Home Blog Pagina 394

I pentiti al cubo

Italian Foreign Minister Di Maio speaks during a press conference after talks with Zoran Tegeltija, head of the Council of Ministers of Bosnia in the capital Sarajevo, Bosnia, Tuesday, March 30, 2021. (AP Photo/Kemal Softic)

Si è alzato improvvisamente un rinnovato soffio di garantismo dopo l’assoluzione in appello dell’ex sindaco di Lodi Simone Uggetti che l’ha completamente scagionato da tutte le accuse («il fatto non sussiste», ha sentenziato il giudice) e dopo l’uscita di Luigi Di Maio in cui ha riconosciuto che lui e il M5s alimentarono «la gogna mediatica» per motivi elettorali, con modalità che furono «grottesche e disdicevoli». Però il caso in questione apre delle riflessioni che vale la pena fare, al di là del caso specifico.

Innanzitutto risulta piuttosto pelosa questa accusa verso i 5 Stelle di essere stati gli unici a cavalcare quest’onda: sul tintinnare di manette si sono cotti la propria credibilità fior di giornalisti (oltre che di politici di tutti gli schieramenti), di giustizialismo erano le radici dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro (e lo stesso Di Pietro), di giustizialismo sono spesso farciti i messaggi di praticamente tutti i partiti. Nel caso in esame, ad esempio, Matteo Salvini mimò il gesto delle manette mentre a Lodi faceva campagna elettorale per la sua candidata (che è diventata sindaca), il sito di riferimento della Lega in quel periodo (ilnord.it, altri tempi) iniziava un editoriale con la frase: «La scoperta del bubbone corruzione impersonificato dal sindaco di Lodi…» (da notare che in quel processo non è nemmeno stata contestata la corruzione). «Non passa giorno per il Pd senza che arrivi un’indagine o un arresto per un suo importante esponente» dice Paolo Grimoldi, segretario della Lega Lombarda e deputato della Lega Nord. Eppure chissà perché la Lega e Salvini sembrano “salvi” da questa ondata di indignazione (da cui tra l’altro hanno guadagnato la sindaca in città). Curioso, no? Niente strali contro la Lega?

Anche Giorgia Meloni usò Uggetti per picconare Renzi: «Siamo in piena campagna elettorale, è appena stato arrestato un sindaco del Pd (il riferimento è a Simone Uggetti) e Renzi prontamente si collega a Facebook per annunciare che vuole abolire il bollo auto e tagliare l’Irpef. Il mago della distrazione di massa», disse baldanzosa mentre era candidata sindaca al comune di Roma. Perché nessuno gliene chiede conto? Mistero.

Poi ci sono gli “amici”. Nel Pd e in Italia Viva ora si levano voci accorate ma le cose andarono un po’ diversamente: Matteo Renzi scaricò Uggetti in un nanosecondo («Renzi purtroppo tra i suoi tanti difetti ha anche quello della voracità. Per cinico calcolo politico decise di non difendermi perché da lì a poco ci sarebbero state le elezioni di Roma e Torino e quindi venni liquidato», dice Uggetti in un’intervista in questi giorni) e il padre politico di Uggetti ed ex sindaco di Lodi Lorenzo Guerini fu piuttosto “tiepido”, per usare un eufemismo.

Infine ci sono i giornali. Il Fatto Quotidiano in queste ore sta dando il meglio di sé: ieri Travaglio se la prende con Di Maio per avere chiesto scusa perché Uggetti secondo lui avrebbe «confessato» (stessa tesi proposta l’altro ieri sempre sul Fatto da Gianni Barbacetto): falso, completamente. Se avessero avuto voglia di leggere le carte del processo (non solo quelle dell’accusa) dovrebbero sapere che non esiste da nessuna parte nessun riferimento a nessuna confessione. E questa è solo la più clamorosa delle bugie riportate. Insomma, da certe parti il garantismo è qualcosa di molto lontano perfino a processo concluso.

No, non siamo di fronte a una “stagione nuova”, almeno per ora. Ieri la grillina Barbara Lezzi ha detto che quello di Di Maio «è un messaggio intempestivo, si rischia di dare il segnale di un abbassamento della guardia. Se lui è pentito, io non lo sono» aggiungendo di non avere niente «da chiedere scusa» perché secondo lei «i fatti ci raccontano che ci fu pure una confessione da parte sua: dichiarò di non essere stato proprio lineare in quella operazione». I fatti che non esistono, ancora, ma che Lezzi probabilmente ha letto da Travaglio. Siamo sempre lì.

C’è infine un particolare che nota molto intelligentemente Luca Sofri: «Il paradosso della lettera di Di Maio è che se Uggetti fosse stato condannato non l’avrebbe scritta: e forse non avrebbe concluso di avere sbagliato, lui e il suo partito (e quello di Salvini). Implicando così che il giudizio di oggi sulle “insinuazioni” e sulle “modalità grottesche e disdicevoli” di quella “battaglia”, se la prossima volta lo si vuole usare con maggiore e saggia prudenza prima di sbagliare, debba prevedere con certezza quale sarà la sentenza». Siamo ben lontani dal “Nessuno tocchi Caino”.

Allora rimane il dubbio che tutto questo clamore sia semplicemente opportunismo politico. E alla fine si pentiranno di essersi pentiti, quando tornerà utile. Pentiti al cubo.

Buon lunedì.

Quei bambini discriminati con il pretesto del Covid

29 September 2020, Greece, Lavrio: Refugees from the burned down camp Moria on Lesbos and from other Greek islands are standing in the port of Lavrio near Athens. Greek authorities moved about 1000 migrants, mostly families and recognised refugees, to the mainland to improve conditions in the overcrowded island camps. Photo by: Socrates Baltagiannis/picture-alliance/dpa/AP Images

La pandemia di Covid-19 ha aggravato condizioni di vita già difficili per le popolazioni migranti e la rotta verso l’Europa che passa ad est, dalla Turchia alla Grecia, risalendo i Balcani fino all’Italia o all’Europa centrale, sembra essere tra quelle che ha risentito maggiormente di questo fenomeno. Secondo le numerose denunce di alcune Ong, come documentato anche da Left nei mesi scorsi, lungo questa tratta oltre alle condizioni climatiche particolarmente dure in inverno, diversi Paesi – dalla Turchia, alla Serbia ma anche all’Italia e alla Slovenia – hanno violato i diritti fondamentali di chi intraprende un percorso migratorio. Respingimenti illegali, detenzioni in condizioni disumane, fino ad arrivare a casi di tortura, sono purtroppo diventati una prassi consolidata.

Una di queste denunce viene da “Still I rise”, un’organizzazione non profit internazionale che si occupa di garantire assistenza, istruzione e protezione ai minori profughi, mediante la costruzione di scuole internazionali in diversi scenari come Siria, Turchia, Kenya e Grecia. In questo ultimo Paese è presente con una struttura all’interno dell’hotspot dell’isola di Samos.

Ne abbiamo parlato con Giulia Cicoli, advocacy director della Ong, che punta il dito contro la gestione dei flussi migratori da parte di Atene:

«Il Covid è stato devastante per quanto riguarda la situazione dei diritti dei migranti, soprattutto qui in Grecia – osserva Cicoli -. A causa delle direttive contro il Covid, il margine di azione di molte Ong è…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

La casa come visione del mondo

Gli esseri umani hanno enormi capacità d’innovazione e questo dato è evidente soprattutto nella sterminata varietà di forme dell’edilizia vernacolare e spontanea diffusa in tutto il mondo. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di viaggiare tra mondi e culture dove ancora è viva la capacità di costruire la propria casa con gli elementi del territorio, sapendo gestire un rapporto di equilibrio con l’ambiente che la ospita.
Se guardassimo a chi non si è tuffato nell’onda del progresso senza meta delle megalopoli, potremmo scoprire che è ancora possibile soddisfare le nostre necessità abitative sfruttando meno le limitate risorse disponibili, provocare un impatto minore sui nostri fragili ecosistemi, generare un legame profondo tra i costruttori, l’ambiente, i materiali impiegati e l’intera comunità.

Tornare a essere homo faber è una necessità per il futuro che costruiremo, significa imparare di nuovo a essere donne e uomini artefici, in grado di trasformare la realtà grazie alle proprie capacità pratiche e intellettuali.
Nella società contemporanea viviamo una crisi del saper fare, soprattutto nell’ultimo periodo pandemico legato al Covid-19, siamo stati costretti a casa e le nostre relazioni sono state sempre più con e attraverso macchine e oggetti industriali; di fatto, stiamo vivendo una limitazione drastica delle esperienze sensoriali.

Una delle caratteristiche anatomiche principali di noi ominidi è il pollice opponibile che ci permette di manipolare gli oggetti con grande controllo e precisione; noi animali umani ci siamo plasmati culturalmente producendo e lavorando oggetti, e l’essere diventati sempre più homo comfort sta compromettendo passaggi cruciali della conoscenza manuale e culturale della nostra specie.

Gli edifici delle comunità indigene che ho incontrato in questi anni, di cui scrivo lungamente nel mio libro La casa vivente (add editore) e che racconto nell’edizione 2021 della Grande Invasione di Ivrea, non sorgono nel vuoto, fanno parte della vita e della cultura dei popoli che rappresentano, non rimangono immutate nel tempo, ma si modificano e si arricchiscono con l’incontro di nuove tecnologie costruttive.

Tra quelle che mi hanno colpito maggiormente ci sono le case della tribù Toda, che vive sull’altopiano Nilgiri nell’India meridionale, costruisce capanne che sono veri e propri capolavori di architettura vernacolare. Possono durare molti decenni a condizione che il tetto di paglia sia periodicamente revisionato, perché a queste latitudini la pioggia abbonda. Anche se non hanno fondamenta, fungono da…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Moussa Balde, un omicidio di Stato

Ventimiglia, 9 maggio 2021. Ma poteva accadere in qualsiasi altro luogo, un normale pomeriggio di violenza razzista. Moussa Balde, 23 anni, cittadino della Guinea Conakry, era nei pressi di un supermercato quando, per ragioni ancora mai chiarite, è stato aggredito da 3 cittadini italiani armati di bastoni e di un tubo di gomma. Botte violentissime, riprese da passanti sul cellulare e che hanno fatto il giro dei social, si sente nel frame persino una signora urlare «aiuto lo ammazzano». L’arrivo delle forze dell’ordine ha permesso di soccorrere Moussa e di farlo portare in ospedale, i tre si sono giustificati in maniera poco chiara: «Voleva rubare un cellulare», «ha importunato una coppia». Fatto sta che sono stati denunciati per lesioni e, nonostante l’efferatezza dell’aggressione e la violenza con cui hanno continuato a picchiare anche quando il ragazzo era a terra, non hanno ad oggi avuto conseguenze. In altri casi il processo per direttissima sarebbe stato scontato.

Ma Mousa era anche “irregolare” e aveva ricevuto a marzo un decreto di…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Dove (non) vanno gli africani quando emigrano

University graduates pose for a photographer after attending the graduation ceremony at Makerere University in Kampala, Uganda, on May 19, 2021. - Only first class bachelors, master's and PhD graduates attend the ceremony phisically as a way to curb the Covid19 coronavirus, the rest of the graduates particittes the graduation online via the universitys social platform. (Photo by Badru KATUMBA / AFP) (Photo by BADRU KATUMBA/AFP via Getty Images)

La crisi migratoria scoppiata tra la Spagna e il Marocco a causa di 9mila arrivi in un giorno nell’enclave spagnola di Ceuta, in Nord Africa, ha riportato al centro del dibattito pubblico europeo la gestione dei flussi migratori dal grande continente. Come sempre in Italia gran parte dei media ha fatto leva su una falsa narrazione del fenomeno lasciando intendere che tutti i migranti africani nel momento in cui lasciano le proprie terre e i propri affetti hanno un unico obiettivo fisso in mente: invadere l’Europa. I numeri, però, dicono altro e allora vediamoli insieme.

Per prima cosa va rilevato che i 9mila di Ceuta corrispondono a poco meno di un quinto degli arrivi totali nei primi 4 mesi del 2021 su suolo europeo.

Transitando per le tre principali rotte verso i confini del vecchio continente (Atlantica, Mediterraneo centrale, balcanica) sono state 36mila da gennaio fino a oggi le persone che hanno raggiunto l’Europa, pari a un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2020, quando la diffusione della pandemia di Covid-19 aveva già iniziato a incidere sugli spostamenti. Chi parla di crisi migratoria sembra non tenere conto dell’impatto che…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Naufragi e morti, Bruxelles fa finta di niente

Foto LaPresse - Andrea Panegrossi 27/06/2018- Roma, Italia Flash mob contro la chiusura dei porti ai migranti a piazza del Popolo Photo LaPresse - Andrea Panegrossi 27/06/2018- Rome, Italy Flash mob against the closure of ports to migrants

Molti sono oggi gli elementi da districare per superare lo stato di crisi che parte dal Mediterraneo e arriva ai palazzi di Bruxelles. Il punto di partenza è rappresentato da un aumento delle partenze di richiedenti asilo e migranti dalle coste libiche, dalle enclave di Ceuta e Melilla, dalla Tunisia. Vicende diverse, amplificate a fini elettorali: il numero di persone che tentano di entrare in Europa non indica un’invasione, né le previsioni per l’estate giustificano i toni allarmistici. Ciò nonostante il tema era all’ordine del giorno di un Consiglio europeo straordinario. In cui nulla, alla fine, è stato deciso. Tutto è rinviato all’incontro, l’ultimo previsto prima dell’estate, che si terrà il 24 e il 25 giugno. Nei giorni precedenti il vertice c’erano state dichiarazioni impegnative. Spagna, Italia e Grecia, hanno esercitato pressioni in quanto sono i Paesi che affrontano – male – gli arrivi, ma utilizzano il valido alibi dell’assenza di un reale vincolo di solidarietà europea per giustificare errori e responsabilità.

Era intervenuta la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson (socialdemocratica), che si è recata in Tunisia con la ministra dell’Interno italiana, Luciana Lamorgese, per rendere più efficaci i rimpatri nel Paese nordafricano e delineare azioni politiche atte a scoraggiare le partenze insistendo sul potenziamento degli strumenti per fermare i fuggitivi anche in Libia e promettendo investimenti nei Paesi di partenza per fermare le migrazioni. In ballo anche un nuovo accordo sulle ripartizioni dei migranti sbarcati (una sorta di “Accordo di Malta 2” dopo il fallimento di quello del settembre 2019) che vincoli maggiormente i 27 Stati membri.

L’incontro in Tunisia con il presidente della Repubblica Kais Saied e il capo del governo tunisino Hichem Mechichi (che mantiene anche l’interim dell’Interno) avvenuto il 20 maggio, è stato un primo segnale per trasformare gli accordi “informali” bilaterali con l’Italia in patti con l’intera Ue. Da Tunisi hanno dichiarato di impegnarsi per segnalare le partenze delle cosiddette “navi fantasma” non intercettate, l’Italia e poi l’Unione dovrebbero garantire migliore assistenza nella manutenzione delle motovedette impiegate per fermare le partenze e piani di investimento per offrire opportunità occupazionali in Tunisia. Obiettivi che non si raggiungono con un incontro e che secondo la stessa Johansson potrebbero dare i primi frutti a fine anno.
Nel 2020 sono stati oltre 13mila i tunisini che hanno raggiunto l’Italia, altri 1.500 nei primi cinque mesi del 2021. Persone che secondo i due governi possono essere rimandate in Tunisia. Un simile intervento si intende implementare in Libia, malgrado il governo sia ad interim in attesa delle elezioni del 24 dicembre. La commissaria intende garantire interventi già da ora ma le…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

La scelta di Lucano

Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, presunti illeciti nella gestione di un sistema di accoglienza diventato paradigmatico nel mondo: erano le accuse sulle quali nel 2016 si era fondato il processo “Xenia”, intentato dalla procura di Locri nei confronti dell’allora sindaco di Riace Mimmo Lucano ed il sistema di accoglienza da lui messo in piedi a partire dalla fine degli anni 90. Questa stessa montagna di accuse, senza che cinque anni di inchieste e due di processo riuscissero a suffragarle con uno straccio di prova attendibile, è stata riproposta in maniera inaudita ed inquietante dal Pubblico ministero della Procura di Locri, Michele Permunian, con la richiesta per Lucano di 7 anni e 11 mesi di carcere. L’inquietudine e lo sbigottimento che questa richiesta ha generato in tanti spiriti liberi del Paese derivano dal fatto che questo inverosimile castello era già stato demolito dalle fondamenta da altre importanti articolazioni del nostro sistema giudiziario.

Per memoria e per capire è utile, comunque, ripercorrere la sequenza dei fatti. Il 2 ottobre 2018 Mimmo Lucano viene arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Locri. Una misura revocata il 17 ottobre successivo dallo stesso Giudice per le indagini preliminari, che demoliva l’impianto accusatorio, riducendo solo a due i capi d’imputazione (favoreggiamento immigrazione clandestina e irregolarità in due appalti di 50mila euro concessi con la procedura di assegnazione diretta a due cooperative di giovani immigrati e riacesi che operavano nella raccolta della spazzatura e nell’igiene urbana). Questo ufficio, però, trasformava, inspiegabilmente, gli arresti domiciliari in un divieto di dimora, che durerà ben 11 lunghi mesi.

Il 3 aprile 2019, nondimeno, la Corte di Cassazione faceva ulteriore chiarezza in merito alle accuse, rilevando che in assenza di indizi di “comportamenti” fraudolenti che Domenico Lucano avrebbe «materialmente posto in essere» per assegnare alcuni appalti senza rispettare le procedure corrette, andava rimosso il divieto di dimora. Il 5 settembre 2019 il Tribunale revocava, finalmente, il divieto di dimora, dopo altri 5 lunghi mesi ed una serie di dure e dolorose, note, vicende politiche ed umane che Mimmo Lucano ha dovuto suo malgrado sopportare. Intanto, rispettivamente il 21 maggio 2019 e il 7 giugno 2020 il Tar della Calabria e il Consiglio di Stato dichiaravano illegittima la chiusura dello Sprar di Riace. E il 7 luglio 2020 i giudici del riesame di Reggio Calabria rigettavano l’appello del Pm di Locri che chiedeva il mantenimento delle misure cautelari, definendo «inconsistente» e privo di « riscontri alle conclusioni formulate dall’ufficio di procura» il quadro giudiziario che le motivava, in quanto fondato su «elementi congetturali o presuntivi». Non solo. I giudici del riesame valutavano l’inattendibilità di…


L’articolo prosegue su Left del 28 maggio – 3 giugno 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

L’intoccabile imprenditoria

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 26-05-2021 Roma , Italia Cronaca Morti sul lavoro - manifestazione lavoratori edili Nella foto: Manifestazione davanti alla Camera dei deputati dei lavoratori edili delle confederazioni sindacali a ricordo delle vittime sul lavoro Photo Mauro Scrobogna /LaPresse May 26, 2021  Rome, Italy News Deaths at work - construction workers demonstration In the photo: Demonstration in front of the Chamber of Deputies of construction workers of the trade union confederations in memory of the victims at work

Breve riassunto di questi ultimi giorni.

Dalle parole degli arrestati si viene a sapere che i freni della funivia Stresa-Mottarone che ha portato alla morte di 14 persone sono stati consapevolmente manomessi per una questione di soldi. I gestori hanno spiegato agli inquirenti che oltre al danno economico del lockdown non volevano perdere anche l’incasso della domenica. In carcere ora si trovano il titolare della funivia Luigi Nerini, il direttore del servizio e il capo operativo. Il reato contestato? «Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, dal quale sarebbe derivato il disastro» ha spiegato il ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini nell’informativa urgente alla Camera.

A Brescia un’azienda (la Wte) avrebbe mosso l’equivalente di 5mila tir di fanghi tossici che sono stati smaltiti nei campi del nord Italia: 150mila tonnellate di fanghi tossici, contaminati da metalli pesanti, idrocarburi e altri veleni (spacciati per fertilizzanti e smaltiti su 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna. «Io ogni tanto ci penso eh… Chissà il bambino che mangia la pannocchia di mais cresciuta sui fanghi… Io sono stato consapevolmente un delinquente» diceva Antonio Maria Carucci, laureato in Scienze geologiche e a libro paga della Wte, al telefono con Simone Bianchini, un contoterzista che quei fanghi li spandeva nei campi della bassa bresciana. «Sono un mentitore!… Io…finisco all’inferno» dice ridendo in modo spregiudicato sempre Carucci al telefono con Ottavia Ferri, dipendente della Wte, che replica, anche lei ridendo: «Lo facciamo per il bene dell’azienda!». Si ipotizzano profitti illeciti per 12 milioni di euro.

A Sabaudia è stato arrestato un medico che avrebbe prescritto stupefacenti contenenti ossicodone, un oppioide agonista puro che ha un potere simile alla morfina, per permettere ai lavoratori indiani di resistere alla fatica dello sfruttamento e lavorare nei campi 12/16 ore al giorno. Ci sarebbero anche alcuni morti per overdose.

Intanto le indagini sulla morte di Luana d’Orazio – l’operaia tessile di 23 anni morta il 3 maggio scorso in una fabbrica a Montemurlo in provincia di Prato – hanno scoperto che l’orditoio su cui lavorava era stato manomesso per disattivare meccanismi di sicurezza e si continua a indagare sulla posizione contrattuale dell’operaia.

Sono solo gli episodi degli ultimi giorni ma gli esempi sono moltissimi. Francesco Costa aggiunge un’altra osservazione: «Qual è la differenza tra chi ha tolto il freno di una funivia pur di lavorare e chi ha tenuto il ristorante aperto quando era vietato, nonostante la certezza di provocare contagi e morti? Certo, morti forse meno cruente e visibili: ma morti. Questa cultura è ovunque intorno a noi». Volendo vedere ci sono anche i 43 morti per un ponte caduto, giusto tre anni, sempre per soldi.

Eppure ogni volta che si prova ad aprire un dibattito sul serio problema di “cultura d’impresa” di molti imprenditori italiani accade il finimondo: una mancanza di etica, di responsabilità e di legalità che ogni volta viene relegata a “episodi singoli”. Nel Paese in cui si generalizza in scioltezza sui dipendenti pubblici, sugli insegnanti, sugli operai tutti invidiosi, sugli impiegati tutti nulla facenti, sui giovani tutti sfaticati, sui calciatori, sugli artisti tutti furbi, sui giornalisti tutti servi, sui politici tutti corrotti e così via ogni volta che qualcuno si permette anche solo di pronunciare la parola “imprenditori” si leva lo sdegno della categoria. Una reazione tipo? Guido Crosetto, l’uomo di destra che piace tanto a sinistra, scrive rispondendo a Marta Fana: «Sta usando questa tragedia per dire che tutte le imprese e tutti gli imprenditori sono così? Si vergogni! Lei vorrebbe creare lavoro senza impresa? Non tutti possono lavorare nel pubblico. Non accade nemmeno più nei vostri antichi paradisi comunisti».

E vorrebbero chiuderla così. I moralizzatori del lavoro degli altri che sembra impossibile mettere in discussione.

Avanti così.

Buon venerdì.

Quando tuo figlio ti dice: «Sono nero, nessuno mi vuole»

Elementary age, African American girl holds mom or teacher's hand before school begins. She wears a backpack and clings to mom with uncertainty about starting school.

Buongiorno Gabriella mi chiamo Anna.
Sono come lei una mamma adottiva di tre fratelli brasiliani, che hanno riempito le nostre vite da più di 10 anni. Sono molto diversi tra di loro, la piccola è chiara, il mediano è nero e il grande ha la pelle olivastra e gli occhi verdi. Hanno la stessa madre ma padri diversi e il colore della loro pelle ha fatto in modo che anche le loro vite fossero molto diverse.
Leon, il secondo, ha solo 15 anni e il suo più grande desiderio è quello di essere invisibile.
Di solito i fratelli nati in mezzo devono sgomitare parecchio per farsi notare, lui, a differenza degli altri invece si sente diverso da tutti noi e questo, grazie alle persone che glielo sottolineano sempre.
«Ma che belli i tuoi figli, lui è adottato vero?» e lo indicano.
I fratelli si sono sempre un po’ presi in giro per questo ma dopo l’ultimo episodio, Leon si è chiuso in se stesso e guarda con ossessione la serie Tv Zero, dove c’è un ragazzo nero che ha il dono dell’invisibilità.
Un giorno era uscito per comprare un regalo alla sorella per il suo 13esimo compleanno, aveva messo via i soldi per molti mesi e il resto lo avevamo integrato io e suo papà.
Voleva prenderle una cintura di un noto brand che lei sognava da sempre.
Entrato nel negozio, gli hanno chiesto di uscire senza fare storie
«Questo non è posto per te» aveva detto la commessa infastidita.
«Ma io devo comprare una cintura per mia sorella» aveva risposto lui
«Non credo tu possa avere i soldi per comprare neanche il sacchetto che lo contiene, vai via».
Leon è tornato a casa livido dalla rabbia, non ci ha raccontato nulla per giorni e si è chiuso in un mutismo allarmante.
Un giorno, mentre era a scuola, ho deciso, contro le mie regole di leggere il suo diario e lì ho scoperto tutto.
– Nessuno mi vuole perché sono nero.
– La mia vita non vale niente.
– Questo è un mondo per bianchi.
– Voglio essere invisibile.
Mi sono molto spaventata, avevo paura che si facesse del male.
Il pomeriggio quando è tornato a casa aveva in mano un pacchetto, tutto infiocchettato di quel brand che cercava.
Preoccupata gli ho chiesto come avesse fatto, che sapevo cosa era accaduto, che ero molto dispiaciuta e che avremmo dovuto denunciare quella ragazza nel negozio.
Mi ha detto «Missione compiuta mamma, ho usato il mantello invisibile».
Mio marito la sera stessa mi ha confessato di averlo accompagnato nel negozio e di aver fatto una bella ramanzina alla commessa ma per quanto ancora potremo difenderlo da questa mentalità razzista? Quando i pregiudizi lasceranno il posto alla consapevolezza e all’accettazione del diverso da noi? Quando mio figlio potrà finalmente voler essere felicemente visibile?

*

Cara Anna, purtroppo lettere come la sua arrivano alla mia associazione Mamme per la Pelle quotidianamente e ogni volta mi strappano il cuore.
I nostri figli hanno già enormi difficoltà a riconoscersi figli perché di etnia diversa dalle loro famiglie, hanno già difficoltà ad elaborare l’abbandono, hanno già difficoltà a fare pace con se stessi e il loro passato.
Ci manca anche la società che mette loro un carico da 90 facendoli sentire inadeguati e non accettati.
Queste aggressioni, che purtroppo avvengono troppo spesso, devono però renderli più forti, più consapevoli della loro bellezza e più fieri del valore della loro diversità.
Non potremo difenderli per sempre, possiamo solo cercare di stare loro vicini quando vacilleranno. La nostra lotta deve essere contro questa cultura all white, dobbiamo combattere affinché questi gesti vengano puniti e ci siano finalmente delle leggi che impediscano ad una commessa di dire e fare quello che le passa per la mente senza tenere conto delle conseguenze.

*-*

Gabriella Nobile è fondatrice dell’associazione Mamme per la pelle.  Ha scritto il libro I miei figli spiegati a un razzista, edito da Feltrinelli con la prefazione di Liliana Segre


L’articolo è tratto da Left del 21-27 maggio 2021

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

Risiko delle banche: a rimetterci sono lavoratori e cittadini

Se c’è una cosa che appare intollerabile nel continuo inarrestabile processo di riordino del sistema finanziario italiano, è l’assoluto disprezzo per le sorti dei lavoratori “comprati e venduti” a pacchetto come nell’ultima operazione Intesa-Bper-Ubi e per i servizi sul territorio e i cittadini che lo abitano. Anche in questi giorni le pagine dei giornali sono piene di indiscrezioni sui futuri riassetti che riguardano un po’ tutto il sistema, con la ricorrente ipotesi di “spezzatino” per Monte dei Paschi, che dal punto di vista generale – e ancor più per ciò che questo istituto ha rappresentato e rappresenta per una regione come la Toscana – sono da considerare assolutamente inaccettabili.

Insieme al processo di concentrazione fortemente sostenuto dai regolatori europei e nazionali, Banca centrale europea, Bankitalia e governo in testa, che ragionevolmente vedrà a regime nel paese due o tre grandi player e un insieme di medio-piccole realtà, avanza però il contestuale esubero di migliaia di lavoratori e l’abbandono delle aree marginali e fragili del Paese da parte delle banche.

Ciò è manifesto soprattutto nel Mezzogiorno, ma comincia ad assumere rilevanza anche nell’Italia centrale. In Toscana sono 25 i Comuni senza sportelli bancari, spesso senza un ufficio postale o bancomat. Per lo più si tratta di realtà montane abitate da persone anziane, per le quali il ricorso ai servizi digitali e alle App appare più complicato, al di là di tutta la retorica possibile sulla alfabetizzazione finanziaria e digitale.

Da notare che, secondo un rapporto della stessa Regione Toscana, cinquanta Comuni in totale sono privi di copertura del segnale di telefonia mobile, circostanza che può essere interessante nella prospettiva di una vita bucolica e “disconnessa”, ma è assai avversa per chi deve disbrigare attività necessarie, come accedere alla propria banca con uno smartphone.

Se l’algoritmo che sovrintende le scelte organizzative di oligopoli finanziari che macinano miliardi di utili invitando in automatico a chiudere le filiali di tre dipendenti, spostare migliaia di lavoratori e lasciare milioni di cittadini senza un servizio costituzionalmente garantito, procede inesorabile e la protesta di sindacati, sindaci, associazioni dei consumatori nulla ha potuto finora, forse la politica dovrebbe interrogarsi sulle conseguenze dell’ampliamento di periferie sociali oltre che geografiche, che queste scelte alimentano. E che colpiscono i ceti più popolari e più fragili.

La sinistra in modo particolare dovrebbe provare ad incrociare una lettura dei dati elettorali in aree abbandonate da ogni genere di servizio, dai trasporti a quelli sanitari, fino alle banche. Ne trarrebbe forse qualche utile evidenza.

Il privato è privato ci viene spiegato, ed è inutile lottare contro i mulini a vento, tuttavia quando miliardi di denaro pubblico vengono riversati dai governi su operatori finanziari, per accompagnare operazioni di acquisizione o salvataggio, il minimo che si possa fare da parte del decisore politico è avanzare qualche richiesta di garanzia per il servizio e per il lavoro.

Altrimenti, la vulgata secondo cui pochi grandi gruppi, sicuramente più solidi, possano garantire maggior efficienza per lo sviluppo dei sistemi economici locali e per i cittadini sul territorio, oltre ad essere opinabile in sé, rischia di apparire risibile. È dubitabile che la tecnocrazia al governo sia sensibile a queste sollecitazioni, avendo in altri ruoli sostenuto il processo in atto, ma crediamo doveroso, per chi come la Cgil rappresenta interessi generali e non meramente neo-corporativi, lanciare l’allarme e provare a contenere i danni. Sperando di essere meno soli.

* Daniele Quiriconi è segretario generale Fisac Cgil Toscana