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Liberare l’Unione europea è il vero voto utile

East Side Gallery is an outdoor art gallery located on a 1,316 meter section of the Berlin Wall, which were saved from demolition for that purpose. It is the longest and longest art gallery in the world, consisting of 103 murals painted by artists and paying homage to the freedom that occurred with the end of the Cold War. April 21, 2019 in Berlin, Germany (Photo by Oscar Gonzalez/NurPhoto via Getty Images)

Qual è il voto utile per le prossime europee? E utile a chi e a che cosa? E, ancora prima, c’è un voto utile? Da quando sono finiti in soffitta i voti dati per identità – personale, di classe o addirittura di famiglia – l’affanno è chiedersi ogni volta come usare il proprio voto.

Sarà bene sapere che chi si è molto dato da fare per porre termine ai voti identitari è altrettanto impegnato nel “vendere” ogni volta la motivazione più adatta, o alla moda. Soprattutto se uno pensa, come chi comanda oggi, che ormai la Storia sia finita e il pensiero sia – in fondo – unico, perché unico è il modello sociale possibile. Così, il gioco delle motivazioni diviene una sorta di marketing o gioco di ruolo. Ma sarà altrettanto bene sapere che dietro questa sorta di fiction c’è una realtà che resta purtroppo intrisa di lacrime e sangue. Seguire queste lacrime e questo sangue, e magari anche qualche voglia di ridere in faccia al “re nudo”, è una buona guida al voto.

Infatti il primo problema è che si è persa la connessione con la propria condizione, o tra essa e le sue cause, e cioè la politica. Magari non ovunque e non per chiunque, e c’è anche da chiedersi perché. Capita ad esempio ch… 

L’articolo di Roberto Musacchio prosegue su Left in edicola dal 10 maggio 2019


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Spacciatori d’odio: la falsa cultura dell’editoria nera

Flash Mob antifascista nel giorno di apertura della 32/a edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino presso l'Oval Lingotto, Torino, 9 maggio 2019. ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO

Ostinati e contrari, come un verso rubacchiato malamente da Fabrizio De Andrè, non conformi e come il nome che la destra radicale ha scelto per connotare la sua azione metapolitica fin dagli anni Settanta. Si autodefiniscono così, non senza una certa presunzione, i fumetti di Ferrogallico piccolo esperimento in atto nel mondo “culturale” del neofascismo italiano.

Piccolo ma insidioso, utilizzato per arrivare là dove mai l’editoria di estrema destra era arrivata: la scuola pubblica. Succede in Veneto dove Regione e Comune di Verona hanno utilizzato denaro pubblico per regalare a studentesse e studenti la storia rivista e corretta secondo i parametri del vittimismo neofascista. Potrebbe succedere in Lombardia dove la Regione capitanata da Attilio Fontana ha votato un finanziamento di 50 mila euro per sostenere progetti nelle scuole in ricordo dei militanti dell’Msi Sergio Ramelli ed Enrico Pedenovi, uccisi negli anni Settanta da Avanguardia operaia e da Prima linea. La nuova frontiera della normalizzazione del fascismo passa attraverso i disegni e i balloon, al posto dei supereroi o degli abitanti di Paperopoli ci sono fascisti e nazisti nella parte dei buoni. Il tutto destinato a circolare anche tra i banchi e a portare nelle casse di Ferrogallico qualche migliaio di euro con la connivenza delle istituzioni.

Come spesso è accaduto i gruppi di estrema destra hanno ricalcato le orme dei movimenti di segno opposto. Nella modalità di essere presenti sul territorio con le occupazioni non conformi, nella creazione di un circuito musicale di area e dopo anni di sopravvivenza sotto traccia ora anche nell’editoria. Un’attenzione rivolta non solo a un pubblico specialistico ma a una platea soprattutto giovanile. Bisognosa di riferimenti riletti in chiave contemporanea da accostare alle pagine di formazione più teorica. Avida di immagini e ancora attratta dal più transgenerazionale dei generi, quello della fumettistica.

Un settore in espansione che nel 2017 ha conosciuto un vero e proprio boom azzerando la differenza tra editori di fumetti e editori tradizionali di opere “letterarie”. A pubblicare albi e graphic novel non sono più solo le specializzate Bonelli e Panini ma ogni casa ha in catalogo un’ampia scelta di soggetti e autori. Che passano dal banco dell’edicola allo scaffale della libreria. Un genere letterario riconosciuto e autonomo, non più rivolto a un pubblico di appassionati, in grado di fare numeri rilevanti e creare movimenti di opinione. Zerocalcare docet.
Anche l’estrema destra oggi cerca di cogliere il momento buono per ricavare la propria fetta di business.

Ecco che, con un’operazione strettamente legata a Casapound, lo scorso anno fa il suo esordio Altaforte edizioni, al centro delle polemiche in seguito alla sua espulsione dall’area espositiva del Salone del Libro di Torino, grazie ad una mobilitazione di scrittori ed editori antifascisti. Il marchio Altaforte è controllato dalla Sca2080 di Francesco Polacchi. Proprietario della linea di abbigliamento Pivert ed editore del Primato nazionale (il settimanale di CasaPound, ndr), il dirigente dei fascisti del terzo millennio oggi ha messo in piedi un sistema in grado di produrre in futuro reddito e posti di lavoro per militanti piazzati nei negozi, nelle librerie e nelle redazioni.

Altaforte ha oggi in catalogo tutta l’editoria neofascista italiana, da Aga Editrice di Maurizio Murelli, in cerca dell’ennesimo un posto al sole e supporter italiano di Alexandr Dugin, a nomi meno noti ai più come Passaggio al bosco o Idrovolante, creatura di Carlomanno Adinolfi, figlio del fondatore di terza Posizione Gabriele.

Ed è nell’alveo di Altaforte, tentativo di costruire un polo distributivo della cultura di area, che si colloca anche il semisconosciuto marchio Ferrogallico. Il nome è quello dell’inchiostro nero ricavato dalla galla di quercia e utilizzato fin dall’epoca romana. Dietro c’è una casa editrice milanese, la Signs Publishing. A fondarla nel 2017 cinque soci, tre dei quali politicamente vicini e lontani nello stesso tempo. Il primo è Marco Carucci ex portavoce di Forza nuova a Milano, che quattro anni fa chiese la messa all’indice dei libri destinati a spiegare ai bambini le nuove famiglie. Poi c’è Alfredo Durantini, anche lui dirigente lombardo di Forza nuova e proveniente da un colosso editoriale. Infine a fare da cintura tra le varie anime Federico Goglio, in arte Skoll, cantautore identitario, scrittore e amico di tutti.

Con Altaforte lo scorso anno Ferrogallico stringe una partnership per la distribuzione. La nuova società, che si specializza nella produzione di graphic novel e graphic journalism si presenta con un sito dove in homepage appare solo “Reportage”, la collana dedicata alla guerra in Siria e all’Isis con i racconti di giornalisti schierati a destra come Toni Capuozzo, Gian Micalessin e Fausto Biloslavo. Ma è Ferrogallico il vero pezzo forte di tutta l’operazione. Quello che permetterà nei mesi successivi di entrare nelle stanze del Parlamento e portare il revisionismo storico nelle scuole pubbliche.

È il 27 aprile 2017 e alla Camera dei deputati viene presentato il libro Sergio Ramelli, quando uccidere un fascista non era reato. La data di uscita del libro corrisponde all’anniversario di morte del giovane fascista ucciso nel 1975 dal servizio d’ordine di Avanguardia operaia. Una vicenda che per neofascisti italiani è parte viva della memoria. Uno dei rari eventi che vede compatte tutte le aree di quel litigiosissimo ambiente. A fare gli onori di casa Ignazio è La Russa mentre a presentare l’opera siedono al tavolo lo sceneggiatore Marco Carucci, la disegnatrice Paola Ramella e Federico Goglio. Un bel colpo per dei fumetti “ostinati e contrari”. Il volume fa parte della collana “Anni Settanta” dove trova collocazione anche il fumetto dedicato a un’altra vicenda, Il rogo di Primavalle, un omicidio politicamente corretto.

L’ultimo periodo di vita di Ramelli è narrato con disegni semplici a volte grezzi. Questione di gusti sui quali non sarebbe giusto discutere, ma si fa fatica a vederci talento e cura. Quello che delude è invece è la sceneggiatura scritta dallo stesso Carucci. Un condensato di banalità con i “compagni” disegnati come la caricatura di se stessi, brutti sporchi e cattivi contrapposti al volto angelico e ragazzino del protagonista ormai diventato un’icona. Una superficialità sconcertante che riduce una vicenda politica e umana complessa a un ricettacolo di frasi fatte con una dinamica studiata per suscitare nei più giovani e ignari lettori una comprensibile reazione di rabbia.

Una strumentalizzazione senza pudore che vede il nome di Ramelli invocato per legittimare sfilate, cortei, saluti romani e apologia di fascismo spacciata per commemorazione e preghiera. «E chi pregano? Hitler?» si chiede Maurizio Acerbo – segretario di Rifondazione comunista – su facebook, una domanda che a vedere le mille braccia alzate dei giorni scorsi a Milano si dovrebbe fare chi assolve il saluto romano nelle aule dei tribunali.

Nell’opera viene proposto un mondo fatto di immaginari fascisti buoni che giocano a pallone all’oratorio, si innamorano e hanno sempre il sorriso sulle labbra contrapposto ai compagni vigliacchi e malvagi. Gli eroi e i mostri sono ritratti fuori dal reale contesto storico che ha visto morire decine di militanti di sinistra uccisi da neofascisti. Una scelta che ricalca, in peggio, l’utilizzo che la sinistra fa del naziskin ignorante come stereotipo ormai datato. Di originale e non conforme c’è davvero poco.

Più interessante, anche per gli aspetti economici è invece il caso di Foiba rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana, pubblicato nel 2018 da Ferrogallico e presentato in anteprima nella sala della Regina di Montecitorio grazie ai buoni uffici di Fratelli d’Italia. Il racconto procede a fatica tra tavole mal disegnate e peggio curate con grossolani errori storici, omissioni e tutto l’armamentario che correda la vulgata attorno al Giorno del ricordo. In alcuni casi, come è successo quest’anno al Municipio 5 di Milano, sono state realizzate mostre e iniziative istituzionali con distribuzione di copie nelle scuole. Più grave quanto accaduto in Veneto dove si è mossa Elena Donazzan, assessora regionale all’Istruzione fuoriuscita a dicembre da Forza Italia.

Si tratta del «solito bric-à-brac fascista che mischia imperialismo, razzismo, irredentismo oltranzista e vittimismo, di cui non varrebbe neanche la pena occuparsi – scrive su Giap il collettivo Nicoletta Bourbaki in una dettagliata analisi dell’opera – se non fosse di questi giorni la notizia (siamo a febbraio, nda) che la Regione Veneto ha deliberato che distribuirà il fumetto nelle scuole secondarie di primo grado in occasione del prossimo Giorno del ricordo (il 10 febbraio). Ne ha dato annuncio alla fine di gennaio l’assessore regionale all’Istruzione, la solita Elena Donazzan. Per Ferrogallico è un colpaccio: migliaia di copie piazzate non sul mercato – dove ci sarebbe il rischio d’impresa – ma grazie al potere politico, che le acquista coi soldi di tutti, anche degli antifascisti».

Un meccanismo insidioso che porta nelle casse di Ferrogallico un sacco di soldi. E una pubblicità gratuita ottenuta sfruttando l’onda delle polemiche seguite alla celebrazione del Giorno del ricordo e all’uscita contemporanea del pessimo film Red Land che tratta lo stesso tema.

In occasione della nascita dei Fasci di combattimento Ferrogallico ha prodotto, come prevedibile, due volumi dedicati alla ricorrenza: il diario scritto nelle trincee della Prima guerra mondiale da Benito Mussolini, ritratto nella veste di cronista e un omaggio agli eventi di piazza San Sepolcro, 1919 l’alba della rivoluzione fascista. Qui, in copertina un giovane squadrista attacca un manifesto dove si leggono in grande le parole «adunata» e «camerati». Parole che cento anni dopo sono diventate gli hashtag ufficiali sui social network per celebrare la data. Un altro tentativo di riscrivere la storia. Anzi, in questo caso di disegnarla. Con un antico, indelebile, inchiostro nero.

Articolo aggiornato venerdì 10 maggio alle ore 13.00

Candidiamo i nostri figli

epa07470291 Children take part in a 'Fridays for Future' demonstration against climate change in Berlin, Germany, 29 March 2019. Students across the world are taking part in a strike movement called #FridayForFuture which takes place every Friday. The movement was sparked by Greta Thunberg of Sweden, a sixteen year old climate activist, who has been protesting for climate action and the implementation of the Paris Agreement outside the Swedish parliament every Friday since August 2018. EPA/FELIPE TRUEBA

VOCE 1: Ho tre figli. Perché siamo una famiglia larga, come si dice, anche se quando ci prende la paura ci viene da stare stretti. Si chiamano Tommaso, Leonardo, Martino fra dieci anni voteranno, più o meno. Mi sono sempre convinto che la ‘responsabilità’, dico per un padre, se avesse un forma la responsabilità per un padre verso i suoi figli, la responsabilità sarebbe a forma della domanda “e tu cosa hai fatto?”. E non so mica rispondere, ora come ora, sul cosa ho fatto. Ogni tanto mi terrorizza l’idea di dovergli spiegare che mentre tornavo alla sera, a casa, durante il giorno non ero riuscito a scrivere abbastanza forte la disuguaglianza di un mondo dove più del merito conti la geografia, la disuguaglianza di un Paese che s’è messo in testa di punire i fragili, perché non rallentino i potenti e i prepotenti, che spesso sono le stesse persone. Non riesco mica a trovare le parole per dirgli, sul cosa ho fatto io, che il buonsenso a volte nella storia diventa fuorimoda ed è un fardello che costa, a portarselo in giro. Chissà come gli racconto che anche essere buoni, è stato considerato un vizio.

VOCE 2: Nina è mia figlia. Ha cinque anni. Scrive lettere strane, di cui non sempre capisce il significato, e parla molto, ma penso che non abbia preso dal papà. Ora, l’esperimento che vi propongo per i prossimi tempi è il seguente. Immaginate il futuro dei vostri figli. Quando saranno maggiorenni. Per me è facile. Sarà il 2030. Quando saranno grandi, quando potranno votare, quando potranno candidarsi, che quando l’ho detto il giorno dopo De Luca ha candidato suo figlio, per dire che bisogna stare attenti. Nel 2030 si saprà se qualcuno avrà fatto qualcosa per i cambiamenti climatici, altrimenti Nina avrà forse freddo in Europa, mentre molti bambini con i loro genitori scapperanno dalle zone desertificate. E cercheranno riparo da Nina. E a loro, invece della macchina, regaleremo una scialuppa. Nel 2030 si saprà se avremo fatto qualcosa per chi è più povero, altrimenti Nina andrà a scuola e all’università, mentre altre e altri, brave e bravi come lei e più di lei, non potranno permetterselo. Nel 2030 si saprà se una donna sarà ancora più libera, da tutti gli integralismi, dai fanatismi che sono un po’ da tutte le parti, dal machismo e dai maschi che ancora spiegano alle donne come devono comportarsi. Vestirsi. Vivere. E le pagano meno dei maschi. E lasciano loro la cura familiare. Delle nine e degli anziani.

VOCE 1: Chissà come mi guarderanno, da grandi, quando gli dirò che ho provato a occuparmi degli sconfitti, che mi appassionano infinitamente di più i fragili piuttosto che quelli che sono disposti a camminare sulla propria etica pur di riuscire a competere. Nel 2030 chissà come mi guarderanno mentre gli racconto che siamo andati in giro per teatri, tra panchine di cartone, quinte e le valigie stropicciate, le valigie da tournée, a raccontare la speranza di essere tutti uguali. Chissà come mi guarderanno. Che magari, lo spero, mi diranno “ma davvero?” con la faccia di chi non riesce nemmeno a immaginare abbia sbandato così in basso. Chissà se non ci accuseranno di essere stati deboli, indifferenti o peggio codardi a non urlare il nostro sdegno. Chissà se riusciremo a convincerli che ci abbiamo provato dappertutto, in tutti i modi, a raccontare che l’alternativa non solo c’è ma è anche possibile. Anche per teatri, siamo andati.

VOCE 2: Nina vivrà con un sacco di amici che vengono da tutte le parti del mondo. Altri saranno nati in Italia: chissà se allora saranno considerati italiani o se si perderanno altre legislature, come questa. Nina avrà molta tecnologia a disposizione, del resto già usa Lopad – come lo chiama – molto meglio di me. Quella tecnologia renderà la vita più semplice, ma sarà accessibile a tutti? E se sostituirà il lavoro degli umani, ci sarà lavoro per Nina e per i suoi amici? E se si ridurrà il lavoro, come la metteranno Nina e i suoi compagni con il reddito? E avremo consumato altro suolo? E avremo fatto tesoro del risparmio e dell’efficienza energetici? Ecco, personalmente alle elezioni candido Nina. E spero che voi facciate lo stesso con i vostri piccoli. Che non possono votare. Ma sono gli elettori più importanti. Gli unici elettori che contano davvero.

Tratto dallo spettacolo “Sono tutti uguali” di Giulio Cavalli e Giuseppe Civati

Buon venerdì.

L’unico voto utile è antifascista

Tante volte su queste pagine abbiamo denunciato il linguaggio violento, cinico, lucidamente privo di empatia verso le persone più vulnerabili che il ministro dell’Interno ostenta ogni giorno. «è finita la pacchia» rivolto ai lavoratori migranti costretti a faticare a cottimo in campagna per cifre da fame. «Non è roba nostra, se li riprenda l’Olanda», riducendo a merci i minori non accompagnati a bordo della Sea Watch. «Non vogliamo bambini che arrivano già confezionati» ha ribadito la settimana scorsa. Dietro le parole c’è un pensiero. E quello che traspare da questi discorsi fa venire i brividi. I nazisti trattavano gli ebrei come numeri, annullando completamente la loro realtà umana e sappiamo cosa è accaduto. Il fascismo, come scrive David Bidussa, prese corpo nello stile, «nella lingua di Benito Mussolini» ancor prima del suo essere duce, «tanto nello stile retorico, nell’uso delle forme verbali, nelle modalità del discorso pubblico, quanto nei temi e nelle immagini che quella retorica acquista già negli anni del suo esordio in politica». Che lo studioso riassume così in un saggio edito da Chiarelettere: «Elogio della teppa, antipolitica, autorappresentazione come Italia e dunque definizione di tutti gli avversari politici come Antitalia; sovranismo economico e politica monetaria nazionalista, elogio della famiglia…». Su questi temi «Mussolini costruisce il linguaggio fascista molto prima che esso si incontri con le politiche colonialiste, razziste e antisemite della seconda metà degli anni Trenta». Passando dalle parole ai fatti.

Contenuti violenti, discriminatori e razzisti caratterizzano il decreto “sicurezza e immigrazione”, divenuto legge. Il ministro e vice premier Salvini con l’appoggio grillino è presto passato dalle parole ai fatti, negando permessi umanitari, discriminando i migranti, trattandoli come “vite di scarto”. Non è folklore la sua scelta di indossare felpe made in CasaPound. Così come non è stato certo un gesto ingenuo fare un comizio dal balcone di Mussolini a Forlì.
Mentre una bambina di quattro anni veniva colpita a Napoli dalla camorra, Salvini, invece di pensare a fare bene il proprio lavoro di lotta alla malavita ha auspicato il ritorno dei grembiuli a scuola per impartire «ordine e disciplina». (A quando le divise da Balilla?).

Ricordiamo questi tristissimi episodi (e sono solo alcuni) per rimarcare il contesto in cui è avvenuta la decisione del Salone del libro di Torino di accettare lo stand di Altaforte, editore di CasaPound, che in catalogo ha il nuovo libro-intervista a Salvini e libri sul Terzo Reich. Una decisione inaccettabile. Il direttore Nicola Lagioia ha detto «che all’apologia del fascismo, all’odio etnico e razziale non deve essere dato spazio nel programma editoriale». Parole importanti. Ma anche se il libro di Salvini non sarà presentato è inaccettabile che il Salone del libro, la più importante fiera dell’editoria in Italia, fucina culturale e specchio della migliore cultura del Paese, accetti di fare da vetrina a chi propala una cultura dell’odio, basata su paranoiche teorie come quella attribuita (erroneamente) a Kalergi sulla sostituzione etnica. Teoria complottista citata dal leghista Salvini nel 2016. Difficile dunque non dare ragione a Christian Raimo che ha dato le dimissioni da consulente del Salone, allo storico Carlo Ginzburg che ha deciso di non andare a Torino per «decisione politica», a Settis e Montanari che hanno scritto: «Ci ribelliamo perché certe idee non vanno sdoganate» Comprendiamo l’indignazione di Carla Nespolo dell’Anpi e quella della direttrice Halina Birenbaum del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau che si sono rifiutate di dividere lo stesso spazio con chi, come l’editore di Altaforte, si dice fascista, pensa che il male dell’Italia sia l’antifascismo e che il duce fosse un grande statista.
Sperando ancora che, mentre scriviamo, la direzione del Salone decida di mettere alla porta fascisti e negazionisti (decisione arrivata finalmente nella giornata dell’8 maggio) , ci pare importante ricordare ancora una volta che l’articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di espressione, nel rispetto dei valori espressi dalla Carta, nata dalla lotta antifascista. La legge Scelba del 1952 e la legge Mancino del 1993 vietano l’apologia del fascismo: «La legge n. 645/1952 sanziona chiunque promuova o organizzi sotto qualsiasi forma, la costituzione di un’associazione, di un movimento o di un gruppo avente le caratteristiche e perseguente le finalità di riorganizzazione del disciolto partito fascista, oppure chiunque pubblicamente esalti esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche».
Al comizio del primo maggio il segretario generale della Cgil Maurizio Landini giustamente tornava a chiedere lo scioglimento di CasaPound. Nei mesi scorsi il Parlamento europeo ha votato una risoluzione per lo scioglimento di CasaPound e di gruppi simili i cui membri in Italia – ricordiamolo ancora una volta – si sono resi responsabili di aggressioni squadriste e di imprese criminali. Come quella compiuta dai due violentatori di Viterbo che poi hanno postato il video in gruppi facebook di neofascisti. Siano applicate le leggi! E al contempo lanciamo una grande mobilitazione antifascista. Urge un grande sommovimento culturale, occorre un netto rifiuto di tutte le forme di fascismo mascherate o palesi. Sedersi allo stesso tavolo e discutere amabilmente con chi è armato di spranghe fisiche e mentali non si può fare.
Resistenza e rifiuto, le armi della critica, capacità di reagire, questa è la lotta contro l’oppressione che oggi siamo chiamati a fare. Politici di sinistra, intellettuali, giornalisti, facciamo sentire con forza la nostra voce, impedendo che questa peste fascista si diffonda e torni a farsi cultura dominante, dal momento che è già “cultura” di governo. I tribunali e la magistratura faranno il proprio dovere. Risultati importanti si segnalano anche in questi giorni con sentenze come quella del giudice Matilde Betti, che ha accolto il ricorso di una donna richiedente asilo ordinando al sindaco di Bologna di iscriverla all’anagrafe, di fatto intaccando uno dei capisaldi del decreto Salvini. Ma non basta, anche noi dobbiamo fare quotidianamente la nostra parte come operatori culturali e cittadini, studiando e divulgando la storia, accendendo senso critico e passione per il sapere. Dall’annullamento della memoria non può nascere un futuro pieno di senso. Liberiamo l’Italia, liberiamo l’Europa per costruire un futuro veramente democratico e antifascista, andando a votare il 26 maggio.

Articolo chiuso in tipografia martedì 7 maggio 2019 alle 15

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola dal 10 maggio 2019


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Ué, bentornata

TOPSHOT - An Austrian youth shouts slogans during a climate protest outside the Hofburg palace in Vienna as part of the "Fridays For Future" movement on a global day of student protests aiming to spark world leaders into action on climate change on March 15, 2019. - The worldwide protests were inspired by Swedish teen activist Greta Thunberg, who camped out in front of parliament in Stockholm last year to demand action from world leaders on global warming. (Photo by JOE KLAMAR / AFP) (Photo credit should read JOE KLAMAR/AFP/Getty Images)

A due settimane dal voto, gli addetti ai lavori sembrano concordi: le prossime elezioni non stravolgeranno l’Europa, i sovranisti probabilmente non ce la faranno a prevalere, ma il quadro politico che uscirà dalle urne il 26 maggio sarà molto fragile. Resta l’incognita dell’influenza dei social com’è avvenuto al tempo dell’ascesa di Trump ma anche il “non voto” farà la sua parte, specie in Italia dove, alle scorse europee del 2014 si è registrata la più bassa affluenza di sempre (57,2% contro l’85 della prima volta). Dal ’79 l’affluenza è crollata dal 62% al 42,61 nell’Ue, dal 66% al 48 in Germania, in Francia dal 61% al 42.
Sebbene Eurobarometro segnali che sempre più europei pensano che essere membri dell’Ue sia positivo per il proprio Paese, solo il 36% degli italiani la pensa così, meno che nel Regno Unito, alle prese con la Brexit, dove il 43% si è espresso in modo positivo. Nella stessa ricerca del servizio della Commissione europea che misura dal ’73 le tendenze dell’opinione pubblica, alla domanda su che cosa voterebbero in un referendum sull’exit, gli italiani risponderebbero “restare” al 49% ma il 32% (il numero più alto di tutta l’Ue) non saprebbe cosa fare, e il 19 voterebbe per uscire.
Il 51% ritiene che la voce dei cittadini non sia tenuta in conto nell’Ue mentre la voce di Bruxelles pesi moltissimo sulle loro esistenze. Da qui il rischio di una disaffezione delle urne. Solo un terzo degli interpellati sa che le europee si terranno a maggio e solo il 5% ne conosce la data precisa. Il 35% voterà quasi certamente e 32 su cento sono indecisi. Le priorità indicate sono economia e crescita per il 50% seguite da disoccupazione giovanile (49), immigrazione (44), cambiamento climatico (43), terrorismo (41%). Negli stessi giorni anche WinPoll ha realizzato un sondaggio chiedendo due c…

L’inchiesta di Checchino Antonini prosegue su Left in edicola dal 10 maggio 2019


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L’arma della cultura contro l’internazionale nera

Un momento del corteo di protesta nei confronti del Congresso Mondiale delle famiglie, Verona, 30 marzo 2019. ANSA/FILIPPO VENEZIA

Potremmo ancor essere libere e liberi di divorziare? Potremmo ancor essere libere di abortire?
Corre l’anno 2013. A Londra si riuniscono circa 20 leader e consulenti strategici pro-vita, adiacenti ad ambienti istituzionali vaticani, pittoreschi gruppetti di aristocratici europei e messicani, miliardari contrari al diritto di aborto, negazionisti al tempo stesso dei cambiamenti climatici con lo scopo di creare una “rete sociale / politica” volta all’arretramento dei diritti umani e civili in Europa.
Nasce così “Agenda Europa”: un anonimo blog che si occupa di criticare progressi legali e politici quanto a riconoscimento e salvaguardia dei diritti umani e civili in Europa, aggiornato con cadenza settimanale.
L’anonimo blog è solo la punta di un articolato iceberg dato da un ben più fitto e liberticida tessuto sociale e politico che trova altre proprie forme in incontri annuali che gli organizzatori etichettano
“Summit” (da tenersi di volta in volta in differenti Paesi europei, il 2014 è stata la volta della Germania, l’anno successivo l’Irlanda è divenuta protagonista di tale adunanza mentre alla Polonia è toccato nel 2016 e nel 2019 Verona è stata città “palco” del Congresso Mondiale delle Famiglie con tanto di partecipazione istituzionale italiana) e un manifesto comune intitolato “Ristabilire l’Ordine naturale: un’Agenda per l’Europa”.
Ricalcando la celebre massima del film Fight club: “La prima regola di Agenda Europa è che non si parla di Agenda Europa”.

È il 2017 l’anno in cui un certo numero di documenti arriva ad ARTE Television, emittente televisiva franco-tedesca, a vocazione europea di servizio pubblico.
Si inizia a parlare di obiettivi di “Agenda Europa”: “famiglia tradizionale” e matrimonio indissolubile teso alla procreazione, abrogazione di leggi su divorzio e unioni civili, abrogazione di leggi disciplinanti il diritto di aborto che includano contraccezione e visite diagnostiche prenatali di pari passo con l’abolizione di leggi a favore dell’eguaglianza e della non discriminazione a livello nazionale.
Posto che la civiltà di un popolo si misura in termini di riconoscimento, affermazione e tutela di diritti umani e civili, minarli, destrutturarli, renderli più difficoltosi e costosi nella lor concretizzazione significa avviarci ad un tetro “medioevo culturale”.

Un fronte internazionale di liberticide idee di matrice di integralismo cattolico, evangelico e ortodosso in grado di contare sull’appoggio di flussi economici immani provenienti da società statali russe e dal regime dell’Azerbaijan, lo Stato da cui parte peraltro il contestato gasdotto Tap.
Denaro “nero” che arricchisce beneficiari misteriosi e conti di politici italiani, ivi incluso Luca Volontè, ora imputato in un processo a Milano. Tesorerie offshore con redistribuzione di denaro in Italia, Spagna, Usa, UK, Polonia, Ungheria. “Fiumi” di denaro che finanziano organizzazioni religiose di destra cui appartengono il leghista Ministro per la famiglia e le disabilità, Lorenzo Fontana e il senatore leghista Simone Pillon, autore del contestato ddl in materia di affido condiviso e scientificamente sbugiardata sindrome da alienazione parentale (nota come PAS sostenuta da tal psichiatra Richard Gardner auto finanziatore di proprie opere con posizioni favorevoli alla pedofilia).
“Maree” di denaro dall’ambigua tracciabilità che finanziano anche istituti cattolici integralisti quali la Dignitas Humanae che tra il 2015 e il 2017 introduce in Vaticano Steve Bannon, ideologo della nuova destra sovranista, ex consigliere di Trump, attivo in Europa.
Ideologi liberticidi, esecutori e finanziatori che muovono loro pedine in assetti governativi europei.
Specifiche risoluzioni comunali a favore di “ famiglia tradizionale” e contrarie al diritto di aborto, tutte uguali, ddl nazionali e proposte di regolamenti e direttive comunitarie a favore degli obiettivi elencati in Agenda Europa approdano così in maniera omogenea nei “palazzi del potere” in Europa e nei suoi singoli Stati.

Il Forum parlamentare europeo su popolazione e sviluppo che per primo ha focalizzato l’attenzione su tal documento, invita tutte noi persone che abbiamo a cuore la libertà e i diritti umani e civili acquisiti nel corso del tempo a renderci consapevoli circa tali idee ultra conservatrici.
Perché solo con le “armi” della consapevolezza e della cultura possiamo proteggere noi stessi, esseri umani liberi e salvaguardare un’Europa moderna, rispettosa e inclusiva di tutte e tutti.
È ora di riempire di colori dell’arcobaleno le galere di odio tracciate dalla destra ideologica.

L’attacco ai diritti umani e civili in Europa da parte delle destre e degli integralisti religiosi è il tema dell’incontro che il Laboratorio politico Left Massa-Carrara propone sabato 11 maggio (ore 16.30) presso la sede Anpi in piazzale Partigiani a Massa. Partecipano Silvana Agatone (presidente Laiga per l’applicazione della 194/’78), Cathy La Torre ( co-fondatrice Gay Lex, avvocati e attivisti per i diritti Lgbt) Marilena Grassadonia (ex Presidente “Famiglie Arcobaleno” e capolista europee Centro Italia per “La Sinistra”). Introduce Vale Aurino

La sicurezza

20070910 - MILANO - CRO - SCUOLA: DA OGGI PRIMI RIENTRI - Studenti di una scuola elementare di Milano entrano nelle loro classi. Sono circa 9 milioni gli studenti che da oggi al 18 settembre tornano a scuola dopo le vacanze estive. ANSA/ DANIEL DAL ZENNARO/DEB

È sicuro avere una classe dirigente che si occupi del bene comune interessandosi del bene comune e non del guadagno particolare. Questa è sicurezza.

È sicurezza avere una scuola in cui non si corra il rischio che cada un pezzo di muro, un pezzo di tetto o che non abbia file di alunni con il rotolo di carta igienica portata da casa e pacchi di fogli per dare da mangiare alla fotocopiatrice. Questo è sicuro.

È sicurezza un Paese in cui si garantisce il diritto di dissentire nei limiti della Costituzione senza essere additati da ministri vari o senza rischiare la propria incolumità fisica. Questo è sicuro.

È sicurezza non essere lasciato solo dopo una denuncia, non valere solo per il tempo della compilazione del foglio di carta ma sentire uno Stato che ti protegge anche per tutte le volte che hai deciso di esporti e denunciare. Questo è sicuro.

È sicurezza non morire andando al lavoro, non dover soffrire per arrivare puntuale, non doversi affannare per un pullman che dovrebbe esserci e invece non c’è, è sicuro vivere in un Paese in cui la libera circolazione venga garantita in modo adeguato e a costi adeguati. Questo è sicuro.

È sicurezza non avere la colpa di essere vecchi, magari per di più malati, e non dovere elemosinare una cura che si è ampiamente pagata con tutti gli anni di lavoro alle spalle, che si è meritata per i decenni di onorata cittadinanza. È sicuro un Paese che non lascia solo nessuno. Questo è sicuro.

È sicurezza avere una struttura sanitaria che si prenda cura di una qualsiasi malattia in tempi umani, senza aspettare di intervenire quando ormai è troppo tardi per colpa di un esame pubblico spostato troppo in là e un esame privato che sarebbe costato troppo. Questa è sicurezza.

È sicuro avere la possibilità di lavorare. Di non restare ai margini di una società economicamente costosa e che ripudia la povertà. Questa è sicurezza.

È sicuro non cadere nel gorgo dei diversi o degli stranieri, ritrovandosi a dover elemosinare diritti che ci spetterebbero per legge e che invece ci vengono rivenduti come concessioni.

È sicuro viaggiare su autostrade, ponti e gallerie che non contengano cemento depotenziato per farci stare le tangenti delle mafie. Questo è un Paese sicuro.

È sicuro svegliarsi al mattino con la sensazione di farcela, di potersi costruire un futuro. Questa è sicurezza.

Buon giovedì.

 

Siri cade, il governo no. Avanti con la prossima farsa giallonera pre-elettorale

Il vice premier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ospite della trasmizzione 'Povera Patria', sullo schermo immagine di Armando Siri, Roma 6 maggio 2019. ANSA/GIUSEPPE LAMI

«Ho la piena fiducia di tutti? Questo è un passaggio di alta valenza politica e sia chiaro che ci deve essere la piena condivisione del metodo e anche della soluzione che oggi porto», ha detto il premier Conte, secondo quanto spiegano fonti di governo, chiedendo ai ministri la testa del sottosegretario Armando Siri indagato per “promessa o dazione” di 30mila euro. E la risposta, spiegano le stesse fonti, è stata positiva da parte di tutti i ministri presenti. «Il Consiglio dei ministri – recita il comunicato finale – sentito dal presidente Giuseppe Conte in ordine alla proposta di revoca della nomina del senatore Armando Siri a sottosegretario di Stato concertata con il ministro delle Infrastrutture e trasporti, ne ha preso atto, confermando piena fiducia nell’operato del presidente del Consiglio e ribadendo che la presunzione di non colpevolezza è un principio cardine del nostro ordinamento giuridico». La revoca dell’incarico a Siri è avvenuta senza una votazione come fu anche nel caso di Vittorio Sgarbi con procedura analoga a quella della sua nomina, stabilita dall’articolo 10 della L. 400/1988: «I sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri». Nel caso di Siri, la revoca è stata proposta dal premier Giuseppe Conte, di concerto con il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli, sentito il Cdm. Ora il decreto arriverà alla firma del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ma il passaggio, come confermato da alcuni precedenti, è solo formale.

Siri dunque è fuori dal governo, che non cadrà per questo, anche se nulla sarà come prima. Perché oggi era Siri, domani sarà il regionalismo, forse, o la flat tax, i cantieri, magari il Tav. E come altrimenti leggere la denuncia per apologia di fascismo che Chiara Appendino, sindaca di Torino, ha presentato contro la casa editrice di Casapound? Il tasso di polemica tra il giallo e il verde è destinato a salire ancora in vista del traguardo delle europee. Nessuno scommette sulla fine di questo governo. Ma è una polemica artefatta, tutta e solo elettorale, basti pensare che Buffagni, uomo forte o ex uomo forte di Casaleggio nell’esecutivo, fiduciario di Di Maio, aveva tentato di parlare dal palco del 25 aprile milanese e ora i rumors lo danno in avvicinamento alla Lega grazie al suo legame con Giorgetti che, proprio stamattina avrebbe incontrato Salvini prima del Cdm. Giorgetti, stando al gossip, potrebbe prendere il posto di Conte nel caso in cui dopo le europee il governo gialloverde salti.

Il Cdm non ha quasi parlato d’altro, nonostante le dichiarazioni bellicose di Salvini alla vigilia, quando ha ammesso che la spaccatura con il M5S è «evidente» «non solo sul caso Siri». E ha alzato il tiro annunciando di voler porre sul tavolo flat tax e autonomia. Il voto in Cdm sulla proposta di revoca non è né necessario né vincolante. Non c’è stata e non era necessaria la conta e comunque non sarebbe stata verbalizzata. Lo scontro è fuori, con Di Maio che esulta e Salvini spara su Raggi, versione aggiornata del vecchi adagio “e allora il Pd?!”. «Prendo atto del fatto che la Raggi è indagata da anni ed è al suo posto. I nostri candidati sono specchiati. Se ci sono colpe di serie A e colpe di serie B, presunti colpevoli di serie A e di serie B – ha detto Salvini all’uscita – a casa mia se uno vale uno, inchiesta vale inchiesta. Noi abbiamo nessun problema, la questione morale riguarda altri. Mi dispiace che qualcuno si stia sporcando la bocca su Attilio Fontana». «In una giornata come quella di oggi in cui l’Italia è scossa da inchieste su temi che riguardano la cosa pubblica, per me è altrettanto importante che il governo oggi abbia dato un segnale di discontinuità rispetto al passato», incassa pacato il vicepremier Luigi Di Maio al termine del Cdm. E sull’agenda di governo dice di voler lavorare contemporaneamente ad altre due controverse proposte, il salario mimino – che rischia di consentire ai padroni di aggirare la contrattazione nazionale collettiva – e la flat tax, una tassa che fa carta straccia della progressività fiscale scritta nella costituzione.

Da giorni la propaganda pentastellata, con un occhio ai sondaggi, batte sul tasto Siri: «Faccio un ultimo appello alla Lega, di far dimettere Armando Siri e non arrivare alla conta» ha scritto il Blog delle Stelle prima del Cdm rilanciando le parole di ieri di Di Maio: «Da noi chi sbaglia è fuori in 30 secondi, fate la stessa cosa anche voi! Lo dico al Pd, lo dico a Zingaretti: metta fuori dal suo partito il governatore della Calabria e ne chieda le dimissioni. Lo dico a Forza Italia, di espellere tutti i coinvolti nell’inchiesta di corruzione lombarda. Dico a Fratelli d’Italia di chiarire su questo presunto finanziamento illecito». Ma è stato gelo prima della riunione, senza contatti tra il premier e i due vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, nessun dialogo tra M5S e Lega.

Sul fronte giudiziario, l’oramai ex sottosegretario Siri, come spiega in una nota il suo difensore, «ha messo spontaneamente a disposizione dei pm la documentazione contabile nella sua disponibilità, avente ad oggetto il complesso dei propri movimenti bancari e finanziari». Davanti ai pm di Roma, Siri ha definito «assolutamente condivisibili» le proposte emendative sul minieolico poi non approvate in sede legislativa. Emendamenti che l’esponente della Lega giudica «del tutto coerenti, politicamente – aggiunge il legale – con il cosiddetto contratto di Governo e le indicazioni di programma della Lega e del M5S: tutte orientate, in materia di sostegno del fabbisogno energetico e tutela ambientale, a imprimere una fortissima accelerazione al mercato delle piccole installazioni che producono energia da fonte eolica». Siri si dichiara «fiducioso nell’esito positivo della vicenda che lo vede suo malgrado coinvolto e ha manifestato ai Magistrati la più completa disponibilità ad offrire qualsiasi ulteriore contributo conoscitivo gli venisse ancora richiesto». Oltre ai conti bancari, nella memoria anche tutti gli scambi di messaggi, telefonici e di posta elettronica, intercorsi con l’imprenditore Paolo Arata, indagato anch’egli per corruzione, che «già noto quale tecnico esperto di rango in materia ambientale ed energetica, si era presentato a lui quale portavoce e rappresentante sostanziale del Consorzio dei Produttori di Energia da Minieolico, un «ente rappresentativo d’interessi collettivi, accreditato per tale al Registro Trasparenza dei portatori d’interesse, istituito presso il Ministero dell’Industria e dello Sviluppo Economico, il cui vertice apicale è l’onorevole Luigi Di Maio».

E ieri, Arata, di fronte ai pm è stato sentito per quasi tre ore ma il verbale è stato secretato. I magistrati lavorano a un nuovo capitolo nell’inchiesta che vede indagati per corruzione l’ex parlamentare genovese e l’esponente della Lega, sul quale si indaga a Roma per una «promessa o dazione» di 30mila euro in cambio di una «sponsorizzazione» per l’inserimento di emendamenti per incentivi per il cosiddetto mini-eolico. Nel corso del confronto è presumibile che gli inquirenti abbiano chiesto chiarimenti soprattutto sulla lunga intercettazione ambientale, presente in una informativa della Dia di Trapani, in cui l’imprenditore parlando con il figlio, nel settembre scorso, tira in ballo il sottosegretario alle Infrastrutture.

Nel decreto di perquisizione del 18 aprile scorso i magistrati romani, definiscono come «stabile» l’accordo tra «il corruttore Arata ed il sottosegretario (di cui Arata è stato anche sponsor per la nomina proprio in ragione delle relazioni intrattenute), costantemente impegnato – attraverso la sua azione diretta nella qualità di alto rappresentate del Governo ed ascoltato membro della maggioranza parlamentare – nel promuovere provvedimenti regolamentari o legislativi che contengano norme ad hoc a favorire gli interessi economici di Arta». Per l’accusa Siri nella sua «duplice veste di senatore della Repubblica e sottosegretario alle Infrastrutture» nella «qualità di pubblico ufficiale» avrebbe asservito «le sue funzioni e i suoi poteri ad interessi privati». Una azione, per i magistrati della Capitale, messa in atto «tra l’altro proponendo e concordando con gli organi apicali – si afferma nel decreto – dei ministeri competenti per materia (ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, ministero dello Sviluppo economico, ministero dell’Ambiente) l’inserimento in provvedimenti normativi di competenza governativa di rango regolamentare (decreto interministeriale in materia di incentivazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile) e di iniziativa governativa di rango legislativo (legge Mille proroghe, legge di Stabilità, legge di Semplificazione) ovvero proponendo emendamenti contenenti disposizioni in materia di incentivi per il cosiddetto ‘mini-eolico’». Per Siri quella di Roma non è l’unica grana giudiziaria. Negli ultimi giorni la Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo, cioè senza ipotesi di reato né indagati, sulla vicenda della compravendita di una palazzina a Bresso, comune ai bordi della Brianza, per la figlia, realizzata accendendo un mutuo di circa 600mila euro presso la Banca agricola commerciale di San Marino. Un mutuo ottenuto senza garanzie.

Altro che manifesto di Calenda, costruiamo una grande casa a sinistra

Qualcuno dice che il 4 marzo 2018 è cambiato tutto. Il che ha un fondo di verità. Un governo inedito per la storia di questo Paese. Due forze politiche, molto diverse fino al giorno del voto, che però si mettono insieme per comporre una maggioranza e danno vita a uno strano amalgama, fatto di tratti reazionari e regressivi ma anche di quel collegamento con le questioni sociali (affrontate nel modo peggiore) che hanno le forze che un po’ troppo sbrigativamente vengono definite populiste. Sono arrivate le destre al governo, si potrebbe semplificare. Eppure, in quello spartiacque, così come viene definito il 4 marzo, avremmo dovuto mostrare meno sorpresa di quella che abbiamo espresso. Ci siamo accorti quel giorno che stava arrivando la destra? Abbiamo capito soltanto quel giorno ciò che era già successo in giro per il mondo? Perché tanto stupore davanti al successo clamoroso di forze politiche che si sono alimentate di quella rabbia sociale rispetto alla quale la sinistra, alla prova del governo, spesso non solo non ha rappresentato l’antidoto ma ne è stata l’origine?

Il punto è tutto qui. Le ragioni che hanno portato molti di noi a fare la scelta di abbandonare vecchie case politiche e di dar vita, ad esempio, all’esperienza di Liberi e uguali, con un tentativo generoso ma tardivo, restano tutte in piedi. E stanno dentro la necessità non solo di ricucire il filo spezzato tra l’idea di sinistra, chi la interpreta e le parti di società che vorrebbe rappresentare, ma anche nell’immaginare il profilo di una sinistra del nuovo secolo. Che per me vuol dire recuperare antiche categorie e precipitarle nel tempo nuovo. Come riscoprire che nel capitalismo delle piattaforme digitali si sta consumando il vecchio conflitto tra capitale e lavoro in forme inedite. Affermare che una patrimoniale sulle grandi ricchezze è lo strumento per contrastare una società divisa per classi. Sostenere che i grandi squilibri ambientali e climatici sono l’origine di una gigantesca migrazione di massa, che produce ulteriori disuguaglianze e marginalità e che per questa ragione non è più rinviabile il progetto di un Green new deal, per un enorme piano di investimenti pubblici per la transizione ecologica. Vuol dire recuperare una vecchia battaglia del movimento operaio e riproporre il tema della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario nel tempo della robotizzazione e dei processi di automazione, senza avere un approccio luddista ma anzi piegando la traiettoria dell’innovazione tecnologica ai bisogni dei lavoratori e della persona. Pensiamo che tutto questo si risolvi con una discussione, surreale, sull’Europa, dove per contrastare i cosiddetti “barbari” dovremmo mettere insieme un fronte repubblicano che difenda l’Europa così com’è?

Il manifesto di Calenda, per intenderci, con il suo impianto neoliberista, è la migliore assicurazione sulla vita delle destre (e questa è la ragione per cui non abbiamo condiviso la scelta di chi, in assenza della politica, ha deciso di sciogliersi dentro quella proposta elettorale). Nella contrapposizione tra sovranisti e difensori dello status quo c’è un terzo spazio che va occupato. Lo spazio della Sinistra. Di chi pensa che vada definitivamente superato il Fiscal compact, di chi vuole mettere in campo una lotta serrata alle diseguaglianze, di chi pensa che la Banca centrale europea non possa limitarsi al ruolo di guardiano dell’inflazione, di chi vuole più diritti e tutele per i lavoratori e pensa che l’ambiente non debba essere un semplice paragrafo dei programmi elettorali, ma motore di sviluppo e occupazione di qualità, di chi pensa che le disuguaglianze non si contrastano con le prebende ma con un massiccio investimento nei beni pubblici, dalla sanità alla scuola. Di questo abbiamo discusso il 13 aprile a Firenze, nel corso di una assemblea a cui hanno preso parte donne e uomini provenienti da tutta Italia. In quell’occasione abbiamo lanciato un movimento (che abbiamo chiamato èViva) che vuole coltivare questo orizzonte. Insieme ai tanti che da tempo ragionano con la stessa passione di un’idea diversa di Europa e del mondo. L’incontro, fortunato e felice, con Diem25 ha questo significato. Insieme al movimento di Yanis Varoufakis ci siamo assunti l’impegno di dar vita, entro l’autunno, alla costituzione di un soggetto politico. L’ennesimo? No. Lavoreremo, con tutti quelli che ci stanno (e secondo noi non sono pochi) perché sia l’unico. Un’unica grande casa politica. Perché c’è un solo modo, questo sì antico, per contrastare la destra. Che è tornare a fare la sinistra.

Francesco Laforgia è senatore eletto nelle liste di Mdp-Art 1- Liberi e uguali. Il 13 aprile, insieme a Luca Pastorino e agli autoconvocati di Leu, ha fondato il movimento èViva, che alle europee appoggerà la lista La Sinistra

L’articolo è stato pubblicato su Left del 19 aprile 2019


SOMMARIO ACQUISTA

Il Salò del Libro

“L’antifascismo è il vero male del Paese”. L’ha detto all’Ansa Francesco Polacchi, capo di Altaforte, la casa editrice che tanto caos sta combinando sul Salone del libro di Torino. L’ha dichiarato così, come virgolettato. E subito mi viene da chiedere che tipo di interlocuzione pensano di avere coloro che continuano a dirmi «bisogna andare e confrontarsi». Con chi? Su cosa? Ma non è tutto.

Polacchi ha anche detto: «Io sono fascista». Così. In scioltezza.

Questo è il livello.

Il problema è che andrebbe tutto risolto alla base. Quella casa editrice non ha motivo di essere in un Paese che ha le leggi che abbiamo. Punto. E dovrebbe intervenire, d’ufficio, la magistratura.

E siccome la magistratura non interviene dovrebbe farlo, d’ufficio, l’istituzione, qualsiasi essa sia: Comune, Regione e, perché no, la direzione del Salone del libro. Hanno cercato la provocazione. L’hanno trovata. Si sono fatti pubblicità. Ma il limite di ciò che è potabile è stato sorpassato da un pezzo. Una casa editrice che porta avanti l’apologia al fascismo dovrebbe andare in qualche periferia a bruciare libri piuttosto che insozzare quelli degli altri.

Uno che all’Ansa si dice fieramente fascista va indagato e condannato piuttosto che darci lezioni di storia e letteratura.

Questa vicenda sta assumendo contorni sempre più imbarazzanti per le persone coinvolte. Se qualcuno sperava che questi stessero al loro posto a fare semplicemente i poveri standisti è un illuso che non ha capito la loro solita strategia. Ogni giorno che passa aumenterà il vittimismo, ogni giorno che passa aumenterà lo scontro sociale.

Contenti voi.

Buon mercoledì.