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La satira è sovversiva perché fa pensare

Non amo parlare di Satira. Preferisco farla. Non mi piace nemmeno parlare di censura. Preferisco rifiutarla. Non accettarla. Mai. E la più insidiosa e pericolosa delle censure è l’autocensura. Opportunità, buon gusto, correttezza, senso del limite… in una sola parola: conformismo. Il conformismo è, per chi fa satira, come la kryptonite verde per Superman o peggio come il congiuntivo per Di Maio, micidiale. Nella mia produzione, le vignette che preferisco sono quelle sulle quali non sono d’accordo nemmeno io. La satira può essere: tagliente, graffiante, pesante, amara e tutti gli altri aggettivi che di solito le vengono attribuiti da chi non la fa. Per me è un gioco, proprio come quello dei bambini, a volte rischioso, spesso chiassoso, fastidioso alle orecchie degli adulti ma mai monotono e sempre ricco di fantasia. E i bambini (almeno quelli di un tempo lo erano) sono immuni al conformismo. Potrei stilare un elenco dei tentativi di censura, dei licenziamenti ed espulsioni, delle denunce e dei processi, assoluzioni e condanne che, negli anni, questo gioco mi ha procurato. Ultima, l’ossessione compulsiva di Salvini di querelarmi ogni venti minuti. Non lo farò perché è noioso e pure un po’ triste. Non ho la vocazione né al martirio né all’autocommiserazione. Ho la vocazione all’allegria del gioco. È l’allegria in fondo quella che potenti e prepotenti temono più dell’invettiva. Il potere è cupo per definizione. L’allegria è sovversiva perché ciò che rende allegro l’animo è la Libertà. Chi coltiva ostinato l’allegria cerca la Libertà. L’agguanta, la ruba, l’addenta. La rifiuta quando gli viene concessa, una libertà autorizzata non è Libertà. «Questo mondo non è attrezzato per l’allegria, la gioia va strappata a viva forza», diceva Majakovskij. Qualcuno potrebbe obiettare che però Majakovskij alla fine si sparò un colpo. Beh, forse anch’io lo farò se la «viva forza» un giorno mi venisse a mancare. Mi sparerò con una pistola giocattolo. Per gioco e per allegria.

Articolo pubblicato su Left del 16 novembre 2018

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Per questa vignetta pubblicata su Left di venerdì 1 marzo 2019, il ministro dell’Interno Salvini ha ventilato via twitter e facebook una querela nei confronti di Vauro e della nostra direttrice Simona Maggiorelli.

La redazione di Left

 

Abbiamo il dovere politico di costruire una alternativa

epa05723702 European United Left-Nordic Green Left Group, Italian Eleonora Forenza delivers her speech at the European Parliament in Strasbourg, France, 17 January 2017. Today the Parliament will vote for a new president, as Martin Schultz announced that he will run for German Parliament in the upcoming German elections. Forenza is one of the candidates for the post of President of the European Parliament. EPA/PATRICK SEEGER

Due incubi si affacciano potentemente sullo scenario europeo: la prosecuzione delle politiche neoliberiste e l’avanzata dell’onda nera dei populismi reazionari. A rappresentarli, da un lato, il rafforzamento dell’asse “europeista” tra Francia e Germania, dall’altro lato, i nazionalismi xenofobi di Orban e Salvini.
Due incubi interconnessi: perché il neoliberismo che i trattati dell’Ue hanno “costituzionalizzato” e l’impoverimento di massa derivante dalla gestione neoliberista della crisi hanno creato terreno fertile per una reazione nazionalista; perché nell’ideologia della competizione che si fa senso comune l’idea che debba venire un “prima noi” si fa strada e finisce con l’affermarsi più facilmente.
Abbiamo il dovere politico di costruire una alternativa politica a questi due incubi: un terzo spazio – come l’ha definito anche Nancy Fraser – alternativo sia al neoliberismo progressista che al populismo reazionario. Una proposta politica che si prefigga di modificare i rapporti di forza nello spazio europeo, che si dia l’obiettivo della rottura della camicia di forza dei trattati che impongono l’austerità (come si dice anche nella Dichiarazione di Lisbona) e assuma lo spazio europeo come terreno (minimo) di conflitto e di progetto. Per intenderci, che non recinti lo spirito della Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo nella “difesa della Patria”. Che non indugi né nella difesa del super-Stato europeo né dello Stato-nazione, ma che si dia il progetto di uno spazio europeo liberato dal dominio neoliberista.
Se a rappresentare il populismo reazionario in Italia saranno principalmente i partiti di governo, Lega e Movimento cinque stelle, sarà il listone Calenda-Zingaretti-Minniti a ricordarci perché è possibile che le due forze attualmente al governo raccolgano un consenso che si attesta intorno al 60 per cento.
La costituzione di questo terzo spazio non consiste, a mio avviso, in una geometria politica: non è un terzo polo politico, o l’eterno ritorno dell’unità della sinistra. È uno spazio che va liberato e occupato, a partire dalla confluenza di corpi politici che sono già in movimento. A partire dalle pratiche e dal pensiero del movimento femminista il cui approccio intersezionale intreccia oggi le lotte antisessiste, anticapitaliste, antirazziste, antifasciste. Nel piano femminista contro la violenza maschile e la violenza di genere, ad esempio, si avanzano proposte come il salario minimo europeo e il reddito di autodeterminazione, indispensabili per rimettere al centro del dibattito sull’Europa una idea di società non fondata sullo sfruttamento del lavoro produttivo e riproduttivo.
La proposta di una lista per le elezioni europee che voglia contribuire alla costruzione di questo terzo spazio deve porsi l’obiettivo minimo di essere “socialmente utile” per le lotte che saranno portate avanti con lo sciopero globale del prossimo 8 marzo e con la manifestazione del 23 marzo contro il cambiamento climatico e le grandi opere.
Una confluenza di lotte, partiti, movimenti, esperienze territoriali e municipali; una confluenza che connetta le prospettive femministe, anticapitaliste, ambientaliste, antirazziste, in un progetto di Europa fondato sulla autodeterminazione di donne, uomini, popoli è possibile e necessaria anche in Italia. La disponibilità del partito della Sinistra europea ad aprire questo spazio di confluenza è importantissima in questa direzione. Così come è importante continuare e rafforzare anche nella prossima legislatura del Parlamento europeo il lavoro portato avanti dal gruppo Gue/Ngl in cui già confluiscono forze e culture politiche diverse e diverse piattaforme politiche europee. Sarebbe davvero imperdonabile non dare qui e ora, da una Italia in cui perfino la solidarietà viene criminalizzata – basti pensare a Mimmo Lucano, alle Ong, al caso Diciotti – il nostro contributo alla costruzione di una alternativa nello spazio europeo. In fondo, la costruzione del terzo spazio è una questione di tempo: è l’apertura di un varco nel presente, la scrittura di un futuro possibile.

(da Left n.9 del 1 marzo 2019)

Eleonora Forenza è eurodeputata Gue/Ngl

Le elezioni europee, i migranti e le diseguaglianze di genere alla vigilia della giornata dell’8 marzo. Saranno questi i temi al centro del nuovo appuntamento live Facebook di Ansa, in programma oggi, giovedì 7 marzo alle 16 da Bruxelles con l’eurodeputata Eleonora Forenza del Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica (Gue) per Lista Tsipras-L’Altra Europa. La diretta sarà trasmessa in streaming sul sito di ANSA Europa e sulla pagina Facebook del canale ANSA dedicato all’Europa. Gli utenti potranno intervenire in diretta, attraverso i social network, e inviare le proprie domande all’eurodeputato su Facebook e su Twitter usando l’hashtag #ANSAEuropa.

L’Italia come il Far West, la Camera dice sì all’omaggio di Salvini alla lobby delle armi

Il vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini imbraccia un fucile durante la sua visita alla Fiera Hit Show, Vicenza, 9 febbraio 2019. ANSARAFFAELE CESARANO

D’ora in poi la difesa sarà «sempre» legittima qualora ci si trovi «in uno stato di grave turbamento». Più pistole per tutti, oppure pistole di cittadinanza (ovviamente per cittadini bianchi), sicuri ma da morire. Il medioevo è servito all’ora del tè quando la Camera approva il disegno di legge sulla legittima difesa aprendo uno squarcio nel tessuto giuridico, civile e morale di questo Paese. E si avvicina il pagamento della cambiale che Salvini ha firmato alla lobby delle armi leggere, orgoglio italico, anzi padano. «È un sacrosanto diritto per le persone perbene, di cui si parla da anni e che sarà legge entro questo mese», dice Salvini. Dal 26 marzo il provvedimento passerà al vaglio del Senato per la terza lettura. Il provvedimento è passato con 373 voti favorevoli, 104 contrari e 2 astenuti. Al voto sono scoppiati gli applausi dei deputati di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. I deputati berlusconiani, anche se «avremmo voluto un testo più forte» (Gelmini disse), hanno le loro ragioni a esporre lo striscione: «Finalmente una cosa di destra». Mentre la sponda destra, Fratelli d’Italia, ha votato sì ma «con rammarico» perché la considera «un compromesso al ribasso».

Quei 54 pentastellati che non hanno votato
Per i post-grillini è un altro rospo ingoiato, un segno della subalternità dell’attuale partito di maggioranza relativa al suo straripante socio di minoranza. «Sicuramente questa è una legge della Lega – aveva detto Di Maio in mattinata – quando si vota la legge sula legittima difesa, che è una legge che sta nel contratto e che per questo porteremo avanti perché noi siamo leali, non è che ci sia tutto questo entusiasmo nel M5s». Prova a metterci una pezza il capogruppo M5s alla Camera, Francesco D’Uva, ma non è convincente: «Che nessuno si metta in testa che con questa legge ci sarà il Far West. Ci sarà sempre un’indagine e spetterà sempre al giudice valutare la legittimità della difesa. Una cosa è certa: è compito delle forze dell’ordine tutelare i cittadini e la loro sicurezza. Con questa legge di sicuro i processi sulla legittima difesa saranno più veloci». Dai tabulati risulta che 29 deputati di M5s sono «in missione» e quindi sono assenti giustificati; altri 25 non hanno invece partecipato al voto. Un gruppo di pentastellati è rimasto in Transatlantico entrando in aula solo dopo la proclamazione del voto. Dai registri i parlamentari M5s che non hanno partecipato al voto sono: Giuseppe Brescia, Luciano Cantone, Vittoria Casa, Andrea Caso, Maurizio Cattoi, Sebastiano Cubeddu, Sara Cunial, Rina De Lorenzo, Chiara Ehm Yana, Luigi Gallo, Veronica Giannone, Angela Ianaro, Generoso Maraia, Maria Marzana, Leonardo Salvatore Penna, Riccardo Ricciardi, Cristian Romaniello, Gianluca Rospi, Francesca Anna Ruggiero, Francesco Sapia, Doriana Sarli, Giulia Sarti, Gilda Sportiello, Davide Tripiedi, Gloria Vizzini.

Archivio disarmo e Antigone: «Ora siamo tutti meno sicuri»
«Investigatori, magistrati, giuristi ed esperti concordano sul fatto che non vi è alcuna necessità di una nuova legge sulla legittima difesa. La proposta vorrebbe eliminare definitivamente il principio di proporzionalità tra il bene minacciato dall’autore del reato e il bene offeso – spiegano decine di associazioni e intellettuali in un appello promosso da Archivio disarmo e Antigone -, vorrebbe assicurare una sorta di immunità a chi usa le armi contro un presunto ladro. Si tratta di una grave forzatura della legge. Il principio di proporzionalità ha una sua origine costituzionale. Non si possono mettere sullo stesso piano la vita e la proprietà privata. La proposta mira poi a evitare l’intervento del giudice. L’azione giudiziaria è obbligatoria, non si può impedirne l’avvio sulla base di una presunzione di innocenza di chi uccide una persona. È il giudice a dovere sempre verificare i fatti. Il suo intervento è ineliminabile: in un Paese democratico solo un giudice può verificare l’esistenza effettiva di un’intrusione e accertarsi dell’identità e del ruolo della persona uccisa. Così com’è concepita, la riforma della legittima difesa metterà a rischio la sicurezza di tutti determinando un aumento esponenziale delle armi in circolazione e una conseguente maggiore probabilità del loro uso. Una silenziosa corsa dei cittadini ad armarsi individualmente non è la soluzione. Come dimostra l’esperienza degli Stati Uniti, la diffusione delle armi da difesa personale non fa altro che diffondere il senso di insicurezza e di sfiducia nelle istituzioni».

Le nuove norme
Il comma due dell’articolo 52 del Codice penale, secondo il ddl, dice dunque che è possibile utilizzare «un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo» per la difesa legittima della «propria o altrui incolumità» o dei «beni propri o altrui». Viene inoltre introdotta un’ulteriore presunzione all’interno dello stesso articolo 52, in base alla quale sarebbe sempre da considerarsi in stato di legittima difesa colui che, legittimamente presente all’interno del proprio o dell’altrui domicilio (da intendersi in senso ampio, quale luogo ove venga esercitata attività commerciale, imprenditoriale o professionale), agisca al fine di respingere l’intrusione posta in essere dal malintenzionato di turno con violenza o minaccia.

La legge interviene poi sull’articolo 55 del codice penale relativamente alla disciplina dell’eccesso colposo, escludendo, nelle varie ipotesi di legittima difesa domiciliare, la punibilità di chi, trovandosi in condizione di minorata difesa o in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo, commette il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità. Viene poi modificato l’articolo 624 bis del codice penale, prevedendo che nei casi di condanna per furto in appartamento e furto con strappo, la sospensione condizionale della pena sia subordinata al pagamento integrale dell’importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa. Vengono inoltre rese più severe le sanzioni per una serie di reati contro il patrimonio: furto in abitazione, furto con strappo e condotte aggravate; rapina e ipotesi aggravate e pluriaggravate; e in caso di violazione di domicilio si considera aggravata quando è commessa con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato.

Infine la legge interviene sulla disciplina civilistica della legittima difesa e dell’eccesso colposo, specificando che, nei casi di legittima difesa domiciliare, è esclusa in ogni caso la responsabilità di chi ha compiuto il fatto: in tal modo l’autore del fatto, se assolto in sede penale, non è obbligato a risarcire il danno derivante dal medesimo fatto. Si prevede, inoltre, che nei casi di eccesso colposo, al danneggiato sia riconosciuto il diritto ad una indennità, calcolata dal giudice con equo apprezzamento tenendo conto “della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato”. Infine viene introdotto il patrocinio a spese dello Stato in favore di colui che sia stato assolto, prosciolto o il cui procedimento penale sia stato archiviato per fatti commessi in condizioni di legittima difesa o di eccesso colposo di legittima difesa. È poi previsto che nella formazione dei ruoli di udienza debba essere assicurata priorità anche ai processi relativi ai delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose verificatisi in presenza delle circostanze di legittima difesa domiciliare.

Poco entusiasmo tra gioiellieri, tabaccai e benzinai
Gioiellieri, tabaccai e benzinai sebbene siano tra le categorie di commercianti più esposte ad attacchi criminali, sono contrari a trasformarsi in «giustizieri» e a impugnare la pistola. Invocano piuttosto maggiore sicurezza da parte delle istituzioni e chiedono inasprimento e certezza delle pene verso i malviventi che vengono assicurati alla giustizia. È quanto emerge da un’inchiesta dell’Adnkronos, svolta in occasione della discussione alla Camera del disegno di legge sulla legittima difesa. Numerosi sono gli episodi in cui i gioiellieri sono rimasti vittime ma a differenza di altri, si sentono un pò più sicuri in quanto protetti da porte blindate e telecamere «deterrenti per il malvivente che magari può aver paura di vedersi bloccata la via di fuga». «Siamo contrari, in linea di massima, ad armarci: vogliamo evitare il Far West», ha detto Steven Tranquilli, direttore di Federpreziosi-Confcommercio. «Con una pistola puntata contro può capitare che si reagisca in preda all’emotività, all’ansia – prosegue Tranquilli – come capitò al gioielliere Carlo Barducci di Firenze che venne ucciso durante un tentativo di rapina nel suo negozio di via Strozzi il 20 dicembre 1992». Oggi gli assalti alle gioiellerie vengono effettuati da veri e propri commandos di 6, 8 rapinatori a volto coperto, a bordo di furgoni e i gioiellieri avrebbero preferito «un inasprimento e della certezza delle pene», cosa peraltro prevista dal nuovo disegno di legge.

Una posizione quella della Federpreziosi che rispecchia quella di Confcommercio a livello generale. «La morte di una persona, qualunque sia la colpa, è una tragedia. Magari l’esasperazione e l’emotività possono portare a compiere gesti che mai avremmo voluto compiere», afferma Anna Lapini, incaricata per la legalità e la sicurezza di Confcommercio. «Può accadere che dopo la persona non è più la stessa e magari è costretta a chiudere la propria attività, sia per una questione morale e anche perché non può sostenere le spese legali qualora debba subire un processo». «Allo Stato noi chiediamo di garantire la sicurezza – aggiunge Lapini – ma dove questo non avviene è chiaro che deve contribuire ad aiutare gli imprenditori alle spese legali e in questo senso, la nostra richiesta formulata nel corso di un’audizione parlamentare, è stata accolta. Una norma che potrà permettere alle aziende di continuare a lavorare perché le statistiche ci dicono che il 95% di chi si trova in tali condizione chiude».

Tabaccai e benzinai avanzano richieste simili sul minor uso del contante nei loro esercizi per aumentare la sicurezza. «Noi chiediamo la diminuzione e, se possibile, l’azzeramento del contante ma per ottenere ciò dovrebbero diminuire le commissioni sulle carte e i costi dei Pos», lamenta Paolo Uniti, segretario generale di Figisc Confcommercio. «In Italia il 50-60% dei clienti dei distributori di carburanti pagano in contanti – prosegue Uniti – mentre nel resto d’Europa chi paga con il bancomat è il 90%». Nelle tabaccherie «circolano ancora molti, troppi, contanti», sottolinea Giovanni Risso, presidente Fit-Confcommercio chiedendo «un occhio di riguardo su questo aspetto, per abbassare le commissioni sulle carte che gli esercenti devono pagare». Tutti comunque dichiarano la propria contrarietà «ad armarsi, non è sicuro né per noi né per i clienti». Anche Maurizio Invigorito, il tabaccaio di Afragola, che ha subito 12 rapine in tre anni, ribadisce la sua posizione: «Sono un obiettore di coscienza non potrei mai avere il coraggio di sparare, non avrò mai un’arma – sostiene Invigorito – altrimenti mi sarei arruolato nelle forze dell’ordine». Solo il 10% di chi ha un’attività commerciale possiede un’arma e si riduce la quota di chi è propenso a dotarsene in futuro, secondo una recente indagine condotta da Gfk per la Confcommercio da cui emerge inoltre che il 92% dei negozianti è favorevole all’inasprimento delle pene.

Il reddito di cittadinanza è un’altra cosa

ROME, ITALY - JANUARY 31: Press conference of Vice Premier and Political Leader Luigi Di Maio to tell what the Five Star Movement has done during this period of government, on January 31, 2019 in Rome, Italy. The press conference called "if we say it we do it" (se lo diciamo lo facciamo) shows all the laws and provisions put in place by the Government concerning above all: Citizenship income, pensions, cut of annuities to parliamentarians, anti-corruption law, reduction of golden pensions, abolition of advertising of gambling, (Photo by Simona Granati - Corbis/Getty Images,)

Con il decreto legge n. 4, del 28 gennaio 2019 è stata introdotta una misura nazionale di contrasto alla povertà e di politica attiva del lavoro che va sotto l’equivoco termine di Reddito di cittadinanza.
Equivoco perché con la formula “reddito di cittadinanza” o “reddito di base, universale e incondizionato”, si intende l’erogazione di una prestazione monetaria per tutta la cittadinanza di un determinato Paese, perciò universale; e senza alcuna condizione esistenziale ed economica da dover dimostrare, né procedura comportamentale o lavorativa da dover seguire, perciò incondizionato, senza alcuna condizione.
Difficile immaginare questa prospettiva universalistica e incondizionata per l’Italia, ora anche in recessione da un paio di trimestri e con il sistema di welfare tra i meno inclusivi d’Europa, dove la prima, concreta, misura nazionale di lotta alla povertà e all’esclusione sociale è stata introdotta solamente nel 2017, per diventare operativa all’inizio dello scorso anno, sotto il nome di Reddito di inclusione (Rei): una carta prepagata che si inseriva nel solco evolutivo delle già previste, seppure molto meno finanziate, carta acquisti Social card (attivata nel 2008 dal ministro Tremonti, nel governo Berlusconi IV) e Carta prepagata Sia, Sussidio di inclusione attiva (Legge di stabilità 2016, governo Renzi).
Nell’attuale caso italiano siamo di nuovo dinanzi ad una carta prepagata, una Postepay, che il testo del decreto in questione ribattezza Carta Rdc (acronimo di Reddito di cittadinanza), facendo esplicito riferimento alla già ricordata carta acquisti del 2008 (art. 5, comma 6 del Decreto, scusate la pedanteria!). D’altra parte, il successivo articolo 11 modifica il precedente decreto legislativo 147/2017 che introduceva il Rei, dal quale ha preso e dirottato una parte dei finanziamenti, visto che altrimenti il RdC non avrebbe avuto le coperture sufficienti.
Così la “manovra del popolo”, portata avanti dal “governo del cambiamento”, ripete l’eterno ritorno nella tautologica continuità normativa, di mimetico (e “memetico”, al tempo della diretta permanente sui social network) spostamento di strumenti e istituti: una sorta di gioco dell’oca post-moderno, se volessimo ancora sorridere, per non piangere.
D’altra parte è inevitabile riconoscere che dinanzi al nostro vecchio sistema di tutele e garanzie sociali così altamente impoverito, selettivo, frammentato ed escludente, la previsione di sette miliardi di euro stanziati per il 2019 rappresenta una radicale inversione di marcia, soprattutto per un sostegno al reddito che arriverà fino ad un importo massimo di 500 euro mensili (per la figura classica del single), cui si può aggiungere il contributo per l’affitto, fino ad un massimo di 280 euro mensili. Si tratta di finanziamenti triplicati rispetto alla precedente misura del Rei. Come è stato giustamente osservato da un primo commento del Consiglio direttivo del Basic income network – Italia, associazione che da anni si batte per l’introduzione di un reddito di base, «l’allargamento della platea dei beneficiari comincia a delineare un intervento di redistribuzione del reddito che potrà raggiungere strati della popolazione impoveriti della crisi, intrappolati nella precarietà lavorativa ed esistenziale di questi anni, e offrire loro un prima alternativa tangibile».
Perché questo è il tema. Siamo dinanzi a un progressivo impoverimento di un’ampia parte della società italiana, sempre più insicura, precaria, impaurita, imprigionata in una pericolosa, strutturale, condizione di lavoro povero, informale, semi-gratuito, quasi neo-servile, pagato una miseria, soprattutto in alcune zone del centro-meridione, dove il lavoro “tradizionale” si fa fatica solo ad immaginarlo. A fronte di questa che appare oramai come una endemica situazione di depressione economica, sociale, esistenziale, il legislatore avvia un pachidermico processo burocratico di “mobilitazione” delle persone in povertà, di governance dei poveri verrebbe da dire, con l’obbligo di sottoscrizione da parte del titolare della misura di Rdc di due patti (art. 4 del decreto). Un patto per il lavoro rivolto a chi si ritiene sia ancora nelle condizioni di poter stare nel “mercato del lavoro”, con l’obiettivo ultimo di prevedere incentivi per l’imprenditore che assumerà il percettore del Rdc nei 18 mesi di durata del sussidio (art. 8). Quindi un patto di inclusione sociale, ripreso dal decreto sul Rei, per quelle persone ritenute particolarmente vulnerabili e bisognose di integrazione sociale, ancor prima che lavorativa. Il tutto aderendo a piattaforme digitali necessarie per l’attivazione e la gestione dei patti (art. 6). Con a fianco la guida e l’orientamento, tra la selva di uffici e amministrazioni, di uno tra i 10mila navigator prossimamente assunti dai centri per l’impiego, stando alle dichiarazioni di Domenico Parisi, nuovo Presidente Anpal (Agenzia nazionale politiche attive lavoro), autodefinitosi «primo navigator», alla luce della sua brillante sperimentazione digitale in Mississippi. Impegnando l’intera famiglia del beneficiario in una serie di comportamenti e azioni, pena incorrere nella miriade di sanzioni che l’articolo 7 del decreto elenca in tutta la sua severa, punitiva, disciplinare visione di “un povero” da governare con tutta la sua famiglia, appunto.
Lo spirito della norma sembra essere quello di recuperare il lato più burocratico e coercitivo di un welfare che diventa welfare to work – con anche la previsione di otto ore lavorative settimanali in favore degli enti locali, in una sorta di lavori socialmente utili 2.0? – e quindi vero e proprio workfare, con l’assunzione dei percettori di reddito che diventa un esonero contributivo in favore dei datori di lavoro. Qualora l’opposizione politica, culturale e sociale a questo governo esistesse davvero, dovrebbe approfittare della fase parlamentare di conversione del decreto in legge per fare in modo tale che questa misura possa diventare quanto di più simile ad un reddito minimo garantito e adeguato, inteso come diritto sociale individuale, accompagnato da una serie di misure che favoriscano l’investimento sul potenziamento dell’autodeterminazione personale (istruzione, mobilità, salute, politiche abitative, maternità/paternità, etc.), in un quadro di solidarietà sociale e di rapporto fiduciario tra individuo e istituzioni pubbliche, tanto più dentro le accelerate trasformazioni dei sistemi di produzione e dell’innovazione tecnologica. Ma chi lo farà?

(da Left n.6 dell’8 febbraio 2019)

Giuseppe Allegri è l’autore del libro Il reddito di base nell’era digitale, Fefe editore, 2019

Chi non vede il ritorno del razzismo è un cretino. O uno di loro. Razzista

Fermi tutti. Lo scrivono addirittura i Servizi segreti, espressione del governo, niente a che vedere con quella banda di buonisti radical chic che scrivono sui giornali di sinistra: dicono a chiare lettere che in vista delle prossime elezioni europee c’è il concreto rischio che “possano aumentare gli episodi di intolleranza verso gli stranieri”. Se l’italiano non è un’opinione “possono aumentare” tra l’altro significa che già ci sono, per dire. Scrivono che l’estrema destra emerge “per una pronunciata vitalità” con “le sue consolidate linee di tendenza: competizioni ‘egemoniche’, interesse ad accreditarsi sulla scena politica mantenendo uno stretto ancoraggio alla base, propensione ad intensificare le relazioni con omologhe formazioni estere”.

Lo scrivono i Servizi, eh mica io. E  aggiungono: “hanno fatto leva su iniziative propagandistiche e di protesta, soprattutto in talune periferie urbane, centrate sull’opposizione alle politiche migratorie, nell’ambito di una più ampia mobilitazione su tematiche sociali di forte presa (sicurezza, lavoro, casa, pressione fiscale). Tale attivismo, potrebbe aver concorso ad ispirare taluni episodi di stampo squadrista, oltre che gesti di natura emulativa, e potrebbe conoscere un inasprimento con l’approssimarsi dell’appuntamento elettorale europeo”. Lo so che scritto così potrebbe sembrare qualcosa rivolto mica solo all’estrema destra. Tirate voi le conclusioni.

Comunque la relazione continua dicendo che inevitabilmente la radicalizzazione sulla questione migranti, tanto per citare un tema a caso, acuisce il rischio di uno scontro. È quello che scrivevo qualche tempo fa: le macerie che sta creando questo governo (e soprattutto il ministro dell’Interno) richiederanno una ricostruzione che durerà decenni perché ha spaccato il blocco sociale che teneva insieme il Paese trasformando i cittadini in tifosi tra l’altro sulla pelle dei disperati. E a giocare troppo con le guerre tra disperati alla fine ovviamente rischi di bruciarti.

Questo per dire, comunque che chi continua a negare che ci siano episodi di natura razzista in aumento o non sa leggere i numeri o crede davvero che la squallida propaganda possa continuare. Chi non vede il ritorno del razzismo è un cretino. Oppure è uno di loro. Un razzista.

Semplice e liscio.

Buon giovedì.

“Ovunque voi mi chiuderete, io viaggerò lo stesso per il mondo”

A journalist poses with a portrait of Turkish journalist Ahmet Altan on June 19, 2017 in front of the Istanbul courthouse, where his trial is to take place. 17 suspects, including jailed journalists Nazli Ilicak, Ahmet Altan and Mehmet Altan, will appear before an Istanbul court on June 19 for the first time in a case into the media leg of the Fethullah Terrorist Organization (FETO). / AFP PHOTO / OZAN KOSE (Photo credit should read OZAN KOSE/AFP/Getty Images)

Sto scrivendo nella cella di una prigione.
Prima di cominciare ad impietosirvi, però, ascoltate ciò che ho da dire.
Sì, sono stato rinchiuso in una prigione di alta sicurezza in mezzo al nulla.
Sì, vivo in una cella le cui porte di ferro si aprono e si chiudono con rumori pesanti.
Sì, i pasti mi vengono serviti attraverso una fessura nella porta.
Sì, anche il piccolo cortile con il suo pavimento di pietra dove cammino avanti e indietro, è coperto da sbarre.
Sì, non posso vedere nessuno tranne il mio avvocato e i miei figli; non mi è nemmeno concesso di scrivere ai miei cari.
Tutto questo è vero, ma non è tutta la verità.

Ahmet Altan è un giornalista ed è un grande scrittore. Uno di quelli che con le parole, ance poche, anche semplici, colpisce nel segno e disegna sensi, stimola istinti, fotografa le bugie del potere. Per questo il regime turco non lo ama. Ma questa non è una novità. Scommetto che Ahmet non sarebbe amato nemmeno qui, nemmeno negli Usa: fa parte di quei giornalisti che non lisciano il popolo o il potente di turno o il potere vigente. Eppure avremmo bisogno di milioni di Ahmet.

Invece Ahmet sta rinchiuso in cella in Turchia (che qualcuno si ostina a ritenere europea come se l’Europa non sia anche una comunità che si riconosce nei diritti fondamentali) perché colpevole di essere critico nei confronti del presidente Erdogan: è stato condannato all’ergastolo con la risibile accusa di aver favorito il risibile tentato colpo di Stato del luglio 2016.

Eppure Ahmet Altan ha continuato. E scrive. Scrive. Scrive. Come se fosse una necessaria benedizione che qualcuno vorrebbe maledire. E i suoi scritti fanno il giro del mondo.

C’è un suo verso bellissimo:

Ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare, anche se non ho mai conosciuto la maggior parte di loro.
So di essere uno schizofrenico finché tutte queste persone abitano solo nella mia testa. Ma so anche che sono uno scrittore e che un giorno tutti si ritroveranno tra le pagine di un libro.
Sono uno scrittore. Ovunque voi mi chiuderete, io viaggerò per il mondo sulle ali dei miei pensieri.

Ed è un augurio talmente bello che andrebbe rivolto a tutti noi, che ci pensiamo liberi.

Buon mercoledì.

Perché le accuse a Netanyahu aggravano la crisi sia in Palestina che a livello regionale

Ci sono delle questioni essenziali a livello palestinese che potrebbero spingere la situazione già instabile verso una crisi senza precedenti. Soprattutto nel contesto di un’escalation israeliana, basata su idee estremiste sioniste, tale esplosione è legata alle imminenti elezioni del 9 aprile e all’impegno dei partiti sionisti in queste elezioni attraverso la pratica di tutte le forme di oppressione e repressione contro i palestinesi in generale e contro gli abitanti di Gerusalemme in particolare, per vincere il maggior numero di seggi nel “Parlamento – Knesset”. Approfittando così del supporto dell’amministrazione statunitense, nota per il suo sostegno ai progetti di occupazione israeliana per liquidare la causa palestinese e la cancellazione dei diritti nazionali del popolo di Palestina, il tutto con il tacito silenzio di molti Paesi arabi, specialmente nell’ambito del cosiddetto accordo del secolo, tanto sbandierato dall’amministrazione nordamericana e che sarà pubblicato dopo le elezioni israeliane

Una delle questioni che potrebbe portare a una ribellione di massa riguarda ciò che sta accadendo nella moschea di Al-Aqsa, dove l’occupante sta intensificando la sua posizione minacciando di chiudere una seconda volta la Bab al-Rahma e i suoi dintorni, spazi da poco recuperati e riaperti dai palestinesi.

In seguito a ciò, le forze di occupazione hanno intensificato gli arresti coinvolgendo anche due dei cinque avvocati impegnati attivamente contro il governo di occupazione, la sua polizia e il suo apparato di sicurezza: il governatore di Gerusalemme, Adnan Ghaith Al-Mamnouh, a cui è stata negata la possibilità di entrare in Cisgiordania, e Medhat Debeh il quale ha denunciato la totale assenza di un ordine ufficiale che impedisca la riapertura della Bab al-Rahma e ha altresì denunciato la continuazione delle deportazioni e delle espulsioni dei palestinesi da Gerusalemme e da al-Aqsa, nonché la serie di misure e pratiche punitive contro tutti i palestinesi ai quali vengono negati i diritti all’edilizia, all’educazione, oltre che i personali diritti economici e sociali.

L’altra questione riguarda l’imposta palestinese raccolta dal governo di occupazione per conto dell’Autorità nazionale palestinese. Parte dei fondi destinati agli stipendi dei palestinesi, alle famiglie dei martiri e dei prigionieri, agli onorari degli avvocati e alle spese giudiziarie, saranno trattenuti dal governo di occupazione israeliano. Questa misura va ad influenzare negativamente la capacità dell’Autorità palestinese di coprire le proprie spese correnti, mettendo tale ente in una posizione difficile e imbarazzante davanti al suo popolo.

Un’altra questione che potrebbe portare all’esplosione di una crisi prima delle elezioni israeliane è il fatto che la Striscia di Gaza è assediata e affamata da 12 anni. L’inasprimento delle misure punitive finanziarie e amministrative da parte dell’Autorità palestinese sulla Striscia di Gaza, potrebbero aumentare l’escalation a Gerusalemme e in Cisgiordania, e portare a eventuali scontri militari nella stessa Striscia di Gaza, con Hezbollah, Siria e Iran. Questo punto di ebollizione non si sta raffreddando, anzi. Tutti i segnali sono indicativi della possibile escalation, soprattutto da quando Netanyahu è stato accusato di corruzione da parte del procuratore generale israeliano Avishai Mandelblit. È inevitabile che, in seguito alla notizia, il consenso popolare alla sua candidatura cali drasticamente e il rischio per lui di perdere le elezioni è molto alto. Solo estremizzando il conflitto e aumentando la tensione sul territorio attraverso tutti i mezzi a sua disposizione, Netanyahu potrebbe distogliere l’attenzione dalla questione giudiziaria, sminuendone l’importanza. Così, da vincente agli occhi dell’opinione pubblica, si potrà difendere meglio da qualsiasi accusa di corruzione.

Netanyahu ha infatti minacciato che continuerà a colpire la presenza iraniana in Siria, e i Paesi e i partiti dell’asse di resistenza. Alla luce di ciò, sembra che la visita del presidente Al-Assad a Teheran indichi che ci sono problemi importanti e che bisogna prendere decisioni a livello unitario di vertice, tra cui quale possa essere il miglior modo per rispondere a qualsiasi nemico contro la Siria o il Libano.

L’atmosfera nella regione è molto calda: dall’esterno, a causa della dichiarazione britannica che afferma la natura terroristica di Hezbollah (Partito della Resistenza libanese) sia nella sua ala politica che militare; e dall’interno, sul territorio libanese a causa della guerra condotta contro tale organizzazione da parte dei partiti politici guidati dalle forze libanesi e dall’ex primo ministro libanese Siniora per contrastare la campagna di Hezbollah impegnata nel controllare le risorse e le spese del governo e affrontare i problemi di corruzione. Sembra inoltre che Teheran possa puntare a un eventuale arricchimento dell’uranio, alla luce dell’incapacità dei Paesi europei di trovare un sistema finanziario indipendente che consenta loro di continuare le loro transazioni commerciali scavalcando le sanzioni imposte dagli Usa sugli accordi commerciali tra Europa e Iran. Nel caso di un eventuale sviluppo, Teheran potrebbe chiudere lo Stretto di Hormuz e affrontare Trump.

Gli Stati Uniti si stanno avvicinando al momento di ritirare le truppe dall’Iraq, dall’Afghanistan e dalla Siria orientale. La Turchia sta evitando di attuare i risultati raggiunti nel vertice di Sochi, stigmatizzando il Fronte Nusra, che è classificato come un’organizzazione terroristica e ha anche sostenuto il controllo delle aree gestite da gruppi terroristici fedeli ad esso. Inoltre, continua a parlare della cosiddetta zona cuscinetto di un’estensione di venti chilometri nel territorio siriano, e rifiuta di ritornare all’accordo di Adana del 1998, che garantisce la sicurezza e la stabilità dei suoi confini con la Siria, nonché la continua aggressione da parte delle bande del Fronte Nusra contro l’esercito siriano. Il tutto farà prevalere la risoluzione militare.

Questo mese intensificherà gli eventi e gli sviluppi, e gli Stati Uniti diffonderanno devastazione, distruzione e conflitti interni, prima di concedere la sconfitta in Medio Oriente, per spostare il peso della sua attenzione verso l’Africa, l’Asia orientale e l’America Latina, per affrontare la Russia e la Cina. Il mese corrente infine sottoporrà molta pressione sia alla cosiddetta Nato Araba che al Nord America e la Turchia, per finanziare l’aspetto economico dell’accordo del secolo e per convincere i leader palestinesi ad accettarlo.

La situazione in Medio oriente potrebbe precipitare in qualsiasi momento, specialmente da quando le contraddizioni hanno raggiunto un punto di non ritorno. Non possono più essere raffreddate, devono essere risolte militarmente, in modo che possa essere creato un nuovo ordine mondiale basato sulla multipolarità e sulla fine dell’egemonia americana. Affinché il progetto nordamericano venga completamente sconfitto in Venezuela, Ucraina, Afghanistan, Iraq, Siria, Libano, Yemen e persino in Palestina, e affinché l’accordo del secolo già vacillante fallisca definitivamente, è necessario che le forze palestinesi continuino a respingerlo all’unanimità con la potenza della sua unità.

Linardi (Sea Watch): l’Italia, dal 2017, è il braccio armato della Ue contro i migranti

Chi scrive non dovrebbe mai farsi coinvolgere ma saper raccontare le cose come stanno, senza opinioni o sentimentalismi e forse paradossalmente proprio per questo di fronte alle immagini degli ultimi sbarchi di migranti sulle nostre coste ammetto di essermi commossa. La questione non si può certo liquidare in poche righe ma osservando i volti spaventati di quei ragazzi scesi a terra non ho potuto non pensare come ognuno di loro abbia lasciato a casa (chissà dove) una madre, un padre, una sorella, un amore che forse non rivedranno mai, e paragonando tutto ciò ai nostri piccoli grandi drammi quotidiani mi sono resa conto di aver sussultato proprio perché ben cosciente di come stiano esattamente le cose. L’hanno capito in tanti in realtà ma molti per convenienza od opportunismo politico preferiscono tirare dritto verso una deriva d’odio e intolleranza che si espande ogni giorno a discapito degli ultimi, che oggi sono i migranti ma domani chissà.

A raccontarci quanto sia difficile in questo periodo lavorare dalla parte giusta della storia è Giorgia Linardi, portavoce italiana dell’Ong Sea Watch, protagonista con la nave Sea Watch 3 dell’ultimo caso mediatico in tema di sbarchi, terminato dopo settimane di stallo di fonte al porto di Siracusa, con lo sbarco di 47 migranti in quello di Catania.

Cos’è successo dopo la conclusione di quell’odissea il 31 gennaio?
Dopo essere stati trattenuti per 20 giorni in porto e aver subito 80 perquisizioni ci siamo diretti verso Marsiglia per una manutenzione in programma da diversi mesi. A breve cercheremo di tornare in mare anche se sappiamo che non sarà una passeggiata visto che negli ultimi mesi si sta intensificando l’accanimento da parte dei governi europei volto a ostacolare il più possibile la presenza di Ong in mare. La Sea Watch ha subito dal 2002 ben 22 ispezioni e a Catania la Procura ha aperto indagini penali che alla fine si sono verificate nulle ma già il fatto che senza alcun fondamento vengano formulate accuse fortissime come associazione a delinquere e facilitazione dell’immigrazione clandestina testimonia il livello di ostilità nell’aria. Ci troviamo a dover costantemente affermare la banalità del bene e siamo arrivati a festeggiare quando una Procura dichiara pubblicamente che non abbiamo fatto nulla di male come se si trattasse di un’eccezione invece della normalità.

Oggi è evidente come quello dell’immigrazione sia un problema europeo e che nessuno Stato voglia prendersi la responsabilità di far entrare sul proprio suolo migranti e richiedenti asilo, evitando anche di soccorrerli in mare e portarli in un porto sicuro come prevedono leggi e convenzioni come la Sar (Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo). Che idea vi siete fatti di tutto ciò?
Negli ultimi due soccorsi effettuati da Sea Watch le persone sono rimaste a bordo 19 giorni e un paio di settimane e il motivo principale risiede nel fatto che le autorità degli Stati costieri deputati al primo soccorso deleghino la gestione degli esseri umani alla Libia facendo leva sulle capacità di coordinamento di uno Stato che in realtà non le possiede. Tutto ciò è figlio dell’incapacità dell’Unione europea di affrontare l’immigrazione dall’Africa come un fenomeno strutturale parte dei nostri tempi e frutto di una naturale evoluzione e di eventi economici politici e climatici in larga parte dovuti proprio ai comportamenti degli Stati membri.
Nel nostro Paese poi la situazione è stata ingigantita e distorta ulteriormente per facilitare l’affermazione di una precisa linea politica che se da un lato chiude i porti e si focalizza sulla riduzione degli arrivi, dall’altro toglie la protezione umanitaria a migliaia di persone in modo che queste siano costrette a vivere in strada, alimentando la sensazione di pericolo e fastidio nella gente.

È una macchina dell’odio che si autoalimenta sulle spalle di coloro che hanno meno strumenti per difendersi, un accanimento contro gli ultimi che oggi sono i rifugiati ma ad un certo punto della storia, come già successo, potremmo essere noi.
La violenza e l’assenza di umanità ed empatia con la quale certe tematiche vengono trattate dovrebbe preoccuparci proprio per questo, ledere in modo sistematico diritti umani fondamentali è gravissimo a prescindere dai soggetti coinvolti.

Le nostre politiche per l’immigrazione non sono sempre state così: quando il vento ha cominciato a cambiare?
L’Italia è il braccio esecutivo di una linea europea di respingimento e controllo delle frontiere iniziata con la dichiarazione di Malta del febbraio 2017. La svolta grande si è verificata in quel momento, quando ha preso il via anche la campagna ignobile di criminalizzazione e attacco della nostra attività sotto tre principali fronti: politico, giudiziario e mediatico. Questo governo non sta facendo altro che seguire una direttiva già preparata e portata avanti dal precedente, magari in modo diverso ma con la stessa finalità: se prima ci si concentrava sugli accordi internazionali in particolare con la Libia, adesso si punta sull’esplicita condanna dei flussi migratori.

Con il vostro lavoro in mare inchiodate di fatto l’Europa alle proprie responsabilità, è anche per questo che siete visti come un testimone scomodo da scoraggiare il più possibile?
L’opinione pubblica non sembra particolarmente scossa da ciò ma di alcune cose è meglio non parlare e chi denuncia le atrocità che succedono nei centri di detenzione libici e i morti in mare di certo dà fastidio. Tra una ventina d’anni troveremo scritto sui libri di storia quello che sta avvenendo oggi e diremo che non ne sapevamo nulla. Dopo quanto successe circa un’ottantina di anni fa si disse never again, mentre oggi restiamo a guardare di fronte al ripetersi di dinamiche simili, appena al di là del nostro mare.

Accantonando la politica, uno degli aspetti più preoccupanti è che l’opinione pubblica sia tanto indifferente di fronte al racconto di certi drammi. Come siamo diventati così cinici?
Credo che la distanza mentale sia la prima motivazione di una tale mancanza di immedesimazione e umanità. A chi odia i migranti solo vedendoli in strada vorrei chiedere se si siano mai fermati a parlare o a condividere un pezzo di vita con loro, sono sicura che la maggior parte affermerebbe di no. È facile farsi deviare da un certo tipo di propaganda che erge lo straniero a capro espiatorio per giustificare ogni insuccesso individuale ma voglio credere che le persone che esprimano tanto livore non siano la maggioranza e che le stesse se si trovassero in mare sarebbero le prime a tendere la mano per soccorrere gli altri.
Sminuire il tema dell’immigrazione e credere possa risolversi facilmente è sbagliato ma dopo aver ascoltato storie atroci da persone che hanno solo da insegnarci e aver visto molte di loro affogare in acque gelide mi sento di dire che forse si potrebbe fare anche meno peggio di così.

Sventolano il Vangelo e rubano le fedi ai morti

Tra le storie che meritano di essere raccontate oggi bisogna andare a Cassano Magnago, profondo Nord, piena Padania, dove l’ex assessore leghista ai servizi sociali (segnatevelo bene: ai servizi sociali) a luglio scorso si è beccata qualcosa come un patteggiamento di una pena di 4 anni e 6 mesi (che le hanno permesso di uscire dal carcere, lei che fa parte del partito del marcire in galera) perché hanno scoperto che si occupava dei più deboli (italiani, sia chiaro) in un modo tutto suo.

Dal Tribunale di Busto Arsizio le era stata affidata una sessantina di bisognosi che avevano bisogno di un commissario esterno per gestire il proprio (languente) patrimonio e l’ex assessora aveva pensato bene di cominciare appropriandosi indebitamente di piccole somme per finire, come spesso succede, a farsi prendere un po’ la mano e portare via di casa addirittura quadri e gioielli. In pratica a queste persone con gravi problemi di salute avrebbe sottratto qualcosa come un milione di euro, giuro, con i quali ha giocato d’azzardo nei bar della zona (si dice almeno 100 mila euro), si è acquistata un’auto e si è perfino pagata un pezzo di mutuo della casa. Tra gli oggetti sequestrati avevano trovato una polizza vita a nome di una sua ignara vittima intestata a lei per 350mila euro.

Insomma, una personcina a modo, si direbbe. Se non ci fosse, oltre a questo anche la brutale inclinazione ad arricchirsi perfino sui morti, sottraendo le fedi prima di seppellirli. Ah, altro piccolo particolare: era dipendente di una ditta di pompe funebri e ovviamente si curava di tutti i defunti che le passavano sotto mano.

Ora sarà difficile negare per i leghisti di averla addirittura candidata sindaca nel non lontano 2012. Per carità, succede di sbagliare, non è questo il punto, il fatto che la signora in questione pur di uscire dal carcere ha patteggiato, ha restituito il maltolto (o almeno quello che si è riusciti a provare) e ora si gode la bella vita, dopo avere patteggiato con il Gup. Era in carcere e ora è bella paciarotta a casa.

E ovviamente Salvini non ha trovato nemmeno un secondo per parlarcene. Allora mi sono detto: perché non farlo io? Magari vi interessa capire di chi stiamo parlando, no?

Buon martedì.

Unidas Podemos, così la sinistra spagnola si declina al femminile

Unidos Podemos, la coalizione “viola” tra la sinistra degli indignados spagnoli e quella storica del partito comunista e di Izquierda Unida, ha deciso di declinare al femminile il proprio nome, si chiamerà Unidas Podemos enfatizzando la sua radice femminista e inviando un chiaro messaggio a tutti coloro che contrastano la parità di genere e l’autodeterminazione delle donne.

ScriveVíctor Mopez sul sito Los replicantes che, «secondo il dizionario della Reale accademia spagnola, il femminismo è definito come il “principio di uguali diritti di donne e uomini”. Nel suo secondo significato, aggiunge che è un “movimento che lotta per la realizzazione effettiva a tutti i livelli del femminismo”. Solo con questo, sarebbe sufficiente per il mondo intero dichiararsi femminista poiché l’uguaglianza tra uomini e donne dovrebbe essere uno dei pilastri principali di tutta la democrazia. Tuttavia, non è così».

C’è una certa riluttanza al femminismo nella società. La mancanza di informazione e il machismo in base al quale siamo stati educati provocano, addirittura, il rifiuto di quelle istanze. I settori più conservatori hanno trasformato questo in un’arma politica che demonizza tutto ciò che dà potere alle donne, mettendo in discussione persino le leggi di protezione per le vittime della violenza di genere.

Dall’altra parte, la spinta del movimento femminista sta diventando più forte, le donne hanno perso la paura di andare in piazza per protestare contro qualsiasi attacco ai loro diritti e si sono unite per gridare che se ne toccano una, toccano tutte, perché non è no. Non Una Di Meno, anche nello Stato spagnolo, è – assieme a quello per il diritto all’abitare – il movimento sociale che non risente «dell’esaurimento del ciclo di lotte del 15M», spiega Lorena Cabrerizo di Anticapitalistas, la corrente di minoranza di Podemos. Il 25 novembre scorso, in parallelo con centinaia di altre piazze di tutto il mondo, anche nello stato spagnolo si sono svolte manifestazioni e assemblee in 120 città. L’8 marzo anche lì le donne incroceranno le braccia con la copertura dei sindacati alternativi e, proprio questo venerdì, il movimento femminista sta ha iniziato una settimana di azioni attorno alle richieste dello sciopero femminista a partire da una manifestazione contro il Cie di Aluche. Il 3 marzo c’è stata la I Carrera Femminista, 5 km con lo slogan “Correre senza paura e non per paura”, in omaggio a Laura Luelmo, la donna assassinata a Huelva mentre era uscita per fare jogging. Sempre domenica è scattata l’operazione Spider, che consiste nel riferire sullo sciopero dell’8M in tutta la rete metropolitana di Madrid con gruppi di donne che sono partiti da tutti i quartieri per raggiungere coi mezzi la Puerta del Sol. Nella Plaza de Tirso de Molina hanno protestato le lavoratrici domestiche e i movimenti per il diritto alla casa. Seguono performance a sorpresa e, il 4 marzo, tutte le donne sono invitate a scrivere su postit le loro motivazioni per lo sciopero dell’8M ed esporle nei luoghi in cui lavorano tutti i giorni oltre che sui social network, oppure appendere i grembiuli a finestre e balconi. Il 5 marzo tutte davanti ai tribunali per denunciare la violenza patriarcale.

In Spagna, tuttavia, l’ascesa dell’estrema destra mette in pericolo le conquiste femministe e le vertenze, come quella del primo sindacato di sex workers, Otras, il cui riconoscimento, per ora è bloccato dal ministero del lavoro. Vox, il partito franchista protagonistra dell’exploit in Andalusia, che sta preparando il suo assalto al Congresso, ha reso l’avversità al femminismo una questione di stato arruolando le femministe tra i nemici della patria. Pertanto, chiede l’abrogazione della legge contro la violenza di genere e il divieto di aborto.

Di fronte a questi attacchi, i principali partiti di sinistra hanno annunciato che si opporranno a qualsiasi riduzione dei diritti delle donne. UP è la formazione che ha mostrato una maggior coscienza su questo tema, così ha deciso di cambiare nome in Unidas Podemos in vista delle elezioni generali anticipate del 28 aprile. Una dichiarazione che è tutto un programma.

Non è un grande cambiamento ma è un’importante modifica simbolica. Anche il logo cambierà, sebbene non sia ancora stato rivelato.

«Unidas Podemos rappresenta l’anima femminista di entrambe le organizzazioni con cui ci sentiamo più a nostro agio, sfida più persone e organizzazioni», hanno spiegato dalla coalizione a Público. La verità è che da diversi mesi diversi parlamentari si sono riferiti al gruppo confederale come Unidas Podemos, e questa decisione è stata presa a giugno. Inoltre, hanno anche incluso un linguaggio inclusivo nei loro discorsi riferendosi a se stessi come “noialtre”, nosotras.

Così, Unidas Podemos sarà il marchio registrato al ministero degli Interni e il comune denominatore di tutte le coalizioni ai diversi livelli, con eventuali modifiche secondo gli accordi finali nel caso di elezioni delle autonomie e municipali. Nel caso delle europee, il nome sarà “Unidas Podemos cambiar Europa”. Alle politiche del 26 giugno la coalizione ha raccolto un po’ più di 5 milioni di voti, 21.15%, pari a 71 su 350 seggi al Congresso e 23 su 208 al Senato. All’appuntamento del 28 aprile il partito di Iglesias, tuttavia, arriva scosso dai pessimi risultati dell’allenza di governo con il Psoe di Sanchez e dallo strappo di Inigo Errejon, l’ex delfino di Iglesias, che a Madrid ha lasciato Podemos per correre alle municipali in tandem con l’alcaldessa Carmena sotto le insegne della Piattaforma Mas Madrid a cui le sinistre (Anticapitalistas, Bancada Municipalista, Izquierda unida, La Izquierda) opporranno Madrid en Pie, Madrid in piedi, che proprio il 2 marzo terrà una convention nella capitale. «Sanchez – prosegue Lorena Cabrerizo ricordando l’atteggiamento ospitale del premier ai tempi della deriva della nave Aquarius – sembrava capace di ricomporre un nuovo blocco progressista nell’azione di migliorare le condizioni materiali della sua base sociale». Poi c’è stato lo schiaffo andaluso col Psoe che ha perduto il suo feudo storico e, per la prima volta, il franchismo è emerso dalle urne senza la copertura del Pp, con il blocco delle destre che sembra intercettare il sentimento di insicurezza che grava le classi medie facendo leva sullo “spagnolismo”, sull’antifemminismo e sulla paura degli immigrati per unificare settori sociali che, altrimenti, non avrebbero nulla da condividere».

Sarà interessante capire se il nuovo nome e il rinnovo dell’alleanza con Iu sarà utile a Podemos per superare la sua crisi politica, la sua “ossessione” governista e di modello organizzativo cesarista (tutto ruota intorno al leader Iglesias).

«Sembra già evidente che Podemos, per come l’abbiamo conosciuto nei suoi cinque anni di vita è finito – hanno scritto sulla rivista Viento Sur, Manolo Garì e Jaime Pastor – sarà un altro Podemos che impareremo a conoscere da ora, probabilmente condannato a rappresentare solo una corrente politica strettamente associata con il pablismo (quello di Iglesias, ndr), mentre allo stesso tempo emerge un neopopulismo di centro, forse vicino a quello che i verdi tedeschi o gli italiani del movimento 5Stelle rappresentano che, inoltre, non cesserà di rivendicare il brevetto originale di Podemos». La disponibilità a governare con il Psoe ha soppiantato, infatti, il progetto rupturista su cui era nato Podemos, che s’era voluto rappresentare come portatore nelle istituzioni dello spirito di quel 15M e poi, dopo le europee del 2014, ha messo in piedi una macchina da guerra elettorale pronta per una guerra lampo, che però è fallita. Dalla frustrazione di quelle aspettative di “assalto al cielo”, con un progetto populista basato su un modello di partito basato su una leadership carismatica e una democrazia plebiscitaria, Podemos è passato all’adattamento crescente all’asse convenzionale sinistra-destra, considerando il Psoe come l’alleato principale da “sedurre”.

Intanto il Psoe governa e, in questo scorcio di legislatura, sta per formulare una proposta di riforma della legge sugli affiti che, però, non conterrebbe norme per regolare i prezzi e, stando a quanto dice Jaime Palomera del Sindicato de Inquilinos di Barcellona, non servirà a bloccare la bolla immobiliare e garantire il diritto alla casa. Anche secondo la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (Pah), che riunisce le famiglie colpite dalle ipoteche, la bozza cristallizza la bolla speculativa e non garantisce il passaggio da casa a casa come chiedono le Nazioni unite. C’è solo un piccolo passo avanti, frutto della pressione dei movimenti, il blocco degli sfratti al buio, senza preavviso di ora e data. Più avanzata la recente ley de emergencia social catalana che costringe, invece, i grandi detentori, le banche, i fondi avvoltoio a dare un’alternativa abitativa o prevenire lo sfratto in caso di assenza di alternative ma il governo di Madrid non ha voluto includere la clausola nel testo statale ed è, «un altro regalo a Blackstone, ai fondi avvoltoio che monopolizzano migliaia e migliaia di case», dicono al Pah. Tutto ciò per dire che la riforma di Sanchez lascia fuori quelle misure strutturali che consentirebbero di cambiare il modello abitativo orientato alla speculazione e che lo renderebbero omologabile al sistema sanitario o di istruzione per garantire che il diritto alla casa è un diritto universale e fondamentale. Poi dice che uno si butta a destra, direbbe Antonio de Curtis, in arte Totò.