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Quei tre giorni del 1937 ci dicono cosa era il fascismo

«Ieri verso le ore 12, dopo ultimata la distribuzione delle regalie alle chiese, alle moschee e ai poveri di Addis Abeba fatta da S.E. Graziani in omaggio alla nascita di S. A. R. il Principe di Napoli, alla presenza delle autorità civili e militari e dei capi e notabili rappresentanti le comunità religiose copte e musulmane, da un gruppo di individui infiltratosi fra i poveri venivano lanciate, approfittando del movimento creatosi tra la folla al termine della cerimonia, alcune bombe a mano».
Questo il testo della agenzia Stefani, battuto il 20 febbraio 1937, che dà notizia dell’attentato al viceré Rodolfo Graziani, il successivo dispaccio della Stefani parla di 2mila fermi e comunica che «squadre di fascisti hanno ripulito taluni quartieri della capitale».

Il 19 febbraio, per festeggiare la nascita del principe di Piemonte, Graziani aveva infatti organizzato una pubblica elemosina per la popolazione indigente di Addis Abeba. Alla cerimonia, che si svolse nel cortile del piccolo Ghebì (l’ex palazzo di Hailè Selassié), sede del governo, parteciparono tutti i notabili etiopici presenti nella capitale, nonché gli alti vertici del governo italiano. La cerimonia venne organizzata fastosamente imitando una tradizione (quella che prevedeva per il giorno della Purificazione della Vergine una distribuzione di beni ai poveri) per almeno due scopi: «Quello di dimostrare che il governo italiano è più generoso di quello negussita, e quello di rompere con un gesto spettacolare e distensivo l’atmosfera di insicurezza che stagna da qualche tempo in città» (Angelo Del Boca, Italiani in Africa orientale, La caduta dell’Impero, Laterza). Addis Abeba era però considerata “sicura” molto diversamente dal resto del Paese, dove, nonostante la guerra fosse ufficialmente chiusa dal maggio 1936, la resistenza anti-italiana continuava a rendere ben poco sicuro l’impero e dove continuavano le sanguinose repressioni messe in atto dall’amministrazione italiana.

Circa duemila persone, affollavano il recinto della sede del governo, controllate da una cinquantina di carabinieri. Verso mezzogiorno l’attentato: due patrioti etiopi lanciarono alcune granate e Graziani venne investito quasi in pieno dall’esplosione del terzo ordigno. Mentre il viceré veniva soccorso iniziarono le reazioni all’interno del Ghebì: vennero immediatamente chiusi i cancelli, impedendo alla popolazione di fuggire e soldati e carabinieri reagirono sparando sulla folla. Coloro i quali non caddero sotto il piombo vennero poi rinchiusi per parecchi giorni nelle sale del palazzo.
I tre giorni che seguirono furono segnati dalla rappresaglia scatenata dagli italiani di Addis Abeba. Un vero e proprio pogrom coordinato dal partito fascista. Fu infatti il federale della città, Guido Cortese, che organizzò i presenti, li divise in squadre e li lanciò contro la…


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Nino Cartabellotta (fond. Gimbe): Perché ci vorrebbe un nuovo lockdown

Carabinieri (Italian paramilitary police) officer stops a car in downtown Milan, Italy, Sunday, March 22, 2020. Italian Premier Giuseppe Conte has told the nation he is tightening the lockdown to fight the rampaging spread of coronavirus, shuttind down all production facilities except those that are "necessary, crucial, indispensible to guarantee" the good of the country. For most people, the new coronavirus causes only mild or moderate symptoms. For some it can cause more severe illness, especially in older adults and people with existing health problems. (AP Photo/Antonio Calanni)

Quattrocento morti al giorno. Ottocento ogni due giorni. Duemilaottocento alla settimana. È la media italiana di decessi causati dal coronavirus negli ultimi sette giorni (al momento di andare in stampa, ndr). Una media in lieve calo da metà gennaio, certo, ma che illustra comunque una situazione di assoluta emergenza. Per cui sarebbero necessarie contromisure radicali. Sarebbe ovvio che i decisori politici le predisponessero e le autorità sanitarie e di polizia le facessero applicare. Nulla di tutto ciò, invece. Questi lutti quotidiani vengono ormai dati per scontati. Come se ci si fosse assuefatti a questa strage quotidiana, quasi fosse considerata, a torto, inevitabile.

Mentre infatti le forniture di vaccini subiscono ritardi, il contact tracing è stato abbandonato da mesi, le terapie contro il Covid sono – al momento – armi spuntate, ci si aspetterebbe come minimo un inasprimento delle misure di lockdown. E invece la mappa dei colori che indicano i livelli di confinamento indica un’Italia pressoché totalmente in “zona gialla”. Nel frattempo, durante le consultazioni col presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi, nessuna forza politica ha posto come condizione per la nascita di un nuovo esecutivo un blocco più serio delle attività nel Paese, a tutela della vita delle persone e anche, sul lungo periodo, dell’economia.

Ma quanto è davvero pericolosa questa inerzia? In che fase della pandemia ci troviamo? A che punto siamo con la campagna vaccinale e come potrebbe impattare sulla salute pubblica la diffusione di nuove varianti del coronavirus? Ne abbiamo parlato con Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione Gimbe, organismo di ricerca indipendente che promuove e realizza attività di formazione e ricerca in ambito sanitario. Le analisi sul Covid sue e dell’ente che dirige rappresentano un faro per orientarsi con consapevolezza in questa fase delicata dell’emergenza.

Presidente, di recente ha dichiarato che ci troviamo in «una delle fasi più critiche della pandemia», perché?
Perché si tratta di una fase di “calma piatta”, dove la curva del contagio nazionale si è al momento stabilizzata, ma al tempo stesso diversi fattori ne fanno presagire un’imminente risalita. Infatti, gli effetti delle misure restrittive, in particolare quelle della “stretta” di Natale si sono ormai esauriti, l’utilizzo dei tamponi rapidi a scopo di diagnosi e non per screening lascia in giro troppi falsi negativi sottostimando i contagi, l’Italia si è quasi completamente tinta di giallo e sono arrivate le nuove varianti che hanno già portato a zone rosse in alcune province e comuni. In questo contesto, le istituzioni si limitano paternalisticamente ad appellarsi al buon senso dei cittadini che, in fondo, non fanno che adeguarsi a quanto permesso.

Gli ultimi dati parlano di una stabilizzazione dei nuovi casi di Covid, ma in alcune regioni il trend è invece in risalita. Perché e cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni?
Dopo settimane di lenta discesa di tutte le curve, il calo dei nuovi casi settimanali si è…


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Giovanni Soldini: Prima si salva poi si pensa

Giovanni, per te l’acqua significa tante cose: significa navigazione, ma anche risorsa – ricordo che hai promosso con Amref la questione dell’acqua in Africa -, ti sei impegnato col salvataggio in mare e hai attraversato oceani. E poi che hai fatto?
Più o meno ho fatto questo, non si può fare tutto. Sicuramente il tema del mare, del salvataggio in mare, dell’acqua come frontiera è un tema che mi è molto vicino perché comunque io penso che la prima legge di qualsiasi marinaio, la prima legge del mare è proprio che in mare la vita umana va sempre salvata. Prima si salva poi si pensa. Questa è in realtà una legge che viene da molto lontano, da una cultura millenaria, oserei dire, ma che incredibilmente è messa in discussione proprio adesso dai Paesi “sviluppati”, no? È una situazione molto brutta ma ormai da qualche decennio i Paesi ricchi attuano politiche contrarie a questa legge del mare.

A te è capitato di essere salvato e di avere salvato in mare.
È vero. Ho salvato una naufraga (Isabelle Autissier, durante la terza tappa dell’Around Alone nel 1999, ndr), però sono anche stato salvato nel 2005 da una petroliera che arrivava dal Golfo Persico, una delle navi più grosse al mondo, una nave che non passa neanche il canale di Panama, larga 40m e lunga 380m. Mi pescarono in mezzo all’Atlantico a mille miglia da Dakar verso ovest. Mi ero cappottato insieme all’amico Vittorio Malingri su un trimarano e la cosa allucinante è stata che quando la petroliera si è ormeggiata al largo dalla costa nel Golfo del Messico davanti a Houston nessuno ci ha voluto portare a terra. Eppure avevamo tutti e due il passaporto, un visto a tempo indefinito per gli Stati Uniti e una sfilza di carte di credito.

Perché non volevano?
Perché eravamo naufragati. Non c’era verso di scendere a terra. Dopo 10 giorni abbiamo dovuto affittare un elicottero perché altrimenti saremmo dovuti ripartire con la nave. Questo è accaduto perché negli Stati Uniti, come in Europa, come in Italia, come in tutti i Paesi ricchi chi porta a terra un naufrago ne diventa totalmente responsabile. E anzi nel caso dell’Italia può essere anche accusato di essere uno scafista.

Questa oggi è la situazione che vivono tutti i naufraghi in mare dalle nostre coste fino alle Canarie.
Noi eravamo molto protetti. Se fossimo stati dei naufraghi senza un passaporto “giusto” non voglio immaginare cosa sarebbe potuto succedere. Perché alla fine per una nave, soprattutto per l’armatore della nave, tu sei solo un grossissimo problema. E in mezzo al mare non ti vede nessuno. Un problema del genere si risolve in un attimo, nel senso che ti prendono e ti fiondano a mare senza pensarci due volte. Tanto più oggi che per esempio il…


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L’intervista è anche su YouTube

La donna essere umano uguale e diverso

Massimo Fagioli, foto di Stefano D'Amadio ©

E venne il giornalista di RaiNews24 che costruì una trasmissione di 9 minuti. E sono giunte le voci vicine e lontane che dicevano: bellissimo. Avevo fatto togliere da Segnalazioni una fotografia del 1991. Mandato da la Repubblica, il fotografo fece una fotografia bruttissima. Avevo una strana espressione ed, in mano, il volume nero con su, grande, il nome: Freud. Non potei oppormi perché non me la fece vedere prima di pubblicarla. E, prima di commentare e studiare, scrivo che i nove minuti di RaiNews24 fanno una realtà nuova. Stimolano una ricerca che sembra impossibile. Ma l’anelito a conoscere le realtà invisibili degli esseri umani è sempre presente. Un breve accenno agli orrendi titoli “…è stato plagiato” e pochi anni fa “…deve essere curato!”. Frase che faceva il titolo di un’intervista, e che io non avevo mai detto. Volevano, sfregiando l’aspetto visibile, fare l’immagine pubblica di un triste personaggio che aveva detto “Freud è un imbecille!”.
Il “personaggio” era quello che interpretava i sogni, senza ascoltare le libere associazioni. Ed arrivarono tanti articoli in cui il ridacchiare scemo parlava di guru. Ora, da alcune settimane, sono comparse su la Repubblica, articoli di tutt’altro aspetto e sapore. È il collega, psichiatra, che parla come presidente della SPI. Ed ho commentato e cercato altri giri di parole che cercano di annacquare ed oscurare il fatto di vedere la verità di una storia che aveva una realtà terribile. Ed ho detto qualcosa la settimana scorsa, ma ho detto tanto nei cinquant’anni passati. Cercavo un invisibile movimento della normale cultura esistente quando è comparsa RaiNews24. Un magnifico regista ha proposto la visione di un’immagine nuova. Uno psichiatra parlava dell’interpretazione dei sogni e diceva: “Il paziente ha un linguaggio arido nel descrivere le immagini oniriche”. È linguaggio articolato udito e ripetuto. Lo psichiatra ascolta e trasforma le immagini oniriche in pensiero verbale. “È un linguaggio nuovo”.

La più grossa violenza è la negazione stupida della donna

In altre parole lo psichiatra fa, udite le parole, un’immagine diversa da quella descritta. Ed essa parla nel silenzio. E la parola dello psichiatra che interpreta, è diversa da quella che ha descritto le immagini oniriche, perché è creazione della fantasia e non della coscienza e ragione. È il pensiero che, alla nascita, compare nell’organismo e, poi, utilizza il linguaggio articolato imparato per esprimersi. E non è lo stesso di quello udito. Il pensiero va verso le parole: poesia, poeta. I poeti tolgono ai termini verbali il significato che indica le cose materiali per comporre frasi dal senso misterioso che sembra suono. Cosa accade nella mente del poeta? Vengono, gentilissimi, i termini verbali dei tanti decenni di ricerca. Ed ora il più bello mi sembra «capacità di immaginare». E torna il pensiero che il poeta toglie, ai termini verbali, il significato che, sparito, rende totalmente diversa la parola udita, letta ed imparata. Segue, immediatamente, la domanda e la ricerca impossibile che vogliono leggere la differenza, il completamente diverso, tra…
La certezza dell’identità delle parole dice: la pulsione di annullamento, figlia dell’anaffettività, rende le parole aride come fossero suoni o segni convenzionali che, in verità, sono rumori che chiamano il cane del padrone. Sono fischi o suoni di campane che dicono l’ora del mattino o del vespro ed invitano sempre a pregare un dio.

E so, ormai, che sono ricordi coscienti registrati dai sensi nello stato di veglia, senza nessuna modificazione o partecipazione. Non c’è creazione d’immagine. La fantasia di sparizione che ha in sé stessa, sparite nella loro realtà, pulsione di annullamento e capacità di reagire che diventa vitalità, spoglia le parole dalla loro veste di aridi segni che indicano le cose. Le lascia nude ad esprimere la loro sensibilità ed il canto che il simile dovrebbe sentire quando non ha più rapporto con la realtà materiale. Ed è una sensibilità che è legata ai cinque sensi come la realtà non materiale del pensiero è legata al corpo. Ed ho detto del movimento invisibile che accade nel poeta che trasforma il linguaggio imparato per farne una creazione personale, originale. Come se fosse il contrario di quanto fa l’artista quando fa statue. Egli dà una forma al marmo, al ferro, al legno informe per esprimere, con l’immagine, la sua realtà non materiale ovvero il pensiero. Il poeta toglie ogni identità alla manifestazione percepibile del suo pensiero, per crearne un’altra, senza significato. È libera espressione, dissi, che non dipende da nessuna altra cosa… . Come se fosse una musica originale. La dinamica, quindi, è la stessa della nascita umana in cui, insieme al pensiero falso, idea, realizzazione della realtà biologica “il mondo non esiste”, si ha la creazione della realtà della memoria-fantasia dell’esperienza avuta. E, pertanto, posso dire che il poeta fa sparire il significato del linguaggio imparato, ovvero la manifestazione percepibile per esprimere una realtà, da sempre sconosciuta e detta inconoscibile. Fa sparire, anche se la percepisce con i sensi della veglia. Così la dinamica della nascita, in cui si realizza la fantasia di sparizione, si ricrea nel narcisismo del poeta che, avendo i cinque sensi della veglia vigili, realizza una indifferenza per il mondo che lo circonda perché come il neonato, è realizzazione di sé. Animali e vegetali non comprendono la poesia perché odono, vedono, ma non comprendono il senso. Il senso nuovo che neppure gli esseri umani simili al poeta, comprendono.

E noi abbiamo visto la differenza tra anaffettività ed indifferenza. E la conoscenza, che non è ripetizione del linguaggio imparato, ci dà la strada per la realizzazione interiore senza anaffettività. C’è il rapporto con l’altro essere umano che non conosce. Sa che esiste ma non c’è ricordo perché non c’è stata la percezione di un corpo. È memoria dell’esperienza avuta nel contatto della pelle con il liquido amniotico, di quando ancora non era iniziata la sua vita umana. So, forse la memoria-fantasia me lo ha sempre detto, che prima della vita c’è una realtà biologica con i suoi riflessi ma non c’è vita umana perché non c’è la realtà non materiale che è il pensiero. L’ho detto spesso ed ora lo ripeto perché, non ho evidenziato il metodo del pensiero. Fu, forse, una “rivoluzione copernicana”. Non è la discesa dello “spirito” sulla realtà materiale ma è l’emergenza, per lo stimolo della luce, della realtà non materiale dalla realtà materiale. C’è, nella realtà biologica umana una “capacità di reagire” che fa quella pulsione che (è oltre la realtà della parola energia?), nel “credere” che la realtà non umana non esiste, fa esistere il pensiero umano che è memoria-fantasia e non ricordo.

Le pitture rupestri volevano rappresentare le foche monache. È la manifestazione della mente umana che non è ragione. Si possono vedere disegni, di trentamila anni prima, in cui sembra dominare la linea. E la fantasia, senza ragionamento, mi fa pensare che sono opere delle donne chiuse nelle caverne. Compare nella mente la memoria dell’originale seduta di psicoterapia di gruppo. Gli impercettibili movimenti delle tante teste fanno la superficie del mare, mossa da un venticello che è l’aria che porta le parole che diciamo. Immagine indefinita, incomprensibile, inimmaginabile che non rivendica la sua realtà. Forse non è la sua identità. Svanisce, per diventare individuo. Penso alle correnti sotto la superficie che, invisibili, chiedono l’amore per gli uguali e diversi, che fa vedere senza occhi le immagini del sogno. Non le hanno fatte emergere mai per la lastra di ghiaccio che l’uomo ha posto sopra l’identità della donna: uguale e diversa. Ed hanno detto che non è realtà umana. Come se il genere maschile della specie umana potesse parlare soltanto con l’uguale e non con il diverso. “L’altro è la propria figura riflessa dal freddo specchio”. La parola «diverso» mi parlò del primo anno di vita senza parola e del pensiero fatto d’immagine. Ed io pensai alla parola: donna.

Il cacciatore di zombie

Former head of the BCE (European Central Bank) Mario Draghi looks on as he arrives at the Quirinal palace, to attend a meeting with the Italian president, in Rome, on February 3, 2021. - Italy's president is expected February 3, to ask Mario Draghi, the former head of the European Central Bank, to lead the country out of the devastating coronavirus pandemic after the coalition government collapsed. (Photo by Andreas SOLARO / AFP) (Photo by ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images)

Draghi ha scritto di queste realtà in una relazione per il gotha della finanza. Che ne farà ora da presidente del Consiglio? Si chiamano zombie firms (imprese zombie) o walking deads (morti che camminano). A loro è dedicato uno dei capitoli centrali dello studio preparato da Mario Draghi (quando non era ancora presidente incaricato) e Rayan Raghuram, economista ed ex direttore della Banca centrale indiana, per il Gruppo dei Trenta, che raggruppa personalità influenti del mondo economico mondiale, in particolare ex presidenti di banche centrali, pubblicato a dicembre del 2020. Titolo: Reviving and restructuring the corporate sector post-Covid, rivitalizzare e ristrutturare il settore delle imprese dopo il Covid.

Per capire di cosa parliamo dobbiamo sapere che questa definizione cinicamente eloquente, zombie firms, è dedicata al quinto livello, l’ultimo, con cui questo studio classifica le imprese. Sono quelle che probabilmente sarebbero morte se in tempo di pandemia non ci fosse stato denaro facile a cui hanno attinto e rispetto al quale saranno con ogni probabilità insolventi.

Il che alimenta un’altra delle bombe che sono disseminate nel mondo in piena crisi pandemica ed economico-sociale, quella dei crediti deteriorati. Tanto grande ed esplosiva che la Commissione europea le ha dedicato il 17 dicembre scorso una comunicazione per presentare la propria strategia di salvataggio.

Ma andiamo con ordine. Partiamo dall’economia reale, le imprese. La relazione di Draghi e Raghuram, come detto, le classifica in 5 tipologie. Per ciascuna sono indicati gli…


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È solo un armistizio

Giornata convulsa quella di ieri, eh? Però gira questa barzelletta che con il governo Draghi piomberà sull’Italia una grande pacificazione, è il desiderio soprattutto di chi con concezione confindustrialotta del mondo ritiene la politica una gran rottura, un peso burocratico che ci dobbiamo portare sulle spalle solo per fingere di essere democratici anche se l’ideale sarebbe un unico ristretto consiglio d’amministrazione e al massimo i dirigenti giusto per metterci gli amici e qualche capoturno per fare rigare dritto tutto il Paese.

Eppure la politica no, non cessa, seppur sciancata, scricchiolante, troppo spesso troppo poco credibile, in dissenso com’è nella sua natura e perduta nei mille rivoli che sono l’anima stessa del dibattito. Così ieri è accaduto che il Movimento 5 stelle abbia deciso di appoggiare Draghi ma è anche accaduto che il 40% dei votanti sulla piattaforma Rousseau non siano per niente d’accordo con le decisioni di Grillo e Di Maio. A proposito: è vero che votare su una piattaforma proprietaria di una società privata che non ha alcuna trasparenza, con un quesito scritto con modalità saudite (e con il solito italiano incerto) non sia stato un gran bello spettacolo ma che diano lezioni di consultazioni della base i partiti abituati a prendere decisioni nei caminetti o addirittura quelli che galleggiano in partiti padronali fa proprio ridere.

Comunque, dicevamo, ieri il Movimento 5 stelle ha votato e quel 40% in disaccordo pesa, eccome, sul futuro del Movimento e della politica. Nonostante molti editorialisti spernacchino i grillini che si potrebbero spaccare (sempre a proposito della “pacificazione” che per loro consiste nell’eliminazione dell’avversario) ciò che accadrà nel M5s avrà peso per il governo e per le prossime elezioni.

Accade più o meno lo stesso anche nel Partito democratico dove l’apparente quiete è solo una preparazione sotto traccia di un congresso che tra poco si comincerà a invocare. Le mosse di Zingaretti non sono piaciute e non piacciono a molti e l’idea di affondare l’attacco piace anche ai molti (troppi) infiltrati renziani che godono nel vedere macerie.

Accade lo stesso anche nella Lega, che però appare più brava nel nascondere il borbottio interno, dove non sono pochi quelli che contestano a Salvini “un’inversione a Eu” che viene considerata come un tradimento.

Forse solo Giorgia Meloni in questo momento si trova a capo di un partito che la appoggia su tutta la linea. Forza Italia e Italia viva non hanno fremiti: sono delle corti al guinzaglio del loro re. Per questo si piacciono tanto.

Insomma, il quadro è convulso, e i partiti continueranno comunque a fare i partiti, con tutti i loro tremori e con le inevitabili conseguenze. E alla fine Draghi dovrà scendere a occuparsi anche delle “questioni basse” come gli equilibri interni. Che poi è la politica, appunto. Oggi dovrebbe arrivare la squadra dei ministri. Si comincia a ballare.

Buon venerdì.

Con le destre non si esce dal pantano

Si prega di non chiudere gli occhi sul numero crescente di disoccupati, nonostante il blocco dei licenziamenti: il 98% dei 101mila posti di lavoro andati perduti nel solo mese di dicembre 2020 erano occupati da donne. Si prega di non chiudere gli occhi sui femminicidi, lo scorso fine settimana in 24 ore son state uccise tre donne e sono già sette dall’inizio dell’anno. Si prega di non chiudere gli occhi sui problemi della giustizia e sul sovraffollamento nelle carceri focolai di contagio. Si prega di non chiudere gli occhi sui 92mila decessi per Covid in Italia. Continuano a morire quasi 400 persone ogni giorno. E intanto il ritorno in zona gialla suona come uno sciagurato “liberi tutti”. Mesi fa eravamo giustamente scioccati dalle bare che sfilavano a Bergamo, ma poi cosa è accaduto? Ci siamo assuefatti a questa contabilità della morte? Ci pare normale che anche a causa del ritardo nell’applicazione del piano vaccinale, non solo per il “ricatto delle multinazionali”, si proceda a singhiozzo con la somministrazione e si sia ancora enormemente lontani dall’immunità di gregge?

Con tutta evidenza qualcosa non ha funzionato a livello europeo e tanto meno ha funzionato in Italia. Il lavoro del governo Conte con il ministro Speranza, che abbiamo apprezzato nell’affrontare con onestà e impegno questa devastante pandemia, non è bastato. E la paralisi potrebbe proseguire se, nonostante i buoni propositi di Draghi di mettere al primo punto la lotta al Covid, il suo governo di larghissime intese imbarcasse davvero la Lega negazionista di Salvini che vorrebbe estendere a tutta Italia il fallimentare modello di sanità privata che tanti danni ha fatto in Lombardia; quel Salvini che continua a invocare la riapertura di tutto in nome della produzione, infischiandosene della salute dei cittadini (altro che «Prima gli italiani!»). Non basta la spolverata di finto europeismo che il leader leghista, folgorato sulla via del governo Draghi, si è dato nei giorni scorsi. Né basta a rassicurarci il primo no che l’ex governatore della Bce ha opposto alla Flat tax leghista. Serve un piano ben articolato e complesso per uscire dal pantano. Quello di Draghi comincerà ad avere linee più chiare nelle prossime settimane. Aspettiamo di poterlo valutare nel merito.

Noi pensiamo che non sia più rinviabile una riforma fiscale basata sul principio costituzionale della progressività, serve una riforma degli ammortizzatori sociali, una politica industriale in cui lo Stato affronti la questione dei lavoratori delle “aziende zombi”, che sopravvivono purtroppo solo nominalmente dopo la crisi, servono investimenti per creare nuovi posti di lavoro, non aiuti a pioggia, ma strumenti di protezione sociale e politiche attive del lavoro (solo per cominciare). Ma queste a ben vedere sono anche scelte politiche che chiedono una visione competente, ma soprattutto democratica e progressista. E poi c’è uno scoglio innegabile: per quanto autorevole, come farà Draghi a fare una sintesi fra ciò che insieme non può stare? è impossibile, oltreché ingiusto. Come si fa a mettere insieme la revisione dei decreti Salvini iniziata con il governo Conte II con le politiche dei porti chiusi del capo leghista? Come si fa a fare una sintesi fra chi vuole una transizione ecologica e sociale e chi vuole grandi opere impattanti e il ponte sullo Stretto? L’unica strada possibile dopo l’irresponsabile crisi innescata da Renzi forse sarebbe stata un governo di scopo per la vaccinazione di massa, la riapertura delle scuole e la consegna del Recovery plan, per poi andare al voto.

Le contraddizioni di un governo “di legislatura” che andrebbe da Leu alla Lega, passando per il Pd, i 5 Stelle e Forza Italia, sono feroci e inaccettabili. Destra e sinistra non sono uguali. Non è una questione astrattamente ideologica, ma di merito, di sostanza, tanto più in tempi di crisi sanitaria ed economica che ha ampliato le disuguaglianze, lasciando scoperte intere fasce di popolazione a cominciare dai giovani e dalle donne. Torniamo ad occuparci di questo tema con gli autorevoli contributi di Cesare Damiano e di Susanna Camusso e dando la parola a nuove, giovani leve del sindacato e attiviste, donne del Sud e immigrate che stanno facendo un coraggioso lavoro, anche provando a riscrivere, dal basso, il contratto nazionale per il lavoro di cura, fondamentale pilastro, accanto a quello dei medici e dei ricercatori in questi lunghi mesi di emergenza sanitaria, eppure non riconosciuto, sfruttato, sottopagato. Il lavoro dei sindacati, dei partiti, del Parlamento, la dialettica fra governo e opposizione (costruttiva) sono gli assi portanti su cui si deve basare la ricerca di una via di uscita dalla crisi. E in questo ultimo anno li abbiamo visti pericolosamente scivolare nell’ombra. Crediamo che sia un grave danno per la democrazia italiana.

Per quanto possa essere autorevole e competente non è l’uomo solo al comando la via di uscita. L’agiografia acritica e imbarazzante che sta dilagando da giorni su tutti i media mainstream non è informazione. E, a ben vedere, nuoce anche al lavoro di Mario Draghi.


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Un’epidemia d’altro genere

Bari, 25 gennaio 2019: XVIII Congresso della Cgil Nazionale Susanna Camusso Simona Caleo/Cgil

Era il 2005, “due crisi fa”, che in Italia il tasso di occupazione femminile quotava 45,4%. È il 2021 e siamo tornati lì. Nonostante il blocco dei licenziamenti, mentre l’Europa, pur con una decrescita forte, veleggia oltre il 62%, dai noi si versano lacrime di coccodrillo. Questi numeri sono già impietosi nel descrivere l’imperante discriminante di genere, ma se rivolgiamo lo sguardo alle giovani donne tocchiamo una vetta terribile, solo un terzo delle giovani sono al lavoro e l’Italia conquista l’ultimo posto in Europa. Il divario di genere che riguarda occupazione, retribuzioni, carriere si conferma nelle giovani generazioni; solo nell’istruzione non è così, a proposito di chi pontifica colpevolizzando le donne sugli studi. Fin troppo facile dire che l’Italia non è un Paese per donne e per giovani. Se ci fosse incertezza i numeri Istat di dicembre sulla perdita dei posti di lavoro, 98% donne, prevalentemente tempi determinati, la cancellano. Potrei proseguire il funereo quadro con i numeri delle giovani madri, le dimissioni volontarie che sono prevalentemente denunce dell’obbligo di scegliere tra lavoro e maternità, anche qui il confronto con l’Europa ci consegna la maglia nera. Se finalmente si volesse uscire da quel paternalistico e patriarcale “ma le donne non fanno le scelte ‘giuste’ per trovare collocazione nel mercato del lavoro” – che connota ormai da decenni le nostre vite – e si affrontassero le ragioni di tanta esclusione avremmo già fatto un gran passo avanti. Era l’inizio degli anni 2000 quando abbiamo cominciato a vedere le statistiche dell’effetto sul Pil della crescita dell’occupazione femminile, e ancor più affascinanti sarebbero gli effetti sul benessere del Paese.

Banca d’Italia ci ricorda, ancora una volta, la potenzialità, una crescita di 7 punti, che potrebbe derivare dalla crescita dell’occupazione femminile. Intanto scorrendo le statistiche si scopre che per età solo le ultracinquantenni non perdono posizioni, più forti della lunga stagione di lotta del movimento femminile e femminista, certo, ma temo non sia sufficiente, comunque bisogna intervenire sui meccanismi di discriminazione e segregazione. Ovvero: precarietà, privatizzazione del welfare, e stereotipi. Significa, e lo sapevamo, che il sacrosanto blocco dei licenziamenti funziona per i lavoratori stabili, quelli che non sono stati travolti dal Jobs act, ma le donne e le giovani generazioni la stabilità la vedono come un miraggio. Le stesse politiche di detassazione e decontribuzione, miliardi erogati senza condizioni alle imprese per le assunzioni, hanno ulteriormente aggravato marginalizzazione e precarizzazione delle lavoratrici. Numerosi studi ormai lo dimostrano, ma basterebbe osservare la beffa, anche simbolica, dei quasi tre milioni di part time involontari ed obbligati, in prevalenza donne, per capire come quelle politiche, continuamente riproposte, portano al consolidamento della segregazione e delle discriminazioni; come dicevano le giovani: un potente anticoncezionale.

Se non si vuole continuare il pianto del calo demografico come scusa per il ritorno a casa delle donne, serve fare i conti innanzitutto con un mercato del lavoro frantumato, precarizzato che indebolisce la qualità del nostro sistema produttivo che già nella sua piccola taglia ha seri problemi di produttività. Certo se come il Jobs act dimostra ci si ostina a pensare che la bassa produttività sia determinata dalla troppa libertà e sicurezza del lavoro, alla fine si cerca conforto nel modelli di lavoro forzato dei sultanati arabi, e solo nubi nere si ergono dinanzi a noi. Partiamo, invece…


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La sostanziale differenza

Lasciando perdere il centrodestra c’è dall’altra parte, nel presunto centrosinistra ormai da anni tendente al centro centro centrodestra, in quello che potremmo definire un centrocentrocentrocentrosinistra una spaccatura che emerge ancora di più in queste ore ma che è andata a consolidarsi in tempi lunghi, sostanzialmente dalla nascita del Movimento 5 Stelle e che ora esplode in previsione dell’insediamento del prossimo governo.

Ci sono i cultori della competenza, che si fanno chiamare così ma sono sostanzialmente quelli che mal sopportano i grillini, che trovano indecenti certi loro dirigenti politici, che non ne condividono la struttura padronale, che ne criticano la volatilità delle posizioni, che ne sottolineano la predisposizione ad allearsi con chiunque e che trovano tutto questo gravemente insopportabile. Un pezzo di dirigenti politici (e plausibilmente anche di elettori) sta giocando in questi giorni la sua battaglia contro il Movimento 5 Stelle (e contro Conte) e simula (spesso male) di volerne fare una questione di principio. Peccato che i valori e i principi, comunque vada, ne usciranno inevitabilmente piuttosto deboli in un governo che vede “dentro tutti”: pensare a un “governo della competenza” che contenga Lega e Forza Italia è qualcosa che sarebbe stato inimmaginabile fino a qualche tempo fa. Eppure i “cultori della competenza” ci dicono che sia meglio un Salvini e un Berlusconi voltafaccia piuttosto che il Movimento 5 Stelle accusato di avere voltato la faccia. E quindi a questi gli tocca perfino adorare la competenza di un Giorgetti per spazzare un Di Maio. E avranno una maggioranza con dentro Giorgetti e Di Maio. Vai a capire.

Dall’altra parte ci sono quelli che si ricordano ancora cosa sia la neodestra della Lega, che sanno esattamente che sventura sia stata il berlusconismo al potere, che ricordano con un certo fremito le macellerie sociali innescate da certi governi tecnici che si sono potuti permettere di bastonare i poveri in nome dell’impolitica e che trovano indigeribile la normalizzazione di una destra che probabilmente è una delle peggiori destre di sempre. Anche questi in fondo hanno una battaglia personale da combattere: ritengono indigeribile Salvini e i suoi scherani e ritengono inaccettabile la riabilitazione di Berlusconi e le oscure trame del suo partito. Ritengono che “quelli che hanno governato con Salvini” non possano essere peggiori del Salvini stesso e che la credibilità di una maggioranza si disegna anche da chi ne resta escluso. Confidano in Draghi (che ha l’interesse primario di tenere in maggioranza più partiti possibili) per sperare che escluda qualcuno che loro stessi non riescono a escludere. Sanno perfettamente però (almeno ce lo auguriamo) che non accadrà nulla di tutto questo e che il governo che si insedierà sarà un tiepido compromesso. E fanno il pesce in barile. Vai a capire.

Sopra a tutti c’è un presidente del Consiglio incaricato che deve provare a tenere insieme questi due blocchi contrapposti (più ovviamente la porzione di destra che ha già assicurato il suo sostegno) cercando di non scontentare nessuno, almeno di scontentarli il meno possibile, sapendo bene che sia impossibile accontentarli.

Il governo che nasce è questa cosa qui, legato con mani e piedi alla differenza sostanziale che ogni giorno si esercita nei politici, nei giornalisti, tra gli opinionisti. E allora viene normale aspettare almeno i programmi, almeno per elevare il dibattito dalla disputa che sembra ormai una questione di tifo e per tornare a parlare di temi. Ogni volta che qualcuno sommessamente fa notare che i programmi saranno dirimenti (ma non bastano i “titoli” di un vago programma) le due fazioni ricominciano a prendersi a pesci in faccia: “come vi permettete di chiedere i programmi voi che siete indegni perfino di stare dentro questa maggioranza” gridano gli uni agli altri. E sono giorni tutti così.

Buon giovedì.

Facce toste

Sono giorni frizzanti questi perché, mentre il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi continua il suo giro di consultazioni, abbiamo l’occasione di toccare con mano lo spessore politico dei partiti in Parlamento, quei partiti che da anni vorrebbero perfino essere portatori di etica e che si combattono dando lezioni di moralità uno contro l’altro mentre poi nel loro piccolo cortile riescono a dare il peggio di sé.

Ieri l’europarlamentare Antonio Rinaldi, il fondatore e uomo di punta della corrente “no euro” della Lega di Salvini, è riuscito a rilasciare un’intervista alla giornalista Annalisa Chirico in cui candidamente afferma di non avere «mai detto di voler uscire dall’euro». Una roba immonda che racconta perfettamente come sotto il paravento di una “responsabilità” fasulla (che poi consiste nell’occasione di ambire a mettere le mani sui miliardi che arriveranno dall’Europa) i partiti siano disposti addirittura a rinnegare se stessi. Dice Rinaldi che le sue panzanate contro l’euro erano «solo una speculazione accademica», che «dall’euro non si esce» e parlando della Lega afferma: «Non siamo noi a esserci avvicinati all’Europa. È l’Europa che si è avvicinata a noi».

Pensare che in questo video (uno tra i tanti) dichiarava che dalla moneta unica europea si dovesse uscire subito e che per farlo sarebbe bastato un decreto. A proposito: quel video è sulla pagina del Movimento 5 stelle Europa, sì, quando anche loro insistevano tutti belli felici sull’antieuropeismo per riuscire a racimolare qualche voto degli arrabbiati. Vi basta fare un giro in rete per ritrovare centinaia di eventi (di Lega e di M5s) contro l’euro. Ora vi stanno dicendo che era tutto falso, niente di niente. Chissà che ne pensano gli elettori, sempre a proposito della “crisi di fiducia verso la politica”.

Badate che contro l’euro, nonostante in questi giorni siano pochi a ricordarlo, si scagliava simpaticamente anche Silvio Berlusconi: nel gennaio del 2018 in un’intervista al Corriere dell’Umbria l’ex Cavaliere disse (sempre per solleticare gli sfinteri degli elettori): «Rispetto a 24 anni fa, l’Italia è peggiorata per colpa dell’euro. L’introduzione della moneta unica con quelle modalità e a quei valori, improvvidamente accettati da Romano Prodi, ha dimezzato i redditi e i risparmi degli italiani». E questo concetto l’abbiamo sentito ripetere migliaia di volte in questi anni tanto che è arrivato intonso fino a noi.

Notevole anche la dichiarazione di Carlo Sibilia, ex sottosegretario per il M5s, il partito che avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e non allearsi con nessuno, che dice candidamente: «Abbiamo digerito Lega e Pd, possiamo digerire anche Berlusconi in maggioranza con noi». La scatoletta di tonno ormai se la sono mangiata e non hanno nemmeno avuto bisogno della citrosodina per sistemarsi lo stomaco.

E così via: è tutto uno smentirsi senza nemmeno avere qualche remora. Meno di un mese fa, ospite da Gruber alla trasmissione Otto e mezzo, il democratico Andrea Orlando (attenzione, meno di un mese fa), rispondendo a una domanda del direttore di Domani Stefano Feltri che gli chiedeva se il Pd fosse disposto a governare con Salvini nell’ipotesi di un governo Draghi, il parlamentare Pd rispose sornione e bello convinto: «Nemmeno se venisse Superman». Chissà cosa ne pensano gli elettori.

Ora, vedete, il problema non è cambiare opinione (come succede nella vita e nella politica quando cambiano le situazioni e i contesti). Ciò che lascia basiti è che non assistiamo a un’onesta narrazione di se stessi in cui i politici dicono di dover prendere una decisione inattesa per questo o quel motivo: questi addirittura si rinnegano senza nemmeno sentirsi in dovere di spiegare. E non è un bel vedere.

Infine: ieri Giorgia Meloni si è lanciata nella sempre ridicola proposta di una “flat tax progressiva” che è un ossimoro indecente. Ha ragione Civati quando scrive che ora le manca solo “una patrimoniale per i senza tetto” e poi siamo al punto massimo della ridicolaggine. Ma c’è un aspetto che conviene sottolineare: allo stato attuale a Fratelli d’Italia, che risulta essere l’unico partito all’opposizione, spetterebbero i presidenti delle commissioni Vigilanza Rai, Copasir, e vigilanza su Cdp. Qualcuno ci ha pensato?

Buon mercoledì.