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Hong Kong, la libertà di stampa è di nuovo sotto attacco

HONG KONG, CHINA - JUNE 17: In this handout image provided by Apple Daily, police officers conduct a raid at the Apple Daily office on June 17, 2021 in Hong Kong, China. Hong Kong's national security police raided the office of Apple Daily, the city's fierce pro-democracy newspaper run by media magnate Jimmy Lai, in an operation involving more than 200 officers. Journalists were barred from their own offices, as Secretary for Security John Lee said the company used "news coverage as a tool" to harm national security, according to local media reports. Police arrested 5 executives including the CEO of Next Digital, which owns Apple Daily, the reports said. (Photo by Apple Daily via Getty Images)

Quanti agenti armati sono necessari per tappare la bocca ai giornalisti di uno dei quotidiani più schietti e democratici di Hong Kong, quale l’Apple daily? Secondo il governo di Hong Kong, che ha applicato la legge per la sicurezza nazionale voluta da Pechino, almeno duecento.

Il raid delle forze dell’ordine hongkonghesi presso la redazione, avvenuto il 17 giugno, è stato trasmesso in diretta Facebook sulla pagina della stessa testata. Il video live ha mostrato al pubblico mondiale un ulteriore giro di corda attorno alla libertà di stampa dei cittadini di Hong Kong, nonostante le autorità locali non siano dello stesso avviso. Il bilancio dell’operazione è stato di cinque arresti tra dipendenti e dirigenti della testata. L’accusa formulata nei loro confronti è quella di “collusione con forze estere”; gli agenti hanno provveduto a sequestrare documenti, file, computer e appunti di tutta la redazione e di tutti i giornalisti, allontanando i presenti dalle loro scrivanie e scortando fuori alcuni dirigenti e impiegati, tra cui il caporedattore della testata, Ryan Law.

Tuttavia, stando alle affermazioni della polizia di Hong Kong, agli altri redattori sarebbe stato permesso di tornare a svolgere il proprio lavoro subito dopo aver scortato fuori dagli uffici il personale preso in custodia, cosa che sconfesserebbe appunto l’idea di aver privato il giornale della sua libertà di stampa, garantita dalla mini-costituzione di Hong Kong.

Il governo di Hong Kong aveva preso di mira l’Apple daily già nell’agosto 2020, quando Jimmy Lai, fondatore della testata e imprenditore attivo nel campo della moda e dei media, venne arrestato per aver violato la legge sulla sicurezza nazionale, con l’accusa di aver sostenuto e istigato le rivolte di piazza dei black bloc, nonché di aver supportato economicamente un partito americano e di essere in complotto con forze “anti-cinesi”. Rilasciato su cauzione, Jimmy Lai è tornato in carcere nel dicembre dello stesso anno, senza possibilità di uscire nuovamente di cella pagando una cauzione. Da lì continua a sostenere il percorso pro-democratico del suo giornale, tanto che a scatenare l’ultimo raid sarebbe proprio un suo ennesimo articolo in cui invocava sanzioni e interventi stranieri contro il governo di Hong Kong e quello cinese che lo controlla.

Le affermazioni del segretario per la Sicurezza, John Lee, il quale sostiene che «gli arresti non hanno alcuna relazione diretta o immediata con il lavoro giornalistico e la libertà di stampa», suonano meno convincenti se si tiene conto che, parallelamente agli arresti, sono stati congelati diciotto milioni di dollari hongkonghesi di tre compagnie affiliate tra loro: Apple daily, Apple publishing e A.d. internet limited. Fortunatamente per l’Apple daily e per la stampa locale, la risposta della popolazione verso questo tipo di ingerenza politica rispetto alla libertà di stampa è stata di acquistare copie del quotidiano, a sostegno economico e morale della testata, una dinamica simile a quella avvenuta in occasione del primo arresto di Jimmy Lai, quando le azioni della sua agenzia mediatica, Next digital, crollarono, per poi essere risollevate dall’acquisto massivo da parte della popolazione. Lo stesso Apple daily riporta che successivamente all’arresto il giornale ha raggiunto il picco di 500mila copie vendute, un record di vendite mai raggiunto sin dalla sua fondazione nel 1995.

Nell’ultimo decennio la posizione di Hong Kong nella classifica per la libertà di stampa stilata da Reporters sans frontières è scesa dal 54esimo posto all’80esimo. Già nel febbraio 2021 la storica emittente radiofonica Rthk (Radio television Hong Kong) aveva subito delle forti censure da parte del Partito comunista cinese, a cui sono seguite anche le dimissioni di parte del personale, non intenzionato a svolgere il proprio mestiere sotto pressione politica. Il caso dell’Apple daily non è quindi l’unico, né l’ultimo, in cui la politica soffocante legata alla legge di sicurezza nazionale interviene sulla libertà di stampa. Tuttavia gli hongkonghesi non si lasciano incantare facilmente dai discorsi emergenzialisti del governo filo-cinese e continueranno a sostenere chi parla in nome della democrazia, copia dopo copia.

L’infettivologa Silvia Carla Magnani: Quei colpi di coda della Covid-19

FILE - In this Tuesday, March 16, 2021, file photo, a health care worker watches a rally by New York State Nurses Association nurses from New York Presbyterian and Mount Sinai from an overpass at Mount Sinai Hospital, in New York. The Biden administration has exempted most employers from long-awaited rules for protecting workers from the coronavirus, angering labor advocates who have have spent more than a year lobbying for the protections. The Labor Department included only health care workers in its new emergency temporary standard published on Thursday, June 10, 2021. (AP Photo/Mary Altaffer, File)

Grazie alla massiccia campagna vaccinale e all’arrivo delle alte temperature dopo oltre un anno di pandemia l’Italia sta vivendo un momento di regressione dell’emergenza. Finalmente è possibile riaprire le attività e allentare le misure atte a contenere il contagio, ma anche avere il tempo di riflettere sulle strategie di contrasto per eventuali nuovi picchi e criticità. Uno dei problemi più immediati, grazie al sempre crescente numero di informazioni e dati di cui siamo in possesso, è quello che la comunità scientifica chiama Long Covid. Una condizione che protrae i sintomi dell’infezione nei pazienti anche molto tempo dopo la guarigione dalla malattia acuta. Per avere delle informazioni chiare su una sindrome che sta colpendo anche in Italia e che nel solo Regno Unito interessa almeno 400mila persone, ci siamo rivolti a Silvia Carla Magnani specialista in malattie infettive e direttrice della struttura di riferimento dell’ospedale Umberto Parini di Aosta.

Qual è la definizione medica di Long Covid?
Con Long Covid si intende la persistenza della sintomatologia dopo 12 settimane dalla fase acuta dell’infezione in un malato, conclamata attraverso un tampone rapido o molecolare. Ci sono pazienti contagiati un anno fa, con la prima ondata, che ancora presentano complicazioni. Non abbiamo ancora idea della durata possibile di questa condizione. I sintomi possono essere molteplici ma in linea di massima quelli più comuni sono: una persistenza di un affaticamento nelle azioni del quotidiano, fiato o respiro corto, una tosse secca e fastidiosa, insonnia , alterazione di percezione di gusti e odori. Ma il fattore più inquietante è il calo della prestazione intellettiva. Non una forma di demenza vera e propria ma difficoltà di concentrazione e nella memorizzazione, anche chiamata “nebbia cognitiva da Covid”.

È chiaro da cosa derivi questa grande varietà di sintomi?
Come nella fase acuta, così anche nella sua forma cronica la malattia si manifesta con infiammazioni localizzate in svariate parti dell’organismo, generando l’alto numero di sintomi. Quello che sappiamo è che se il paziente ha riscontrato complicazioni a livello polmonare o gastrointestinale durante il ricovero, tenderà a riscontrare le medesime anche durante il Long Covid.

Sappiamo se esistono categorie di persone predisposte?
Non esiste ancora a livello medico e scientifico una…


L’articolo prosegue su Left dell’18-24 giugno 2021

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Non candidate nessuno, fate prima

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 01-06-2021 Roma Politica Trasmissione tv "Porta a Porta" Nella foto Giorgia Meloni, sullo schermo Matteo Salvini Photo Roberto Monaldo / LaPresse 01-06-2021 Rome (Italy) Tv program "Porta a Porta" In the pic Giorgia Meloni

Sommersi dalle incredibili notizie dell’incredibile governo dei migliori, stiamo lasciando passare sotto traccia la farsa del centrodestra che si avviluppa nelle candidature per le prossime elezioni amministrative e regionali. Un centrodestra che vorrebbe farsi federazione e non riesce nemmeno a decidere un candidato sindaco è la fotografia perfetta del momento storico: tutti insieme appassionatamente per spartirsi i soldi del Pnrr e poi che palle la politica, che palle che gli tocca perfino fare politica.

Si decide di non decidere scivolando su questa idea del “ticket” che è solo l’ennesima trovata pubblicitaria che non significa niente: a Roma c’è il “ticket” Michetti-Matone e sarebbe curioso sapere cosa accadrebbe se uno non fosse d’accordo con l’idea dell’altro. Non succederebbe niente di più del solito odio sotto traccia come accade in questo momento tra Salvini e Meloni che in superficie si trasforma in una vuota e affettata cortesia.

Idea ticket ovviamente anche in Calabria, dove a correre saranno Occhiuto a braccetto con Spirlì. Il presidente della Calabria pro tempore che ha sostituito Jole Santelli in un Paese normale sarebbe dimenticato o usato al massimo per qualche vignetta sui social invece la classe dirigente leghista è talmente infima che si ritrova costretta a riciclarlo. Incredibile.

A Milano si parla di Oscar di Montigny, il genero di Ennio Doris di Banca Mediolanum, che si definisce «esperto di Mega trends e Grandi Scenari, Innovative Marketing, Comunicazione Relazionale e Corporate Education» e che, come ha raccontato in un pezzo gustosissimo Gianni Barbacetto sul Fatto quotidiano scrive cose come «lo spirito, ritornando su se stesso, prende coscienza delle sue operazioni e dei suoi caratteri» oppure dello specchio che «in quanto strumento neutro, oggettivo, privo di giudizio, rimanda sempre l’immagine vera, reale, del soggetto che in esso si specchia». E non vuoi metterci un bel ticket? Pronti: l’ex sindaco Albertini. Giorgia Meloni si lamenta: «Chi lo conosce questo di Montigny?» e chissà chi a Roma conosce Michetti, verrebbe da risponderle.

“I candidati devono essere civici”, ripete Salvini. Del resto i civici, si sa, sono il cerotto perfetto per non dover dimostrare di avere una classe dirigente decente. A Bologna un capolavoro: il “civico” dovrebbe essere Andrea Cangini, che tre anni fa è stato eletto senatore. Un senatore a sua insaputa, evidentemente come va di moda da quelle parti.

Il 9 giugno Matteo Salvini prometteva “in due giorni decideremo tutti i 1.300 nomi dei candidati sindaci”. Oggi è il 18 giugno, fate voi.

In compenso ci sarebbe una soluzione coraggiosa e definitiva: non candidate nessuno. Rimanete lì in disparte, pronti a raccogliere qualsiasi notizia di cronaca nera preferibilmente farcita di stranieri, schierate le truppe a cercare il degrado e per i prossimi cinque anni potete riempire i social dicendo che quelli che governano sono una vergogna. Se qualcuno vi dice qualcosa potete rispondere che siete talmente sovranisti che vi candiderete solo quando non avrete il disturbo di dover governare anche gli elettori degli altri.

Buon venerdì.

La malattia che viene negata

Dare un nome alle cose. Finalmente ha almeno un nome quello stato di spossatezza, affanno, talora perdita del gusto e dell’olfatto, sintomi che aggiungono fatica alla fatica di questa lunga pandemia. Parliamo di persone clinicamente guarite dal Covid  ma che continuano però a subirne gli strascichi, talora con disturbi pesanti  che possono protrarsi per mesi tanto da impedire il ritorno a una vita normale.

Ha un nome questa insidiosa sindrome ma non è ancora riconosciuta come malattia dallo Stato e molte persone si trovano a farci i conti da sole, dovendo pagare di tasca propria per esami e trattamenti. Il ministro Speranza ha proposto l’esenzione per chi era stato ospedalizzato, è un passo importante, ma non basta, come raccontano a Left malati e associazioni.

È un lungo viaggio fra i dimenticati del Covid l’inchiesta di Giulio Cavalli che questa settimana apre la nostra copertina. Ma anche per la storia e l’impostazione di Left che da sempre dedica molta attenzione al tema della salute mentale non potevamo parlare di Long Covid solo dal punto di vista della malattia organica. Per questo abbiamo chiesto alla psichiatra e psicoterapeuta Viviana Censi di aiutarci a capire meglio quali effetti di lungo periodo ha prodotto l’isolamento sociale su soggetti che avevano già delle fragilità.

Su questo aspetto abbiamo continuato a tenere accessi i riflettori fin da quando è scoppiata la pandemia. Ma ora a molti mesi di distanza dal suo inizio abbiamo più indagini, dati, studi e possiamo cominciare a mettere a confronto quel che è accaduto durante il lockdown e con le riaperture. In generale sappiamo che sono aumentati i casi di depressione, ansia, attacchi di panico ecc. Ma non possiamo dire che l’emergenza Covid-19 sia la causa della malattia mentale. Semmai può essere stata un coadiuvante nello slatentizzare, rendere manifesta per es. una depressione che c’era già, mascherata, senza sintomi evidenti.

Ritornano in mente le parole della psichiatra Annelore Homberg, intervistata su Left: «I depressi sentono che qualcosa in loro non va. Avvertono una carenza, ma non vedono bene, non riescono ad individuarne la natura. In altre parole non arrivano alla conoscenza delle cose latenti. Si inventano invece modi auto accusatori di vedere la realtà, spiegazioni fasulle».

Dicono “non sono capace, non vado bene”. «Il problema conoscitivo principale – spiega Homberg – riguarda l’anaffettività. Riguarda il vuoto affettivo nascosto degli altri che il depresso sente e subisce. Ma ci può essere anche una sua quota di anaffettività che non gli permette di affrontare alcune situazioni di vita, di per sé positive, con sufficiente energia e compattezza». La depressione, così come le altre patologie mentali, non è uno “stato di natura”, una carenza immutabile. La cura esiste, anche se il depresso tende a negarla pensandosi incurabile.

Abbiamo voluto riprendere i fili di questo importante discorso, ora pubblicato nel libro di Left Un vaccino contro il virus del negazionismo”; per ribadire l’importanza della psicoterapia per la cura della malattia mentale, ma anche per sottolineare una volta di più l’importanza della prevenzione. Lo ribadiamo ora anche per un fatto politico eclatante: presto arriveranno molti soldi dall’Europa, ma nel Pnrr non c’è nulla che riguardi la salute mentale.

La denuncia arriva anche dalla Cgil che segnala come dato allarmante «l’assenza di riferimenti alla salute mentale», tema centrale anche per «riqualificare l’assistenza territoriale e domiciliare, per sostenere il diritto alla vita indipendente, rispettando così il diritto di curarsi nel proprio contesto di vita in un’ottica di salute di comunità».

Quanto ci sia bisogno di una solida e capillare rete di assistenza territoriale viene percepito dalla politica e dai media solo quando accadono drammi come quello che è accaduto ad Ardea, dove un trentacinquenne, che viveva isolato con la madre e che sui social si definiva “Mister Hyde”, ha ucciso senza alcun movente due bambini e un anziano intervenuto per proteggerli. Qui certo parliamo di una patologia molto grave che lo aveva portato a perdere la propria realtà più profonda e il rapporto con l’umano.

Possibile che nessuno si fosse accorto? Possibile che, stando a quello che hanno riportato le cronache, dopo un breve ricovero in pronto soccorso per aver minacciato sua madre con un coltello sia stato rimandato subito a casa? Su questo interviene approfonditamente Viviana Censi in una importante intervista.

Ma prima di chiudere vorrei citare anche Vera Slepoj che su La stampa del 15 giugno scrive che «fatta la legge Basaglia, chiusi i manicomi nient’altro è stato fatto per supplire all’assenza di cure verso problematiche come la schizofrenia, le psicopatie, le psicosi». Le famiglie con malati mentali sono state abbandonate a se stesse.

«La legge Basaglia… è diventata il lasciamoli fuori senza cure». Ignorando il dolore psichico del malato e la disperazione dei familiari. La malattia mentale è stata annullata, scrive Vera Slepoj. E le radici di tutto questo, aggiungiamo noi, si ritrovano in quella psichiatria basata sulla concezione filosofica esistenzialista e foucaultiana per la quale la pazzia sarebbe il prodotto dell’esclusione sociale, una diversità, un modo di essere. Sarebbe dunque bastato chiudere i manicomi per risolvere il problema, pensarono… Con tutta evidenza non è così, e passati 40 anni serve un radicale cambio di paradigma. Beninteso non riaprendo i manicomi per i quali Salvini e le destre sembrano avere grande nostalgia, ma investendo massicciamente in formazione, nella rete territoriale e implementando le strutture pubbliche, «permettendo agli psichiatri che lavorano in queste strutture – come sottolinea  Viviana Censi – di fare psicoterapia».


L’editoriale è tratto da Left del 18-24 giugno 2021

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Sognano il video del loro funerale

Dunque ecco servito ieri il piatto forte della giornata, il video della tragedia della funivia del Mottarone è stato spalmato dappertutto, peccato che non ci fosse un audio all’altezza ma qualcuno ha pensato bene di incollarci sotto una musichetta mortifera. Il servizio del Tg3 che l’ha sparato in anteprima ci ha incollato sotto una bella etichetta con scritto “esclusiva” e il commentatore ci tiene a sottolineare che «l’impatto non si vede perché avviene dietro la collina».

Il giornalismo fa il giornalismo, sia chiaro, e certo in molte redazioni ci si è confrontati sul pubblicare o meno quelle immagini. Qualcuno ha deciso di farlo provando a spiegare la propria decisione (ma quelle giustificazioni, mi sia permesso di notare con l’antipatia che mi distingue, suonano come un’autoassoluzione piuttosto goffa, abbiate almeno il coraggio di rivendicare il dovere di essere cinici, non inzuccherateci con presunte buone intenzioni), altri invece hanno cavalcato l’onda buttando tutto nel tritacarne e di questi ultimi sarebbe il caso di parlarne.

Esiste un giornalismo a bassissimo costo, senza approfondimento e ragionamento, che prospera in quest’epoca di clic trafugando video da sparare senza nemmeno prendersi la briga di definire il contesto. È un giornalismo che funziona perché risulta fortemente emotivo (negli sfinteri peggiori) e riesce a creare un’onda che si tramuta in visualizzazioni e in guadagni. Gli ultimi istanti dei passeggeri sul Mottarone sono preceduti dalla pubblicità delle crociere, dell’ultimo veloce modello di auto e del gelato estivo: basta l’intenzione per monetizzare, poi il video potete anche non guardarlo tutto.

C’è un altro aspetto: quelli che vomitano il video della tragedia sono gli stessi che hanno suonato la fanfara per i giocatori della Danimarca che facevano scudo pur di non mostrare al mondo il loro compagno a terra. Ancora: sono gli stessi che sono diventati di sale per le parole di Fedez a un concerto del primo maggio. Ancora: sono gli stessi che ora ripetono di gran lena “e allora l’11 settembre?” (c’è sempre un “e allora” in questo Paese buttato lì per non entrare nel merito delle discussioni) senza rendersi conto della differenza tra un fatto storico ripreso in diretta (e i network Usa vietarono la trasmissione di immagini di chi si gettava dalla torre in fiamme o altre pruderie) e un lutto privato sotto inchiesta. Poi c’è la domanda delle domande. Quelle immagini aggiungono qualcosa? Mostrare le persone nei loro ultimi istanti di vita a cosa giova? E poi: avete notato che sono gli stessi che hanno scritto lunghi editoriali sull’anniversario della tragedia di Vermicino e ci hanno spiegato che da lì il giornalismo e la televisione sono caduti in basso? Ma fate davvero?

E poi un ultimo particolare: la Procura ha vietato l’utilizzo di quelle immagini.

Infine la notizia peggiore: certa stampa mostra quello che la gente vuole vedere, è lo specchio di una società. Insomma l’argomento è complesso, va affrontato con complessità, ma ce li vedete questi ad affrontare la complessità?

Buon giovedì.

Lo Stato ateo

Il femminicidio di Saman è diventato una occasione imperdibile per le destre fasciste, è perfetto per una strumentalizzazione contro gli stranieri, tanto più che sono islamici.
Nessun partito neofascista e di destra ha mai sostenuto sino ad ora, la lotta contro il patriarcato, né ha mai sostenuto la necessità di affermare la separazione delle istituzioni civili dalle religioni monoteiste intese come brodo di cultura delle intromissioni di matrice patriarcale nella negazione dei diritti.
A ben vedere i partiti di destra e neofascisti condividono, anzi, ostentano l’adesione cattolica per avere legittimazione etica agli identici modelli di oppressione (aborto, gpa, matrimoni gay…).
I partiti fascisti di destra, dunque, non hanno mai messo in discussione le strutture simboliche oppressive della religione cattolica, che con l’islam e l’ebraismo attinge alle medesime aberrazioni della Bibbia, e poiché sovente gli estremi si sovrappongono, neanche certi cattocomunisti hanno mai messo seriamente in discussione il patriarcato di matrice cattolica.
L’islam, l’ebraismo e il cattolicesimo sono le tre religioni monoteiste di derivazione abramitica, che richiamano la stessa cultura figlicida e la stessa oppressione del genere femminile.
Le tre religioni abramitiche, e dunque anche il cattolicesimo, non solo l’islam, hanno ossessivamente costruito l’oppressione sul corpo delle donne, dalla testa coperta con il velo, alla sessualità mutilata, all’autodeterminazione negata.
Il femminicidio di Saman rende facile scagliarsi contro l’islam da parte delle destre xenofobe, perché si ottengono due risultati contemporaneamente: accusare una religione di oppressione patriarcale ha l’effetto suggestivo di sottendere che la propria religione sia migliore della loro, ma anche di sottendere che la propria non abbia le stesse devianze criminali, dimenticando, ad esempio, che il delitto d’onore nell’Italia cattolica è stato abrogato solamente nel 1981.
Sicché i cattolici di destra nostrani sono pronti a condannare la madre islamica di Saman ma non vanno nelle arene televisive a scagliarsi contro le madri cattoliche che lasciano i figli nelle grinfie degli orchi clericali durante il catechismo, o contro le madri cattoliche che fanno prostituire le figlie bambine con clienti, cattolici, senza scrupoli, oppure contro le madri cattoliche che tacciono quando le figlie sono stuprate dai padri e dai fratelli.
La destra italiana non si scaglia contro il cattolicesimo, anzi, lo rivendica come cultura identitaria.
E quando la struttura patriarcale della società cattolica esprime violenze figlicide e uxoricide da parte di uomini incapaci di accettare che né le compagne né i figli sono di loro proprietà, la destra fascista e clericale italiana non si scaglia contro il cattolicesimo che quella idea di proprietà l’ha disegnata nelle proprie encicliche.
La destra clericale e fascista non vi si scaglia contro nemmeno quando il cattolicesimo si esprime in applicazione delle direttive del Lexicon, il dizionario vaticano che condanna le identità sessuali non binarie e i diritti sessuali e riproduttivi e che rivendica il diritto di oltraggiare, liberamente, chi non è eterosessuale, opponendosi violentemente ad ogni legge del nostro Stato che si pone in contrasto con quel dizionario, dalla contraccezione alla omofobia.
La destra italiana ha fatto proprie le aberrazioni del Lexicon vaticano e le ha tradotte in identità politica, e ora dal basso di questa deriva teocratica si permette di condannare altre forme di teocrazia.
La destra clericale e fascista, di fronte alle aberrazioni del cattolicesimo, è pronta a dire che “quello non è cattolicesimo perché Gesù non ha mai detto quelle cose”.
Proprio come gli islamici che di fronte alle aberrazioni dell’islam, è pronta a dire che “quello non è islam perché Maometto non ha mai detto quelle cose”.
Fingono di non sapere che le religioni abramitiche hanno una impronta di facciata che però cela un nucleo antiumanitario.
Ogni religione se viene imposta nelle sue regole e nelle sue devianze, è un crimine contro l’umanità.
Anche l’ateismo se è istituzionalmente imposto diventa una religione negativa e come tale è un crimine contro l’umanità.
Lo Stato che impone una religione o che impone l’ateismo, è uno Stato criminale.
Si deve pretendere che la società civile abbia regole condivise senza che nessuna religione (positiva o negativa) possa travalicare gli ambiti privati e inquinare gli spazi pubblici.
L’unica aspirazione democraticamente possibile, resta uno Stato che non imponga nessuna religione, ovvero lo Stato ateo.

*L’autrice: Carla Corsetti è segretario nazionale di Democrazia atea

Non ci passa più

«Oggi ancora febbricola. Oggi ancora febbricola e malessere generale… Ho ripetuto il tampone ed è negativo: almeno questo. Ora iniziamo a fare degli esami per vedere cosa c’è che non va. E pensare che mi ero rimessa bene. Boh… Dopo sei mesi non so più che dire…»; «Possibile mai che sono negativo e sto più devastato di quando ero positivo? Una stanchezza assurda!»; «E dopo sette mesi, sono più stanca di quando avevo il Covid. Dolore alle gambe, alle articolazioni, la testa mi esplode… Le risposte sono sempre le stesse. Porti pazienza, è tutto dovuto al post Covid. Intanto il morale precipita, perché non riesco a fare quello che vorrei, e sono sempre più nervosa»; «Stessa situazione! Dopo tre mesi, nebbia cognitiva e stanchezza tremenda. Non riesco più a studiare e amavo il mio corso di studi universitario».

Sono solo alcune delle migliaia di testimonianze che si leggono nel gruppo su Facebook “Noi che il Covid lo abbiamo sconfitto. Sindrome Post Covid #LongCovid”: 17.500 membri per confrontarsi su cosa ha lasciato il virus dopo la malattia. Lo spaccato che emerge è quello di un pezzo di Paese che si ritrova a fare i conti con una malattia che ufficialmente non esiste, di cui si parla molto poco e che forse è qualcosa di più di un semplice strascico.

L’Istituto superiore della sanità, in un articolo del 12 febbraio a cura di Elena Ortona, Danilo Buonsenso e Walter Malorni, definisce Long Covid un insieme di…


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Ardea, la psichiatra Viviana Censi: Non chiamatelo raptus

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 13 Giugno 2021 Roma (Italia) Cronaca Sparatoria ad Ardea, un uomo uccide due bambini ed un uomo sulla bicicletta Nella Foto: i rilievi sui corpi dei ragazzi e dell’uomo uccisi Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse June 13, 2021 Rome (Italy) News Shooting in the street in Ardea, killed an elderly man and two kids In The Pic: the forensic on the place where were killed the kids and the man

Un ragazzo di 35 anni, un ingegnere informatico disoccupato, infila dei guanti, indossa uno zainetto esce dalla villetta in cui abita con la madre impugnando una pistola, fa pochi passi prende la mira e spara a due bambini che stavano giocando. Pochi secondi dopo ripete il gesto omicida contro un uomo di 74 anni che prova a difenderli. Li uccide tutti e tre. Dopo di che rientra in casa e con la stessa arma si suicida. Accade la mattina del 13 giugno in un complesso residenziale di Ardea, una cittadina vicino Roma. La storia è ormai tristemente nota. Ma lo sconcerto non si affievolisce con il passare dei giorni e resta la domanda: come è potuto accadere? Per cercare di orientarci rivolgiamo alcune domande alla psichiatra e psicoterapeuta Viviana Censi, dirigente medico presso Asl Roma 5.

La psichiatra e psicoterapeuta Viviana Censi è dirigente medico Asl Roma 5, lavora presso una Rems e un centro per il trattamento dei Disturbi del comportamento alimentare

Che idea si è fatta su quanto è successo?
Basandomi ovviamente solo su quello che ho letto sui giornali e avendo guardato alcuni video di questo ragazzo sui social, quello che emerge è che si trattava di una persona con delle problematiche che in qualche modo si erano mostrate già in passato. Mi ha colpito una frase della madre: «È sempre stato un ragazzo incompreso». Ha utilizzato questo aggettivo.

Cosa vuol dire?
Me lo sono chiesta. Ha detto che lui non era capito? Vuol dire forse che era “strano”? In effetti una serie di elementi fanno pensare a una situazione di patologia che covava in questa persona. Probabilmente riusciva a coprirla e non la esprimeva chiaramente. Ma c’è l’episodio di maggio 2020 in cui ha minacciato la madre con il coltello e c’è il fatto che non era la prima volta che sparava.

Era stato sentito dai vicini sparare nel bosco ma sembra che non sia stato denunciato.
C’erano però delle avvisaglie di qualcosa che non andava. Pare inoltre che fosse stato portato al Pronto soccorso in occasione delle minacce alla madre ma che non sia stato sottoposto a Tso. Qui sarebbe stato valutato e dimesso il giorno dopo. Non voglio fare una critica ai colleghi perché non so cosa abbiano visto e trovato. Però mi chiedo: se uno minaccia la madre con un coltello non è il caso di fermarlo e ricoverarlo?

Cosa può essere successo?
A volte ci sono situazioni in cui il paziente “è coperto” si dice in gergo. Cioè non si esprime. Allora percepisci, senti che c’è qualcosa. Vale a dire che c’è un pensiero che non ti sta dicendo e probabilmente questo ragazzo un pensiero delirante, un pensiero alterato ce l’aveva. Questa è l’idea che mi sono fatta a livello psichiatrico: probabilmente c’era un delirio di persecuzione. Non lo posso dire con certezza perché non ci ho parlato però quel che emerge sembra un discorso di persecutorietà che probabilmente all’inizio – forse quando sparava in aria – era come se fosse un po’ “diffusa” e poi negli ultimi tempi, o nel gesto che ha compiuto domenica mattina, ha individuato il persecutore nella famiglia di quei bambini. Per cui è uscito e li ha uccisi.

Qualcuno ha detto che c’è stato un litigio.
Anche se fosse vero, l’eventuale litigio è una motivazione futile a cui si è aggrappato per mettere in atto qualcosa, per mettere fine a una persecuzione che covava dentro. Ha delirantemente individuato in queste persone i suoi persecutori. È uscito di casa con l’intenzione di uccidere che covava da mesi, perciò sembra che abbia nascosto la pistola del padre. Questo significa aver annullato completamente la realtà, la vita, il senso della vita di questi bambini. E sono diventati dei nemici da abbattere. Se dovessi fare una diagnosi su questi pochi elementi penserei a una situazione di schizofrenia paranoidea.

«Si fa finta che la malattia mentale non esista. Mi ha colpito che non sia stato ricoverato dopo le minacce alla madre»

Seguendo le cronache di questi giorni vien da pensare che Andrea Pignani sia stato abbandonato a se stesso.
La malattia mentale viene ancora sottovalutata, negata. Per cui c’è questa “indifferenza” che poi in realtà è anaffettività. Si fa finta che la malattia mentale non esista, che il problema non ci sia. A me ha colpito tanto che non sia stato ricoverato dopo aver minacciato la madre. In tante situazioni come questa purtroppo assistiamo a una paralisi che colpisce un po’ tutti: i familiari, le istituzioni e purtroppo spesso anche degli psichiatri. Non ci si muove, non si reagisce. Come se non si volesse vedere la patologia oltre ciò che è manifesto. Lui era laureato, un ingegnere, forse è bastato questo per mettere in difficoltà chi “doveva” vedere? E finisce che la patologia si vede solo quando c’è l’azione eclatante. Quando ormai è tardi.

È un problema di scarsa cultura della prevenzione?
In realtà no. Nel campo della prevenzione c’è stato da alcuni anni un salto di paradigma. Ci sono tanti servizi dedicati agli adolescenti e alla prevenzione degli esordi delle patologie mentali. Quello che manca alla psichiatria è l’attenzione alla realtà non cosciente degli esseri umani. Per cui poi l’osservazione del paziente si basa solo su sintomi tangibili. E non viene individuata la fatuità, il manierismo, l’anaffettività e ammazzare due bambini diventa come gettare due scarpe vecchie. È questo che viene disconosciuto: la pulsione d’annullamento e quindi la realtà mentale non cosciente.

Cosa dovrebbe fare uno psichiatra se mancano sintomi manifesti?
Si deve basare su altro nel fare diagnosi, ad esempio sulla capacità di percepire una stranezza, il manierismo. Lo psichiatra Massimo Fagioli diceva che il vero nucleo della schizofrenia non sta tanto nel delirio cosciente e l’allucinazione ma nella lucidità, nella fatuità e nel manierismo. Queste sono le cose che bisogna andare a cercare per trovare il nucleo della schizofrenia.

Sembra che il ragazzo abbia agito in maniera molto lucida.
Sì ma in questa lucidità c’era l’anaffettività totale. Stando ai racconti si sarebbe vendicato per i litigi. Si è messo i guanti ed è uscito con lo zainetto e ha sparato. Se uno non vede che è nella lucidità, nella razionalità estrema, nell’anaffettività che c’è la malattia mentale poi pensa che chi agisce in questo modo sia una persona normale e che la mattina si è svegliata ed è stata colta da un raptus.

Non essendo il ragazzo stato intercettato dai servizi territoriali, molti commentatori sostengono che la legge 180 sia applicata male. È davvero così?
Potremmo dire che l’ideologia basagliana fondamentalmente attribuisce la patologia mentale alla società e non alla malattia. Quindi già alla base c’è la negazione della malattia. Per cui il problema…

* L’intervista integrale sarà pubblicata su Left in edicola dal 18 giugno 2021*

Cosa c’è dietro la bufala del “gender”

Hungarian prime minister Viktor Orban, center, Poland's prime minister, Matteusz Morawiecki, left, and former interior minister of Italy, Matteo Salvini attend a joint press conference in Budapest, Hungary, Thursday, April 1, 2021. Hungarian prime minister Viktor Orban hosted talks with right-wing politicians, Poland's prime minister, Matteusz Morawiecki, and former interior minister of Italy, Matteo Salvini, a potential opening step toward a new populist political force on the European stage. (AP Photo/Laszlo Balogh)

Volete sapere perché la destra continua ripetere tutti i santi giorni la manfrina del “gender” nelle scuole, senza tra l’altro mai essere riusciti a spiegare cosa sia esattamente? Basta spostarsi in Ungheria, nella patria di Orbán che infatti mica per niente è un eroe per Salvini, Meloni e compagnia cantante. Ieri il Parlamento ungherese ha approvato una legge che di fatto paragona l’omosessualità alla pedofilia, tesi smontata da decenni in tutto il mondo ma che continua a trovare molta fortuna in certi ambienti di destra e infatti non è un caso che qualcosa del genere si sia ascoltato anche durante le audizioni per il ddl Zan.

La nuova legge ufficialmente dovrebbe preservare i bambini dalla pedofilia ma di fatto servirà a vietare alle associazioni legate alla comunità Lgbt+ di promuovere percorsi educativi e di diffondere informazioni sull’omosessualità per arginare le discriminazioni. Nonostante le critiche di Amnesty international e la manifestazione di più di 5mila persone davanti al Parlamento a Budapest, la legge presentata dal partito di estrema destra Fidesz (lo stesso del presidente Orban) è passata con 157 voti a favore e un solo contrario (lo sentite il profumo di democrazia?). «Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini – si legge nel testo della legge – la pornografia e i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, il cambiamento di genere e l’omosessualità non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni».

Con la nuova legge, tanto per capirsi, sarebbe vietata la campagna pubblicitaria della Coca cola realizzata nel 2019 proprio in Ungheria e il canale televisivo commerciale RTL Klub Hungary ha già detto che pellicole come Il diario di Bridget Jones, Harry Potter e Billy Elliot saranno trasmesse d’ora in avanti solo in seconda serata e con il divieto ai minori di 18 anni.

Quando li sentite parlare di libertà, della presunta oppressione del politicamente corretto, di gender e di tutte quelle altre cretinate sappiate che loro hanno in mente solo una cosa: negare le differenze, sempre, comunque, in ogni modo.

I diritti sono fragili, anche quando abbiamo la sensazione che si stia solo facendo caciara. Vengono derisi e infine negati. Pensateci.

Buon mercoledì.

La variante caos

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 13 Maggio 2021 Roma (Italia) Cronaca : Vaccini AstraZeneca Nella Foto : volontario della Croce Rossa vaccinata presso il centro vaccinale di Stazione Termini Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse May 13 , 2021 Roma (Italy) News : AstraZeneca vaccine In The Pic : Red Cross volunteer vaccine in the Vaccine Centre of Termini station

Vediamo se si riesce a fare un ragionamento senza sentire in sottofondo i gridolini dei tifosi di una e dell’altra parte, senza urla di sfegatati e provando a restare sui fatti.

La campagna vaccinale subisce gli effetti del caos su AstraZeneca. Dietro l’incaglio ci sono errori di comunicazione scientifica, errori di comunicazione politica e enti e istituzioni che si smentiscono. L’idea di una seconda dose con un vaccino diverso mina la fiducia di molti cittadini nella campagna vaccinale prestando ovviamente il fianco a quelli che sull’ostilità al vaccino hanno costruito una certa propaganda. Ma c’è anche molto altro: com’è possibile che si decida di vaccinare con due vaccini diversi senza che Aifa, organismo regolatorio per i farmaci e vaccini in Italia, abbia dato il suo consenso (è accaduto solo ieri sera)? E poi, insistendo: se il certificato verde (il cosiddetto “green pass”) europeo si basa sulle indicazioni dell’Ema e l’Ema non prevede una vaccinazione eterologa come si metterebbe nel caso in cui uno Stato europeo decida di non fare entrare gli italiani? Ancora: nel caso in cui una persona sia stata vaccinata con prima dose AstraZeneca e seconda dose Pfizer come si metterebbe se dovesse accadere (com’è nelle ipotesi) che i vaccinati Pfizer debbano ricorrere alla terza dose? I vaccinati misti che fanno?

A proposito di confusione: il generale Figliuolo aveva dettato dei criteri per età nella campagna vaccinale che sono stati calpestati basandosi su un parere del Cts. L’ordinanza del generale non è stata considerata da nessuno e le Regioni hanno lanciato la danza degli open day. A proposito di Regioni, vi ricordate quando tutti strepitavano perché andavano in ordine sparso? Per darvi un’idea di come non sia cambiato niente basti pensare che ieri in Campania è stato bloccato anche il vaccino Johnson&Johnson.

Qualcuno ha evocato un intervento di Draghi (che per molti rimane il supremo taumaturgo): ieri il presidente del Consiglio ha detto che «Il ministro Speranza ha chiarito… ha specificato come comportarsi con i vaccini AstraZeneca e le seconde dosi, la situazione è chiara». Quindi tutto bene.

Contemporaneamente si assiste alla ridda di voci contrastanti, come siamo abituati fin dall’inizio della pandemia, su varianti e su rischi futuri. Alla faccia di chi disse di “parlare meno e fare di più”. Sul Corriere della Sera Paolo Giordano ha ricordato come «sebbene gli immunologi sembrino concordi sul fatto che un mix di vaccini possa essere addirittura meglio in termini di protezione, non ci sono ancora studi specifici e validati a sostegno, e il cambiamento in corsa suscita diffidenza di per sé». Per questo, scrive Giordano, «a essere onesti, non è facile oggi ribattere con argomenti del tutto convincenti a chi si scopre dubbioso».

La variante più pericolosa, ancora una volta, è la variante caos e forse piuttosto che gingillarsi su inutili rivendicazioni sarebbe il caso di mettere ordine e di comunicare con ordine. Coltivare fiducia è un atto politico che spetta alla politica. Se ne può parlare senza essere additati come blasfemi?

Buon martedì.