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Monica Cirinnà: «A destra se ne infischiano dei bambini»

Il controverso ddl Pillon, il provvedimento del senatore leghista sull’affido condiviso e sulla «bigenitorialità perfetta», è stato rimandato a settembre. Una vittoria per Non una di meno e per le altre associazioni che difendono i diritti delle donne e dei bambini, che da mesi portano avanti le proteste in piazza.
Una buona notizia, «ma non bisogna abbassare la guardia», avverte Monica Cirinnà, la senatrice Pd madrina della legge 76/2016, che ha istituito le unioni civili in Italia.«Non c’è stato alcun dibattito generale sul ddl Pillon e sui quattro testi collegati che toccano fondamentali questioni di diritto», denuncia Cirinnà. «La Commissione giustizia ha dato mandato al senatore leghista di lavorare a un testo unificato. Su quale base lo stilerà dal momento che non ha neanche ascoltato le forze politiche presenti in commissione? Questo mi fa pensare che il testo unificato esista già».
Dunque, non cambia nulla nei contenuti?
Il ddl Pillon sul millantato affido condiviso e sulla presunta genitorialità perfetta corrisponde ai desiderata del governo e della Lega rispetto ai quali i Cinque stelle soccombono. I contenuti sono in linea con l’orrendo convegno oscurantista di Verona. E comunque, in nuce, erano già presenti nel contratto di governo, dove si parlava già sia di mediazione obbligatoria che della fantomatica sindrome da alienazione parentale (Pas). Quando capiranno che hanno tutte le contingenze utili, dentro e fuori dalla maggioranza, per calare il ddl Pillon, lo faranno, sarà a settembre, a ottobre o a novembre, ma lo faranno. Dobbiamo essere estremamente vigili.
Parliamo di un provvedimento pericoloso e fortemente lesivo dei diritti delle donne e dei bambini…
I punti pericolosi restano gli stessi: la mediazione obbligatoria anche nei casi vietati dalla convenzione di Istanbul, ovvero quando ci sono maltrattamenti. L’imposizione, ope legis, di tempi paritetici di frequentazione suddivisi fra padre e madre, come se il bambino, costretto a vivere in due case e due contesti diversi, fosse un pacco postale. Altra cosa grave è…

L’intervista di Simona Maggiorelli alla senatrice Monica Cirinnà prosegue su Left in edicola dal 2 agosto 2019


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Ma Mattarella che ne dice di Salvini?

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale, Roma, 25 luglio 2019. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Lasciamo perdere Di Maio e i Cinquestelle, ormai zerbini del Capitano leghista pur di non dover tornare ad essere cittadini normali, ma il presidente della Repubblica Mattarella, quello che dovrebbe garantire la tenuta democratica del Paese, non ha niente da dire sui comportamenti del ministro dell’interno?

Per capirsi, ieri il leader leghista è riuscito nel giro di pochi minuti a infilare una serie di provocazioni che sembrano degne del peggior prodotto della peggior specie di un clan di ubriaconi in un bar di provincia. Durante la sua conferenza stampa convocata al Papeete Beach (una conferenza stampa convocata in spiaggia, come se fosse il gioco aperitivo da villaggio turistico, roba da Paperissima sprint) ha battibeccato con il giornalista di Repubblica Valerio Lo Muzio colpevole di avere documentato il giretto in moto d’acqua della Polizia di suo figlio. «Lei che è specializzato – ha detto Salvini – vada a riprendere i bambini, visto che le piace tanto». «Mi sta dando del pedofilo?», è stata la replica del giornalista. E poi, come uno strafottente bulletto di periferia l’ha invitato a «fare un giro in pedalò», che è un po’ come quando a scuola ci si diceva «ti aspetto fuori», per intendersi.

Una scena penosa di un ministro che vorrebbe essere il Putin padano e invece risulta solo un bambino mai cresciuto e viziato.

Poi, poco dopo, intervistato da Sky Tg24, Salvini twitta: «Ma vi pare normale che una zingara a Milano dica “A Salvini andrebbe tirata una pallottola in testa”? Stai buona, zingaraccia, stai buona, che tra poco arriva la RUSPA». Zingaraccia. Ha scritto (e detto) zingaraccia. Vomitando tutta la pece che contiene. Sputando bile per un controllo che ha perso ormai da tempo. Roba da vomito.

Allora mi sorgono alcune domande. Ad esempio, il Pd che dice che “ormai Salvini è fuori controllo” si è accorto che qui fuori ce ne siamo resi conto da tempo? Cosa ha intenzione di fare?

E sopratutto: ma Mattarella trova tutto questo normale?

Così, per sapere. Perché il fetore che c’è qui in giro ormai mi sembra sotto il naso e gli occhi di tutti. Basterà aspettare qualche minuto e leggere i commenti a questo articolo, ad esempio.

Buon venerdì.

Dalla parte dei bambini

In questa estate feroce di cronaca nera e ciniche strumentalizzazioni politiche si rimane sbigottiti di fronte alla continua manipolazione della realtà che, irresponsabilmente, chi dovrebbe tutelare la sicurezza dei cittadini opera ogni giorno, legittimando razzismo, sospetti, inscenando processi sommari, scavalcando i magistrati e avocando a sé tutti i poteri. Di fronte all’immane dramma di 150 persone naufragate, la Camera ha dato il via libera al decreto Salvini bis, che la Lega intende blindare al Senato. Che affoghino fuori dalla vista, i porti italiani sono sbarrati. Questo è il messaggio propalato da “la bestia”, la macchina da guerra della comunicazione salviniana.

«Provo rabbia e tristezza, l’Italia non può essere punto di approdo di certe bestie», ha sentenziato Giorgia Meloni dopo il barbaro assassinio del carabiniere Mario Cerciello Rega. «Questa è la dimostrazione di come i carabinieri, gli italiani, vengono dopo i clandestini» ha rincarato Daniela Santanchè. Ma quel che è più grave ancora è che la caccia all’immigrato sia stata capeggiata da due ministri e vice premier Salvini e Di Maio che hanno fatto a gara nel collegare l’uccisione del militare all’«immigrazione clandestina». Senza preoccuparsi di rettificare quando dell’omicidio sono stati accusati sì due extracomunitari, ma nordamericani: studenti di scuole cattoliche, di “buona famiglia”, venuti in Italia in cerca di sballo di cocaina, armati di una baionetta dei Marines (come ha passato i controlli aerei?) e di ansiolitici, fortemente strutturati, «indifferenti a tutto» secondo gli operatori che li hanno incontrati in carcere. Di fronte all’inaccettabile violazione dei diritti degli accusati documentata dalla foto in cui uno dei due ragazzi appare a capo chino, ammanettato e bendato, Salvini invece di chiedere un giusto e regolare processo, ha evocato metodi e processi sommari da regime putiniano (caro al suo amico Savoini) e alla Trump che ha annunciato la ripresa delle esecuzioni capitali nel sistema federale Usa dopo una moratoria durata 15 anni.

Ma che Paese sta diventando l’Italia? Perché nemmeno su questo l’opposizione alza la voce? Perché non scatta in piedi per cacciare chi, al governo, cinicamente non perde occasione per propagandare odio? Una parte del Paese in cerca di un capro espiatorio, esulta, un’altra larghissima fetta resta silente, ma così facendo diventa complice. E non si sa se sia più pericoloso chi plaude Salvini o chi fa il gregario. La storia del fascismo insegna. Tornare a studiare la storia in questo momento è più importante di sempre. Averla bene a mente permette di smascherare fake news come quelle messe in circolazione dalla violenta campagna di CasaPound sul caso Bibbiano e sposata dallo stesso Salvini che si è precipitato nel paese emiliano per accusare l’amministrazione locale, invitando a segnalare direttamente al Viminale casi di «affido anomalo».

Come accade sempre più spesso, scavalcato a destra da Di Maio che in video dice di non voler aver niente a che fare con il Pd «il partito di Bibbiano» e dei ladri di bambini. A parte il dettaglio che sono stati i 5stelle di Torino a finanziarie in parte l’associazione che si occupa di affidi ora indagata, va ricordato che, storicamente, sono sempre state le destre clericofasciste a strappare i bambini alle loro legittime madri per affidarli a famiglie ligie al regime. è accaduto in Argentina durante la feroce dittatura di Videla ed è accaduto ancor prima in Spagna durante il regime franchista (come ricostruisce Federico Tulli qui e nel libro Figli rubati) quando, per colpire la resistenza e «estirpare il gene del comunismo» migliaia di bambini furono presi alle donne repubblicane e venduti a famiglie cattoliche e fasciste in nome di «Dio, patria e famiglia». Un’ideologia che abbiamo visto riproporre di recente dal convegno internazionale sulla famiglia di Verona a cui ha partecipato Salvini insieme ad altri esponenti del governo e parlamentari di spicco della Lega come il senatore Pillon, primo firmatario di un provvedimento oscurantista sull’affido che tratta i bambini con una proprietà e li spedisce in case di recupero e di rieducazione, per essere “resettati” qualora si rifiutino di frequentare il padre, anche se violento.

Nella feroce ideologia professata dal cattolico integralista Pillon c’è il pensiero agghiacciante che il bambino sia una tavoletta di cera e che le madri siano delle infide manipolatrici. Proprio Salvini che fa comizi contro «ladri di bambini» mostrando scarpine bianche, che bacia il crocifisso davanti alle telecamere sostiene un provvedimento sull’affido condiviso che, introducendo una fantomatica sindrome da alienazione parentale (inventata da Gardner, apologeta della pedofilia) mette tutti i presupposti per impedire che i bambini possano avere un’infanzia felice, anche in famiglie con genitori separati.

A proposito di affidi, l’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza martedì scorso ha diramato una nota che mette a fuoco le criticità anche dell’attuale sistema, sottolineando «la necessità di salvaguardare la funzione pubblica della tutela dei minorenni». «Occorre garantire tutti i diritti previsti dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia», dice Filomena Albano. In primis «quello a crescere nella famiglia di origine e quello a essere protetti da ogni forma di violenza. In tutti quei casi in cui tali diritti appaiono risultare in conflitto l’equilibrio deve essere dato da procedure chiare, trasparenti e uniformi».

Le buone leggi tuttavia non bastano. Serve una formazione adeguata degli operatori, degli assistenti sociali e degli psicoterapeuti come scrive Adriana Bembina, psicoterapeuta dell’associazione La Parola ai bambini. Urge un cambio di paradigma culturale e scientifico nel modo di considerare il bambino come sottolineava già lo psichiatra Andrea Masini, direttore della rivista Il Sogno della farfalla e docente di Bios Psychè intervistato su Left del 5 luglio scorso: «Bisogna realizzare che il bambino pur avendo il suo modo di esprimersi ha sicuramente una conoscenza esatta e molto profonda dei rapporti, di ciò che ha vissuto e di cosa è la vita». Solo partendo da questa consapevolezza, e non da un pregiudizio, si può davvero operare mettendo al centro l’interesse del bambino.

L’articolo di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 2 agosto 2019


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I profeti di Bibbiano

Empty swing at a playground. Sad dramatic mood for negative themes such as bullying at school, child abuse, pedophilia, traumatic childhood or kidnap. Seesaw in the background. Old retro vintage feel.

«Angeli e demoni», così l’hanno chiamata, piomba su una provincia famosa per gli asili nido più belli del mondo e tassi di offerta del servizio più alti della Svezia. Fino al 26 settembre prossimo – termine dell’indagine – è assolutamente certo che continuerà lo stillicidio di notizie dalla procura e il «clima da caccia alle streghe», come denunciano i Cobas.

Le “streghe” sono il welfare pubblico, la solidarietà in generale, la «psicologizzazione della realtà» (copyright di Galli della Loggia sul Corsera) e le famiglie arcobaleno. Sullo sfondo le regionali di novembre in cui, per la prima volta, l’Emilia è contendibile dalla Lega; l’inseguimento di Di Maio a Salvini che gli fa dire, complice Il Giornale, che «la sinistra prima faceva il business con i migranti attraverso le cooperative, oggi lo fanno sulle adozioni dei bambini», e l’ansia di Salvini di coprire il clamore del Russiagate. Dopo i rifugiati, i minori, dopo le Ong, le coop.
Riassunto delle puntate precedenti: il caso scoppia il 27 giugno, quando i carabinieri eseguono 18 misure cautelari per conto della Procura di Reggio Emilia su un presunto giro di affidi illeciti nella Val d’Enza. Nei guai assistenti sociali, liberi professionisti, psicologi.

Agli atti ci sono “lavaggi del cervello” ai bambini per raccontare abusi mai avvenuti, relazioni dei servizi sociali falsate e dunque minori sottratti alle loro famiglie. Ci sono anche dettagli forti, come i regali e le lettere dei genitori naturali nascosti e i disegni dei bambini contraffatti per descrivere molestie mai subite. Si parla subito di “caso Bibbiano”, dal nome del comune il cui sindaco Pd, ora autosospeso, Andrea Carletti, è finito ai domiciliari, accusato non di maltrattamenti sui minori ma di abuso d’ufficio e falso. L’inchiesta, per ora…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 2 agosto 2019


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Il senso di Salvini per la Polizia

"Immenso orgoglio e rispetto per il lavoro della nostra @poliziadistato, impegnata nel garantire la sicurezza sulle nostre spiagge e nei nostri mari. Grazie!". Lo scrive il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, postando su twitter una sua foto in costume in sella ad un acquascooter della polizia. TWITTER MATTEO SALVINI +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++

L’ultimo è il giretto in moto d’acqua. Una scena degna di un cinepanettone dove il potente di turno è circondato da istituzioni che si fanno camerieri. I poliziotti trasformati in animatori del baby club nella spiaggia del Papeete Beach a disposizione del figlio del ministro dell’interno sono solo l’ultimo indizio della considerazione che il ministro ha delle forze dell’ordine, al di là delle sue altisonanti dichiarazioni, e chiarisce una volta per tutte la statura morale e istituzionale di un uomo che vive l’essere al governo come la gita di classe inaspettata.

È lo stesso Salvini che ha usato le forze dell’ordine per controllare e togliere gli striscioni contro di lui, come se fossero spazzini addetti al controllo del pensiero e del dissenso durante le sue scampagnate elettorali. Poliziotti che perquisiscono case di anziane pensionate perché si sono permesse di non essere d’accordo con le idee e le politiche del ministro sono una scena da dittatura sudamericana.

È lo stesso Salvini che usa la Polizia per scortare pericolosi bambini con i libri di scuola in braccio oppure per fare scendere temibilissime donne incinte dalle barche. La Polizia che usa gli idranti per sfollare le piazze e i disperati, come operatori di igiene pubblica che nulla hanno a che vedere con la sicurezza dei suoi cittadini.

È lo stesso Salvini che usa la Polizia come logo da esibire sulle sue magliette panciute, ridotti a travestimento delle sue incursioni su Facebook e usati come propaganda stampata sulle felpe.

È lo stesso Salvini che non ha risolto lo strutturale problema della carenza di uomini e di mezzi. Parla ma non fa.

È lo stesso Salvini che non aumenta gli stipendi di chi rischia la vita per pochi spicci al mese. Quello che apre le donazioni pubbliche per le famiglie di poliziotti o carabinieri uccisi dimenticandosi che se ne dovrebbe occupare lo Stato e che lo Stato in questo caso è lui.

E per quanto riguarda il suo errore da papà è lo stesso Salvini che dovrebbe rileggersi ciò che scrisse il figlio Giorgio di suo padre Giovanni Amendola (nel libro del 1976 Una scelta di vita, Rizzoli editore):

“Mio padre era intanto diventato ministro delle Colonie nel governo Facta. La vita a casa, con questa nomina, fu resa più difficile per le nuove condizioni economiche imposte dalla riduzione di stipendio. Dalle 4.000 lire al mese ricevute dal Corriere della Sera si era passati alle 2.000 lire che costituivano lo stipendio di un ministro.
Mio padre era di una rigida severità. Avendo io un giorno atteso sul portone di casa che egli scendesse, per ottenere un passaggio sull’automobile ministeriale fino a piazza Colonna (il ministero delle Colonie occupava allora Palazzo Chigi), egli me lo rifiutò bruscamente, dicendo che le automobili dello Stato non dovevano servire alle famiglie dei ministri. Ed infatti mia madre, nei suoi brevi soggiorni a casa, tra un ricovero e l’altro, non poté mai disporre dell’automobile ministeriale. Quando mio padre fece un viaggio ufficiale in Tripolitania e in Cirenaica, si rifiutò di farsi accompagnare da me, malgrado le pressioni di Donnarumma, infierendo inoltre con una cartolina inviata da Malta nella quale indicava la mia ennesima bocciatura come motivo del mio mancato viaggio in Africa. Ma, prima degli scrutini, nella sua unica visita fatta durante tutto l’anno al professor Kambo, al Visconti, gli aveva raccomandato la massima severità: « Lo rimandi, lo rimandi pure a ottobre, gli farà bene studiare ». Il professore Kambo non si fece pregare”.

Buon giovedì.

Deregulation del territorio, ecco il piano autonomista

Ottenere pieni poteri in tema di beni culturali fino ad arrivare a Soprintendenze regionali. Pieni poteri in tema di governo del territorio fatta eccezione per le grandi infrastrutture (porti e aeroporti) da concordare con lo Stato centrale. Pieni poteri in materia ambientale con la sostanziale cancellazione del ministero per l’Ambiente. Pieni poteri in materia di urbanistica con il rischio di riaprire la catena dei condoni edilizi su scala regionale. La definitiva rottura del sistema educativo nazionale.

Il disegno istituzionale dell’autonomia differenziata è chiaro ed evidente: la dissoluzione dello Stato nato dalla Costituzione repubblicana. Ad esempio il governo dei beni culturali è attribuito allo Stato nei Principi generali, all’articolo 9: è possibile immaginare ancora un Paese unito con la Pinacoteca di Brera regionale? Occorre dare atto alla Lega di aver tenuto una condotta di grande coerenza. Le sue radici, tra le canottiere di Bossi e le farneticazioni di oscuri esperti in materia istituzionale, affondano proprio nella volontà secessionista del popolo del Nord contro Roma ladrona e contro il Sud parassita. È evidente che la svolta salviniana per un partito che si apre all’intero Paese e raccoglie consensi anche nelle regioni meridionali, è stato un passaggio tattico per ottenere il risultato di cancellare la Costituzione del 1948.

Le dissoluzioni delle nazioni passano spesso non soltanto per iniziativa altrui, come in questo caso della Lega e ciò che resta di Forza Italia, ma anche per tragici errori commessi da chi avrebbe dovuto vigilare sul rispetto del dettato costituzionale. Le intese istituzionali con le regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto che rischiano di essere portate in approvazione in questi giorni sono state sottoscritte da parte del sottosegretario di Stato agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa nel febbraio 2018, negli ultimi giorni di attività del governo guidato da Paolo Gentiloni. Le bozze dei nuovi…

L’articolo dell’urbanista Paolo Berdini prosegue su Left del 26 luglio 2019


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Capita anche a voi

TOPSHOT - A migrant holding a duvet cover sits by during the evacuation of a former penicillin factory where migrants from Africa but also Italians, lived in precarious conditions, on December 10, 2018 on via Tiburtina in Rome. - Police forces, carabinieri, municipal police and firefighters took part in the evacuation on December 10 of some 40 remaining migrants of various nationalities from the derelict factory, as hundreds of others had already left in the past few days. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP) (Photo credit should read FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)

Facciamo che avete un figlio. Un figlio qualsiasi. Un figlio che d’estate va in vacanza. Metteteci tutto quello che potrebbe fare vostro figlio senza che voi lo sappiate: questa moralistica visione che dei buoni genitori tengano sottocchio i propri figli è una cagata pazzesca, ne conoscete decine di brave famiglie con bravi figli che però hanno compiuto un errore, ci scommetto, ne avete compiuti anche voi di errori di cui vi vergognate. Immaginate che venga arrestato, all’estero, e che voi siate convinti che per come lo conoscete non potrebbe essere colpevole (ma anche se fosse colpevole la vostra preoccupazione sarebbe identica, da genitori) e venite a sapere che non è stato interrogato secondo i protocolli di legge. Vi rassicura? Vi dà idea di sicurezza?

Immaginate un vostro figlio. Qui, in Italia, nel Paese in cui il lavoro rischia di diventare una chimera. Immaginatelo che vada in un Paese straniero a studiare, con tutte le belle speranze che hanno i nostri figli a cercare un futuro migliore. Immaginate che lì dove sta, d’improvviso, il fatto di essere italiano venga considerato schifoso, criminale, orrendo. Non è difficile: abbiamo esportato mafiosi in tutto il mondo, sarebbe un gioco facilissimo trasformarci nei nuovi negri. Vi rassicura? Vi dà idea di sicurezza?

Facciamo che vostro figlio, in Inghilterra o in Francia o in Spagna, decida di passare l’unico giorno libero della settimana, in cui non sgobba in qualche retrobottega, con gli amici. Immaginate che beva e che stia male, riverso a terra. Immaginate che intorno a lui accada la stessa indifferenza che è accaduta l’altro ieri a Milano, con persone tutte intorno a guardare schifate un onduregno. Immaginate vostro figlio che è l’onduregno in qualche altro Paese. Vi rassicura? Vi dà idea di sicurezza?

Immaginate di diventare poveri. Di colpo. Accade. Accade per un’operazione sbagliata, una gelateria che avete aperto con un amico e che vi ha sommerso di debiti e di pignoramenti. Voi siete le stesse brave persone di prima. Però poveri. Immaginate di non avere casa, di raccattare le vostre poche cose che vi sono rimaste, vostra moglie, i vostri figli e che andiate a cercare un tetto con cui coprirvi la testa. Siete illegali. Vi sgomberano perché la povertà è una vergogna e per ripristinare la legalità. Vi rassicura? Vi dà idea di sicurezza?

Il fatto è che i crolli, le disperazioni e gli errori possono capitare a tutti, a volte per colpa e per destino. E le regole (e l’umanità) sono le condizione per un tonfo che non sia ancora più drammatico. Pensiamoci.

Buon mercoledì.

La “caciara” costerà cara

The coffin containing the body of Carabinieri's officer Mario Cerciello Rega is carried to his funeral in his hometown of Somma Vesuviana (Naples), southern Italy, 29 July 2019. Two American teenagers were jailed in Rome on Saturday as authorities investigate their alleged roles in the fatal stabbing of the Italian police officer on a street near their hotel. ANSA/CESARE ABBATE

Dice il vicepremier Luigi Di Maio che sulla foto del ragazzo bendato in caserma a Roma, a proposito dell’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, si sta facendo troppa caciara. Ha detto proprio così. Forte Di Maio: quello che non capisce per lui è solo rumore di fondo. Peccato che Giuseppe Conte, ad esempio, essendo uomo di legge sappia benissimo che quella foto rischia di essere la dodicesima coltellata inferta al carabiniere e per questo l’ha condannata senza se e senza ma.

Volendo vedere bene quella foto è il miglior regalo che si potesse fare alla difesa dei due ragazzi americani (uno di loro ha confessato di essere l’autore delle undici coltellate). La giustizia (per fortuna) non funziona come i commenti evacuati su Facebook ma segue precise regole di procedura e non è un caso che nonostante il quadro probatorio sembri abbastanza solido (c’è la confessione del ragazzo anche se non è ancora chiara del tutto la dinamica dei fatti) già negli Usa sono partiti i parallelismi con la vicenda di Amanda Knox e nonostante il ministro dell’interno mostri i muscoli si sa bene che l’Italia ha vissuto più di qualche pressione dagli americani.

Non è un caso che proprio l’avvocato Luciano Ghirga, ex difensore della Knox, abbia fatto quest’analogia e in un’intervista a Radio Capital abbia dichiarato: «Amanda fu portata in questura senza avvocato, fece una confessione, la Corte Europea stabilì che c’era stata violazione del diritto di difesa, quindi di un diritto umano. Vedo un’analogia con la notte in questura di Amanda, e nel suo caso della confessione non si tenne conto».

Il legale dell’altro ragazzo americano, Francesco Codini, ha preso la palla al balzo per dire «Quella foto mi ha fatto davvero un brutto effetto. Oggi abbiamo provato ad andare in carcere per parlare con il mio assistito ma non è stato possibile: voglio capire cosa sia successo e se anche lui è stato bendato e legato».

E se non bastasse c’è l’avvocato Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali. che intervistato dall’Agi ha detto: «Chi in queste ore sta sostenendo quella foto, giustificando l’operato di chi ha agito in quel modo nei confronti del cittadino americano prima della sua deposizione, sta facendo un danno al carabiniere che ha perso la vita e a chi vorrebbe che venisse fatta giustizia al più presto. È un gesto da ottusi e da stupidi. Perché un atto istruttorio, sia esso una confessione, una testimonianza o un interrogatorio, se svolto con modalità che coartano la libera determinazione di una persona deve essere dichiarato nullo. Anche se poi quelle dichiarazioni dovessero essere confermate in una fase successiva».

Il celebre avvocato americano Alan Dershowitz ha dichiarato alla Stampa che la difesa può appellarsi alla Corte europea dei Diritti dell’uomo e alla Corte di giustizia europea per far annullare il processo. «Usando la foto come la prova di un trattamento che viola la legge».

L’avvocato Arturo Salerni intervistato da Vice ha detto: «Questo ci deve far riflettere sulla gravità del fatto: offrire a uno Stato estero anche solo la possibilità remota di presentare sul piano internazionale una questione di questo tipo ci indica quanto sia increscioso aver perpetrato quell’abuso e averlo reso pubblico. Perché crea anche delle ombre sul funzionamento dei nostri iter giudiziari, e sono cose su cui è possibile marciare».

Eccola, la caciara. Appunto. Che poi sono quelli che promettono giustizia, per dire.

Buon martedì.

Hong Kong vuole democrazia, ma trova repressione

TOPSHOT - Protesters are enveloped by tear gas let off by police during a demonstration against a controversial extradition bill in Hong Kong on July 28, 2019. - Tens of thousands of pro-democracy protesters defied authorities to hold an unsanctioned march through Hong Kong, a day after riot police fired rubber bullets and tear gas to disperse another illegal gathering, plunging the financial hub deeper into crisis. (Photo by Anthony WALLACE / AFP) (Photo credit should read ANTHONY WALLACE/AFP/Getty Images)

«Orrendi incidenti» che hanno causato «seri danni allo Stato di diritto». Così Pechino ha definito le proteste che imperversano sulle strade di Hong Kong da ormai otto settimane, contro la criticata proposta di legge sull’estradizione e il rischio di un arretramento della democrazia nell’ex colonia britannica. I dimostranti hanno sfidato il divieto di manifestare imposto dalle autorità, e sono tornati in strada, erigendo barricate e scontrandosi ancora una volta con la polizia, che ha lanciato gas lacrimogeni e sparato proiettili di gomma sulla folla. Il bilancio è di almeno una decina di arresti e 45 feriti, secondo notizie non confermate da fonti ufficiali. È l’ottavo weekend consecutivo di proteste contro la controversa proposta di legge sull’estradizione, poi sospesa, e il rischio di un arretramento della democrazia nell’ex colonia britannica.

Nel primo pomeriggio del 28 luglio migliaia di persone si sono riversate nelle strade in diverse direzioni, bloccando le due principali arterie di accesso al centro, mentre un gruppo di manifestanti si è diretto verso il Liaison office, l’ufficio di rappresentanza cinese. Qui hanno trovato ad attenderli un massiccio schieramento di agenti in tenuta antisommossa, contro i quali hanno lanciato pietre e altri oggetti. La folla ha poi cercato di accedere alla rappresentanza del governo cinese. E per il terzo giorno consecutivo il centro della città si è trasformato in un campo di battaglia, dove sono volati lacrimogeni, sono state innalzate barricate e dove polizia in tenuta anti-sommossa e manifestanti in tenuta “anti-polizia”, con l’identità protetta da ombrelli, si sono fronteggiati davanti alle insegne luminose dei negozi e dei centri commerciali e al fuggi-fuggi di passanti e turisti.

I manifestanti non si sono accontentati delle garanzie dell’amministrazione di rinunciare alla legge sull’estradizione e anzi, nelle ultime proteste, hanno puntato il dito contro le gang degli “uomini in bianco”, che domenica 21 luglio li hanno attaccati presso la stazione di Yuen Long, non lontano dal confine con la Cina. Questi personaggi sarebbero riconducibili alle gang delle Triadi, la mafia cinese. Il bilancio della aggressione di domenica è di 45 persone ferite sotto i colpi dei bastoni e delle sbarre d’acciaio. Aumenta, così, anche la rabbia nei confronti della polizia, accusata di non essere intervenuta dopo l’attacco.

Sull’episodio sta indagando il Partito democratico, partito che siede tra i banchi della opposizione al Consiglio legislativo di Hong Kong, critico nei confronti della amministrazione guidata da Carrie Lam. In un comunicato firmato da 24 parlamentari filo-democratici la polizia viene accusata di collusione con le Triadi, l’organizzazione di stampo mafioso molto radicata a Hong Kong, per non avere spiccato arresti nella notte di domenica, nonostante oltre tre ore di blocco stradale e il sequestro di diverse spranghe d’acciaio. «La polizia, che è come serva delle Triadi, ha completamente perso la fiducia dei cittadini e costretto la gente a difendersi da sola», sostengono i parlamentari pro-democratici: «C’erano persino agenti di polizia che hanno finto di non vedere le azioni di chi era in maglietta bianca con nastro rosso, e se ne sono andati».

Le recenti proteste erano sfociate nel momento in cui la governatrice filo-cinese Carrie Lam aveva tentato di introdurre una legge alquanto controversa sulle estradizioni in Cina. La legge avrebbe chiaramente limitato la libertà di Hong Kong e sarebbe stata utilizzata per scopi politici. Le manifestazioni sono cresciute di settimana in settimana in intensità e violenza, sempre più accesi sono stati gli scontri con le forze dell’ordine, sempre maggiori gli arresti. Anche quando Lam ha dichiarato che «la legge sull’estradizione è morta», gli scontri non hanno fatto altro che inasprirsi, sfociando in un vero e proprio movimento pro-democrazia, che mira alle dimissioni della governatrice stessa. Il braccio di ferro continua.

Hong Kong vs. Pechino: le radici storiche della crisi
Hong Kong è stata una colonia britannica per più di 150 anni. Ecco perché la città è divenuta una modernissima metropoli occidentale, nonostante conservi un carattere prettamente orientalizzante. Hong Kong è impregnata di cultura inglese: dal battello che ti conduce da una parte all’altra del confine con la Cina, ai bus a due piani, dalle tipiche cabine telefoniche londinesi, alla guida a destra. Perfino i nomi delle vie sono inglesi.

All’inizio del XIX secolo, la Cina era l’unico Paese al mondo a produrre té su larga scala, motivo per cui il Regno Unito aveva iniziato a commerciarvi assiduamente. Ma l’imperatore cinese accettava come pagamento solo lingotti o monete d’argento, e ben presto le riserve britanniche cominciarono a scarseggiare. Fu una vera e propria crisi di Stato. Per pagare il té, di cui ormai erano dipendenti, gli inglesi avviarono il commercio illegale dell’oppio, vietato in Cina. Quando il governo cinese tentò di sopprimerlo, iniziarono le cosiddette guerre dell’Oppio, i cui trattati di pace del 1898 stabilirono che l’isola di Hong Kong sarebbe diventata una colonia inglese per 99 anni. Iniziarono, da quel momento, a formarsi dei confini invisibili, che dividevano la società cinese da coloro che avevano abbracciato maggiormente la cultura europea e britannica. Le due culture hanno iniziato a fondersi, comprendersi e convivere solo in seguito.

Durante la dominazione inglese, Hong Kong è diventata un importante porto di interscambi economici, e nel 1950 uno dei poli manifatturieri principali dell’Asia. Il garantismo dei diritti fondamentali e delle principali libertà, come quella di espressione, attirava un numero sempre più grande di attivisti politici e intellettuali che fuggivano dalla Cina repressiva. Così le “due Cine” già in principio si trovarono in opposizione.

Negli anni 80, Londra e Pechino iniziarono a contrattare il futuro della città-Stato, con il governo comunista cinese che ne auspicava il ritorno al proprio dominio e sistema legislativo. Si raggiunse un accordo nel 1984, negoziato da Deng Xiaoping, l’allora leader del Partito comunista cinese e Margaret Tatcher: dal 1997, terminati i 99 anni di dominio britannico, Hong Kong sarebbe tornata a far parte della Cina, ma con una peculiare soluzione politica detta “un Paese due sistemi”, che stabiliva che l’isola avrebbe potuto continuare ad avere un governo democratico separato dal monopartitismo cinese e una certa indipendenza (tranne che per affari esteri e difesa), per 50 anni. Ecco perché, per esempio, Hong Kong è uno dei pochi posti in Cina in cui sono ammesse le commemorazioni del massacro di piazza Tienanmen del 4 luglio 1989, quando l’esercito aprì il fuoco contro i manifestanti inermi, a Pechino.

Nel 1997, la televisione nazionale trasmetteva le scene della bandiera cinese sostituita sull’asta alla Union Jack. L’ampio livello di autonomia che i cinesi avevano garantito dal momento del “passaggio di proprietà”, tuttavia, è stato minato dopo pochi decenni. Dando il via a forme di protesta in origine latenti, e poi sempre più strenue.

La frontiera Cina-Hong Kong è costituita, oggi, da un lungo fiume che si snoda lungo il bordo della città-Stato. Per attraversare il confine – in vigore fino al primo luglio 2047 – ci vogliono alcune ore, firme, timbri, documenti e fototessere. Ma, a dimostrazione che il dragone sta cercando un avvicinamento con l’isola prima della scadenza dell’accordo, vi è un altro collegamento tra le due entità: uno dei più incredibili ponti sull’acqua che siano mai stati costruiti, lungo 55 km e con un tratto sommerso, unisce Hong Kong a Macao e da lì alla Cina.

Le libertà pattuite sono state rispettate finché Hong Kong è rimasto uno dei centri economici principali del Paese (nel 1993 la sua economia rappresentava il 27% dell’intera economia cinese, più di un quarto del totale). Verso la fine degli anni Novanta, però, le città cinesi, da Shenzhen a Pechino esplosero, diventando “megalopoli”. Gli equilibri economici cambiarono e Hong Kong perse di importanza (oggi produce solo il 3% del Pil dello Stato).

Così, è iniziata la diffusione dei notiziari in cinese mandarino – a Hong Kong la lingua ufficiale è il cantonese -, con l’inno del Partito a fare da sigla: il messaggio è chiaro, Hong Kong è parte della Cina. Anche i libri scolastici sono cambiati: secondo i manuali utilizzati alle scuole elementari il sistema multipartitico fa soffrire le persone e porta allo shutdown dello Stato; la Cina è il miglior modello politico al mondo; gli Usa sono un fallimento sia politico che economico. Nel 2015, Pechino tentò di controllare le elezioni governative di Hong Kong, mettendo a repentaglio il processo democratico. Per tutta risposta, i cittadini scatenarono la Rivoluzione degli ombrelli, repressa dalle forze armate con manganelli, gas lacrimogeni e idranti. Per quanto le manifestazioni non portarono a risultati concreti, perlomeno risvegliarono gli animi degli abitanti dell’ex colonia.

Anche se la maggior parte degli abitanti dell’ex colonia è di etnia cinese, altrettante persone non si identificano come “cinesi”. Invero, alcuni sondaggi portati avanti dall’Università di Hong Kong mostrano che, in effetti, la maggior parte degli abitanti si sente Hong Konger, mentre solo l’11% cinese, e il 71% del totale non prova orgoglio all’idea di diventare effettivamente cittadino cinese. La disparità è particolarmente visibile nei giovani, come indica la ricerca: «Più è giovane chi partecipa al sondaggio, più è contrario alle politiche del Governo centrale e ad un avvicinamento con la Cina».

Earth Overshoot Day 2019 e le tre crisi del Pianeta

epa02773225 A picture made available 10 June 2011 shows a man carrying a young child up a sand dune next to the oasis in Dunhuang, northwest China 08 June 2011. The Kumtag desert, China's sixth largest, is approaching the ancient Silk Route trading town at the rate of between 1 and 4 meters a year according to the Gansu Desert Control Research Institute in local media reports. EPA/MARK

Che il Pianeta soffra di almeno tre crisi è evidente. La correlazione tra queste tre crisi è meno evidente. Ma non serve approfondire troppo per capire che, invece, sono drammaticamente interconnesse. Vediamole un momento:

Una crisi ambientale. L’aspetto climatico di tale crisi, strisciante da più di un secolo è reso ormai evidente e drammatico dai cambiamenti climatici in atto. Ma non c’è solo l’aspetto climatico, anzi. Ormai l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse rinnovabili dalla Terra nell’anno, è sempre più vicino all’inizio dell’anno stesso. Ormai cade nel mese di luglio (dal 29 per la precisione ndr). Cioè tutte le risorse naturali che consumiamo da agosto a dicembre non si rinnovano. È come se voi aveste un deposito di 1.000 litri d’acqua. E ne consumate 200 l’anno. Ma ne arrivano solo 100 litri nuovi ogni anno. Così dopo il primo anno ne avrete solo 900. E il secondo anno che fate? Invece di cercare di consumare di meno ne consumate 250. E la perdita secca diventa di 150. E così alla fine del secondo anno vi ritrovate solo 750 litri. L’acqua finirà presto. È questo quello che stiamo facendo alla Terra. E pensate che l’Overshoot Day degli Stati Uniti è il 15 marzo. Cioè gli Usa consumano tutte le loro risorse rinnovabili nei primi 75 giorni dell’anno. Negli altri 290 consumano le “riserve” della Terra. Come nell’esempio dell’acqua.

L’Overshoot Day della Ue cade il 10 maggio. Quello del Ghana il 30 ottobre. Quello dell’Indonesia il 18 dicembre cioè è quasi in pareggio: è come se nell’esempio precedente si perdesse si è no 1 litro d’acqua l’anno. I 1.000 litri di partenza durerebbero molto di più. Ma il Ghana, l’Indonesia e gli altri Paesi “meno industrializzati” devono dare tanti litri a Usa e Ue per compensare il loro spreco. Chi è quindi in debito? L’Africa che conserva le sue risorse o l’Europa che le depreda? Ed ecco una prima correlazione con le crisi sociali e le relative crisi migratorie.

Una crisi sociale: possiamo vedere chiaramente una crisi sociale “interna” all’Italia e una “esterna”, cioè internazionale. È chiara la crisi sociale in Italia, resa esplicita dai “vaffa day” grillini ed esplosa con la propaganda della “Bestia” salviniana. Il tessuto sociale del Paese si sfalda, la sua eterogeneità diventa un problema e non un valore aggiunto, vengono a galla le contraddizioni. Esplodono le tensioni, l’ipocrisia e la violenza prima sopite. La competizione sociale viene esaltata, i penultimi incitati contro gli ultimi, la gratificazione sociale non passa per la felicità ma nel sapere che c’è qualcuno che sta peggio di te, qualcuno su cui sfogare le frustrazioni e lo stress di una vita difficile e inutilmente competitiva. E intanto il precariato dilaga, si arretra sul fronte dei diritti e le diseguaglianze aumentano.

Ma a livello internazionale è lo stesso: basta vedere cosa succede in Siria, Pakistan, Messico, Venezuela: la strategia è sempre quella di aizzare una parte contro l’altra, di provocare violenza e sopraffazione. E la crisi sociale non può che alimentare a sua volta la crisi ambientale, non è possibile, in clima di estrema competizione, violenza o addirittura guerra, impostare politiche di equa ripartizione delle risorse ambientali. D’altra parte la crisi ambientale porta a evidenti conseguenze sociali: si pensi alla competizione per la carenza di acqua o per le fonti energetiche, aspetti che non possono che creare insicurezza per il futuro e infelicità nel presente e quindi crisi sociale.

Una crisi economica. Il capitale basa il suo modello sociale sullo sfruttamento delle risorse del mondo, umane, ambientali, culturali. Le deve usare, tutte, per il continuo aumento dei suoi profitti e dei consumi. Le crisi economiche sono sempre state strutturali al capitale. L’attuale crisi economica globale, che ha ripercussioni importanti sulla qualità di vita dei cittadini, sulla loro percezione di sicurezza e felicità, non può non minare l’armonia sociale, e la capacità di crescere nella reciproca convivenza e rispetto. Le posizioni oltranziste prendono il sopravvento, la paura della povertà, del perdere la propria “posizione sociale” diventa preminente sugli altri valori che regolano i rapporti sociali. E la crisi economica si manifesta a diversi livelli, porta alla contrazione dei servizi, alla rinuncia ai diritti che non sono solo quelli primari ma che sono anche salute, tempo libero, felicità, cultura. Ma di questo parleremo ancora.

Tre crisi che quindi sono sintomi dello stesso male. Inutile affrontarle separatamente. Se la broncopolmonite vi provoca la tosse è inutile curare la tosse con uno sciroppo. Ed è altrettanto inutile curare la febbre provocata dalla broncopolmonite con la tachipirina. State curando i sintomi, la tosse, la febbre, non la malattia!
Per questo le crisi non vanno affrontate singolarmente con interventi settoriali. Per esempio non si può curare la crisi economica con la politica monetaria. Perché la “cura” potrebbe peggiorare la crisi sociale (come è successo negli ultimi anni). Va affrontata la malattia. Cioè va cambiato il modello sociale, valoriale e relazionale. Progressivamente. Tenendo conto per ogni intervento degli effetti che ha sul modello sociale e di sviluppo e quindi sulle tre crisi.
Come affrontare questi problemi perché non si rimanga nel campo della pura teoria? Quali sono le proposte che riescono a incidere complessivamente sul problema ?
Che sia uno dei compiti cui la politica ha abdicato? Ascoltare le sofferenze e i bisogni, capirne le implicazioni generali, proporre soluzioni organiche e di prospettiva ? Forse che intervenire un giorno in un verso e il giorno dopo nell’altro alla fine non parta risultati durevoli?