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Il nostro mare non è mai stato così profondo

Migrants from Morocco and Bangladesh wait on an overcrowded wooden boat for aid workers from the Spanish search and rescue group Open Arms off the Libyan coast on Jan. 10, 2020. (AP Photo/Santi Palacios)

Ad alcune settimane da quando lo skipper Jean Le Cam salvava il suo collega Kevin Escoffier, naufragato 550 miglia a sud-ovest dal Capo di Buona Speranza durante la regata per barche a vela Vendé globe, dichiarando «secourir, ça fait partie de notre métier» (“soccorrere fa parte del nostro mestiere”) e all’indomani della discussione in Parlamento del decreto Immigrazione di cui abbiamo scritto insieme a Giorgia Linardi su queste pagine (v. Left del 4 dicembre, ndr), ci ritroviamo ancora a parlare dell’acqua come frontiera.

L’ipotesi da cui partiamo è quella che negare il diritto alla migrazione significhi negare la storia dell’umanità. Da sempre gli uomini hanno utilizzato l’acqua per varcare i confini, per andare oltre. I greci scrivevano del loro popolo di navigatori che «viaggiarono molto, presero e diedero, insegnarono e impararono». L’acqua ha sempre rappresentato un confine da oltrepassare. Il velista e scrittore francese Bernard Moitessier diceva dei navigatori in solitario: «Vogliamo sempre ripartire verso una linea dell’orizzonte che la barca non raggiungerà mai».
L’attraversamento del confine ha sempre coinciso con la scoperta di nuove rotte e spazi inediti, con l’esplorazione dell’ignoto e di ciò che resta in un’irriducibile lontananza ma continua a coincidere con la meta. Come ci insegna la fenomenologia, la tensione verso l’orizzonte e l’oltrepassamento del confine dell’attuale coincide anche con la scoperta dell’alterità.

Il problema dell’alterità, di come considerare l’altro, secondo quale narrazione, è alla base della comprensione del fenomeno migratorio. Già nelle più antiche narrazioni, dall’epopea di Gilgameš, all’Odissea a quelle bibliche, l’uomo si confronta con l’alterità, rappresentata da terre lontane e inesplorate, dallo straniero. L’alterità è il motore del processo creativo generativo, ciò che dà vita. L’altro è il motore del senso, l’alterità è il motore dell’umanità. Il rifiuto dell’alterità è quindi una follia sul piano etico ma anche sul piano logico. Non accettare lo straniero cortocircuita il senso dell’esistenza.

La dinamica delle migrazioni è l’arrivo di alterità. Il migrante, l’assoluto altro, rappresenta il simbolico di tutte le alterità. La mobilità umana crea il circuito virtuoso del confronto, dello scambio, dell’arricchimento. L’altro è portatore della benedizione del futuro. Sta a chi riceve far sì che diventi una risorsa.
Il nostro mare non è mai stato così profondo, abbiamo scritto su Left parafrasando Lucio Dalla. Per sottrarci al confronto con l’alterità, abbiamo respinto barche, bambini, donne, storie di uomini, speranze e promesse per il futuro fino al di fuori dei recinti dello spazio politico europeo, in quell’oceano esteso e denso che è nostro vicino. È ciò che ha portato l’amico Etienne Balibar a parlare di un olocausto nei nostri mari. Si è detto che aveva esagerato, a dispetto di tutte le leggi e trattati internazionali che…


L’articolo prosegue su Left del 23 dicembre 2020 – 7 gennaio 2021

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Citto Maselli: Il problema è la sinistra che non ha fatto la sinistra

©Cosima Scavolini/Lapresse 20-11-2007 Roma Spettacolo Presentazione del film Civico 0 Nella foto i Citto Maselli ©Cosima Scavolini/Lapresse 20-11-2007 Rome Presentation of the film Civico 0 In the photo Citto Maselli

In occasione del suo novantesimo compleanno, il 9 dicembre, Francesco “Citto” Maselli è stato festeggiato con una giornata on line, promossa dall’Associazione nazionale autori cinematografici, di cui è stato presidente e socio fondatore. Tante persone, di diversa provenienza culturale ed età, gli hanno fatto gli auguri.
Maestro, che cosa l’ha colpita di più di questa iniziativa collettiva e cosa l’ha commossa maggiormente?
La maratona era organizzata, oltre che dall’Anac, da Bookciak di Gabriella Gallozzi, con il supporto decisivo della Kitchen film di Emanuela Piovano. Ci tengo a ringraziare tutti. Poi, per quanto riguarda le emozioni, devo dire che mi ha molto colpito il messaggio inaspettato di Ken Loach con il ricordo di una nostra serata a cantare l’Internazionale. Ma forse più di tutti mi hanno emozionato le parole di Aldo Tortorella che mi ha sempre onorato della sua amicizia e con il quale ho condiviso non solo la militanza nel Pci (di cui era un grande dirigente) ma come dice lui «la fedeltà ai nostri ideali».

Mi sembra che dalla giornata oltre all’affetto nei suoi confronti, emergesse una gran voglia e nostalgia di cinema… come valuta la decisione di chiudere le sale? Troppo silenzio sulle sale chiuse e le professionalità del cinema?
Temo che la chiusura dei luoghi della cultura sia stata una scelta necessaria vista la terribile seconda ondata di Covid. Quindi non metto tanto in discussione la decisione in sé, quanto il fatto che è stata fatta in base alla logica che ha prevalso in tutta la conduzione di questa pandemia: prima l’economia e poi le persone. E siccome la produzione culturale e i beni culturali (musei, biblioteche, eccetera) non sono considerati settori rilevanti dal punto di vista economico, siccome i lavoratori della produzione e dei beni culturali non sono considerati lavoratori, siccome la cultura viene vista come “tempo libero”, si lasciano aperti i centri commerciali ma si chiudono i teatri, i musei, i cinema, le sale per i concerti. Senza valutare l’effetto invece devastante dal punto di vista economico, culturale e sociale che tutto questo provocherà.

Lei è sempre stato un militante, oltre che un artista, dov’è, secondo lei, che ideologia comunista e arte – in Italia, ma se vuole anche a più ampio raggio – non si sono mai incontrati?
Intanto ideologia comunista e arte si sono meravigliosamente incontrati in Unione Sovietica dove La linea generale di Ėjzenštejn, La terra di Dovženk e La madre di Vsevolod Pudovkin sono tra i capolavori assoluti della storia del cinema mondiale. Ma penso che…


L’intervista prosegue su Left del 23 dicembre 2020 – 7 gennaio 2021

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Minacciare non è una trattativa

Foto Roberto Monaldo / LaPresse 18-12-2020 Roma Politica Senato - Dl Sicurezza e Immigrazione Nella foto Matteo Renzi, Teresa Bellanova Photo Roberto Monaldo / LaPresse 18-12-2020 Rome (Italy) Senate - Law decree on Security and Immigration In the pic Matteo Renzi, Teresa Bellanova

Dunque il presidente Conte ha incontrato la delegazione di Italia viva e le minacce urlacciate in questi ultimi giorni (con enormi esercizi di narcisismo del solito Renzi) alla fine si sono sciolte come neve al sole. Hanno fatto un cosa semplice: hanno discusso, si sono confrontati e hanno trovato un compromesso.

I dirigenti di Italia viva dopo due ore e mezza di incontro si sono detti soddisfatti perché, ha spiegato Teresa Bellanova, «è scomparsa tutta la questione sulla governance che si voleva portare con un emendamento in legge di Bilancio, e finalmente si comincia a discutere nel merito».

In sostanza il presidente del Consiglio ha rassicurato che tutti i passaggi e tutte le proposte passeranno dal Consiglio dei ministri e dal Parlamento. Quelli di Italia viva dicono che non ci sarà più “nessuna task force” e in realtà è una mezza verità: il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola ha chiarito che «la struttura la chiede l’Europa, ma non sostituirà i ministeri, e il Parlamento verrà coinvolto in tutti i passaggi».

Sono anche uscite le prime bozze del Recovery plan che contengono i capitoli di spesa e gli indirizzi per i prossimi mesi. Ora verranno condivise anche con le altre forze politiche di maggioranza e poi si fisserà entro la fine dell’anno un Consiglio dei ministri per trovare il punto d’incontro per tutti.

Insomma ieri semplicemente si è fatta politica, quella che andrebbe fatta con il senso di responsabilità di chi sa di essere al governo di un Paese, soprattutto in un’epoca di pandemia. Verrebbe da pensare a quanto siano ineleganti e irresponsabili i chili di minacce e di urlacci che i renziani hanno sparato in questi giorni ritagliandosi spazio nei media. Lo so già, qualcuno obietterà che se non avessero fatto così non avrebbero ottenuto nulla. Peggio ancora. Significa che sono una manica di dilettanti, ma tutti, tutti.

E se volete capire quanto sia più forte di loro continuare con il ricatto allora potete leggere le parole di Bellanova appena uscita dall’incontro: «Il governo deve stare sereno se fa le cose. Se no è inutile». Non riescono proprio a stare sereni e a dismettere i panni dei bulli (con un partito da 2%). E vedrete che tra poco ricominciano di nuovo, con lo stesso atteggiamento, sul Mes. Perché quando gli incapaci sono troppo irrilevanti per aprire un dibattito (irrilevanti non solo nei numeri ma anche nei modi) allora provano a convincerci che la minaccia sia una trattativa. Fanno sempre così.

Buon mercoledì.

Next generation Africa

Il Covid-19 ha segnato duramente il 2020 prendendoci alle spalle. Per lunghi mesi i media mainstream hanno concentrato l’attenzione quasi esclusivamente sul ricco occidente, dove la pandemia ha mietuto più vittime e dove maggiori sono stati gli investimenti in ricerca per terapie e vaccini. Ma Left non ha mai perso il suo sguardo internazionalista e, in questo fine anno, augurando a tutti un 2021 di ripresa e rinascita, abbiamo voluto puntare il cannocchiale sul continente più giovane: quella sterminata Mother Africa (splendidamente rappresentata dall’artista Alexis Peskine in copertina) che forse anche per la bassa età media dei suoi abitanti sembra aver reagito meglio al Covid.

Con una serie di reportage e approfondimenti vi invitiamo a esplorare un continente vitale, ricchissimo di cultura, ma ancora pesantemente depredato dall’Occidente (anche per quando riguarda l’arte nonostante le pinocchiesche promesse di restituzioni); un continente in cui le conseguenze della pandemia si fanno sentire soprattutto dal punto di vista economico. Malnutrizione e rete sanitaria estremamente fragile, in molte aree, hanno determinato una drammatica crescita della mortalità infantile. Ebola e malaria non sono state ancora debellate. In questo 2020 il divario fra Sud e Nord del mondo si è ampliato, la disuguaglianza si è fatta più feroce.

Secondo le stime della Banca mondiale 10 milioni di africani si trovano in una condizione di estrema povertà proprio a causa delle conseguenze della pandemia. E questa è una questione che ci tocca tutti, non solo sul piano etico e morale. Il mondo è sempre più interconnesso e da questa crisi non si esce da soli. Con sguardo lucido il demografo Livi Bacci analizza qui quali sono stati gli effetti del necessario lockdown, che alcune forze politiche di destra vorrebbero trasformare in misure permanenti per blindare le frontiere. Se da un lato hanno limitato la circolazione del virus, dall’altro hanno bloccato i flussi migratori. Il risultato è una drastica riduzione delle rimesse che gli emigrati mandavano nel Paese d’origine. E gli effetti negativi si fanno sentire anche nei Paesi occidentali che hanno bisogno del lavoro dei migranti in una prospettiva di sviluppo. Ma non solo.

Non potersi spostare ha reso ancor più insostenibili le condizioni di vita di chi in Africa è minacciato da guerre e repressione. Purtroppo le aree di crisi e di tensione sono moltissime. E nuovi conflitti si sono aperti anche nei mesi scorsi. Pensiamo per esempio all’Etiopia dove il governo centrale è intervenuto contro il Fronte di liberazione del popolo del Tigrè. Coautrice de L’Atlante dei conflitti, Alice Pistolesi traccia per Left una mappa delle aree più a rischio, mentre Chiara Cruciati accende i riflettori sui diritti negati al popolo Saharawi dal Marocco con la complicità degli Usa (un colpo di coda di Trump).

Impossibilità di fuggire dalla guerra, impossibilità di fuggire dalla miseria. Oltre che ingiusta e inumana è una prospettiva che ci condanna tutti alla stagnazione. «Già nelle più antiche narrazioni, dall’epopea di Gilgameš all’Odissea, l’uomo si confronta con l’alterità, da terre lontane e inesplorate, dallo straniero. L’alterità è il motore del processo creativo generativo, ciò che dà vita. L’altro è il motore del senso, l’alterità è il motore dell’umanità», scrivono Moni Ovadia e Caterina di Fazio di Agora Europe che tornano ad approfondire un tema cardine: il fondamentale diritto umano a potersi spostare, senza dover rischiare la vita dovendosi imbarcare su mezzi di fortuna.

Le politiche anti immigrazione peraltro non ci mettono al riparo dal Covid-19. Il fatto che siano diminuiti gli spostamenti non basta a fermare il contagio (come sappiamo dovuto più che altro ad assembramenti vacanzieri e sui mezzi di trasporto per andare al lavoro). Nessun Paese sarà al sicuro senza che tutti siano protetti. L’auto-isolamento non basta. Per arrivare alla cosiddetta immunità di gregge almeno il 60% della popolazione deve essere vaccinata. I vaccini del Covid-19 saranno distribuiti in modo veloce ed equo tra i vari Paesi, sia ad alto che a basso reddito? Per quanto 180 nazioni abbiano aderito al programma Covax, dicendosi pronte a contribuire per coprire il costo dei vaccini per i Paesi poveri, fin qui sono stati raccolti solo 2 miliardi di dollari. Intanto sono 9,8 miliardi le dosi prenotate per i Paesi ricchi.

L’Africa rischia di rimanere indietro. «È una storia, questa, già vista. I farmaci antiretrovirali, per esempio, per curare l’Hiv/Aids, sono entrati nel mercato a metà degli anni 90. I prezzi fissati dalle aziende erano fuori dalla portata degli Stati africani», denuncia Medici con l’Africa Cuamm. «Con il risultato che mentre nei Paesi ricchi si è assistito a un crollo dei decessi, in Africa la gente era “lasciata morire”». Tra il 1997 e il 2007, 12 milioni di africani sono morti in attesa che i farmaci salvavita venissero distribuiti nel continente.

«La diffusione e la distribuzione del vaccino – e delle migliori cure che la scienza va elaborando – richiedono alleanze globali, non egoismi, esigono politiche che realizzino l’accesso equo e tempestivo ai farmaci, basato sulla condivisione e non guidato da logiche di profitto», ha detto il presidente Mattarella in occasione dei tradizionali auguri per le feste. Facciamo nostre le sue parole: «La ricerca scientifica, gli straordinari progressi della tecnica permettono di continuare a guardare con ottimismo a un futuro ricco di opportunità a beneficio di tutti, purché si coltivi comune senso di responsabilità».


L’editoriale è tratto da Left del 23 dicembre 2020 – 7 gennaio 2021

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Massimo Livi Bacci: Un Paese senza immigrati è un Paese senza futuro

In questi lunghi mesi di emergenza sanitaria mondiale raramente le conseguenze provocate dalla pandemia sulle migrazioni e gli aspetti economici e sociali connessi ad esse hanno ricevuto le dovute attenzioni dai media e dalla politica. Il tema è stato sfiorato, o meglio scarsamente approfondito, all’inizio dell’estate quando improvvisamente ci si è resi conto che senza la manodopera straniera diversi comparti – dall’agroalimentare all’edilizia – sarebbero andati in default. Quindi si è attuata una mini sanatoria con alcuni pregi e diversi difetti di cui tanto abbiamo scritto su queste pagine. Però quando il campanello di allarme ha cessato di suonare non se ne è più parlato. Poiché noi siamo convinti che la questione migranti non si possa risolvere con soluzioni estemporanee, ci siamo rivolti a Massimo Livi Bacci, professore emerito di Demografia all’Università di Firenze, per cercare di allargare lo sguardo sul fenomeno nel suo complesso e analizzare gli scenari che si possono delineare a causa della pandemia.

Il Covid-19 ha causato un rallentamento generale della mobilità internazionale e quindi anche delle migrazioni. Quali possono essere le conseguenze economiche e sociali di questa situazione?
Sicuramente c’è stata una contrazione generale della mobilità internazionale che ha riguardato praticamente tutto il mondo, Africa inclusa. E questo rallentamento soprattutto nel secondo trimestre del 2020 è stato notevole. Sappiamo che le cause della diminuzione degli spostamenti sono varie. La prima è quella dovuta agli ostacoli che sono stati posti alla mobilità, dalle frontiere chiuse – compresa la sospensione del trattato di Schengen – al blocco di buona parte della migrazione stagionale (persone che si muovono più spesso rispetto ai migranti stabili). Il problema che secondo me si pone, prima di analizzarne le conseguenze, è se questo sia solo un fattore congiunturale.

Vale a dire?
Bisogna capire se la riduzione dei flussi migratori sarà un effetto “collaterale” temporaneo dell’epidemia, che pertanto cessata l’emergenza sanitaria si riassorbirà più o meno velocemente a seconda delle situazioni dei vari Paesi e delle loro politiche, oppure se quanto sta accadendo influirà anche sullo sviluppo delle migrazioni internazionali, cambiando la rotta e la prospettiva del fenomeno migratorio. Su questo secondo me si deve riflettere bene.

Perché è una questione da monitorare bene?
Perché se è un fenomeno congiunturale c’è sicuramente un danno in atto – come quello che in Italia ha determinato la sanatoria – ma c’è anche una possibilità di ripresa abbastanza veloce che in qualche modo ripari i danni provocati dal rallentamento dei flussi migratori. Se invece siamo in presenza di un…


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Toh, hanno scoperto la Libia

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 26-11-2020 Roma, Italia Politica Senato - conferenza stampa centro destra Nella foto: Matteo Salvini Lega e Giorgia Meloni FdI durante la conferenza stampa congiunta dei partiti del centro destra Photo Mauro Scrobogna /LaPresse November 26, 2020  Rome, Italy Politics Senate - press conference center right In the photo: Matteo Salvini Lega and Giorgia Meloni FdI during the joint press conference of the center-right parties

«Subito dopo sono stato picchiato dai militari libici, che mi hanno dato schiaffi, calci, ginocchiate. E mi minacciavano di tagliarmi la gola. E le gambe. È stato terribile. Ho avuto paura di non rivedere più la mia famiglia. È stato un incubo durato più di tre mesi». Sono le parole di Bernardo Salvo, uno dei 18 pescatori sequestrati e liberati in Libia. Anche la famiglia di Salvo ha capito guardando le prime fotografie giunte in Italia dopo il sequestro: «Fino ad oggi non abbiamo detto nulla – spiega il cognato Vito – il momento era delicato, ma in quelle immagini si vedono chiaramente il viso gonfio e un braccio nero. Ora vogliamo sapere cos’è successo».

«Abbiamo visto dei detenuti picchiati selvaggiamente», ha dichiarato Jemmali Farhat, uno dei due pescatori tunisini a bordo dei mezzi sequestrati.

«Ci hanno trattati malissimo, non ci picchiavano ma minacciavano di farlo – ha confermato nel suo racconto uno dei due pescatori senegalesi sequestrati -. Gridavano, ci facevano mettere con la faccia al muro. É stato un incubo. Ci facevano fare pipì in una bottiglia».

In tutte le celle che hanno ospitato i marinai non c’era un materasso o un cuscino. I 18 pescatori reclusi, è emerso tra le altre cose nei vari racconti, hanno dormito per terra sul pavimento: «Ho visto film di guerra sul Vietnam, ma quello che ho visto in Libia è stato incredibile – ha aggiunto il tunisino Jemmali Farhat – gli agenti erano peggiori degli animali, sono loro i terroristi, altro che i detenuti».

Cominciano a uscire informazioni su cosa sia la Libia, su come siano valutati lì i diritti umani e una certa stampa e una certa politica grida allo scandalo accusando Conte di non avere difeso i pescatori. Peccato che siano gli stessi che per anni ci hanno detto che la Libia sia un porto sicuro.

E quindi? Come la mettiamo? Hanno scoperto cos’è la Libia. Anzi, peggio, hanno invertito la narrazione perché gli torna comodo. Bravi, tutti.

Buon martedì.

Da Dickens al paese dei mostri selvaggi, le grandi storie per bambini

In questo straordinario Natale, che certo non dimenticheremo, arrivano i tradizionali consigli per regalare un libro da mettere sotto l’albero o nella calza della Befana dei nostri bambini.

Da cosa partire se non dal Canto di Natale, il classico dei classici natalizi, oggi in una bella edizione che vuole festeggiare i centocinquanta anni dalla scomparsa di Charles Dickens. Una nuova edizione (Einaudi Ragazzi) rivisitata nel testo dalla traduzione di Pierdomenico Baccalario e nelle illustrazioni, in controtendenza sgargianti e gioiose, di Mayumi Oono.

Tutti conoscono la storia del protagonista che, diventato simbolo dell’avaro, diede modo a Disney di chiamare proprio Scrooge il nostro Zio Paperone. Come vuole la tradizione, c’è un camino acceso e Mr. Scrooge si prepara a celebrare la festa quando viene visitato dagli spiriti del Natale che gli permetteranno di ravvedersi e scoprire l’interesse e l’amore per il prossimo. Una lezione certo di grande attualità.

Per quanti vogliono invece restare sul classico, suggeriamo il Canto di Natale illustrato da Roberto Innocenti (La Margherita). Qui sono gli ambienti, esterni ed interni, di una Londra ottocentesca a restituire il sapore dickensiano. Con l’autore, Innocenti sceglie il popolo degli emarginati di cui sviluppa le vicende umane e abbraccia la morale della favola che riconosce nell’uomo qualunque il vero eroe della storia. Non possiamo a questo punto non citare, per restare in tema, un altro grande classico natalizio, del grande E.T.A. Hoffmann, lo Schiaccianoci che vi consigliamo, sempre con le straordinarie illustrazioni di Innocenti (La Margherita).
E ricordiamo che Innocenti è il solo illustratore italiano ad essere insignito nel 2008 dell’Hans Christian Andersen Award, l’ambito premio internazionale assegnato dall’IBBY – International Board on Books for Young People (www.ibbyitalia.it).

Fra i libri pubblicati in questo ultimo anno, molte le proposte per festeggiare i cento anni dalla nascita di Federico Fellini. Vi consigliamo due titoli dedicati alle diverse fasce d’età. Per i più grandi, ma anche per tutti, scegliamo Federico Fellini (Edizioni Primavera) di Grazia Gotti con le belle illustrazioni di un maestro quale Giuseppe Palumbo. Per i più piccoli, l’albo illustrato Giulietta e Federico (Camelozampa) di Federica Iacobelli, con le brillanti illustrazioni di Puck Koper, giovane illustratrice diplomatasi alla prestigiosa Cambridge School of Art, che ha ricevuto il premio Opera Prima alla Bologna Children’s Book Fair 2020. Ascoltiamo le parole delle autrici tratte da “Ciak… si legge!” di David Tolin, articolo pubblicato sul Blog Ibby Italia Un ponte di Libri che vi invitiamo a salvare fra i vostri preferiti.

«Nessuno mi aveva chiesto un libro su Fellini – ci svela Grazia – ma forse preoccupata che nell’anno del centenario felliniano e rodariano insieme non ci fossero abbastanza libri per ragazzi sul cinema, ho acceso il computer e mi sono messa a scrivere. Gianni Rodari vedeva anche molti film per ragazzi. Erano film internazionali, grazie al festival di Mosca, al quale era invitato come giurato. Da tempo sentivo che era arrivato il momento di rivisitare la tradizione del grande cinema».

E Federica, a proposito delle proprie motivazioni, chiarisce: «Il confronto costante, consapevole e inconsapevole, è avvenuto soprattutto con un immaginario, o meglio, con i tanti immaginari, che con quel cinema e quelle esistenze hanno a che fare. E dire con quel cinema, vuol dire anche con il cinema tout court, perché Fellini e Masina, insieme e separatamente, con le rispettive arti e i rispettivi talenti, hanno fatto una buona parte della storia della settima arte».

Per finire, una preziosa riedizione, La cucina della notte di Maurice Sendak, pubblicato oggi da Adelphi con la traduzione di Lisa Topi. Operazione preziosa perché il libro mancava da troppo tempo dagli scaffali delle nostre librerie.
Protagonista della storia è Mickey che si sveglia in piena notte e ancora nudo precipita nella cucina dove finisce nell’impasto e viene inseguito da tre cuochi pasticceri che hanno le fattezze di Ollio. Ma Mickey, la piccola peste, riesce a liberarsi e vola via nel suo aeroplano di pasta nella cucina di notte, mentre fa da sfondo lo skyline di New York City. Il libro – un omaggio alla cucina materna e agli eroi dell’infanzia: Mickey Mouse, Little Nemo e Oliver Hardy – vide la luce nel lontano 1970 ed è quasi una continuazione dell’ancor più famoso Nel paese dei mostri selvaggi, il capolavoro di Maurice Sendak, che trovate sempre nel catalogo Adelphi. Qui protagonista della storia è Max che per punizione viene mandato a letto senza cena. “La mamma gli gridò: ‘MOSTRO SELVAGGIO!’ e Max le rispose: ‘E IO TI SBRANO’.” Così partì per il paese dei mostri selvaggi, ma “li domò con il trucco magico di fissarli negli occhi gialli” e ne diventò il re. È il viaggio dell’avventura che ci lascia vivere e giocare con le nostre paure, rabbie, emozioni, per superarle. È il gioco dell’infanzia che ci permette di volare oltre i confini della stanza.
Dice Maurice che nasceva ‘in una terra chiamata Brooklyn’ da genitori ebrei di origine polacca, il 10 giugno 1928, l’anno di nascita di Mickey Mouse: «Attraverso la fantasia i bambini giungono alla catarsi. La fantasia è sempre il migliore strumento per superare le ‘Cose selvagge’».

Il Natale di Salvini

Nella bieca rincorsa a ritagliarsi un posto al sole per ottenere un po’ di visibilità e per andare “contro” al governo Matteo Salvini si è inventato un’altra delle sue invitando tutti a disubbidire alla zona rossa natalizia: “tutti fuori a fare volontariato”, dice Salvini, nel tentativo di incastrare con i buoni sentimenti la sua fregola di essere irresponsabile.

Peccato che la frase, nonostante possa fare breccia tra i suoi fan, non significhi assolutamente nulla, che sia assolutamente priva di senso e sia in netto contrasto con il suo modo di agire, di pensare e di parlare. “Fare volontariato” è una cosa terribilmente seria che non ha nulla a che vedere con il farsi foto insieme a qualche senza tetto. Fare volontariato significa impiegare il proprio tempo e il proprio ruolo in attività organizzate che garantiscano la dignità, se non il benessere, delle persone in difficoltà. Fare volontariato ad esempio significa anche riconoscere la povertà, vederla, conoscerla, abitarla: l’esatto opposto di quello che fece il vicesindaco di Trieste Paolo Polidori quando dichiarò di avere buttato via le coperte dei senzatetto “con soddisfazione” (disse proprio così), l’esatto opposto di quello che fece l’assessora leghista di Como che tolse la coperta a un senza tetto pubblicando tutta fiera il video su Facebook (lì a Como dove nel 2017 venne vietato proprio dalla Lega di dare un latte caldo proprio ai clochard).

Se invece vogliamo rimanere su Salvini allora sarebbe da capire come intenda il volontariato se proprio i suoi senatori hanno acceso una gazzarra in Parlamento mentre si archiviavano quegli orrendi decreti sicurezza dell’ex ministro.

Se Salvini vuole fare volontariato allora potrebbe benissimo ascoltare volontariamente i racconti dei pescatori da poco liberati in Libia che raccontano come quella detenzione fosse al di fuori di qualsiasi diritto umano. Proprio quella Libia che Salvini ritiene “un porto sicuro” in cui ammassare tutti i senza tetto del mondo che provano a trovarlo, un tetto.

Oppure potrebbe ammettere che anche la bontà in fondo per lui è solo un feticcio da sventolare alla bisogna. E potrebbe riconoscere che con questa sua uscita da finto filantropo fa sanguinare le orecchie per la contraddizione che contiene. Perché i buonisti sono naturalmente molto aperti ma non sopportano le minchiate.

Buon lunedì.

L’Europa alza la voce su Zaki e Regeni. Ma è ancora troppo poco

Nello stesso giorno, mentre in Italia veniva approvata una modifica – certo, ancora insufficiente – delle “leggi Salvini”, il Parlamento europeo varava una risoluzione molto dura nei confronti del regime egiziano di Al Sisi. Per questo il 18 dicembre 2020 è una data da ricordare. Nel testo dell’Europarlamento si chiede che svenga svolta un’indagine indipendente rispetto alla cattura, la tortura e l’uccisione del ricercatore Giulio Regeni (che venne rapito, lo ricordiamo, il 25 gennaio 2016) e la scarcerazione immediata di Patrick Zaki, studente a Bologna, esponente di un’Ong che si occupa di diritti umani e detenuto senza processo dal 7 febbraio 2020.

La risoluzione, passata con 434 voti a favore, 202 astenuti e 49 contrari, parte dai due casi per esprimere condanna verso il mancato rispetto dei diritti umani più elementari in Egitto, giungendo a ipotizzare sanzioni. Un fatto positivo; due vicende che da noi sono molto sentite – soprattutto fuori dalle aule parlamentari – si “europeizzano”, diventano elemento di discussione forte e importante in un contesto che, con tutti i suoi limiti, rappresenta 27 paesi.

La risoluzione nata da una proposta del gruppo dei Socialisti e democratici, votata dalla sinistra del Gue/Ngl, da Verdi e Liberali, ha visto l’astensione di buona parte del Partito popolare e il voto contrario dell’estrema destra. Tutti gli europarlamentari italiani hanno votato a favore anche se la Lega, prima del voto, aveva lanciato una contraddittoria proposta in cui si tentava di prendere le difese di Al Sisi come argine alla Fratellanza musulmana e in cui si proponeva un giudizio ambiguo sulle Ong. Si tratta di contraddizioni imbarazzanti per il partito di Salvini, in Ue parte del gruppo Identità e democrazia, e per quello di Giorgia Meloni, nel gruppo Ecr ovvero Conservatori e riformisti (sic) europei.

La discussione è aggiornata al 25 gennaio quando si incontreranno i ministri degli Esteri dell’Ue. Francia e Paesi dell’Est sono contrari ad ogni forma di pressione economica e diplomatica nei confronti dell’Egitto, ancora silenzio dalla Germania mentre una spinta ad agire arriva dai Paesi Scandinavi in un’assise in cui serve l’unanimità.

Proviamo però a proporre alcune osservazioni sulla questione. Premesso il fatto che le “sanzioni generalizzate” colpiscono i popoli e rafforzano spesso i regimi, ci si domanda il perché sia facile per il nostro continente e per i Paesi europei emanare sanzioni alla Russia per fatti simili mentre diventi impossibile per sodali come l’Egitto a cui si continuano a vendere armi e con cui si stringono grandi affari.

Poi ci domandiamo perché i singoli Paesi, in primis l’Italia, non abbiano interrotto con l’Egitto le relazioni diplomatiche, bloccato la fornitura di armamenti, sospeso i contratti petroliferi, insomma affrontato realmente il regime e chi ne beneficia. Una scelta che gli Stati avrebbero potuto prendere senza l’obbligo dell’unanimità richiesta dalle istituzioni europee. Forse perché business is business?

E poi perché il Parlamento europeo si pronuncia solo ora, a quasi quattro anni dall’omicidio di Giulio Regeni, dopo che più volte le istituzioni egiziane hanno palesemente dimostrato di non voler affatto collaborare con gli inquirenti italiani e di non voler permettere di giungere a quella verità e giustizia richiesta dalla famiglia, dai legali, dalle tante e dai tanti che si sentono “dalla parte di Giulio?”

Una delle ragioni è molto triste a dirsi ma è vera. In quattro anni, nessun governo italiano fra quelli che si sono succeduti ha chiesto alla Commissione europea di pronunciarsi in materia o ha provato a portare concretamente il tema nelle istituzioni Ue. Ci indigniamo giustamente per la Legion d’Onore concessa al generale Al Sisi e c’è soltanto che da plaudire a coloro che l’hanno restituita per protesta, ma nel frattempo, come denunciato da Amnesty International lo scorso 9 ottobre, governo e l’Autorità nazionale per le esportazioni di armamenti Uama hanno confermato la consegna all’Egitto delle due fregate destinate originariamente alla Marina militare nonostante le proteste sollevatesi da più parti lo scorso giugno quando l’ipotesi divenne di pubblico dominio. Una decisione mai sottoposta all’esame del Parlamento il cui parere, ai sensi della legge 185 del 1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti, deve essere espresso quanto vi siano esportazioni di armi a Paesi responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Le due fregate, Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi, hanno un valore stimato di circa 1,2 miliardi di euro. L’affare fa parte di una commessa ancora più ampia che, dovrebbe comprendere anche altre 4 fregate, 20 pattugliatori d’altura di Fincantieri, 24 caccia Eurofighter Typhoon e 20 velivoli da addestramento M346 di Leonardo, più un satellite da osservazione, per un valore totale fra i 9 e gli 11 miliardi di euro.

Ecco, di fronte a questo affare, emergono alcune possibili ragioni per cui gli stessi che ieri hanno proposto e votato – ed è bene – una sacrosanta risoluzione, per tanto tempo hanno taciuto e non si sono opposti a questo terribile “rilancio” dell’economia italiana.

Quando corre Nuvolari… i nazisti si infuriano

Mortor racing driver Tazio Nuvolari in a British M.G. Magnette after he won the Ulster Tourist Trophy Motor Race in Belfast, Northern Ireland on Sept 2, 1933. (AP Photo/Staff/Len Puttnam)

Tuttora, la figura di Tazio Nuvolari incarna l’icona di più riscatti. Quello di un Paese che nei decenni delle sue imprese passa dalla condizione rurale a quella industriale; ma pure quello di un popolo capace di primeggiare in Europa e nel mondo grazie alla tenacia, il talento. Un’immagine, quella del “Mantovano volante” che travalica le epoche con immutata forza da quando bastava scrivere «Tazio, Italia», «Nuvolari, Italia», o – più compiutamente – «Tazio Nuvolari, Italia» per fargli arrivare un biglietto, una cartolina dal più sperduto paesino sull’Appennino, ma pure da ogni angolo del mondo. Una popolarità che – pare – disturbasse chi, saldamente in sella alla nazione, «uomo solo al comando», pretendeva la supremazia della popolarità italica. «Il duce lavora fino a notte fonda».

Bastava lasciare le luci accese per alimentare una delle tante – fasulle – leggende. Ma si sa, “al cuor non si comanda”, e il cuore di quel “Mantovano volante” aveva conquistato quelli di tutti, da New York a Tokyo. L’eco delle sue imprese – che tali furono tante corse cui partecipò – echeggiava di radio in radio, e di giornale in giornale si versavano fiumi d’inchiostro, col risultato d’ingigantire oltremodo nell’immaginario collettivo le stesse fattezze di quell’omino tutto ossa e nervi che non arrivava ai sessanta chili e non superava il metro e sessantacinque. Come non bastassero le cronache trionfalistiche dei suoi successi, si raccontavano episodi a margine delle piste, che ne moltiplicavano la fama. E se si restava a corto, se ne inventavano di nuovi, ché tanto Tazio era capace di tutto. Non aveva forse partecipato a una gara di moto con una gamba ingessata? E non era rimasto senza volante rimediando con una chiave inglese come razza di fortuna? E allora! Allora, qualsiasi fatto sarebbe stato verosimile e perfino meno clamoroso di quelli di cui era capace quel diavolo d’un mantovano. Un diavolo dal cuore d’oro, però.

Quella notizia arrivata dall’America pareva inventata di sana pianta, dai! Giusto per far vendere un bel po’ di copie in più ai giornali. Un’americanata, appunto. E invece no. Era vera. Verissima. Insomma, era successo che Tazio – su pressante invito degli organizzatori della Coppa Vanderbilt – fosse andato fino in America per partecipare a quella che nel 1936 era una competizione ancora ben più prestigiosa della 500 Miglia di Indianapolis. Subito dopo il via, aveva salutato la bella compagnia per farsi rivedere solo al traguardo, da vincitore, ovviamente. Piccolo com’era lui, grande com’era la coppa, fu un attimo, e qualcuno l’infilò di sana pianta in quel trofeo. Un trofeo nel trofeo, giusto per mandare in visibilio quegli americani notoriamente amanti del sensazionale. Mentre gli spettatori si sbracciavano dalle tribune, con i…


L’articolo prosegue su Left dell’18-24 dicembre 2020

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