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Il decreto Salvini si sgretola: ecco perché i richiedenti asilo possono iscriversi all’anagrafe

Il corteo di protesta, per l'arrivo in citta' del ministro Matteo Salvini, dei centri sociali e dei movimenti, Napoli, 2 ottobre 2018. ANSA/ CIRO FUSCO

Da marzo tutti gli stranieri richiedenti asilo avranno diritto alla iscrizione immediata nei registri anagrafici della popolazione residente in ogni Comune d’Italia. La recente ordinanza del Tribunale di Firenze del 18 marzo scorso (n. 361/2019), che ha imposto al Comune di Scandicci l’immediata iscrizione nell’anagrafe comunale di un richiedente asilo, sta facendo scuola. Alta scuola di giurisprudenza.

Perché il giudice della IV Sezione civile del Tribunale del capoluogo toscano ha accolto il ricorso di un richiedente asilo (a cui il Comune di Scandicci aveva respinto la domanda di iscrizione anagrafica, richiamandosi al cosiddetto Decreto sicurezza) sulla base di una «interpretazione letterale, sistematica e teleologica» dei testi di legge, italiani e comunitari in coerenza con l’intero sistema normativo e sul piano costituzionale. Perché, si legge nell’ordinanza, la legislazione ordinaria «non fa sistema in sé medesima, bensì con la normativa costituzionale».

In parole semplici, l’ordinanza del Tribunale di Firenze ha chiarito, una volta per tutte, con estrema acutezza e competenza giuridica d’affondo, determinata ma sempre garbata, l’errore di interpretazione in cui è incorso il Comune di Scandicci che ha emanato il provvedimento di rigetto ritenendo che l’art. 13 della legge Sicurezza del 2018 «vieti ai richiedenti la protezione internazionale – benché regolarmente soggiornanti sul territorio – l’accesso alla residenza» in quanto l’inserimento del nuovo comma 1bis (all’art.4 del d.lgs n. 142/2018) stabilisce che «Il permesso di soggiorno (…) non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, e dell’art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».

Ovvero, l’errore del Comune di Scandicci è stato proprio quello del ritenere, ovvero dell’interpretare il testo alla luce delle intenzioni del governo, ovvero del ministro Salvini, invece di attenersi letteralmente al «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse» e secondo l’intenzione del legislatore. Perché la legge, una volta approvata, scrive il giudice, «si stacca dall’organo che l’ha prodotta e non viene più in rilievo come una “decisione” legata a ragioni e fini di chi l’ha voluta ma come un testo legislativo nell’insieme dell’ordinamento giuridico».

Proprio attraverso l’analisi delle parole del nuovo comma 1bis inserito nel Decreto sicurezza risulta palese che «tale disposizione non prevede in modo espresso alcun divieto di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo» ma solo che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non è più documento utile per la suddetta iscrizione. Attenzione: documento utile, non “titolo”. Perché, spiega il giudice, né nel Decreto sicurezza, né nel Regolamento anagrafico della popolazione residente (d.lgs n. 286/1998), tuttora vigente, si fa menzione di “titoli” che si rendono necessari per l’iscrizione all’anagrafe. Anzi, all’art. 6, comma 7, del suddetto Regolamento si legge che le «iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani». Perché l’iscrizione anagrafica, spiega il giudice, è un «diritto soggettivo» ma anche un «dovere» ai sensi dell’art. 2 della legge 1228/1954 che recita: «È fatto obbligo ad ognuno di chiedere per sé e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela, la iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale». E rispetto all’italiano, lo straniero dovrà solo dimostrare di essere regolarmente soggiornante in Italia, proprio come previsto dal Regolamento anagrafico.

Se si voleva vietare l’iscrizione anagrafica, spiega il giudice, «il legislatore avrebbe dovuto modificare il comma 7 dell’art. 6 del Testo Unico Immigrazione prevedendo un’esplicita eccezione per i richiedenti asilo». Ma non l’ha fatto, per cui i principi generali in materia di immigrazione che trattano di iscrizioni anagrafiche non sono stati per nulla modificati dal cosiddetto decreto sicurezza. Inoltre, spiega ancora il giudice, l’iscrizione anagrafica è un «atto meramente ricognitivo nel quale l’autorità amministrativa che vi provvede non ha alcuna sfera di discrezionalità, ma solo compiti di mero accertamento». Perché il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica ha rilievo costituzionale «in quanto trova il suo riferimento nell’art. 16 della Costituzione, relativo alla libertà di circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale».

Così come la parità di trattamento tra stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini (art. 117 Costituzione) garantito anche dall’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che «fissa il principio dell’inammissibilità di ogni discriminazione tra cittadini degli stati membri e stranieri regolarmente soggiornanti». Inoltre, evidenzia il giudice, dal momento che l’iscrizione anagrafica costituisce «una posizione per certi versi assimilabile ad uno status da cui promana una molteplicità di diritti (dall’accesso ai servizi e alle misure di politica attiva del lavoro fino al rilascio della patente di guida ed all’ottenimento della cittadinanza italiana)», il rifiuto del Comune di Scandicci di iscrivere il richiedente asilo alle liste anagrafiche costituisce «una lesione di un diritto soggettivo ed impedisce il godimento e l’esercizio effettivo dei diritti di rilievo costituzionale».

«Dopo questa sentenza – spiega l’avv. Andrea Callaioli di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), che sostiene la diffida al Comune di Pisa depositata, all’indomani della pubblicazione dell’ordinanza del Tribunale di Firenze, da Ciccio Auletta, capogruppo di “Diritti in Comune” (Una Città in Comune, Rifondazione Comunista, Pisa Possibile), contro l’errata applicazione della Legge Salvini – se un sindaco, in qualità di ufficiale di governo e quindi anche di ufficiale dell’anagrafe, si rifiutasse di dare la residenza a un richiedente asilo incorrerebbe nel reato di omissioni di atti d’ufficio perseguibile penalmente»

Luoghi da riscoprire: Palazzo Farnese a Caprarola

Un sabato di febbraio sono andata a Caprarola, piccola cittadina medievale situata nella Tuscia, una zona del Lazio settentrionale in provincia di Viterbo, il suo nome sembra derivi dai caprai che un tempo pascolavano le capre in questa zona.
Parcheggio la macchina all’inizio della via principale e comincio a camminare, la strada è dritta, lunga e in salita, realizzata nella seconda metà del Cinquecento spacca in due la cittadina, portando grandi cambiamenti all’impianto urbanistico e creando un asse prospettico cosi da mettere in risalto il grande edificio che si intravede in alto sullo sfondo. Man mano che salgo la vista è sempre più ampia, arrivata in cima mi appare in tutta la sua grandiosità e imponenza Palazzo Farnese (o Villa Farnese), uno dei più importanti palazzi rinascimentali-manieristi, fatto costruire dalla famiglia Farnese.
La facciata è imponente con i suoi 25 metri di altezza, 40 di lunghezza e scandita da tre ordini di cornicioni. Il piano nobile, in cui si trovano gli appartamenti privati del cardinale, è costituito da cinque grandi arcate chiuse da vetrate e incorniciate da lesene. Le vetrate aggiunte successivamente per proteggere gli affreschi chiudono quella che un tempo era una loggia aperta.
Per un attimo la mia memoria torna al lontano 1990 quando il palazzo venne utilizzato per girare il film La Condanna con la regia di Marco Bellocchio e la sceneggiatura dello psichiatra Massimo Fagioli, ma torniamo alla nostra storia.
Tra il 1530 e il 1546 per volere del cardinale Alessandro Farnese il vecchio ( Canino 1468 – Roma 1549 ) futuro papa Paolo III, vennero poste le basi per la costruzione di una fortezza, situata sull’altura dominante il borgo, per la difesa della famiglia minacciata dalla continua rivalità con le altre potenti casate. L’architetto designato alla realizzazione di questa grande opera fu Antonio da Sangallo il Giovane ( Firenze 1484 – Terni 1546 ) il quale progettò un edificio a pianta pentagonale che avrebbe dovuto dotarsi di 5 bastioni angolari. Ma i lavori vennero interrotti in seguito all’investitura del cardinale Alessandro come Papa Paolo III ( 1534 ) e alla morte del Sangallo.
Nel 1547 il nipote e cardinale Alessandro Farnese il Giovane (Valentano 1520 – Roma 1589 ) si rifugiò a Caprarola e decise di continuare il progetto del nonno, affidando i lavori che ripresero nel 1559 e terminarono nel 1575, all’architetto Jacopo Barozzi, detto il Vignola ( Vignola 1507 – Roma 1573 ) uno dei più importanti esponenti del manierismo.
Grazie a lui si deve l’attuale assetto dell’edificio, mantenne la pianta pentagonale originaria della fortezza, il fossato e sostituì i bastioni angolari con delle grandi terrazze affacciate sulla campagna circostante, realizzò quindi una residenza conforme alle esigenze di sfarzo e rappresentanza proprie di un palazzo rinascimentale.
La collina sottostante venne tagliata da un’ampia piazza a cui si accede da due grandiose rampe semicircolari, il palazzo risulta così isolato dal contesto cittadino, ma anche perfettamente integrato con il territorio circostante. Venne inoltre realizzata la lunga strada nel centro della cittadina ( attuale Via Filippo Nicolai ).
Arrivata in cima attraverso il ponte levatoio soprastante il fossato, il monumentale portale in peperino ed entro nel palazzo, costituito da cinque piani: i sotterranei, il piano dei prelati, il piano nobile, il piano dei cavalieri e il piano degli staffieri. Gli spazi sono organizzati secondo un ordine di simmetrie perfette e disposti in base alla loro funzione e alla gerarchia di chi li occupava. Il palazzo è diviso in due parti, gli appartamenti invernali e gli appartamenti estivi.
La sala in cui mi trovo è detta salone della guardia e fa parte del piano dei Prelati, dalle due grandi aperture situate nella parete frontale e nella parete di sinistra posso già intravedere le due grandi invenzioni architettoniche che rendono così originale Palazzo Farnese.
Oltrepasso l’apertura frontale e mi trovo nel bellissimo cortile circolare sul quale ruotano tutte le stanze del piano dei prelati e del piano nobile, gli ultimi due piani riservati alla servitù sono arretrati e restano nascosti alla vista.
Il progetto del cerchio iscritto nel pentagono venne ideato dal Sangallo e ripreso dal Vignola, rappresenta una grande novità per l’epoca. Sicuramente assume significati simbolici in quanto il cerchio rappresenta la continuità del tempo ed è forse una sorta di augurio per il mantenimento del potere del cardinale Farnese.
Il cortile è composto da due porticati sovrapposti, costituiti da arcate in corrispondenza delle porte di entrata alle sale degli appartamenti, nel piano nobile le arcate sono intervallate da balaustre per l’affaccio al cortile. Le volte a botte dei porticati vennero magnificamente affrescate da Antonio Tempesta (Firenze 1555 – Roma 1630) pittore e incisore italiano del primo periodo barocco, formatosi nella cultura del tardo manierismo. Sono raffigurati una serie di stemmi araldici, i quali indicano le famiglie di appartenenza legate alla famiglia Farnese.
Camminando verso il centro del cortile sul pavimento in pendenza, trovo un mascherone in pietra bianca che ricorda la bocca della verità, utilizzato per la raccolta dell’acqua piovana.
Lascio il cortile per entrare nel vano dove è presente l’altra grande invenzione del Vignola, la Scala Regia, detta anche “scala del cartoccio” perché sembra che il cardinale Farnese la usasse per inviare messaggi alla servitù, lanciando piccoli cartocci dall’alto in basso sfruttando la particolare struttura della scala stessa.
Qui mi torna di nuovo alla mente il film “La Condanna”, l’immagine è quella della protagonista che scende velocemente la scala per raggiungere l’uscita, cercando di scappare dall’uomo incontrato nelle sale del palazzo, mentre lei passeggiava tranquilla.
La meravigliosa scala in peperino grigio, si sviluppa dal piano seminterrato, dove gli ospiti arrivavano con le loro carrozze, fino al piano nobile. L’intero ambiente è coperto da una volta a catino affrescata da grottesche ed arabeschi, di autore ignoto, al centro della volta è posizionato l’armoriale dei Farnese, una raccolta di armi e di stemmi della famiglia.
La novità assoluta dello scalone è rappresentata dalla sua forma a chiocciola o elicoidale, in quanto le scale a chiocciola nelle residenze nobiliari sono sempre state utilizzate come spazio di servizio, mentre qui diventa spazio di rappresentanza.
La salita è scandita da doppie colonne doriche a cui corrispondono, sulle pareti frontali, altrettante semicolonne incluse in una ricca decorazione, che raggiunge elaborazioni di grande fasto, mi ritrovo circondata da stupende grottesche eseguite da Antonio Tempesta e i suoi allievi.
Qui apro una parentesi per parlare delle grottesche. E’ una particolare decorazione pittorica parietale, risalente alla pittura romana di epoca augustea, venne trovata a Roma nei resti dei sotterranei della Domus Aurea di Nerone (le cosiddette “grotte”) e fu riscoperta e resa nota a partire dal ‘400. E’ caratterizzata da forme quasi calligrafiche per la loro sottigliezza, spesso su fondo bianco o comunque monocromo, mantenendo una leggerezza particolare della decorazione. Sono raffigurate forme vegetali miste a figurette umane, animali stravaganti e scenette narrative, sono molto colorate e danno origine a cornici, effetti geometrici, intrecci ed altro.
All’interno dell’edificio si sviluppano straordinari cicli pittorici del tardo manierismo raffiguranti temi allegorici, mitologici e biblici di rimando ai fasti e le glorie della casata e dei suoi componenti più illustri. I temi degli affreschi furono ispirati dal poeta e drammaturgo Annibal Caro che servì il Cardinale Alessandro dal 1548 fino alla morte.
I protagonisti di questi meravigliosi affreschi oltre ad Antonio Tempesta sono, il Vignola, Taddeo e Federico Zuccari, Jacopo Zanguidi detto il Bertoja, Raffaellino da Reggio, Giovanni Antonio da Varese e Giovanni de Vecchi.
Esco da una delle sale degli appartamenti privati del cardinale, passo il ponte sopra il fossato e mi trovo nei giardini del palazzo. Si dividono in “giardini bassi” o “segreti” e “giardini di sopra”, furono realizzati in tempi diversi anche se derivano da uno stesso progetto a capo del quale ci fu Vignola.
Alla loro realizzazione parteciparono anche Giacomo del Duca e Giacomo Rainaldi. Esiste una stretta correlazione topografica tra giardini e palazzo. Il Vignola realizzò una sintesi tra natura ed artificio architettonico sfruttando le sorgenti collinari per l’alimentazione delle fontane. All’interno del complesso gli assi prospettici dei due giardini segreti partono a ventaglio dalle due facciate e attraverso ponti levatoi si concludono nelle fontane “dei satiri” e “della venere che sorge dal mare”. Il viale della collina retrostante il palazzo fu livellato e piantato, per godere del bosco circostante, della varietà di fiori e piante, delle architetture e dei giochi d’acqua.
Concludo questa bellissima visita a palazzo Farnese, ammirando e passeggiando tra grandiose fontane e giochi d’acqua, ninfei, casine del piacere, padiglioni, statue e cariatidi, aiuole disegnate a formare giardini all’italiana e un parco monumentale.

C’è altro, rispetto all’arbitro donna offesa in diretta

«Si torna così alla selezione delle donne che parte dall’alto, alla scelta di collaboratrici che assicurano obbedienza, e si rinuncia a ogni possibilità di aprire un vero dialogo, libero e coraggioso, fra donne che amano la Chiesa nella libertà e uomini che ne fanno parte. Si torna all’autoreferenzialità clericale (…). Di conseguenza non possiamo che dichiarare concluso il nostro lavoro, interrotto bruscamente benché ci siano ancora progetti aperti – per esempio l’approfondimento dei cinque sensi – e articoli commissionati o addirittura scritti. Ma riteniamo necessaria questa scelta per salvaguardare la nostra dignità ed evitare così il processo di logoramento purtroppo già in corso».

Si sono dimesse tutte le donne della redazione del mensile “Donna chiesa mondo” dell’Osservatore Romano. Mica una, due. Tutte. Tutte. Il motivo l’hanno scritto in una lunga lettera al Papa che non lascia scampo a troppe interpretazioni:

«Come ben sa, non siamo state noi a parlare per prime, come forse avremmo dovuto, delle gravi denunce dello sfruttamento al quale numerose donne consacrate sono state e sono sottoposte (sia nel servizio subordinato sia nell’abuso sessuale) ma lo abbiamo raccontato dopo che i fatti erano emersi, anche grazie a molti media. Non abbiamo più potuto tacere: sarebbe stata ferita in modo grave la fiducia che tante donne avevano riposto in noi.

Ora ci sembra che un’iniziativa vitale sia ridotta al silenzio e che si ritorni all’antiquato e arido costume della scelta dall’alto, sotto il diretto controllo maschile, di donne ritenute affidabili. Si scarta in questo modo un lavoro positivo e un inizio di rapporto franco e sincero, un’occasione di parresia, per tornare all’autoreferenzialità clericale. Proprio quando questa strada viene denunciata da Lei come infeconda».

Siamo alle solite: le donne funzionano solo quando bisogna sventolarle come simbolo. Però non devono mica pensare, giudicare né tantomeno scrivere. E non è solo una questione di Chiesa. Purtroppo no.

Jeux dangereux

The Minister of the Interior and League leader Matteo Salvini during the party organized by the Ac Milan support for the 50th anniversary of the Curva Sud Milano, in Milan, Italy, 16 December 2018. ANSA / MATTEO BAZZI

Déjà depuis septembre dernier, entre deux tweets, le ministre de l’Intérieur trouvait le temps de participer à des émissions sportives : l’occasion de commencer à proposer sa pensée de supporter, se targuant d’avoir des années de kop à son actif. « Des subventions économiques, des défiscalisations, des aides et des primes pour les sociétés qui investissent dans les jeunes italiens », réclamait-il sans avoir aucun titre pour le faire à part celui de supporter milaniste, inquiet à cause du début de saison peu réjouissant de son équipe qui, pourtant, « faisait jouer plus d’italiens » que les autres clubs. Personne ne lui a demandé si, par italiens, il entendait également les joueurs nés en Italie de parents étrangers et ensuite naturalisés ou encore ceux qui avaient obtenu la nationalité italienne avec plus de facilité grâce à leurs performances sportives.

Vingt ans après l’”inquiétude” de Jean-Marie Le Pen concernant l’équipe de France, Salvini voulait peut-être assurer au football italien un avenir “blanc” dans lequel il pourrait se reconnaître physiquement ? En entendant les représentants de son parti, la Ligue, exprimer leur inquiétude à propos de la « substitution ethnique », représentants qui ne se sont jamais démentis sur le sujet, un doute survient. Mais peut-être sommes-nous victimes de nos préjugés. En effet, nombreux sont les tweets (rien à voir avec les lois) que le ministre consacre aux sportives qui, en athlétisme comme en volley-ball, font honneur à “la fierté italienne” malgré leurs origines “étrangères”. Mais ceci est une autre histoire.

En réalité, ces tweets n’étaient qu’un avant-goût de ce qui allait se passer. En très peu de temps, les choses se sont accélérées, amenant Salvini à occuper l’un des seuls espaces du journalisme, de la radio et de la télévision dont il s’était jusque-là tenu à distance : les émissions “sportives”. Pas en qualité d’athlète, évidemment – peut-être le verrons-nous sous peu en uniforme de sportif aussi – mais en qualité de capitaine, de puissant porte-parole d’un message qui vise le stade, centre d’un espace plus étendu au sein duquel le ministre tente d’imposer un système idéologique hégémonique.

Il ne s’agit pas ici d’établir une théorie du complot mais d’observer une simple succession d’évènements qui n’ont évidemment pas été déterminés par Salvini, mais qui lui ont servi à construire une nouvelle narration de soi et de son credo. Cet homme connaît le fonctionnement des Ultras : s’il se fait prendre en photo avec un meneur de kop criminel récidiviste et considéré socialement dangereux (mais italien) durant l’anniversaire de la fondation du kop de l’AC Milan (dont la propriété est aujourd’hui entre des mains chinoises, après l’externalisation opérée par Berlusconi, l’ancien propriétaire du club), il le fait tout en sachant qu’il attire ainsi sur lui une attention positive, et pas seulement celle des supporters Rossoneri. Se donner une identité, et même la revendiquer de la manière la plus inappropriée qui soit pour un ministre de l’Intérieur, cela signifie reconnaître tous les supporters, respecter et être respecté par des identités similaires puisqu’adverses seulement sur le terrain, et définir un cadre spatio-temporel à l’intérieur duquel on s’affronte, on s’insulte, on hurle, mais on parle la même langue.

L’essence du souverainisme appliquée aux kops pour définir des frontières nettes, des alliances et des hostilités, des jumelages et des rivalités. Une vision du monde statique, aux codes impeccables et insurmontables, comme les murs et les frontières construits pour bloquer les migrations, comme les ports fermés aux migrants, et dans laquelle ceux qui sont à l’intérieur se reconnaissent dans une dimension terriblement ambiguë qui évoque une idée de communauté repliée sur elle-même. Une vision du monde de ce genre se nourrit d’autres éléments ; les affrontements qui ont conduit à la mort du supporter néofasciste à Milan il y a quelques semaines lui ont servi de tremplin. Introduire dans le stade, parmi les supporters et en même temps à l’extérieur, dans les strates les plus atomisées de la société, une vision totalement disciplinée de la vie des individus.

Par rapport au passé, nous pouvons remarquer des éléments de changement et de continuité. Un instrument existait déjà et il est aujourd’hui devenu l’élément fondamental qui permet d’identifier en tout lieu la personne en tort. Le Daspo (« Divieto di accedere alle manifestazioni sportive », Interdiction d’accès aux événements sportifs), mesure législative italienne créée pour empêcher les individus qui se seraient rendus coupables de désordres et de violences d’accéder au stade, naît dans le sillage de la Convention européenne sur la violence et les débordements de spectateurs lors de manifestations sportives et notamment de matches de football, en 1985 après le drame de l’Heysel, nom du stade de Bruxelles où 39 personnes perdirent la vie suite à des débordements. Une orientation européenne qui devient une norme dans l’Italie de 1989 et fera ensuite l’objet de plusieurs modifications, conduisant uniquement à déplacer le terrain d’affrontements à l’extérieur des espaces sportifs.

À part quelques cas ponctuels, la violence s’exprime avant et après les matches; l’espace sacré du terrain de foot et de l’industrie qui le gouverne reste intact. Hier avec Minniti, le ministre de l’Intérieur du précédent gouvernement, et aujourd’hui avec Salvini, le Daspo est devenu “moins sportif” : on l’applique contre les pauvres, contre les individus qui portent « atteinte à la tranquillité publique », contre les mendiants et contre ceux qui pratiquent des formes de manifestation politique, rendant de fait les espaces urbains, et parmi eux les espaces qui devraient être ouverts à tous comme les urgences, potentiellement interdits à certaines personnes. Le ministre à la poigne de fer imagine un monde où seuls les spectateurs ayant un casier judiciaire vierge puissent entrer dans le stade, vécu comme temple. C’est ce que l’on entend dans l’histoire rassurante construite sur mesure pour les spectateurs occasionnels. En revanche, pour les spectateurs réguliers qui souhaitent continuer à aller au stade, le code de conduite proposé est compatible avec les intérêts, souvent loin d’être clairs, de beaucoup de groupes de supporters.

Les déclarations sont sans ambiguïtés: pour commencer, le ministre souhaite rétablir les déplacements organisés et réglementés. Des trains spéciaux dans lesquels ne seraient autorisés à monter que les détenteurs du billet de transport et du billet pour le match ; des stades dotés de pièces de sûreté pour les excités et dans lesquels ne pourraient entrer que les supporters aux casiers judiciaires et papiers en règle. Le discours public semble même raisonnable : « en permettant les déplacements organisés, on éloigne encore plus les “voyous”, un train (merci Trenitalia) étant plus facile à contrôler que des mini-bus qui partent chacun de leur côté ». De deux choses l’une : ou on interdira ensuite d’aller en déplacement par ses propres moyens ou, plus probablement, on n’obtiendra qu’un effet placebo. Mais une fois à l’intérieur, dans le stade, toutes les injures sont permises. On peut siffler et insulter à pleins poumons un joueur de l’équipe adversaire pour sa couleur de peau, on peut s’en prendre à un arbitre ou à un groupe de supporters adverse.

Dans l’univers de Salvini, hurler contre la mère de l’arbitre ou inciter à la “chasse au noir” reviennent au même et, en tant que tels, ils ne peuvent constituer un motif valable pour l’interruption d’un match – tout au plus, ce sera une amende de quelques milliers d’euros pour les clubs, ces sociétés aux comptes bancaires à sept chiffres. « On ne peut pas interrompre un match à cause d’une centaine de personnes. », affirme le ministre. Pour les kops organisés et dominés par des groupes néofascistes cela signifie, “on peut dire et faire ce qu’on veut. Notre domination, avec tous les contenus racistes, homophobes, violents, n’est pas remise en question.” Et pour en rester aux faits divers, on se demande : à Rome, les “supporters” qui ont tapissé les murs de deux quartiers d’autocollants antisémites (dont l’objectif était d’”insulter” les supporters de la Lazio et du Napoli) seront-ils punis ? Et ceux qui, quelques jours après à Bologne et samedi dernier à Rome, ont lancé des chansons racistes et des obscénités antisémites ? L’avenir nous le dira.

Dans le monde dirigé par Salvini, les supporters sortiraient du stade après le match, feraient le voyage-retour en train (ou par leurs propres moyens) et reviendraient à la maison satisfaits et sereins, peut-être après avoir acheté des gadgets et consommé un repas dans les mêmes espaces sportifs qui devraient devenir des centres commerciaux pour un groupe cible défini.

Évidemment, ce projet n’est réalisable qu’en donnant davantage de pouvoir de répression au personnel de bord des trains, qui s’apparenterait toujours plus à une police privée. Le monde du stade et la vision sécuritaire de l’Italie coïncident, d’importantes décisions étant laissées à la discrétion de la Justice et de la police. Loin de vouloir stigmatiser le supporter de football et certains aspects de la culture Ultras – pensons aux banderoles exposées pour réclamer que justice soit faite à Stefano Cucchi et à d’autres personnes tuées en prison, pensons aux messages de solidarité sociale qui ont parfois trouvé leur place dans les tribunes – nous observons qu’aujourd’hui (mais pas seulement), les kops sont occupés par des groupes qui ont une longue série de violences à caractère fortement néofasciste à leur actif.

Des groupes qui, à l’intérieur et à l’extérieur du stade, considèrent le mouvement de Salvini comme une sorte de “maison-mère” à laquelle faire parvenir des voix, avec laquelle faire élire des conseillers communaux et régionaux. Remarquons que l’absence de scrupules opère dans les deux sens : la maison-mère cherche à amadouer les organisations qui vivent de manière indépendante à l’extérieur du stade, comme le parti d’extrême-droite Casapound, et utilise leurs marques à l’intérieur en toute impunité (la veste portée par Salvini au Stadio Olimpico à Rome en mai 2018 dont la marque était directement liée au parti de CasaPound ndr). Le projet de Salvini peut-il marcher ? Il y a lieu de penser que non. Le stade, comme les autres espaces façonnés par l’homme, ne se limite pas à ses frontières tangibles. Souvent responsables de désordres, les groupes de supporters qui se reconnaissent, au-delà du match, dans une galaxie plus étendue du stade, n’accepteront que difficilement ce nouveau code de conduite en échange d’entrées à prix réduits et de voyages organisés. Ils continueront à exprimer leur haine et à voir les forces de l’ordre comme le premier ennemi commun.

En effet, plus souvent que les supporters adversaires, ce sont les policiers et les gendarmes qui affrontent les groupes Ultras et le ministre de l’Intérieur est justement le responsable des forces de l’ordre. L’idée d’État et de stade réglementé se heurte à une agressivité dont bien des agents de police connaissent les conséquences, ces mêmes agents qui préfèrent faire face à une manifestation politique plutôt que de se retrouver de service lors de certains événements sportifs et surtout lors de matches de football. En conclusion, le Salvini en uniforme de police s’acharnera-t-il à coups de matraque contre ses potentiels électeurs ou continuera-t-il, comme cela lui arrive souvent, à oublier son statut de ministre pendant les matches ? Il faudra attendre le prochain match pour le savoir.

Traduit par Catherine Penn

L’articolo di Stefano Galieni è stato pubblicato su Left del 18 gennaio 2019


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Questo è il naufragio dei nostri scheletri

Sono 217 i corpi estratti dai vigili del fuoco dal barcone il barcone carico di migranti naufragato il 18 aprile del 2015 nel Canale di Sicilia e recuperato la settimana scorsa nell'ambito di un'operazione disposta dalla presidenza del consiglio dei ministri, e coordinata dal ministero della Difesa attraverso la marina militare. Sono stati eseguiti 52 autopsie e sono iniziate le perizie giudiziarie da parte della Polizia Scientifica di Catania coordinata dalla Procura distrettuali di Catania. L'operazione avviene nella tensostruttura refrigerata realizzata nel comprensorio Marina Militare di Melilli (Siracusa) dove il relitto è stato portato lo scorso 5 luglio. Le attività, dirette dal Comando Marittimo Sicilia, coinvolgono circa 150 persone al giorno tra cui personale della Marina Militare, dei Vigili del Fuoco, del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana, delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa e dei team universitari guidati dalla prof.ssa Cristina Cattaneo del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense. Le squadre si avvicendano in un costante ed ininterrotto impegno nell'arco delle 24 ore giornaliere tra attività di lavoro e di riposo all'interno del comprensorio. L'assistenza sanitaria è costantemente assicurata dalla Marina Militare attraverso un Posto Medico Avanzato ed un consultorio psicologico.ANSA/MARINA MILITARE EDITORIAL USE ONLY

A giugno di tre anni fa abbiamo recuperato un peschereccio, in fondo al mare, con dentro 700 scheletri. Quando penso a noi che ripeschiamo quel relitto con 700 morti, era il 18 aprile del 2015 quando è affondato, mi viene da pensare al relitto che è poi i relitti che siamo noi. Relitto è ciò che resta ai bordi della strada, in fondo al mare, sulle pendici di una montagna sorvolata con incuria o arrugginito in una collina di rifiuti. Ci sono, nel relitto, tutti i segni della consumazione, dell’usura affaticata e della strada percorsa: la potenza del relitto è che ha disegnata addosso la curva della sua fine. Anche per questo quel peschereccio che ha trasportato cadaveri fino al fondo al mare sarebbe da esporre nelle piazze come monumento in memoria di tutto ciò che inosservato ci affonda intorno. Verrà un giorno, credo, che questo Mediterraneo cimitero liquido di fuggitivi (perché non viaggia chi non sa dove arrivare, chi s’imbarca solo per scappare) muoverà nel ricordo le stesse pinze delle camere a gas, quei becchi di disperazione da cui non riusciamo ad assolverci, le stesse punte di una tragedia che ha pascolato prepotente in mezzo alla quotidianità impermeabile e anaffettiva. Quando davvero la storia riuscirà a mostrare le dimensioni della tragedia sul barcone ripescato sarà il museo della vigliaccheria. Ci saranno scolaresche in gita ad Auschwitz e sul ponte di questa nave. Cammineremo là dove si i corpi sono sdraiati asfissiati sott’acqua e racconteremo quanto l’uomo possa diventare un’isola quando puzza di disperazione e di paura. Ci chiederanno dov’eravamo noi. Sicuro. Forse qualcuno abbozzerà una scusa, una contrizione ritardataria e si dirà che come sono scappati i camini che bruciavano gli ebrei è successo che non abbiamo saputo dei camini in fondo al mare. Anche il mare è un muro che bisogna avere voglia di aprire. Anche il mare, dirà qualcuno per giustificarsi, s’inghiotte tutto tranne qualche bambino troppo leggero o una scarpa uscita da un oblò. Quel relitto è la carcassa dell’Europa. Di questa Europa che s’è fatta moneta unica, frontiere aperte, amplessi finanziari e intanto si corrode nella disunità delle cose umane, rimane a decidere di provare a decidere con un tassametro feroce che scala i morti piuttosto che soldi. Quei settecento corpi rimasti per un anno a trecentosettantametri sott’acqua andrebbero estratti uno per uno, con l’obbligo di dargli un nome ciascuno, di scriverne per ognuno la storia, di mandarla a memoria come si manda a memoria un libro fondamentale da studiare. Dovremo ricordarci che hanno dovuto metterlo in frigo, il relitto. In una tenda grande come un capannone con la temperatura giusta per non spargere troppo odore; dovremo dire che abbiamo anestetizzato un quartiere per avere lo stomaco di guardarci dentro, alla tomba marina del canale di Sicilia. Questo è il naufragio dei nostri scheletri.

 

 

Europee 2019, nasce la lista della sinistra contro le destre neoliberiste e sovraniste

Una sinistra antiliberista, antirazzista, femminista ed ecologista si aggira per l’Europa. Questo il succo di un documento di presentazione estremamente articolato che è stato presentato questa mattina alla sala stampa della Camera dalle forze proponenti. Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Partito del Sud, Alternativa Socialista, l’Altra Europa con Tsipras e Transform, hanno messo insieme a disposizione il simbolo della Sinistra Europea del gruppo parlamentare che ne deriva, GUE-NGL.

Non una sommatoria di sigle ma uno spazio aperto, un “terzo spazio” come è stato ribadito nella conferenza, che vuole essere utile e alternativo tanto ai nazionalismi xenofobi della destra quanto alla continuità liberista che vede anche nel gruppo socialista europeo i protagonisti di politiche di austerity. La conferenza è stata aperta dall’europarlamentare uscente Eleonora Forenza, di Rifondazione Comunista, che sarà ricandidata e che ha delineato alcune caratteristiche del percorso che si va costruendo in questi giorni. Partendo dal risultato elettorale della Basilicata, dove la continuità del percorso del Pd ha confermato una debacle annunciata, regalando anche questa regione alla destra, la parlamentare si è soffermata su quello che accadrà nel prossimo fine settimana a Verona con il vertice mondiale, misogino e oscurantista, “delle famiglie”.

«La proposta politica che lanciamo – ha detto Forenza – vuole essere di reale opposizione politica e culturale a questa riaffermazione del patriarcato. Da parlamentare ho apprezzato che grazie alle pressioni esercitate da numerosi paesi, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, abbia dovuto disdire la sua partecipazione ma il governo italiano è rappresentato da ministri importanti e il messaggio che ne emerge è inquietante. Costruire uno spazio per opporsi a questa deriva in nome dei diritti delle donne e delle comunità Lgbtqi è doveroso». Forenza si è poi soffermata sul carattere xenofobo delle destre europee ed ha espresso complicità e solidarietà totale ai componenti dell’equipaggio di “Mediterranea”, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina” rei insomma di aver salvato 49 persone da morte certa.

L’europarlamentare ha concluso insistendo sul carattere sociale e di apertura ai movimenti, le associazioni, le forze politiche realmente antiliberiste, del percorso che si sta costruendo in vista delle scadenze elettorali ribadendo come sia non solo doveroso ma necessario e alla portata di chi non accetta queste condizioni come immutabili. «Il liberismo che ha visto insieme i gruppi socialista e popolare in Europa – ha aggiunto – ha aumentato esclusivamente la povertà e le diseguaglianze e hanno condotto tante persone verso i nazionalismi peggiori. Le tante piazze che si riempiono di donne, di giovani, di antirazziste/i e che non sono rappresentate, debbono poter conoscere la nostra proposta».

Costanza Boccardi, di Aet, ha poi delineato quello che si realizzerà nei prossimi giorni: «Faremo assemblee territoriali da fine marzo, tranne il 30 in cui saremo tutti a Verona, e poi nella prima settimana di aprile convocheremo un incontro nazionale. Per proporsi come candidati bisognerà raccogliere almeno 50 firme, presentare un curriculum e specificare le motivazioni per cui si aspira a partecipare alle elezioni. – Certamente dovremo correre e siamo in ritardo ma vogliamo ugualmente mantenere un rapporto partecipato».

Per Giuseppe (Peppe) De Cristofaro, di Sinistra Italiana, quella che si sta aprendo non è “solo” una lista della Sinistra Europea, ma una lista di confluenza della sinistra politica e sociale capace di andare oltre le nostre organizzazioni. «Condivido l’idea di terzo spazio politico che andrà costruito, nonostante i pochi giorni, con metodo democratico».

Saranno a breve posti a consultazione, nome e simbolo della lista, che vedrà certamente un forte protagonismo femminile. Nel corso della conferenza è stato presentato un testo di presentazione della confluenza diviso in 11 punti che ne delineano chiaramente la fisionomia. Un alternarsi completo di elementi destruens e di proposte di alternativa per ognuno dei temi trattati, dalla necessità di rifondare un’Europa realmente democratica e non soggetta alla Bce alla disobbedienza ai trattati capestro e all’austerità, dal contrasto ai paradisi fiscali e alla “finanza tossica” al TTIP. E poi la proposta di un Green New Deal per una riconversione ecologica dell’economia accompagnata da una riconquista dei diritti di chi lavora, che portino a ridurre a 32 ore il tempo di lavoro a parità di salario e in cui sia garantito un salario minimo europeo, un reddito di base, la certezza del welfare.

L’Europa che propone questo schieramento deve avere poi una chiara connotazione femminista, per l’autodeterminazione e la libertà delle persone, che garantisca a migranti e rifugiati i diritti fondamentali, dall’asilo, all’ingresso per ricerca occupazione, fino alla cittadinanza. Ovviamente si parla di diritti sostanziali e non formali, per un continente in cui nessuna/o deve sentirsi straniera/o. Ad essersi impoverito soprattutto in questi anni successivi all’approvazione del trattato di Maastricht c’è soprattutto il sud del continente. Per questo la questione meridionale è oggi quanto mai attuale e non riguarda un solo paese ma le stesse relazioni nell’area euromediterranea.

Da ultimo il testo presentato si pone due questioni fondamentali tanto per il presente che per il futuro. Il tema della cultura e dei saperi e di come un accesso a tali beni debba essere garantito a tutte e a tutti rifiutando ogni logica di privatizzazione dell’istruzione e affrontando il tema di un grande investimento pubblico in materia. Ma l’Europa, che deve essere, ad avviso delle forze che hanno lanciato questa lista, laica e pluriculturale, deve porre soprattutto opporsi ai processi di militarizzazione, non solo dei suoi confini, che richiamano ad un continuo rischio di guerra. Altro che “esercito europeo” e “fortezza”, il superamento della Nato, “che appartiene, non con merito, ad un’altra epoca storica”, il disarmo non solo nucleare, l’opposizione ai piani imperiali di governi come quello di Erdogan che sono impedimento ad una pace duratura, sono fra gli elementi imprescindibili per chiunque aspiri ad un continente davvero diverso.

Un libro dei sogni? Si può anche credere questo e continuare a subire le politiche tecnocratiche che hanno portato, in piena crisi, poche famiglie a divenire sempre più ricche e gran parte della popolazione a finire al di sotto della soglia di povertà. Le risorse economiche, sociali, politiche e culturali per rivoltare da cima a fondo il Vecchio Continente senza tornare alle barriere degli Stati nazione ci sono e possono trovare voce. Il passaggio elettorale di maggio è un primo importante passo per provarci a farlo.

Perché essere di sinistra è contagioso

Ricostruire un discorso pubblico di sinistra, dovrà essere il nostro compito nei prossimi mesi e anni.
Il livello di disumanità raggiunto da questo governo non ha precedenti, per questo, per come si sta sedimentando nella popolazione il pensiero individualista e rancoroso, non potrà essere rovesciato con un semplice passaggio elettorale, ma bensì attraverso la ricostruzione di un’idea complessiva alternativa, radicale ma credibile.
Un’idea che possa diventare direttrice comune.
Per questo motivo, quei momenti di convergenza e condivisione di prospettive e valori, per un popolo smarrito e senza alcun punto di riferimento da anni, rimangono oggi segnali importanti per un processo di ricostruzione di una sinistra ampia e plurale.
Così i quasi due milioni di partecipanti alle primarie, sono un elemento da valorizzare, tentando di intercettare la volontà e le ragioni che hanno spinto così tanti a mettersi in fila nei circoli e ai gazebo.
E lo sono le centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato contro il razzismo, che vivono le lotte territoriali, animano le vertenze, costruiscono legami di solidarietà ogni giorno.
Rimangono vive nel nostro Paese infatti, esperienze e realtà propositive e alternative, che non si sono arrese e che oggi stanno provando a rimettere in moto un ragionamento di unità a sinistra, sempre più necessario e indispensabile.
Per farlo è però necessario un “effetto contagio”, che possa dare respiro a un ragionamento ampio per tutta la sinistra, che possa provare ad aprire contraddizioni e spazi di dibattito anche dove fino a oggi non è stato possibile.
Dopo il 4 marzo, molti si apprestarono a certificare la fine del bipolarismo centro destra-centro sinistra, sostituito da una destra destra e dal M5S, oggi possiamo dire che non esistono storie già scritte e che una sinistra, diffusa e contraddittoria, esiste e non è arresa.

Per questo la necessità urgente di raccogliere le diverse anime di questo mondo variegato ma vivace, farlo attraverso il rispetto di percorsi e storie diverse, valorizzando differenze e sensibilità.
Una sinistra ampia e inclusiva, non l’ennesimo progetto esclusivo che rincorre una purezza ideologica senza fine.
Una sinistra ad ampio raggio che nei nostri territori si articola nelle piccole organizzazioni, nei circoli di partito, nelle associazioni, nelle cooperative che praticano una vera alternativa al sistema economico.
Mettere insieme tutte queste anime, rispettando le diversità e imparando di nuovo a stare insieme.
Ripartire dalla politica quindi, dalla capacità di trovare gli strumenti giusti nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ora e qui, invertendo la scala di valori etici e sociali, rovesciati, dove la vita di un migrante vale meno di un selfie.
Restando nel “gorgo”, continuando a seguire l’insegnamento del compagno Pietro Ingrao.

Lorenzo Ballerini è consigliere comunale di Campi Bisenzio (Firenze) 

 

Salva tutti dal terrorista e poi incontra un bullo

«Ciao, Giulio. Giorni fa io ed una collega abbiamo introdotto, in una terza elementare, l’argomento “bullismo”. Misurando parole, respiri e gestualità, abbiamo cercato di spiegare come si riconosce un bullo, come lo si affronta, cosa si deve fare dinanzi ad un atto di prevaricazione, anche solo verbale. E, come noi, migliaia di altri insegnanti, educatori, tutti professionisti che si dedicano, anima e corpo, ad istruire le nuove generazioni. E a proteggerle. Poi arriva lui e vanifica tutto. Sono davvero avvilito, quand’è che ci siamo ridotti così male? Perdona lo sfogo, un grande abbraccio e grazie per le tue idee».

Mi scrive su Facebook un’insegnante linkandomi l’ultima grande azione di forza del ministro dell’Interno Salvini che in risposta alla legittima opinione di Ramy (il giovane “eroe” che ha contribuito alla liberazione dei suoi compagni dal dirottatore del bus a San Donato Milanese) ha pensato bene di rispondere con un atto di bullismo degno di quelli che bucano il pallone per non fare giocare i più piccoli.

È colpevole, Ramy, come qualche milione di italiani, perché dovrebbe ottenere la cittadinanza premio lui e non i suoi amici che sono nella stessa situazione. Il giovane chiede, in pratica, che venga finalmente riconosciuto lo ius soli che il centrosinistra ha pensato bene di farsi scappare quando si trovava al governo. E cosa fa Salvini? Risponde dicendo «si faccia eleggere e potrà cambiare legge» come se avesse a che fare con un adulto e non con un ragazzino scioccato da un matto che voleva dargli fuoco.

C’è dentro tutto: l’ironia nera, la macabra mancanza di consapevolezza di avere a che fare con una persona evidentemente più fragile di un ministro dell’Interno e di esporlo alla carneficina dei commenti social. E, soprattutto, c’è una risposta che, con la solita immaturità del ministro, risponde scaricando sugli altri: non dice “non sono d’accordo e non farò questa legge” ma gioca di sponda con chi ha davanti.

Insomma, uno schifo. Bullismo. Appunto.

Buon lunedì.

Una galassia di opere incompiute

MATERA-FERROVIA-ABBANDONATA (1)

Non succedeva dal 1994. Per riuscire ad aprire un tavolo di trattativa, Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil hanno proclamato lo sciopero generale di tutti i comparti delle costruzioni, che ha invaso Roma venerdi 15 marzo. In piazza i lavoratori dell’edilizia, del cemento, dei laterizi, dei lapidei, del legno. O perlomeno quelli superstiti, visto che negli ultimi dieci anni ne sono venuti meno 800mila, e la capacità produttiva si è dimezzata. Numeri da ecatombe e sensazione di avere toccato il fondo.

«Basta perdere tempo. Siamo a livelli da post-guerra mondiale. Serve una politica industriale per far ripartire l’edilizia, la filiera dei materiali e dell’arredo» protestano i sindacati. «Il governo sta fermando i pochi cantieri superstiti. Non c’è solo la Tav – spiega a Left Alessandro Genovesi, segretario nazionale della Fillea Cgil, la federazione italiana dei lavoratori del legno, dell’edilizia e delle industrie affini ed estrattive -. Se non corriamo subito ai ripari, rischiamo di chiuderli tutti, a iniziare da quelli piccoli. E si fa sempre meno manutenzione delle strade, delle ferrovie e del patrimonio immobiliare, costruito in larga parte negli anni settanta e in via di deterioramento. C’è poi il problema forse più allarmante di tutti: visto l’andazzo, le grandi opere pubbliche incompiute potrebbero restare tali in eterno».

A rimetterci è inoltre l’occupazione complessiva. «Se completassimo perlomeno le incompiute più urgenti, daremmo un lavoro immediato a 25mila…

L’inchiesta di Maurizio Di Fazio prosegue su Left in edicola dal 22 marzo 2019


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La guerra dei byte tra Cina e Stati Uniti

Gli ultimi segnali da Washington e Pechino puntano a rassicurare l’opinione pubblica e (soprattutto) i mercati: le delegazioni statunitensi e cinesi, si legge nei comunicati ufficiali, starebbero trovando una serie di compromessi per superare la fase più dura della guerra commerciale che vede protagoniste le due super-potenze economiche da due anni a questa parte. L’alba della nuova pax sino-statunitense, però, ha tinte piuttosto sbiadite. Se le dichiarazioni delle due amministrazioni aprono uno spiraglio sulla fine dell’escalation dei dazi sui rispettivi prodotti, nulla si dice di un aspetto che rimane costantemente sotto traccia ma che rappresenta la vera partita tra Donald Trump e Xi Jinping: la battaglia senza esclusione di colpi che i due giganti stanno combattendo per la supremazia tecnologica nel futuro prossimo e che vede nel caso Huawei uno dei “temi caldi”.

Il picco di tensione è datato 1 dicembre 2018, quando le agenzie battono la notizia dell’arresto in Canada di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e figlia del fondatore del colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei. L’accusa è quella di aver violato l’embargo Usa nei confronti dell’Iran e, come ha spiegato il portavoce del Dipartimento di Giustizia statunitense Ian McLeod, per la dirigente di Huawei si prospetta l’estradizione negli Stati Uniti. A tre mesi di distanza, la 46enne dirigente di Huawei è ancora in attesa di giudizio e la vicenda si sta complicando in seguito alla causa intentata dall’azienda cinese per far dichiarare come incostituzionale l’iniziativa del governo Usa. Intorno alla sua vicenda, però, si gioca una partita molto più ampia, che ha finito inevitabilmente per travolgere anche l’Europa.

Per la verità, le ostilità tra l’amministrazione Usa e il gigante delle telecomunicazioni con sede a Shenzhen (una delle tre “zone economiche speciali” della provincia del Guangdong) sono cominciate ben…

Illustrazioni di Vittorio Giacopini

L’articolo di Mario Schiaffino con le illustrazioni di Vittorio Giacopini prosegue su Left in edicola dal 22 marzo 2019


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