26-11-2021 Roma Villa Madama - Conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi e del Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron dopo la firma del Trattato del Quirinale Nella foto Mario Draghi Photo Roberto Monaldo / LaPresse 26-11-2021 Rome (Italy) Villa Madama - Press conference by Prime Minister Mario Draghi and President of the French Republic Emmanuel Macron after the signing of the Quirinale Treaty In the pic Mario Draghi

Nel 1991, nell’avvio delle trattative che avrebbero portato al varo dell’Euro, Mario Draghi guidò la delegazione italiana nelle riunioni dei funzionari di governo. Guido Carli, che come ministro del Tesoro gli affidò l’incarico, nelle sue memorie affermò che la classe politica italiana non era consapevole di tutte le conseguenze di quella scelta. Cambiava, infatti, la natura stessa della nostra democrazia, la quale da allora avrebbe dovuto esercitarsi non all’interno dei vincoli costituzionali, ma nel rispetto del “vincolo esterno” derivato dall’adesione ad una comunità europea che aveva nel libero mercato il suo elemento costitutivo. Con l’adesione alla moneta unica, lo Stato e i governi non solo furono privati della prerogativa di emettere moneta, ma ne uscirono anche indeboliti nella capacità di influire su variabili chiave per la distribuzione del reddito quali il livello dei tassi di interesse (cioè le condizioni di finanziamento del debito pubblico), le condizioni del lavoro, la possibilità di controllare i movimenti dei capitali, le banche e alcune grandi imprese.

Difficile valutare in che misura il nostro Paese avrebbe potuto seguire una strada diversa: nel mondo la globalizzazione procedeva a tappe forzate, in quasi tutti i Paesi industriali i principi dell’economia mista (cioè di un’economia in larga parte soggetta al controllo pubblico) venivano abbandonati, e in Europa la Germania riunificata ricostituiva la sua forza e stabiliva con la Francia un asse privilegiato. Dunque, forse, l’idea che la sovranità del Paese potesse essere rafforzata, piuttosto che indebolita, mantenendo l’Italia all’interno di quel gruppo di Paesi che decidevano le sorti del continente, aveva la sua ragion d’essere. Di fatto però quel percorso ha condotto ad un cambiamento della natura della nostra democrazia: si sono indeboliti sia le organizzazioni dei lavoratori, sia i partiti della prima Repubblica, che con tutti i loro limiti erano riusciti a ricostruire un sistema democratico sulle ceneri del fascismo. Questi ultimi, in quegli stessi anni, furono anche travolti dallo scandalo di Tangentopoli e, sul versante del Partito comunista, dal collasso dell’Unione Sovietica.

Tra l’adesione alla moneta unica e il crollo del sistema dei partiti, da allora un ruolo sempre crescente fu svolto da un gruppo relativamente ristretto di economisti di formazione neoliberista. La carriera di Draghi, a cavallo tra incarichi pubblici e interessi privati, si è svolta all’interno di questo percorso. Lo ritroviamo, infatti, sempre alla Direzione generale del Tesoro – o meglio sul panfilo della famiglia reale inglese Britannia, da cui tenne un celebre discorso rivolto alle élite finanziarie globali – come artefice delle grandi privatizzazioni, avviate per smantellare la presenza pubblica nell’economia. L’incarico al Tesoro termina col passaggio di Draghi ai vertici di Goldman Sachs, posizione che ricoprì quando la banca d’affari americana truccò i bilanci della Grecia per consentirgli di aderire alla moneta unica. Dopo Goldman Sachs, Draghi tornò in Italia come governatore della Banca d’Italia, posizione che occupò quando il Monte dei paschi di Siena si lanciò nella sconsiderata acquisizione di Antonveneta senza che la vigilanza della nostra Banca centrale avesse nulla da obiettare.

L’indebolimento della sovranità statale generato dalle scelte degli anni Novanta è apparsa in tutta la sua portata quando il 5 agosto 2011, in piena crisi finanziaria, il governatore uscente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, e il governatore in pectore Mario Draghi, inviarono al governo italiano, allora presieduto da Berlusconi, una lettera dove si indicavano una serie di riforme che il Paese avrebbe dovuto adottare per avere il sostegno della Bce al proprio debito pubblico. Nella lettera erano chieste ulteriori liberalizzazioni, riforme del mercato del lavoro, delle pensioni, tagli agli stipendi pubblici, una riforma costituzionale che prevedesse un vincolo al disavanzo pubblico, l’abolizione delle provincie, indicando per alcuni di questi provvedimenti anche rapidissimi tempi di attuazione. Un gesto al di là del mandato di qualsiasi banca centrale, che riflette una costituzione economica dove la sovranità monetaria, di fatto, confligge con la sovranità democratica. Come esito di questo conflitto, nel novembre dello stesso anno, Berlusconi si dimise e Mario Monti ricevette da Napolitano l’incarico di formare un nuovo governo, anche nella prospettiva di una sua nomina a presidente della Repubblica.

L’ascesa a capo del governo di Monti – membro del Consiglio consultivo di Goldman Sachs, consulente della Coca Cola, con forti legami con la Trilateral, il gruppo Bildelberg e altri organismi privati di orientamento neoliberista -, richiama quanto avvenuto nel febbraio dell’anno scorso: dopo la caduta del secondo governo Conte, nonostante nessun partito lo abbia indicato nel consueto giro di consultazioni, il Presidente della Repubblica Mattarella ha assegnato a Draghi l’incarico di formare il nuovo governo. Anche se per ragioni assai differenti, oggi come nel 2011 le condizioni del nostro Paese destano forti preoccupazioni: l’emergenza sanitaria ha generato un’ulteriore crescita del debito pubblico di tutti i Paesi europei, con quello italiano che ha raggiunto il 155% del Pil.

Va qui chiarito un punto decisivo, che può consentire di comprendere la partita in corso. Anzitutto il problema della gestione del nostro debito non riguarda soltanto noi, in quanto ovunque, per il suo collocamento, un ruolo decisivo lo svolgono le banche centrali. Ma la Banca centrale europea è un organismo che non è sotto il controllo del governo italiano, cosicché la gestione del nostro debito richiede scelte sulle quali il nostro Paese può incidere in modo limitato. In secondo luogo, un elevato debito pubblico non è necessariamente un problema per noi, o per la stabilità dell’economia globale. I debiti pubblici, infatti, sono ormai assolutamente necessari per assicurare il funzionamento del sistema bancario, dove fungono da garanzia per i “contratti Repo”, cioè i prestiti a termine che le banche si concedono reciprocamente per coprire squilibri di liquidità. Il sistema finanziario pertanto ha necessità assoluta di titoli pubblici il cui valore sia stabile nel tempo. Quando nel marzo 2020 i titoli del debito americano cominciarono ad essere venduti in quantità massicce, indicando che stava venendo meno un pilastro fondamentale della stabilità finanziaria, la Federal reserve intervenne immediatamente. Sempre nel marzo 2020, per prevenire una nuova crisi, anche la Banca centrale europea intervenne con un programma straordinario di acquisti dei titoli del debito (Pepp).

Il dilemma in cui si trovano oggi l’Italia e l’Europa è che da un lato la stabilità dei nostri titoli del debito (come di quelli francesi e tedeschi, cioè dei principali Paesi debitori) è necessaria per il funzionamento del sistema finanziario, dunque deve essere garantita dalla Bce; dall’altro questa garanzia non è prevista dallo statuto della Bce che vieta il finanziamento monetario del debito dei Paesi membri. La Bce è dunque costretta ad intervenire, e dal 2011 interviene, con operazioni che hanno dato luogo a controversie e anche a battaglie legali. La soluzione a questo dilemma è che, di fatto, per il rilievo internazionale che hanno le nostre scelte interne, il Paese venga commissariato: come Napolitano assegnò l’incarico a Monti, che impose l’austerità nel 2012, Draghi funge oggi da garante perché il Paese avvii ulteriori riforme nella direzione della modernizzazione neoliberista. Al di là di ogni valutazione su quali riforme abbiano un impianto condivisibile, e quali no, con l’accettazione del Pnrr qualsiasi governo entri in carica nei prossimi anni ha un programma in larga parte già definito, con uno scadenzario da rispettare, pena la perdita dell’accesso ai fondi europei. Ma i governi sono sovrani, dunque potrebbe profilarsi, ancora una volta, uno scontro su quali siano i luoghi della sovranità: il rispetto del “vicolo esterno” o la sovranità del Parlamento e della nostra democrazia. Le pressioni affinché Draghi assuma la Presidenza della Repubblica, e da questa posizione funga da garante, o forse commissario del Paese, derivano da qui.

Nella sostanza siamo ad uno snodo cruciale della storia del Paese, come anche dell’Europa e della moneta unica. La sinistra ha costituito la sua identità nell’adesione al progetto europeo, progetto che si è svolto all’insegna del neoliberismo e l’ha condotta a perdere la fiducia di quelle classi sociali che nel secolo scorso hanno fatto la sua forza. La destra cerca di cavalcare il malcontento, e nella prossima legislatura potrebbe essere maggioranza in Parlamento, senza che la sua posizione sull’Europa sia del tutto chiara. In un momento in cui da più parti si avanzano proposte su come superare quei trattati che per decenni hanno giustificato le politiche di austerità, il nostro Paese potrebbe svolgere un ruolo di rilievo. Per svolgere questo ruolo sarebbe necessaria una classe politica che non scelga scorciatoie: né quelle tecnocratiche, subalterne all’ideologia neoliberista ancora dominante in Europa, né quelle che vorrebbero un recupero della sovranità senza la consapevolezza dei nessi inestricabili che legano il nostro destino a quello degli altri Paesi del continente. La scelta del presidente della Repubblica, del quale al momento in cui scriviamo non sono ancora noti gli esiti, è un passaggio cruciale per il nostro futuro e per la nostra democrazia.

La riscossa del Sud, perché il Meridione non sia più terra di conquista e sfruttamento

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 18 Giugno 2021 Roma (Italia) Cronaca Manifestazione dei lavoratori della Whirpool parte dalla stazione Termini e raggiunge il MISE Nella Foto : i lavoratori davanti al MISE Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse June 18 , 2021 Roma (Italy) News Whirlpool workers demonstration starts from Termini station and reaches the economic development ministry In the pic : Whirpool workers in from of Economic Development Ministry

Bisogna capovolgere la prospettiva geografica e in ottica euromediterranea iniziare ad operare politicamente per costruire tutti insieme una grande forza del Sud che possa controbilanciare la logica che da più di 160 anni prevale e mantiene ogni centro di potere finanziario, politico, culturale al Nord e che vede il Mezzogiorno solo come una colonia interna estrattiva. È ovvio che questo può avvenire solo in un’ottica marxista e deve necessariamente fare leva con chi non è compromesso da decenni di connivenza politica e finanziaria con il “fronte del Nord”, al fine di dare una degna rappresentanza ai territori del Sud. Il tutto non in ottica revanscista, ne farebbe una Lega del Sud, ma solo di equità nazionale, in rispetto dei principi costituzionali e andando a creare una sinergia positiva per tutta la nazione, ma soprattutto per tutti i cittadini, del Sud così come del Nord.

Come Laboratorio per la riscossa del Sud, in collaborazione con la rivista Left e Transform Italia, crediamo che la fase storica attuale per il Mezzogiorno sia particolarmente delicata. Il Sud si dibatte fra Autonomia differenziata e destinazione dei fondi del Pnrr e appare ancora una volta come una colonia depredata ed abbandonata. Terra di conquista, di sfruttamento ed abbandono, dal 1861 vive una condizione che ne ha determinato nel corso dei secoli, nel senso comune, la convinzione di una zavorra per lo sviluppo del Paese, condizionandone da un lato un approccio antropologico della popolazione nella gestione del territorio e del quotidiano ma dall’altro la messa in discussione di uno stato di accettazione che ha dato vita a focolai di lotta e di conquista. I nostri territori sono stati luoghi di rivolte contadine, dei movimenti di occupazione delle terre, di movimenti per il salario, per il diritto al lavoro e alla casa, di movimenti femministi, delle conflittualità urbane lungo tutto il Novecento. Tutte rivoluzioni tradite, tutte “Rivoluzioni (sfruttate a favore) del ricco” così come bollate da Salvemini. Un lento trascinarsi che, come ben delineato da Antonio Gramsci hanno portato alla nascita e all’incancrenirsi della “Questione meridionale”, fino all’attuale degenerazione in dispregio degli articoli della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza.

Al fine di invertire la prospettiva geografica stiamo già lavorando da più di due anni. Da tutto questo lavoro sono nati sia documenti come la Carta dei diritti del Sud, lettere aperte ai deputati meridionali, al ministro del Sud, sia con incontri sui territori, fin quando è stato possibile vista l’emergenza in cui ci troviamo tutti a vivere ed operare, e poi con tanti incontri in diretta on-line.
L’ultimo dei quali con Luigi de Magistris nei giorni scorsi per presentare il libro Lezioni meridionali nato in collaborazione con Left ( qui il link alla presentazione video) dove sono stati sottolineati aspetti che a noi sembrano fondamentali, così come sottolineato anche dalle condivisibili parole di Luigi de Magistris.
Nei giorni antecedenti quest’ultimo incontro abbiamo prodotto il testo “Sud senza rappresentanza” che si può leggere su Transform!italia proprio per porre in rilievo questi aspetti. La nostra idea è che il Sud alla fine dell’attuale commedia politica, gestita dal governo più antimeridionale e classista della storia della Repubblica, ben supportato nell’inganno da politici del Sud evidentemente interessati al mantenimento dello status quo, si ritroverà, se va bene e come sempre, con un’elemosina per quanto riguarda il Pnrr e con l’Autonomia differenziata in dirittura d’arrivo. Data la situazione drammatica in cui versa la democrazia nel nostro Paese, è facile capire come la balcanizzazione del Paese, prevista da molti osservatori, sia dietro l’angolo se non si interviene rapidamente per eliminare le sempre più insopportabili differenze ed iniquità territoriali.
Per cui a nostro avviso è ora di dare una “scossa” e una degna rappresentanza politica al Sud!

Dato che il laboratorio permanente “La riscossa del Sud” è uno spazio di confronto che incontra i territori, attraversando tutte le regioni del Sud, pensiamo di organizzare un primo grande appuntamento assembleare, non appena l’emergenza in corso lo renderà possibile, tra le realtà organizzate meridionali, per strutturare la nostra opposizione, non solo con quanti in questi lunghi mesi hanno aderito al nostro percorso e che ringraziamo, ma aperta anche a tutti quanti lottano per i diritti negati e le offese recate al Sud.

Abbiamo il compito di creare “Comunità ribelli” con il “cappello in testa”, una nuova forma di soggettività conflittuali, che dalla contraddizione capitale/vita metta in campo un agire di collettivo che parta dalla difesa del territorio, dai bisogni individuali per un’autorganizzazione collettiva, per l’organizzazione di conflitto ad ogni insulto del potere e delle relazioni sociali dominanti ad un popolo e la sua terra. Comunità, luoghi di critica biopolitica e auto organizzazione, di costruzione del contropotere in contrapposizione al modello di sviluppo capitalistico.
L’alternativa oggi può nascere da Sud.

Nella foto: manifestazione dei lavoratori Whirlpool davanti al ministero dello Sviluppo economico., Roma, 18 giugno 2021

Un mosaico di vittime del nazifascismo, quegli italiani deportati ad Auschwitz

Da quando, con la legge 211 del luglio 2000, in Italia è stato istituito il Giorno della memoria, il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz (che simboleggia l’intero universo concentrazionario nazista, ed alla cui liberazione è legata la data del 27 gennaio) è quasi prepotentemente entrato a far parte del dibattito pubblico, dell’immaginario collettivo e del bagaglio culturale degli studenti e di tutti i cittadini.

Sui possibili limiti (in seguito dimostratisi concreti) di quella legge, c’era stata, tuttavia, un’ampia discussione già prima dell’approvazione parlamentare del testo; ed ancora oggi – dopo ventidue ricorrenze del Giorno della memoria – è forte il rischio che la Shoah venga da essa troppo “monumentalizzata”: sia per un uso pubblico assai retorico della sua storia, sia per una “inflazione memoriale” che tende a svuotarla dell’essenza fattuale e, in relazione all’Italia, a mostrarla come sostanzialmente estranea alla sua vicenda nazionale.

Va detto, d’altra parte, che, anche grazie alla spinta civile e culturale prodotta dalla legge 211, negli ultimi decenni sono stati condotti studi e ricerche molto importanti sulla persecuzione antiebraica nazifascista e la deportazione politica e razziale dalla Penisola, nonché sul coinvolgimento italiano nella Shoah. E tra essi, indubbiamente, vanno collocati due volumi significativi apparsi poco tempo fa, uno in Italia e un altro in Polonia: quello di Elisa Guida (storica dell’Università della Tuscia e socia fondatrice dell’associazione Arte in memoria), intitolato Senza perdere la dignità. Una biografia di Piero Terracina, con introduzione di Bruno Maida, edito da Viella nel 2021, e quello di Laura Fontana (storica, insegnante e responsabile per l’Italia del Mémorial de la Shoah di Parigi), intitolato Gli Italiani ad Auschwitz (1943-1945). Deportazioni – “Soluzione finale” – lavoro forzato. Un mosaico di vittime, pubblicato in lingua italiana, nello stesso anno, dal Museo statale di Auschwitz-Birkenau.

Il lavoro di Elisa Guida è un libro-biografia incentrato sulla vicenda esemplare di un ragazzo-uomo ed ex deportato ad Auschwitz: Piero Terracina, nato a Roma nel 1928 e morto nel 2019; unico sopravvissuto allo sterminio della sua famiglia, composta da nonno, genitori, zii, due fratelli ed una sorella. Non un intellettuale o un uomo politico, ma una “persona normale” divenuta poi, dopo i sessant’anni, uno dei più importanti testimoni italiani del dopoguerra.
Senza perdere la dignità è, per molti aspetti, una storia assai rappresentativa della Shoah nel nostro Paese; utile anche per un approfondimento sull’ebraismo dell’epoca ed i suoi rapporti col regime, perché Guida, “senza perdere la tenerezza”, incardina Terracina nella propria geografia esistenziale e…


L’articolo prosegue su Left del 21-27 gennaio 2022 

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SOMMARIO

Non ce la fanno

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 25-01-2022 Roma Conferenza stampa del centrodestra su elezione Presidente della Repubblica Nella foto Giorgia Meloni, Matteo Salvini Photo Roberto Monaldo / LaPresse 25-01-2022 Rome (Italy) Press conference by the center-right coalition on Election of the President of the Republic In the pic Giorgia Meloni, Matteo Salvini

Il senso di responsabilità del centrodestra sta tutto nelle giornate che abbiamo passato a sorbirci Silvio Berlusconi, intendo a cacciare il suo ultimo trofeo in carriera, inseguendo il Quirinale come se fosse l’ultimo e esclusivo modello imperdibile di un accessorio introvabile che avrebbe accresciuto il proprio prestigio.

Se qualcuno, ottimisticamente sbagliando, ha potuto pensare che quello stallo fosse il tributo dovuto al padrone ma poi si sarebbe finalmente tornati a fare sul serio (come prevederebbe la serietà e la responsabilità della Costituzione), ieri è stato smentito dal tris di proposte “di alto profilo” che ha partorito i nomi di Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio come papabili presidenti della Repubblica.

L’occasione è stata un’ottima opportunità fotografica anche per mostrare l’unità del centrodestra che non esiste (ma che serve in proiezione delle future elezioni) e per sentire spaventose parole in libertà di Salvini e Meloni, ormai talmente abituati a essere scollegati dalla realtà da dire che Moratti e Lombardia sono stati grandi protagonisti nella gestione della pandemia o che Pera potrebbe essere un ottimo presidente perché ha scritto un libro con il Papa. Di Letizia Moratti proprio su queste pagine abbiamo già raccontato la parabola (da ministra all’Istruzione e sindaca di Milano) che avrebbe teso qualsiasi credibilità politica se non fosse che tra la borghesia milanese la credibilità si può ricomprare al chilo potendoselo permettere. Di Carlo Nordio vale la pena, solo in tempi recenti, ricordare quando ci disse che la pedofilia è “un orientamento sessuale”. Ma si sa che dalle parti di Silvio normalizzare e invertire le sessomanie è un esercizio praticato da anni. Marcello Pera indicò la legge Zan come “un suicidio dell’Occidente” e da ministro durante un suo viaggio in Spagna bollò il matrimonio gay come “nessuna conquista ma solo un capriccio”.

Molti editorialisti concordano nel credere che il tris in realtà sia un bluff (sempre a proposito di responsabilità) per estrarre dal cilindro alla quarta votazione la presidente del Senato Casellati, quella che andò in televisione a giurarci che Ruby fosse la nipote di Mubarak e che ora vorrebbe giurare sulla Costituzione. La cifra politica e morale del centrodestra sta tutta qui, nella venerazione della mediocrità rivenduta come senso di appartenenza. I nomi che si bisbigliano dietro questo rumore di fondo sono Casini (il cui opportunismo molti scambiano per capacità di mediazione) e il solito Draghi che si è autocandidato esattamente come Berlusconi ma non ha nemmeno il peso di doversi confrontare con un partito poiché è circondato solo da ammiratori.

La giornata scorre così, in attesa di un presidente della Repubblica che possa non essere una bandierina di partiti ai blocchi di partenza per la prossima campagna elettorale ma che possa essere un garante nel suo ruolo (anche su questo noto una certa confusione). Di sicuro dopo la girandola di nomi in questi primi giorni, poiché le persone si abituano a tutto, alla fine scopriremo di ritenere accettabile anche ciò che era una sciagura fino a una settimana fa.

Buon mercoledì.