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Le Sardine ripartono: «Ddl Zan, amministrative, cannabis legale»

Una versione innovativa dell’Ulivo, allargata al mondo civico e alle realtà esterne ai partiti come le 6000 Sardine è nata a Bologna e a Latina. Progressisti, ecologisti e cristiano sociali hanno trovato una quadra su idee e progetti comuni, spendendosi per un cambiamento diffuso dal singolare al plurale, dal benestare dei pochi al benessere collettivo. Specialmente nella roccaforte di Bonaccini, contesto storicamente virtuoso, dove a giovare dell’appoggio delle Sardine questa volta è stato Matteo Lepore, che ha iniziato la campagna da tempo e non qualche mese prima della candidatura, cavalcando i canali social con slogan e sorrisi di plastica alla Borgonzoni.

«Se a Bologna sono certo che non sarà esportato il modello leghista ferrarese – esordisce il portavoce nazionale Lorenzo Donnoli – anche a Latina, dopo anni di clientelismo e collusione tra il potere e la criminalità organizzata, con migliaia di cittadini sotto la Prefettura a chiedere le dimissioni dell’allora giunta di destra, si è passati a un’amministrazione che ha dimostrato ascolto, competenza e onestà», dice riferendosi al sindaco Damiano Coletta, che si ripresenta alle elezioni. Tuttavia gli attivisti di piazza Maggiore non si aspettavano la convergenza di Letta e Conte sulla candidatura in Calabria di Maria Antonietta Ventura, manifestandosi scettici e delusi, ma senza polemizzare per non irrigidire le posizioni: «In Calabria nessuna politica di prossimità né di riscatto del territorio – incalza – ma ci sono addirittura quattro candidati a sfidare la destra sovranista di Roberto Occhiuto, capogruppo alla Camera di Forza Italia, e Antonino Spirlì, un politico che, ricordo, se n’è uscito con dichiarazioni di carattere omofobico. Speriamo in un rinsavimento e in uno sforzo di unità per una regione provata dal malgoverno e dalla ‘ndrangheta».

Le politiche sociali attente agli ultimi e ai penultimi rimangono tra i cardini delle Sardine, soprattutto nei confronti di chi ha pagato duramente la crisi pandemica. Da Nord a Sud il popolo della sinistra vorrebbe unità e rinnovamento, e sebbene le Sardine si stiano impegnando per mantenere coesi questi due percorsi, Donnoli non si sbilancia su relativi coinvolgimenti nelle civiche locali. Pare che sino all’ultimo non vogliano esporsi, nonostante le affermazioni strappate dalla stampa a Mattia Santori, e magari per timore di non suscitare più la partecipazione che nel 2019 fece tremare Salvini, sconfessando persino la sua macchina comunicativa.

Dopo che la pandemia ha provocato ripetutamente la chiusura delle piazze, privando ancora una volta la politica di un’appena riscoperta fisicità, il movimento grazie alla liquidità che lo contraddistingue ha rialzato subito la testa. Proprio a Bologna, tramite il progetto “Patrick patrimonio dell’umanità”, le Sardine unitamente ad Amnesty International hanno risposto all’ultima sentenza che prolunga la carcerazione al Cairo dello studente. Infatti dal 16 giugno, quando Patrick Zaki ha compiuto trent’anni, sono comparse la sua gigantografia sotto i portici del centro storico, da Porta Saragozza all’arco del Meloncello, insieme a quelle di altri cinquanta detenuti politici nel mondo.

Sebbene l’immaginario italiano sia ancora non troppo distante dall’inchiesta del Pasolini di Comizi d’amore, datata 1964, gli attivisti hanno sostenuto compatti il ddl Zan, reagendo positivamente alla proposta di Enrico Letta sulla tassa di successione e sulla dote ai diciottenni: «Sono solo due passi nel lungo cammino verso l’uguaglianza: il disegno di legge Zan è necessario in un Paese in cui sono necessari i centri antiviolenza e manca l’educazione affettiva e sessuale – argomenta Donnoli -. Con una mini patrimoniale su enormi capitali, che qui da noi è sempre stata un tabù preferendo l’austerity, in Spagna, si è investito su stato sociale, ricerca e innovazione, aumentando anche il salario minimo».

Se con disappunto definivano “tossico” il Partito democratico, pare che le Sardine abbiano via via cambiato idea: «Ritenevamo stagnante lo stallo in cui si trovavano i Dem nel momento tragico delle dimissioni di Zingaretti, il quale aveva provato ad allargare la più grande comunità politica del centrosinistra, ma i gruppi parlamentari sono rimasti gli stessi scelti da Renzi in una notte del 2018». Tuttavia l’appellativo venefico ha offeso gli amici piddini di Donnoli, ma non tutti: «Ci sono anime molto valide tra le loro fila, così i volontari che ho conosciuto alle Cucine popolari di Bologna, ma anche Monica Cirinnà, Caterina Cerroni, Valentina Cuppi e Brando Benifei, per citarne alcuni. Non dev’essere un progetto autoreferenziale, ma un campo largo che arrivi sino ai cristianosociali e a persone straordinarie come Pietro Bartolo; poiché ci sono valori che vanno al di là dell’appartenenza a un partito».

A Ferrara più che altrove, la Lega ha fatto breccia fomentando la paura nei confronti del diverso, dell’inflazionato “clandestino”, levando le panchine dai giardini pubblici e recintando i parchi. Purtroppo, però, nella città emiliana la sinistra continua a tacere: «La lettura di ciò che sta accadendo dovrebbe essere un’altra. La sinistra dovrebbe dare voce ai giovani e agli esclusi, a coloro che beneficerebbero davvero di una patrimoniale. Dovrebbe essere in grado di affrontare il tema della disoccupazione giovanile, di parlare di emigrazione quanto la destra di immigrazione. Solo negli ultimi quindici anni quasi 2 milioni e mezzo di italiani si sono trasferiti all’estero, con un incremento della mobilità pari a quello del secondo dopoguerra. Perché chi si riempie la bocca con gli immigrati, non tratta lo spopolamento del Sud e delle nostre periferie, né sfiora il tema delle armi vendute dalle nostre aziende ai regimi autoritari dai quali la gente fugge, o non si concentra sul riscaldamento globale e sulla sfida della questione della transizione ecologica?»

“E se fosse legale?” A metà giugno, a Roma, Firenze e Bologna c’è stato il tour delle 6mila piantine per la campagna di legalizzazione della Cannabis: «Battaglia che combattiamo con MeglioLegale e a fianco dei Canapisti – specifica Donnoli – per non mettere i nostri minori di fronte a un pericolo inutile, per creare lavoro e affinché lo Stato ricavi miliardi di euro altrimenti destinati alle mafie. Il proibizionismo non è la strada da percorrere; lo ha dimostrato il Portogallo, dove dal 2001 il possesso e il consumo di tutte le droghe, anche pesanti, non è più un reato, determinando il crollo del numero di eroinomani, di chi si bucava per trasgredire».

Le radici intellettuali di Lorenzo Donnoli, della sua attenzione per il prossimo e del suo attivismo civico risaltano nella pubblicazione fresca di stampa per Piemme, Cervello ribelle. Diario atipico di una sardina autistica. Il suo esordio in libreria rivela un’indole spontanea, corretta e coerente: per chi come lui ha una passione congenita per la scienza e l’oggettività, la sindrome di Asperger, che è inclusa nello spettro autistico, è diventata una lente per interpretare la realtà; perciò i politici “puffaroli” e inconcludenti sono stati da subito il suo bersaglio. Chi non ricorda il botta e risposta tra lui e Vittorio Sgarbi su La7, a Piazza Pulita, nel gennaio del 2020? Per un Aspie aver mantenuto il polso della situazione di fronte all’irruenza del factotum culturale non dev’essere stato facile. Donnoli si limitava a sorridere mentre Sgarbi criticava la costituzione della commissione Segre, per poi invitarlo a casa sua, a Roma, a telecamere spente.

«Manca la consapevolezza dei neurotipici – conclude Donnoli – di quanto le menti riformatrici e fuori dagli schemi siano utili alla collettività forse più di quelle tipiche; basti pensare alle conquiste e ai risultati ottenuti dalle visioni di Greta Thunberg, Elon Musk e Bill Gates, visioni di persone con sindrome di Asperger che hanno aiutato a migliorare il presente».

(nella foto da sinistra Lorenzo Donnoli, Jasmine Corallo e Mattia Santori)

Uno vale Grillo

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 25 Giugno 2021 Roma (Italia) Cronaca : Beppe Grillo lascia l’hotel Forum Nella Foto : Beppe Grillo Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse June 25 , 2021 Roma (Italy) News : Beppe Grillo leaves from Forum Hotel In the pic : Beppe Grillo

Le giusta misura della democrazia di un partito si rivela principalmente da quanto sia effettivamente scalabile. Non è una questione di lana caprina da politologi ma è il termometro per misurare lo stato di salute di un partito, di qualsiasi partito.

Il berlusconismo ad esempio tra le altre cose ha proposto un modello di partito-azienda che per anni in molti da queste parti abbiamo criticato, ci siamo spesi per contestare la radice stessa di un partito che possa avere un “proprietario” che, alla stregua di un presidente di calcio, si compra la sua squadra (di cui non può fare a meno per potersi iscrivere al campionato) mica per giocare ma per “oliare” rapporti altri e portarla come lustrino.

Ciò che sta accadendo in queste ore nel Movimento 5 stelle è la solita vecchia storia del fondatore che diventa anche l’affondatore, di un movimento che era nato per rinnovare la politica (anzi, peggio, “distruggere i partiti” dicevano con un’arrogante violenza che alla fine gli si è ritorta contro) e invece della politica ha preso molti dei lati peggiori.

Pensate solo a un aspetto: la trattativa tra Conte e Grillo si è consumata come nella Prima Repubblica uscendo di sguincio solo sotto forma di indiscrezioni e smentite con un processo che non ha avuto nulla di trasparente e solo oggi forse sarà possibile averne contezza attraverso le rivendicazioni di una e dell’altra parte, con la stessa opacità dei più oscuri caminetti dei nebulosi partiti.

Perfino la Lega, che da queste parti non abbiamo mai amato per le sue derive destrorse e inumane, è risultata scalabile sostituendo Bossi con Maroni e poi Maroni con Salvini e poi il prossimo che sostituirà Salvini. Forza Italia e il Movimento di Grillo sono gli unici due partiti con rilevanti risultati elettorali e ruoli di governo che rimangono inchiodati all’immobilismo dei vertici.

Che Grillo abbia avuto la stupidità di bollare come incapace l’uomo che per due volte ha messo a capo del governo dimostra tutta la sua pericolosa arroganza: ieri ci ha fatto sapere che l’uomo che lui ha ritenuto in grado di governare l’Italia non sarebbe in grado di guidare un partito, buttando letteralmente nel cesso tutti questi ultimi anni. Tant’è che viene naturale dirsi “povera Italia” ben più di “poveri Cinque stelle”. Si tratta di un’autocritica distruttiva (perché la pars destruens è l’unica che Grillo riesce ad adottare) involontaria che devasta il suo stesso progetto politico. E anche questo è un film già visto: ora ci sarà la scissione, poi la parcellizzazione e poi tutto il resto.

Intanto partitini padronali di presunto centrosinistra stanno esultando felici per un sassolino che possono togliersi dalle scarpe senza rendersi conto che in tutto questo il duo Salvini e Meloni viaggia a gonfie vele, il signor Draghi sblocca i licenziamenti e quatto quatto governa in continua virata verso destra con l’accondiscendenza di quasi tutto l’arco parlamentare e non si vede ancora nemmeno un minimo di strategia per la costruzione di un serio campo democratico. Esultano per la crisi del M5s senza rendersi conto che rischia di spianare la strada ad una destra ancora più destra di quello che c’è.

Per questo Grillo ha responsabilità ancora più gravi della semplice gestione del suo Movimento: lo sconquasso politico avrà effetti anche su quelli che stanno festeggiando. E chissà che una volta per tutte non si smetta di credere alla favola dell’uno vale uno nel partito in cui uno vale Grillo da sempre.

Buon mercoledì.

Concorso esterno in tortura

FOTO DI REPERTORIO ©LAPRESSE 05/01/2012 Carceri:scontro governo-polizia

Ieri il gip di Santa Maria Capua Vetere su richiesta della Procura locale ha firmato l’esecuzione di 52 misure di custodia cautelare nei confronti di poliziotti e impiegati del Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria della Campania. Le accuse sono: torture pluriaggravate ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, falso in atto pubblico aggravato, calunnia, favoreggiamento personale, frode processuale e depistaggio. “Un’orribile mattanza”, si legge nell’ordinanza, riferendosi alle violenze che scoppiarono in occasione della rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile 2020, quando 150 detenuti circa misero in atto una rivolta dopo avere saputo di un contagio Covid nella struttura.

Dopo la protesta il 6 aprile ci fu una perquisizione straordinaria nei confronti di quasi tutti i carcerati del reparto Nilo. Secondo i magistrati si trattò di violente rappresaglie, a cui avevano partecipato 283 unità, sia interne all’organico del carcere sia provenienti dal Gruppo di supporto agli interventi. Secondo la procuratrice Maria Antonietta Troncone le immagini di videosorveglianza dimostrerebbero “l’arbitrarietà delle perquisizioni, disposte oralmente”, e fanno emergere “il reale scopo dimostrativo, preventivo e satisfattivo, finalizzato a recuperare il controllo del carcere e appagare presunte aspettative del personale della Polizia Penitenziaria, essendosi conseguentemente utilizzato un atto di perquisizione”. Le immagini, prosegue il procuratore, “rendevano una realtà caratterizzata dalla consumazione massificata di condotte violente, degradanti e inumane, contrarie alla dignità ed al pudore delle persone recluse”. Alcuni detenuti erano stati lasciati senza biancheria e nonostante avessero i segni delle violenze non sarebbero mai riusciti ad accedere alle cure mediche.

Dai video acquisiti, scrive la procuratrice, “era possibile accertare, in modo inconfutabile, la dinamica violenta, degradante e inumana che aveva caratterizzato l’azione del personale impiegato nelle attività, persone difficilmente riconoscibili perché munite di DPI ed anche, quanto a numerosissimi agenti, di caschi antisommossa, unitamente a manganelli in dotazione, illegalmente portati con sé, ed anche di un bastone”. I detenuti del reparto Nilo, ricostruiscono i magistrati, erano stati costretti a camminare attraverso un “corridoio umano” formato dai poliziotti e percossi al passaggio con “un numero impressionante di calci, pugni, schiaffi alla nuca e violenti colpi di manganello, che le vittime non riuscivano in alcun modo ad evitare”. Si tratterebbe di “uno dei più drammatici episodi di violenza di massa perpetrato ai danni dei detenuti in uno dei più importanti istituti penitenziari della Campania”, “un vero e proprio uso diffuso della violenza, intesa da molti ufficiali ed agenti della Penitenziaria come l’unico espediente efficace per ottenere la completa obbedienza dei detenuti” e “una orribile mattanza”.

I messaggi tra gli agenti di Polizia penitenziaria sono terribili: “Allora domani chiave e piccone in mano”, “li abbattiamo come vitelli”, “non sempre il mefisto serve ai banditi per fortuna”, “spero che pigliano tante di quelle mazzate che domani li devo trovare tutti malati”, “si deve chiudere il reparto Nilo per sempre, il tempo delle buone azioni è finito”, scrivono prima delle perquisizioni. Subito dopo gli eventi, altri messaggi che li commentano: “Il sistema Poggioreale”, “quattro ore di inferno per loro”, “qualche ammaccato tra i detenuti… cose normali”; “Abbiamo ristabilito un po’ l’ordine”, “ho visto cose che in sei anni non immaginavo nemmeno”, “c’è stato un carcerato che ha dato addosso a un collega e lo hanno portato giù alle celle e come di rito ha avuto pure la parte sua”, “Dalle 16 alle 18 abbiamo fatto tabula rasa” e “Oggi si sono divertiti al Nilo”. Dopo l’acquisizione dei video, invece, il tenore cambia. C’è la paura di venire identificati, di pagare le conseguenze. Quindi i messaggi sono del tutto diversi: “Temo che da domani sarà una carneficina”, “Ci andranno pesante”, “mò succede il terremoto”, “pagheremo tutti, 300 agenti e una decina di funzionari”, “decapiteranno mezza regione”, “è stata gestita male e sta finendo peggio” e “finirà come la cella zero”.

Gli agenti e diversi ufficiali sono accusati di avere prodotto delle false fotografie, scattate ad armi e oggetti atti a offendere sequestrati in altre circostanze, spacciandole per materiale trovato durante e subito dopo la protesta. Tra questi, gli scatti che ritraevano dei pentolini sui fornelli, che nei racconti sarebbero diventati quelli utilizzati per riscaldare olio e acqua da gettare sui poliziotti. Ora un processo accerterà i fatti e le responsabilità.

Appena uscita la notizia Matteo Salvini ha dichiarato: “Giovedì sarò a Santa Maria Capua Vetere per portare la solidarietà, mia e di milioni di italiani, a donne e uomini della Polizia Penitenziaria che lavorano in condizioni difficili e troppo spesso inaccettabili”, ha spiegato Matteo Salvini, “La Lega sarà sempre dalla parte delle Forze dell’Ordine”. Si tratta di un’affermazione gravissima perché ancora una volta la provocazione di Salvini è quella di stare “con i poliziotti” non per un giusto garantismo ma proprio perché colpevoli: quell’esprimere solidarietà è un modo per niente sottile di dichiarare di voler essere dalla parte dei violenti e dei colpevoli in appoggio a un autoritarismo che non ha niente a che vedere con la democrazia. In calo di consensi Salvini si spinge fino ai limiti della democrazia per dirci che, come avviene per gli stranieri, i detenuti sono i “deboli” che è giusto trattare come scarti della società, “altro” da noi. Ovviamente solo se i “detenuti” sono dei poveri disperati: chissà cosa direbbe Salvini se a essere lasciato in carcere senza diritti fosse stato il suo quasi suocero Denis Verdini. Del resto è lo stesso Salvini che ancora fatica a riconoscere le violenze dei carabinieri (già condannati) su Stefano Cucchi. E una frase del genere dovrebbe fare incazzare proprio i poliziotti onesti (che sono la stragrande maggioranza) che vedono un leader politico sporcare la loro credibilità.

Se esistesse il reato di concorso esterno in tortura Matteo Salvini sarebbe il primo indiziato d’Italia. Ancora una volta l’ex ministro dell’Interno si mostra fiero dalla parte sbagliata per un pugno di voti. E chissà se avremo ancora la voglia di dircelo quanto sia grave una roba così.

Buon martedì.

Mestieri (politici) pericolosi: il sindaco

Foto LaPresse31-03-2020 Roma, ItaliaPoliticaAnche i sindaci deputati, impegnati oggi a Roma per i lavori di Aula e commissione, aderiscono all'iniziativa dell'Associazione nazionale comuni italiani e dell'Unione delle province italiane, lanciata dal presidente della provincia di Bergamo Gianfranco Gafforelli e subito accolta con una lettera rivolta a tutti i sindaci del Paese dal presidente dell'Anci, Antonio Decaro.Nella foto: sindaci deputati durante il minuto di silenzio alle 12 a ingresso Montecitorio Photo LaPresseMarch 31st, 2020 Rome, ItalyPoliticsMayors deputies during the minute of silence at Montecitorio entrance for coronavirus victims.

Poi un giorno con calma si riuscirà finalmente a discutere dell’architettura legislativa che rende l’essere sindaco di una città qualsiasi uno dei mestieri più pericolosi rispetto a qualsiasi altro ruolo politico. Si potrebbe capire, ad esempio, perché in Italia la classe dirigente della politica tutta molto spesso non ha esperienze (oltre che competenze) che la possano rendere autorevole.
Si potrebbe anche comprendere perché in molti (quasi tutti) preferiscano sedersi in una comoda assemblea legislativa (che sia il Parlamento o un Consiglio regionale) piuttosto che avventurarsi nell’amministrazione diretta di una città.

È passata la buriana di accuse e di commenti e ancora una volta sono scomparsi i temi che stanno dietro le vicende dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti e dell’attuale sindaca di Crema Stefania Bonaldi.
Simone Uggetti si è ritrovato, dopo cinque anni, assolto con formula piena («il fatto non sussiste») per un’accusa di turbativa d’asta che in primo grado di giudizio si era conclusa con una condanna a dieci mesi di reclusione e 300 euro di multa. Le accuse incrociate della gogna che ci fu nel periodo del suo arresto (si è tanto parlato delle responsabilità del Movimento 5 stelle e della Lega di Salvini dimenticandosi che il segretario del Pd (di cui Uggetti era esponente in quel periodo) Matteo Renzi lo scaricò voracemente in poco meno di un secondo. Quelle accuse venute da ogni parte hanno oscurato un tema che invece è tutto politico: il caso dell’ex sindaco di Lodi è l’ennesimo nella storia del nostro Paese in cui un’accusa (rivelatasi infondata) porta all’arresto di un sindaco e soprattutto al capovolgimento dello scenario politico.

In una città che da sempre vedeva il centrosinistra al governo, la Lega, proprio con una campagna elettorale incentrata sull’arresto dell’ex sindaco del Pd, ha vinto le elezioni e tuttora governa la città. Non si tratta soltanto della vicenda umana di una persona ingiustamente incarcerata, ma molto più largamente si parla di una comunità che ha visto deviare la propria guida politica sulla base di accuse inconsistenti. Per alcuni giorni, con Uggetti che imperversava in tutte le televisioni, come se non fossero centinaia i casi del genere accaduti in passato, sembrava potersi accendere finalmente una riflessione complessa sul garantismo e sul delicato punto di equilibrio tra politica e magistratura, ma i…


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Dalla parte di Adil e di chi lotta per i diritti

Il 18 giugno, Adil Belakhdim, sindacalista in presidio davanti ai cancelli del deposito Lidl per cui lavorava, è stato travolto e ucciso da un camion che ha forzato il blocco dei lavoratori. È morto ammazzato per aver rivendicato dignità e diritti. Questo episodio si aggiunge a quanto accaduto la notte di giovedì 10 giugno alla Zampieri di Tavazzano, dove diversi picchiatori in pettorina catarifrangente hanno attaccato a colpi di bastoni i lavoratori dell’hub Tnt FedEx di Piacenza, chiuso settimane fa dalla multinazionale della logistica, lasciandone nove feriti a terra.

Questi attacchi svelano delle realtà padronali e violente e ci dicono di un’escalation di attacchi gravissimi nei confronti dei facchini e del diritto di sciopero, proprio nel settore che ha accumulato più profitto durante la pandemia, quello della logistica. Nella logistica le associazioni datoriali hanno da tempo messo in campo un’offensiva che punta ad abbattere le conquiste ottenute dai facchini negli ultimi dieci anni.

Due sono le situazioni più emblematiche, almeno tra i fronti che si sono aperti più di recente. Da una parte c’è la vicenda Amazon, dove i sindacati confederali hanno da poco conquistato una contrattazione che migliori le condizioni di lavoro, in particolare quelle dei driver. E questa cosa evidentemente non piace. Dall’altra c’è la vertenza FedEx-Tnt, che vorrebbe licenziare migliaia di lavoratori, discriminando quelli iscritti ai sindacati di base, che di certo non rinunciano a lottare per i propri diritti e salari migliori. E questo è persino più inviso dalla parte padronale, perché quelle lotte sono attraversate da un bisogno che accomuna milioni di lavoratori in Italia e il conflitto rischia di diffondersi. Ma c’è di più. È uscita allo scoperto quella parte del Paese che vuole i licenziamenti, li vuole ora e non ha alcuna intenzione di ricorrere a soluzioni alternative per salvaguardare la vita e la sicurezza sociale di chi lavora per vivere. Quello che conta è nuovamente il profitto.

Siamo in una condizione in cui da una parte ci sono coloro che difendono il lavoro, la parte dei sindacati, dei diritti e della dignità del lavoro, mentre dall’altra ci sono coloro che ingaggiano milizie private per abbattere chi protesta per salari migliori, coloro che attentano alle vite dei lavoratori manomettendo i dispositivi di sicurezza e che condannano intere generazioni a vivere sotto la soglia di povertà. La situazione sarebbe ovviamente più articolata eppure anche queste sono considerazioni buone per i tempi di pace. Noi invece stiamo vivendo nel pieno di un conflitto e dobbiamo decidere da che parte stare. E questa parte è la parte di chi vuole garantire sicurezza attraverso il lavoro e dignità con i salari.

Noi continueremo a chiedere di prorogare il blocco dei licenziamenti per tutto il tempo necessario ad ultimare la riforma degli ammortizzatori sociali e a immaginare soluzioni alternative per le centinaia di migliaia di persone che rischiano di perdere l’unica fonte di reddito per sé e per le proprie famiglie. Continueremo a batterci per una soglia minima salariale che possa rappresentare un vero contrasto alla povertà dilagante, partendo da una delle tante proposte presentate durante questa legislatura, una delle quali ho depositato io stesso come primo firmatario. Continueremo a chiedere un nuovo Statuto dei Lavoratori, che tenga in considerazione la nuova organizzazione del lavoro e fornisca ai lavoratori più adeguati strumenti di rappresentanza, a partire dalla contrattazione inclusiva, e che tuteli il diritto allo sciopero. Nella difesa del lavoro e della vita di chi lavora per vivere, ci troveranno sempre pronti.

*

L’autore: Francesco Laforgia è docente universitario, senatore di Leu e fondatore di èViva


L’editoriale è tratto da Left del 25 giugno – 1 luglio 2021

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È immorale fingere di non vederlo, il mondo

Orlando Merenda aveva 18 anni. E aveva un grosso problema, quello che alcuni minimizzano dicendo che “non c’è niente di male”, che “è solo uno scherzo”, che “è sempre stato così”: era bersagliato da bulli che lo attaccavano per la sua omosessualità. «Era preoccupato e non mi ha fatto i nomi di chi gli faceva del male. Diceva che queste persone mettevano in dubbio la sua omosessualità», racconta il fratello in un’intervista a La Stampa.

Di sicuro c’è che tutti i giorni fosse bersagliato da frasi omofobe che avevano invaso i suoi spazi social oltre alla vita di tutti i giorni. Le vessazioni sono state raccontate anche dai suoi amici più stretti che raccontano come Orlando comunque abbia sempre mantenuto il riserbo, poco incline allo scontro e abbia deciso di non raccontare nulla ai suoi famigliari.

Orlando Merenda a 18 anni ha deciso di buttarsi sotto un treno. «Il tuo ultimo saluto è stato un caffè con un Kinder Bueno – scrive il fratello di Orlando su Facebook -. Nel pomeriggio abbiamo fatto la tragica scoperta. Sei andato via a soli 18 anni lasciando in noi un grande vuoto. Speriamo che tu sia tranquillo ora e senza pensieri».

Poiché l’odio non si arresta nemmeno con l’eliminazione dell’avversario, visto che ha bisogno di nutrirsi in continuazione, sui profili social di Orlando oltre ai messaggi di cordoglio sono arrivati insulti. Ancora. C’è perfino un “morte ai gay” scritto sotto le foto di un gay morto.

Si indaga per omofobia. Ora qui c’è il punto fondamentale, non si tratta di discutere del Ddl Zan e non si tratta nemmeno di essere in continua propaganda: si tratta di rendersi conto di qualcosa che c’è, che è perfino naturale e che innesca un odio che ormai è evidente e continuo.

Non siamo nemmeno al punto di dover immaginare “un mondo che verrà”, qui si tratta di prendersi la responsabilità di scorgere la realtà: è immorale fingere di non vederlo, il mondo.

Buon lunedì.

Per far ripartire la scuola

A group of students enters a classroom of the Faculty of Sciences of the Campus Montilivi of the University of Girona to begin the selectivity exams 2021, on June 8, 2021, in Girona, Catalonia (Spain). A total of 39,775 students in Catalonia start this Tuesday the University Entrance Exams (PAU) in several centers between universities and institutes and that as last year will be held for four days. EBAU;SELECTIVITY;EVAU;EDUCATION;UNIVERSITY;8TH OF UNIO 2021 Glòria Sánchez / Europa Press 06/08/2021 (Europa Press via AP)

La scuola sta finendo. Gli esami di Stato in corso segnano l’atto conclusivo di un altro anno scolastico estremamente problematico, preso in ostaggio dalla pandemia e dalle tante inadeguatezze della politica. Il Covid-19, infatti, ha messo a nudo e accresciuto le tante criticità che da anni affliggono la scuola pubblica, considerata da troppo tempo e da troppi governi una spesa da ridurre e non un lungimirante investimento: dagli edifici inadeguati e pericolanti all’elevato numero di allievi per classe, dalla precarietà del corpo docenti alla didattica eccessivamente nozionistica.

Giunti alla fine di questo biennio difficile e logorante, vissuto tra didattica a distanza, tamponi, numerose e quasi sempre inutili pratiche burocratiche e limitazione della socialità, da più parti è emersa l’esigenza di aprire una discussione pubblica sul presente e sul futuro della scuola italiana, riflettendo in modo critico sulle falle e sulle storture del sistema d’istruzione. Cosa non funziona? Perché tanti allievi, tante famiglie, tanti docenti e personale Ata vivono male la scuola? Cosa si è rotto e soprattutto cosa non ha mai funzionato? Per provare a rispondere a queste domande dobbiamo avere il coraggio e l’onestà intellettuale di affrontare un’altra questione, oggi più che mai tanto ineludibile quanto impegnativa: a cosa serve la scuola oggi?

A sentire le opinioni degli stessi studenti la scuola oggi sembrerebbe servire a poco. Nell’era della globalizzazione economica, della società di massa liquida e precaria, del trionfo assoluto della tecnologia, dell’egemonia culturale dei social e della connessione digitale permanente, la scuola sembra essersi smarrita e ammalata di un male anonimo, oscuro e silenzioso. Tale male che assedia la scuola si chiama nichilismo: esso è un vuoto che tutto divora, in cui tutto si annulla e perde valore, in cui ogni cosa, dalle persone alle emozioni, dalla conoscenza allo stare insieme, diventa un oggetto tra gli oggetti, una merce tra le merci. La scuola si sta trasformando rapidamente in un non luogo di emozioni tristi, fatto di solitudini, frustrazioni, numeri e competizione, in cui i principi costituzionali di solidarietà, inclusione e democrazia stanno evaporando nel lontano cielo della formalità dei diritti.

La ripartenza della scuola, pertanto, dovrebbe andare di pari passo con un profondo cambiamento di quegli aspetti che si sono sedimentati nel tempo e che hanno disgregato l’essenza stessa dell’istruzione. L’impianto democratico della scuola ha subito un pesante attacco nel momento in cui essa ha smesso di darsi come obiettivo l’emancipazione dei propri allievi da ignoranza, sudditanza tecnologica e sfruttamento economico.
La scuola oggi è in grande sofferenza. Siamo in presenza di…

*-*

L’appuntamento: Chiara Foà e Matteo Saudino, insegnanti e autori del pamphlet “Cambiamo la scuola. Per un’istruzione a forma di persona” (Eris edizioni), il 25 giugno partecipano al dialogo “La scuola del desiderio” alla Festa della filosofia in programma al Monk a Roma. festafilosofia.tlon.it

 


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La rivoluzione della cultura

MILAN, ITALY - APRIL 27: A young woman visits the permanent collection of the Gallerie D'Italia, a museum part of the cultural initiatives from Italian banking group Intesa Sanpaolo, on April 27, 2021 in Milan, Italy. Cafes, bars, restaurants, cinemas and concert halls will partially reopen across Italy in a boost for coronavirus-hit businesses, as parliament debates the government's 220-billion-euro ($266-billion) EU-funded recovery plan, the biggest in Europe so far. (Photo by Emanuele Cremaschi/Getty Images)

Dietro l’ingresso di un museo, di un archivio, di una biblioteca, di un parco archeologico c’è un mondo di professionisti spesso sconosciuti ai più, composto da dipendenti e da molti collaboratori esterni: un mondo di archivisti, bibliotecari, archeologi, antropologi, storici dell’arte e di tanti esperti che giorno dopo giorno cercano di agevolare lo studio, la fruizione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale di cui è ricco il Bel Paese. Si tratta di una realtà complessa che una comunicazione istituzionale tende a mostrare solo per una parte, quella dei grandi eventi o delle aperture saltuarie di beni culturali che spesso rimangono chiusi per la gran parte dell’anno. Questo mondo si regge sempre di più sul precariato, sull’insicurezza lavorativa, sullo sfruttamento del lavoro derivante da un’esternalizzazione che non valorizza le competenze, quindi la qualità. Chi è in prima linea in questo momento è l’associazione Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, punto di riferimento per migliaia di lavoratori del settore (v. Left del 2 febbraio 2018 ndr).

L’associazione nasce come collettivo a Bologna nel 2015 all’interno del mondo studentesco e nel corso degli anni si è ampliata a macchia d’olio. Operatori culturali che provengono da discipline diverse, ma che si ritrovano su un obiettivo comune, semplice: la richiesta di criteri chiari e condivisi per poter svolgere una professione, in modo che un ente pubblico non corra il rischio di assumere un incompetente. L’associazione comincia a denunciare che «assistiamo troppo spesso a lavori mal pagati o gratuiti, impieghi saltuari, dequalificazione del lavoro, scarsa considerazione del ruolo delle nostre competenze per restare a guardare». Eppure nel 2014, quindi un anno prima della nascita di Mi riconosci?, era stata approvata la legge Madia, che aveva riconosciuto molte figure operanti nel settore dei beni culturali, eseguita solo nel 2019 con decreti attuativi, peraltro molto farraginosi. La ribalta, il movimento l’ottiene con la denuncia costante dei bandi ministeriali per i volontari del Servizio civile.

Il più clamoroso fu nel gennaio 2016 quando il bando riguardava l’arruolamento di ventinove volontari del servizio civile al fine di valorizzare la conoscenza e la fruizione dei beni culturali, artistici e architettonici del Municipio Roma I nell’ambito delle iniziative del Giubileo della misericordia. In pratica si trattava di un ingaggio di volontariato al posto di lavoro qualificato. «Nei primi quaranta giorni del 2016, a meno di due mesi dalla nascita, avevamo in pochissimo tempo abbattuto un muro, creato interesse mediatico su di un argomento spesso e volentieri ignorato», denuncia il movimento Mi riconosci? in un approfondito dossier Oltre la grande bellezza. Il lavoro nel patrimonio culturale italiano recentemente pubblicato per i tipi di DeriveApprodi e disponibile tramite il sito www.miriconosci.it. Il vaso di Pandora era stato scoperchiato, non solo nei…


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Alla ricerca di nuovi spazi per vivere

A man wearing a face mask to curb the spread of COVID-19 walks in the installation "Uncertainly" in the Spanish Pavillon, at the Biennale International Architecture exhibition, in Venice, Italy, Wednesday, May 19, 2021. (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Dopo il rinvio dall’anno scorso a quest’anno, a causa dell’emergenza pandemica, il 22 maggio è stata inaugurata e rimarrà aperta fino al 21 novembre la 17esima edizione della Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia, intitolata How will we live together?, con la direzione artistica dell’architetto libanese Hashim Sarkis preside della School of architecture and planning del Massachusetts institute of technology (Mit).
L’edizione di quest’anno vuole rispondere alla domanda “come vivremo assieme”, affermando con le parole di Sarkis che: «Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale. In un contesto caratterizzato da divergenze politiche sempre più ampie e da disuguaglianze economiche sempre maggiori, chiediamo agli architetti di immaginare degli spazi nei quali possiamo vivere generosamente insieme».

In questa cornice generale il Padiglione Italia curato da Alessandro Melis, indaga il tema del vivere insieme proponendo le esperienze delle “Comunità resilienti” laddove secondo il curatore «le comunità resilienti sono organismi costituiti da intrecci di relazioni, risorse, opportunità e prospettive che sono capaci di mettere in atto strategie in grado di fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico».
L’ipotesi di ricerca è quella di indagare con uno spirito interdisciplinare alcune esperienze di resilienza di comunità italiane “marginali” che proprio per la loro peculiarità possono proporre soluzioni alle sfide complesse dei cambiamenti sociali, migratori, economici e climatici in atto.

L’intenzione è quella di decifrare un codice del cambiamento anche con sconfinamenti nelle discipline naturalistiche, nella medicina e in molti altri ambiti che non sono strettamente quello dell’architettura, alla ricerca della capacità di resilienza umana, di cui la creatività appare essere l’essenza più individuabile.
Una raccolta volutamente disomogenea di eccezioni, di condizioni limite, nella convinzione che in queste esperienze si possa annidare un’originalità capace di rispondere a domande nuove e complesse con un esplicito riferimento anche agli studi neo evoluzionisti di Stephen J. Gould.
Le comunità resilienti sono “unita minime” che suggeriscono strategie di rigenerazione o addirittura di costruzione della coesione sociale, da utilizzare nelle comunità che hanno subito tensioni e spinte individualistiche dovute a vari fattori. Non ultime le misure di protezione per la pandemia.
In questo scenario l’architettura è intesa come disciplina che facilita la ricostruzione delle relazioni e dei valori riconnettendo i contenuti di vari saperi e l’architetto è la figura in grado di lavorare alla rigenerazione di quei valori.
Nel padiglione sono presenti varie sezioni: la prima e che meglio sintetizza le intenzioni è dedicata all’Architectural exaptation, concetto che richiama le caratteristiche della resilienza intesa come diversità, variabilità, ridondanza e disomogeneità, seguono temi quali le comunità delle Dolomiti, il mondo femminile dell’architettura, la città italiana media come modello di…


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Un Arsenale per il futuro

Foto Tagliapietra/Masini/LaPresse19/05/2021 - Venezia, ItaliaCronaca17^ Biennale di Architettura a Venezia, immagini in anteprimaNella foto: ArsenalePhoto Tagliapietra/Masini/LaPresseMay 19, 2021 - Venezia, ItalyNews17th Biennale Architettura 2021, preview picturesIn the pic: Arsenal

La Biennale di Architettura di Venezia quest’anno ha ottenuto un gran traguardo. È aperta. Quasi un miracolo se si pensa alle difficoltà che si sono vissute, al ritardo della decisione di aderire di molte nazioni e alla perplessità di altre. Ma la grandissima maggioranza dei Paesi alla fine ha aderito, un successo per la nostra grande manifestazione internazionale di architettura. Il fatto che si possa andare a visitare la mostra a Venezia, in sicurezza e quasi come se il Covid fosse passato, è un successo di cui bisogna dare atto al neo presidente della Biennale Roberto Cicutto e al curatore, il professor Hashim Sarkis che è un architetto di origine libanese che dirige il dipartimento di architettura del Mit (Massachusetts institute of technology) a Boston.

Condivisa la felicità per l’apertura della manifestazione ai Giardini, naturalmente, una piccola guida può essere utile al visitatore anche perché in un solo giorno di visita è difficile orientarsi e i 25 euro del biglietto vanno ben spesi. Detto questo, io penso che la mostra disposta al padiglione centrale ai Giardini sia parecchio inferiore alle aspettative. O meglio, inquadra l’architettura dentro un campo oscillante tra scienza ed arte. Ma non ha il rigore e la fascinazione delle scoperte scientifiche, né il rischio e la provocazione emotiva e intellettuale dell’arte. In questa terra di mezzo nelle molte installazioni più o meno “scientifiche” l’architettura scompare. Cilindri con bollicine di aria che salgono con dentro scheletri di animali, minerali appesi alle volte, come abbiamo visto molte volte, plastici territoriali colorati e altre operazioni simili.

Il tema proposto dal curatore Come vivremo insieme? non appare affatto chiaro. La sezione più concreta è forse quella che si chiama “Trascending the urban rural” (“Al di là del rurale urbano” ammesso che sia possibile tradurre così il titolo della sezione) ma io ho perplessità in questo ritorno dell’agricoltura nelle maglie della città. Si potrebbe già oggi coltivare molto, nei terrazzi, nei giardini, nei tetti, nelle aree semi abbandonate se lo volessimo. A me pare che questa idea sia astratta, che prescinda dai comportamenti reali.
Bisogna ricordare che il concetto di ecologia non riguarda l’ambiente o la cura dell’ambiente di per sé, ma una serie di relazioni tra ambiente naturale, ambiente antropizzato e soprattutto comportamenti degli uomini nelle sfere tecnologiche e culturali in cui storicamente vivono. In vari punti dei Giardini della Biennale dell’esposizione emergono grandi strutture, una sorta di…


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