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Costituzionalmente laici. Convegno su Giordano Bruno

Sono trascorsi 418 anni da quel 17 febbraio del 1600 quando il filosofo Giordano Bruno fu arso vivo in Campo de’ Fiori a Roma per ordine del tribunale della Santa Inquisizione, presieduto dal pontefice.  «Eretico, pertinace, impenitente …» recitava la sentenza, con massimo spregio per chi come Bruno rivendicava il diritto umano di pensare e scegliere autonomamente.

L’Associazione nazionale del libero pensiero “Giordano Bruno” come ogni 17 febbraio in Campo de’ Fiori a Roma  ricorda il filosofo Bruno, contro l’oscurantismo. Dalle 17 intervengono il regista Giuliano Montaldo  ” Giordano Bruno, la libertà per amica”, Maria Mantello, “Giordano Bruno, maestro di laicità”,  Gianni Ferrara ” 70 anni di sana e robusta Costituzione” e Fabio Cavalli  La  parola a Giordano Bruno. Ecco cosa ci ha detto Maria Mantello:

Il 17 febbraio in Campo de’ Fiori a Roma, l’Associazione nazionale libero pensiero Giordano Bruno ricorda il filosofo che in questa piazza venne bruciato vivo il 17 febbraio del 1600 per ordine del tribunale della Santa Inquisizione, presieduto dal pontefice romano. Ne abbiamo parlato con la studiosa del pensiero Nolano, Maria Mantello, organizzatrice del convegno Nel nome di Giordano Bruno. Né dogmi Né padroni.

Giordano Bruno è stato uno dei più grandi filosofi, uno dei più coraggiosi e coerenti, non accettando di abiurare le proprie idee nemmeno di fronte al rogo. Qual è il nucleo forte del suo pensiero che parla ancora ai lettori di oggi?

La filosofia di Bruno si pone a livelli altissimi in quello che è il suo compito preciso: sco-prire, togliere il velo all’apparenza, capire come stanno le cose a «lume di ragione». Un furore eroico – come egli stesso lo definisce – che diviene procedura e metodo, che ha bisogno però di un’operazione preliminare: la liberazione della mente dall’abitudine di credere.

«Giordano Bruno anticristiano», come ha scritto Michele Ciliberto?

La polemica antifedeista di Bruno è centrale ed è rivolta come è logico che sia alla religione dominante, la cattolica, la “vorace lupa romana” come la definisce, che alla fine lo manderà al rogo. Ma Bruno si badi bene polemizza senza sconti con il cristianesimo tutto: l’impiagata irriformabile religione dell’ascolto e della soggezione che da Paolo di Tarso. L’autonomia dal confessionismo è un tema ancora di cogente attualità. E sulla strada della separazione tra leggi umane e leggi divine, tra Stato e Chiese, come oggi diciamo, certamente Giordano Bruno è un maestro di laicità. A lui interessa la costruzione di una società civile che leghi l’uomo all’uomo nella giustizia, che è costruzione umana attraverso leggi giuste. Ma non c’è giustizia senza uguaglianza, che non significa appiattimento, sostiene Bruno, ma pari opportunità, infatti -scrive- anche se non è «non è possibile che tutti abbiano una sorte; è possibile ch’a tutti sia ugualmente offerta»!

E il suo campo d’indagine è vastissimo

La filosofia di Bruno va dall’ontologia all’etica, dalla fisica alla cosmologia, dall’estetica alla politica, in un interconnessione straordinaria, dove il nucleo forte è proprio la liberazione dalla soggezione mentale ai confessionalismi che vorrebbero gli individui replicanti dei loro modelli precettistici che sarebbero prioritariamente iscritti in supposte idee di anime. Giordano Bruno questa catena di creazionismo la scioglie rimettendo al centro la «materia vita natura» che si auto produce (in natura niente si crea e niente si distrugge, come si dirà secoli dopo di lui). E di questa materia vita fa parte ogni essere umano storico biologico fisico che sottratto a finalismo e provvidenzialismo è il padrone della sua vita! Su questa base assume centralità la dignità umana di ciascun individuo. E in un’epoca in cui la misoginia era strutturale e le donne venivano arse vive come streghe, Bruno scrive pagine straordinarie dalla parte delle donne ribaltando gli schemi sessisti, per esempio nel De la causa principio et uno.

In Inghilterra il suo pensiero ebbe larga circolazione, tanto che si ipotizza Shakespeare ne avesse qualche conoscenza….

Bruno in Inghilterra si guadagnò la stima della stessa regina e si pensa che a corte potesse aver conosciuto anche Shakespeare, che dalla filosofia del Nolano è certamente influenzato. L’universo bruniano con un cielo infinito e la materia creatrice, è infatti più che un semplice sogno d’amore nell’ Antonio e Cleopatra del drammaturgo inglese. E ancora in un’altra sua operetta, Pene d’amore perdute, la concezione dell’autonomia dello Stato dal confessionalismo è chiara ripresa dello Spaccio della bestia trionfante di Giordano Bruno. Le opere di Bruno circolavano lui vivente in tutta Europa, nonostante fossero all’Indice. La Chiesa cattolica il 17 febbraio del 1600, mentre a Campo de’ fiori veniva arso viso il filosofo, sulla scalinata di San Pietro la stessa fine era riservata ai suoi libri. La Chiesa avrebbe voluto cancellare la memoria di Giordano Bruno.

La “fortuna” delle opere di Bruno è stata più “europea” che italiana, a causa dell’ombra lunga del Vaticano anche sulla scuola gentiliana?

Nel fermento laico del Risorgimento l’interesse sulla vicenda di Bruno si riaccese e le sue opere cominciano ad essere tradotte. Man mano che si compiva il processo dell’unità d’Italia, targhe in onore di Giordano Bruno e monumenti venivano edificati nelle diverse città italiane ad opera dei circoli bruniani che poi venivano unificati nell’Associazione Nazionale del libero Pensiero “Giordano Bruno” all’inizio del Novecento.
Attualmente Bruno è tradotto anche in cinese e giapponese, ma in Italia è ancora molto scomodo. Il suo pensiero si cerca di occultarlo, falsificarlo. l’ombra vaticana certamente pesa moltissimo, visto che circolano ancora manualetti dove addirittura Bruno viene liquidato come «filosofo panteista perito in un incendio!».

 

Per approfondire: www.periodicoliberopensiero.it

il nuovo numero di Left in edicola


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Gli uomini della provvidenza e il sacro mattone

Con la firma dei Patti lateranensi, Mussolini pose le fondamenta del potere economico e finanziario del Vaticano, minando al tempo stesso in profondità le già scarse risorse dello Stato italiano. In uno dei due documenti che componevano i Patti, il Trattato (l’altro è il Concordato, poi rinnovato il 18 febbraio 1984 da Craxi), al IV allegato era riportata la Convenzione finanziaria che obbligava l’Italia a versare nelle casse della Santa sede in totale un miliardo e 578 milioni di lire, «in nome della Santissima Trinità». A luglio del 1929 Pio XI incassò dall’“Uomo della provvidenza” la prima rata di 750 milioni di lire. La somma equivaleva al 37,5 per cento delle riserve liquide dell’Italia, che in quel momento, come ha ricostruito Benny Lai in Finanze vaticane (Rubettino ed.), ammontavano a due miliardi di lire. Tre mesi dopo il pagamento monstre, il nostro Paese sarà travolto in queste condizioni, praticamente in brache di tela, dalla Grande depressione che da Wall street si propagò ovunque affossando l’economia mondiale negli anni a venire.

Andò invece decisamente bene ai gerarchi della Chiesa cattolica che grazie al dittatore fascista e sulla pelle dei cittadini italiani attraversarono uno dei periodi più bui della storia umana con le spalle coperte dall’enorme e improvvisa ricchezza (materiale). Fu per poterla gestire che il papa creò l’Amministrazione speciale della Santa sede. Ben presto nell’orbita o, per meglio dire, sotto l’influenza e il controllo di questa potentissima macchina da soldi, finirono diversi istituti italiani, tra cui il Banco di Roma, il Banco di Santo spirito e la cassa di risparmio di Roma. Nel 1942 venne poi fondato da Pio XII lo Ior (Istituto per le opere di religione) e con questa banca il Vaticano iniziò la sua lunga e fruttuosa avventura nel mondo delle speculazioni finanziarie e dei paradisi fiscali (per approfondire, consigliamo la lettura del libro di Turco, Pontesilli, Di Battista, Paradiso Ior, Castelvecchi ed.). L’enorme flusso di denaro che dalle tasche dei contribuenti italiani confluisce da allora nei forzieri della teocrazia confinante – e che ammonta oggi a circa 6,5 miliardi di euro l’anno, come vedremo nell’articolo successivo – trova la sua “pezza d’appoggio” anche nel Concordato siglato l’11 febbraio 1929 e rinnovato il 18 febbraio 1984 da Bettino Craxi, socialista come Mussolini.

Oltre alle ricchezze fin qui accennate, c’è un altro tesoro che fa capo alla Chiesa, paradossalmente molto più visibile e solido ma di cui raramente ci si occupa…

L’articolo di Federico Tulli prosegue su Left in edicola


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Russia, la battaglia elettorale corre sul web. Oscurato il sito del dissidente Navalny

Privet, eto Navalny. «Ciao, sono Navalny. Forse vi sono mancate le nostre inchieste, ma oggi posso rendervi felice con una notizia». Quasi tutti i messaggi su Navalny live, il canale di notizie personale dell’attivista russo, cominciano così. La guerra contro il potere Aleksey la conduce quando può per le strade e in piazza, ma sempre, ogni giorno su internet. Ora nella sua rete digitale è finito un ryba, un pesce. Questo vuol dire rybka in russo: “piccolo pesce”. Il “rybkagate” è l’ultimo scandalo che scuote l’alba delle future elezioni russe, a Mosca, ma anche quelle ormai trascorse, a Washington. Il “rybkagate” è la storia di uno scandalo, di un oligarca, di una escort sul suo yatch, di un blog che parla dei legami dei due uomini più potenti della terra: Donald Trump e Vladimir Putin.

Nel 2016, ad agosto, in estate, il magnate dell’alluminio, l’oligarca russo Oleg Deripaska sarebbe stato in acque norvegesi con il suo yatch privato insieme al vice premier Sergey Prikhodko, consigliere di Putin. Insieme a loro c’era Anastasia, un’escort, il cui soprannome è Nastja Ribka. Su Instagram la ragazza ha pubblicato foto di quel viaggio estivo. I due uomini sono legati a Paul Manafort, – ex responsabile della campagna presidenziale di Trump, ora chiave di volta nell’indagine Russiagate su cui indaga il Congresso e l’Fbi in America.

La notizia è stata subito ribattuta e diffusa dal blog dell’oppositore Aleksey Navalny. Il sito del blog è stato oscurato dai provider russi di internet su ordine statale, ma l’oppositore e il suo team sono riusciti a creare un sito specchio e rimuovere il blocco al sito originale. Sono i contenuti video e foto a non essere visibili in Russia su ordine della Rkn, Roskomnadzor, l’agenzia statale per il controllo delle comunicazioni, che ha intimato a Youtube e Instagram di rimuovere il materiale dell’inchiesta. Il prezzo da pagare, se i due giganti digitali avessero deciso di non eseguire l’ordine, era la perdita immediata del mercato russo. Interfax, un’agenzia russa, ha poi riportato che la Rkn aveva chiesto anche a Google di cancellare o bloccare l’accesso al video e le foto.

Sesso, bugie e Instagram. Il divieto di diffusione della Rkn arriva dopo una sentenza della corte del tribunale di Ust-Labinsk, Russia del sud, che aveva dato ordine di censura per la tutela della privacy violata dell’oligarca, da parte della modella di 21 anni, Anastasia Vashukevich, detta appunto Rybka, piccolo pesce, dopo che cinque milioni di persone su Youtube avevano già visto il video che denunciava i legami dell’oligarca Deripaska e del vice premier russo.

Non solo sui social network: Deripaska è un nome citato anche nei report d’oltreoceano, nelle investigazioni condotte negli Stati Uniti sulla presunta interferenza russa nelle elezioni americane che hanno portato alla vittoria di Trump. Deripaska, con il suo portavoce, ha fatto sapere che la protezione della sua privacy non ha niente a che fare con la lotta politica, né con la battaglia del Cremlino contro il blogger, né con i legami tra gli uomini che hanno portato alla vittoria di Trump.

Dopo che più volte i giudici hanno emesso sentenze che lo hanno condannato a non poter essere candidato per processi a suo carico, dopo i fermi e gli arresti delle precedenti manifestazioni di piazza, a Navalny è rimasta un’unica altra voce: Twitter. Mancano poco più di trenta giorni, un mese. Questa è la guerra elettorale via social prima delle urne che verranno aperte domenica 18 marzo in tutta la Russia. Lui, Navalny, ha chiesto al popolo di boicottare le elezioni, perché non potrà partecipare. Vedremo quanto conterà la sua voce.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono. Anche l’indifferenza uccide, sì, anche quella: i morti per indifferenza li riconosci perché quando muoiono se gli apri gli occhi, con le dita, come si aprono due lembi, dentro ci trovi la pupilla di chi l’aveva capito da tempo che sarebbe finita così. Non sono mica come i morti improvvisi, quelli con lo sguardo interrotto che non ha nemmeno fatto in tempo di stringersi per il buio che gli veniva addosso: se avessero un minuto, un minuto ancora, un minuto di quelli che un minuto prima di andarsene uno torna e dice – ah! Scusa, un’ultima cosa – se avessero avuto quel minuto lì ve l’avrebbero raccontato anche loro che il mare, il mare non uccide. Uccide trascinarsi per il deserto come una mandria zoppa in balìa di pastori a forma di soldati; uccide farsi porto a forza di pregarne uno e provare a farsi legno per non bollire di sole e sale; uccide nascere dalla parte sbagliata del mondo, come una mela che casca dalla parte del dirupo; uccide l’indifferenza. Sì, l’indifferenza uccide, eccome se uccide. Ci sono più morti di indifferenza della somma di tutte le guerre mondiali, anche delle guerre dei tempi passati. Solo che i morti di indifferenza muoiono che non se ne accorge nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno.
Il vicolo deserto in cui non passa nessuno, trattato come un sacco dell’umido da chiudere stretto senza nemmeno guardarci dentro, per non rovinarsi l’appetito, è la Libia di cui tutti parlano e nessuno legge, la Libia che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori. E invece lì dentro ci sono storie che vanno prese a piene mani e portate in giro. Con pazienza, cura. Come quando si cambia una lampadina, appunto.

(dal mio spettacolo “A casa loro”, scritto insieme a Nello Scavo, che è uno spettacolo teatrale ma forse sarebbe il caso che fosse un bigino da tenersi in tasca durante questa brutta campagna elettorale. Buon venerdì)

La lezione antifascista di Macerata

L’antifascismo riparte da Macerata, abbiamo scritto in copertina. La manifestazione organizzata dai centri sociali e da Potere al popolo che ha visto migliaia e migliaia di persone sfilare pacificamente ha avuto il senso di un netto e vitale rifiuto dei criminali fascisti ma anche dei professionisti della paura (politici e media). Dalle strade della cittadina marchigiana si è alzato un forte e spontaneo no verso chi fa campagna elettorale con argomentazioni razziste, spacciando notizie false per indurre paura e senso di insicurezza, per poi poter imporre un controllo militare sulla società. Tutti coalizzati e tesi verso questo obiettivo, dal centrodestra di Salvini, Berlusconi e Meloni al centrosinistra di Renzi, Gentiloni e Minniti, passando per la “consegna del silenzio” invocata da Di Maio sulla strage tentata dal naziskin Traini. Tutti d’accordo, con l’incredibile avallo dei vertici dell’Anpi, della Cgil, di Libera e dell’Arci. Intervistata da Left Carla Nespolo dell’Anpi ha parlato di una decisione difficile presa per rispetto delle istituzioni. Una risposta che fa gelare il sangue, pensando ai partigiani che hanno speso la vita per abbattere le istituzioni fasciste. Le istituzioni non sono neutre, hanno un contenuto e un preciso segno politico, non saremo di certo noi a insegnarlo alla presidente nazionale dell’Anpi. Ma anche tralasciando quella terribile “gaffe”, ci domandiamo perché Anpi Cgil, Arci e Libera siano andati in soccorso del sindaco Pd di Macerata che con il suo appello chiedeva di far finta di nulla – o meglio -, con il soccorso di Minniti imponeva di chiudere gli occhi di fronte all’attacco terrorista compiuto da un fascioleghista, che ha sparato per uccidere, lucidamente, cittadini di colore. Come tacere rispetto a tutto questo? Come si può restare inerti rispetto alle dichiarazioni del segretario del Pd e del ministro dell’Interno che hanno commentato il gesto razzista e criminale di Traini dicendo «non ci si può far giustizia da soli». Come se gli immigrati presi a fucilate avessero commesso un reato! Per fortuna nella base dell’Anpi e in una significativa parte della Cgil è scattata la ribellione. “Per fortuna” c’è stata una ferma risposta di massa da parte di cittadini auto convocati, venuti da ogni parte del Paese.

La manifestazione del 10 febbraio è stata un grande successo del movimento antifascista e antirazzista. E Minniti, per tutta risposta, il giorno dopo ha rimosso il questore che l’aveva autorizzata. Un normale avvicendamento dicono le fonti ufficiali. Normale a soli tre mesi dalla nomina? A noi pare di poterci leggere un’ulteriore conferma del fatto che quella iniziativa, secondo il ministro del governo Gentiloni, Marco Minniti e per il rottamatore della sinistra Matteo Renzi, andava annullata. Andava soffocata la sana reazione di chi ha solidarizzato con la comunità immigrata di Macerata colpita due volte: dall’attentato e dai sospetti che l’hanno investita dopo l’arresto di alcuni immigrati di origine nigeriana accusati dell’omicidio di Pamela. Perché quelle stesse persone pronte a “etnicizzare” il delitto, non hanno fatto lo stesso con l’italiano che ha ucciso Jessica a Milano? I profeti della paura, i politici, da Prestipino a Fontana, che parlano di difesa della razza bianca, di tutela della famiglia italiana tradizionale basata sui valori cristiani non fanno altro che legittimare e alimentare razzismo e xenofobia. Ed è di quella violenta ideologia che dovremmo aver «paura», non di fantomatiche invasioni di migranti, non dello straniero, non dello sconosciuto; dovremmo aver paura della “cultura” catto-fascista oggi propagandata da formazioni come Forza nuova e CasaPound, ma anche da partiti politici che corrono per le elezioni. è questa la vera emergenza.

Torniamo ora a Macerata. A 17 anni, dopo un’adolescenza difficile, Traini fu folgorato da Forza nuova. Si sentì subito parte di quella comunità cattolica e fascista, ha raccontato. Nell’ideologia nazifascista ha trovato una giustificazione… Che ruolo gioca una cultura malata e criminale nell’armare la mano di una persona già disturbata? Che ruolo ha il fondamentalismo religioso? La moderna psichiatria parla di casi isolati, di singole personalità psicopatiche. Il nostro compito di giornalisti è di porre domande, anche scomode. Per questo su questo numero di Left abbiamo scelto di approfondire due questioni lontane, ma forse non troppo. L’avanzata delle destre clericofasciste e lo strapotere che il Vaticano continua a esercitare sull’Italia, anche attraverso la scuola e i media. Da millenni siamo ostaggio di una ideologia spacciata per antropologia, di una narrazione biblica che ci vuole tutti segnati dal peccato originale, tutti figli di Caino, dunque pronti a uccidere. E sui giornali mainstream dicono che potrebbe capitare a tutti di farlo. «Chi ha ucciso Pamela Mastropietro? La tossicodipendenza o la ferocia latente della natura umana?» si legge in un articolo di Repubblica. Forti di un pensiero nuovo sulla realtà umana noi di Left ci ribelliamo a una visione religiosa che non permette la conoscenza.

L’editoriale di Simona Maggiorelli è tratto da Left in edicola


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Repubblica a sovranità limitata

È il 25 marzo 1861. Da otto giorni è stato proclamato il Regno d’Italia, di un’Italia monca del Triveneto e del Lazio. Monca dunque anche di Roma, dove regna il papa. Il primo ministro Cavour propone al parlamento di Torino di proclamare comunque Roma capitale d’Italia. Chiede al papa un passo indietro: la rinuncia al potere terreno. Cavour è un convinto laico, tanto da ritenere che «nel secolo prossimo la separazione della Chiesa dallo Stato sarà un fatto compiuto ed accettato da tutti i partiti».
Si sbaglia clamorosamente.

Cavour muore due mesi dopo. Non vedrà la guerra che, nel 1870, l’Italia dovrà dichiarare al papa per avere la sua capitale. E non proverà la delusione di non vedere mai un’Italia laica, che era un obiettivo centrale del progetto risorgimentale. Nonostante le scomuniche scagliate da Pio IX contro i vertici della nazione, il cattolicesimo resta la religione del Regno d’Italia. Mentre in Francia si approva, nel 1905, la storica legge sulla laicità, Pio X capisce che tenere i cattolici italiani lontani dalla politica è controproducente, perché favorisce la secolarizzazione della società e delle istituzioni. Ed ecco, nel 1913, il patto elettorale che i liberali di Giolitti, dopo aver scaricato i radicali, stipulano con i clericali di Gentiloni.

La strada è dunque già stata segnata, quando il fascismo prende il potere: e 707 anni dopo Worms resuscita il Concordato. Ma basta che osserviate le fotografie scattate in Laterano l’11 febbraio 1929 per rendervi conto che non è comunque un passo facile. Mussolini e il cardinale Gasparri, al momento delle firme, si guardano cupi. Anche le personalità presenti non sembrano particolarmente felici. Il duce ha un passato socialista e anticlericale di cui ora si vergogna, le gerarchie ecclesiastiche sanno che una parte del mondo cattolico non capirà.

Ma quando c’è la volontà politica si arriva sempre a un accordo, anche quando i contraenti sono due totalitarismi. Benché Pio XI pensi che l’unico totalitarismo doc sia quello della Chiesa cattolica, il 13 febbraio rende onore a Mussolini, affermando che «ci voleva un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare, un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale». Un uomo che, dopo aver cancellato le libertà civili, riportasse indietro le lancette della storia. La Chiesa, con i Patti Lateranensi, dona al fascismo credibilità e legittimità nel mondo intero.

In cambio può tornare a gestire il potere terreno, perché nasce lo Stato della Città del Vaticano. La Chiesa ottiene anche una serie incredibile di privilegi. Tra i più…

L’articolo di Raffaele Carcano prosegue su Left in edicola


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Una vita irrazionale (podcast), numero speciale dedicato a Massimo Fagioli. Intervista allo psichiatra Andrea Masini

In occasione dell’uscita del numero speciale di Left UNA VITA IRRAZIONALE, dedicato all’originale ricerca di Massimo Fagioli sulla realtà umana, abbiamo chiesto ad Andrea Masini, psichiatra, psicoterapeuta e direttore della rivista scientifica Il sogno della farfalla, di parlarci delle scoperte dell’autore della Teoria della nascita e dell’analisi collettiva, che hanno portato ad un cambio di paradigma, nella psichiatria e non solo.

Andrea Masini: La domanda è difficilissima perché riguarda un pensiero veramente nuovo, originale, che – ed è uno dei grandi meriti del settimanale Left – viene qui riproposto. È un personaggio, è un pensiero, è una teoria, quella di Massimo Fagioli, che secondo me è ancora tutta da far conoscere. Lui ha lavorato a questa teoria tutta la vita. L’ha esposta nel 1971, sul suo primo libro, che è il punto di partenza di questa teoria, Istinto di morte e conoscenza, che già nel titolo ha gli elementi fondamentali della sua ricerca, cioè l’idea di una realtà umana che è stata sempre codificata come istinto di morte e considerata solo qualcosa di terribilmente distruttivo nella parola. Invece lui l’ha legata alla conoscenza, cioè a questa capacità dell’essere umano di essere così creativo nella sua possibilità di intervenire nel mondo naturale.

Ecco, capisco di aver solo lontanamente chiarito il pensiero di Fagioli. Egli era, e ha sempre rivendicato di essere uno psichiatra, di aver fatto questa ricerca come psichiatra, quindi partendo dalla malattia mentale, partendo dalla malattia mentale grave, non dalla cosiddetta nevrosi, ma dalla malattia che chiamiamo comunemente psicosi. Fagioli si è formato nell’ospedale psichiatrico, il vecchio “manicomio”, e per tutta la vita ha cercato di capire questa duplicità dell’essere umano, che può essere il massimo della distruttività e il massimo della creatività.

E questa dimensione lui la trovava all’interno di quello che un tempo veniva chiamato “inconscio”, cioè la realtà più profonda degli esseri umani, che lui preferiva chiamare “non cosciente”, perché la parola “inconscio” aveva acquisito negli anni il senso di “inconoscibile”, di “sconosciuto ma inconoscibile” e invece lui riteneva che questa potesse essere assolutamente conoscibile, che doveva essere conoscibile, e chiamarla inconoscibile significava – come dire – abdicare ogni ricerca sulla realtà umana. E questa realtà inconscia, o “non cosciente” come la chiamava lui, aveva entrambe queste possibilità: di distruggere, o di costruire, di creare, e questa possibilità di prendere una via piuttosto che un’altra era legata alla sanità – lui avrebbe detto “vitalità” – che ha un essere umano, e quindi di far prendere a questa forza interiore una direzione o il suo opposto…

L’intervista prosegue sul podcast di presentazione del numero speciale UNA VITA IRRAZIONALE. Per ascoltare gli altri podcast di approfondimento Left on air, clicca qui

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Strage in una scuola. L’ennesima negli Usa. Come leggere questo agghiacciante fenomeno

Il fermo immagine, tratto da Fox News, dalla Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland (Florida) dopo la sparatoria, 14 febbraio 2018. ANSA/FERMO IMMAGINE FOX NEWS +++EDITORIAL USE ONLY - NO SALES - NO ARCHIVE+++

Sparatoria in un liceo a Parkland in Florida. L’ennesimo caso in America. Un giovane armato, Nicholas Cruz, ha aperto il fuoco nella Marjory Stoneman Douglas High School,  uccidendo 17 persone e ferendone più di 50 persone. Cruz era uno studente “difficile” dicono gli articoli della stampa locale che riportano il caso.  Un agghiacciante rituale che torna a ripetersi negli Usa. A spiegarlo non basta il fatto che la vendita delle armi sia diffusissima Oltreoceano. E’ necessario indagare a fondo il pensiero malato che spinge ad acquistare armi per uccidere. Per tentare di capire cosa c’è dietro a  un fenomeno che fino all’attentato di Macerata credevamo solo made in America, riproponiamo qui la riflessione dello psichiatra Domenico Fargnoli sul caso di Adam Lanza responsabile di una strage in una scuola elementare a Newtown nel Connecitucut il 14 dicembre 2012

Adam Lanza sarebbe stato in diretta competizione con Anders Breivik il mass murderer norvegese autore nel luglio del 2011 della strage di giovani nell’isola di Utoya. È quanto riferisce l’emittente CBS sulla base di fonti rimaste anonime. La notizia, secondo il portavoce del polizia del Connecticut, sarebbe puramente speculativa. In realtà , indipendentemente da fatti che provino la validità dell’ipotesi emulativa, sono riscontrabili negli innumerevoli episodi di mass shooting commentati nei media di tutto il mondo, dei tratti comuni, individuati anche in studi di psichiatria forense, che fanno pensare ad una componente “imitativa”.

Molti dei soggetti, autori di stragi ai danni di individui inermi e quindi bersagli ideali, hanno dei profili psicologici compatibili con una diagnosi di schizofrenia come nel caso di Breivik e di Lanza. Ora che uno schizofrenico imiti un altro schizofrenico o che un gruppo di schizofrenici possa creare uno stile particolare e riconoscibile di omicidio di massa mette in discussione conoscenze psichiatriche che sembravano acquisite. Noi sappiamo che il termine schizofrenia fu coniato di Eugen Bleuler nel 1913 il quale , ispirandosi, a Freud ritenne che le persone affette da questa malattia vivessero in un mondo a parte perdendo la capacità di condividere con altri esseri umani affetti, valori ed obiettivi. Lo schizofrenico sarebbe stato simile ad un anacoreta per ritiro progressivo dalla società. Bisogna ricordare che Freud, che non ha mai avuto in carico uno schizofrenico da lui riconosciuto come tale, riteneva che nella psicosi ci fosse una incapacità assoluta di stabilire un transfert o vivere una risonanza empatica con chicchessia per effetto della regressione che avrebbe riattivato una condizione di isolamento , cioè di narcisismo assoluto simile a quello del neonato. Questa idea rivelatasi poi completamente falsa sia alla luce della ricerca psichiatrica successiva che degli sviluppi della neonatologia, ha escluso le forme schizofreniche dal trattamento analitico classico ritenuto inadatto se non addirittura pericoloso per le forme di schizofrenia latente.

Ora se Lanza , come anche il professore universitario che, recentemente, in Polonia voleva fare un attentato al parlamento con una potentissima bomba, ha imitato Breivik, com’è verosimile pensare , e se quest’ultimo ha tratto a sua volta ispirazione dall’Una bomber americano, il matematico che uccideva per fare propaganda al suo libro-Manifesto, e se altri hanno perseguito strategie criminali analoghe, noi saremmo di fronte al fatto, che gli schizofrenici si influenzano ed entrano in risonanza gli uni con gli altri determinando addirittura uno stile criminale , sfidandosi sullo stesso terreno come in un videogioco on line..

Che cosa dobbiamo concludere? che siamo di fronte ad una evoluzione nel modo di manifestarsi della schizofrenia a cui deve far seguito un adeguamento delle nostre categorie psicopatologiche e diagnostiche?

Che ne sarà allora delle concezioni organicistiche che sostengono la “naturalità” della malattia mentale legata a cause biologiche e genetiche? Il diabete dal tempi di Ippocrate ad oggi non è molto cambiato mentre sembra difficile pensare ad una schizofrenia che attraversi le epoche e le culture mostrando dei tratti immodificabili come quelli del diabete i. Il famoso presidente Schreber, il giudice affetto da schizofrenia paranoide, pubblicò nel 1903 Memorie di un malato di nervi che sono state un materiale di riflessione per i tutti i più importanti psichiatri e psicoanalisti del 900 come lo stesso Freud , Jung, Melanie Klein e Jacques Lacan. Del caso Schreber ha dato una originale e magistrale interpretazione Massimo Fagioli nel suo libro Teoria della nascita e castrazione umana la cui prima edizione risale al 1974: la psicosi con caratteristiche allucinatorie e deliranti si sarebbe sviluppata a partire dall’incapacità del tedesco di distinguere, nel passaggio dal sonno alla veglia le immagini mentali dalle percezioni reali. La malattia di Schreber avrebbe dovuto essere la stessa di quella che ha colpito Lanza o Breivik che secondo la prima coppia di periti psichiatri intervenuti al processo per la strage di Utoya avrebbe agito in preda ad allucinazioni e deliri di grandezza e persecuzione. Ma fra la biografia e gli scritti di Schreber che non ha mai fatto male ad una mosca, salvo disturbare i vicini con urla disumane, e per esempio quelli di Breivik , ben 1500 pagine di copia-incolla propedeutiche alla strage, c’è un vero e proprio abisso.

Si potrebbe approfondire la ricerca su quello strano fenomeno che è il mass shooting seguendo una fondamentale indicazione di Fagioli stesso quando egli afferma che se è vero che esiste un’entità nosografica che fa capo al termine schizofrenia è altresì vero che esistono gli schizofrenici. Come dire che nell’ambito di tratti psicopatologici comuni è necessario in ciascuna malattia individuarne la singolarità: ci sono elementi caratteristici presenti in alcuni casi se non addirittura presenti in un solo caso. E’ per questo che il DSM V, il più famoso ed utilizzato manuale diagnostico, è inutilizzabile poiché non garantisce la veridicità della diagnosi: vengono proposti criteri generici e descrittivi rilevabili anche da un computer, che non permettono di individuare il nucleo psicopatologico nascosto della malattia che si manifesta diversamente in ciascun caso.

L’omicidio di massa, nello stile detto pseudocommando, è una modalità di agire criminale emerso in forma quasi epidemica da pochi decenni prevalentemente negli Usa. Verso di esso per una concomitanza di fattori ambientali e personali, possono orientarsi persone con gravi patologie psicotiche ed alterazione profonda del senso di identità. Alcuni mass murderers hanno fatto scuola diventando i capostipiti di una tendenza e tracciando un percorso che altri hanno seguito.

Uno studioso americano Louis A. Sass, autore del libro Madness and Modernism: Insanity in the Light of Modern Art, Literature and Thought ha sostenuto che pochi individui affetti da patologie più o meno manifestamente schizofreniche hanno avuto una grande importanza non solo sul terreno della psicopatologia e dell’agire criminale, quanto nel campo dell’arte o della filosofia introducendo temi ed atteggiamenti che poi si sono largamente diffusi. In effetti nell’arte moderna e postmoderna e nella filosofia di derivazione esistenzialista sono ampiamente presenti tematiche “schizofreniformi” evidenti nella stranezza dei contenuti e nell’ipertrofizzazione della coscienza, fredda e lucida che li produce. Il vissuto schizofrenico secondo la studioso americano non tenderebbe a rimanere monadicamente chiuso in se stesso, come sembra suggerire il termine autismo nell’accezione originaria di Bleuer, ma avrebbe una risonanza profonda nell’opinione pubblica e nella cultura come è accaduto per la filosofia di Heidegger. Il paradigma della schizofrenia non è più solo l’introversione ed il deterioramento mentale ma anche l’estroversione e l’azione.

Qual è è la lunghezza d’onda sulla quale si sintonizzano i mass murderers con i loro potenziali proseliti ed imitatori ? Questi ultimi, individui anaffettivi ed insensibili ai normali stimoli sociali, reagiscono con un comportamento imitativo rispetto al modello mass shooting. Siamo di fronte ad un vero e proprio processo di infezione psichica e di induzione all’acting out violento contro la quale alcuni, non hanno capacità di resistere. Il punto di vulnerabilità è quella che gli psicopatologi del secolo scorso chiamavano una frattura nella linea della vita cioè un vissuto di totale annullamento del rapporto interumano e di vuoto interiore in un contesto sociale e culturale in cui predomina ’ideologia della guerra: si esalta l’azione eroica ed il ricorso alle armi, sacrificando il valore della vita umana al criterio dell’utilità personale e dell’affermazione megalomanica .

Il quadro di questa nuova psicopatologia non sarebbe completo se noi non includessimo un fattore iatrogeno: l’uso e l’abuso di sostanze psicotrope, sostenuto dalla psichiatria organicistica al servizio delle case farmaceutiche un vera e proprio miccia per eventi violenti e catastrofici.
Sia Adam Lanza che Breivik hanno agito sotto l’influenza di droghe psicotrope e psicofarmaci che è risaputo possono in persone predisposte, avere l’effetto di un innesco detonate per condotte di omicidio-suicidio. La scelta della strage, invece dell’omicidio singolo, potrebbe essere motivata dall’effetto di amplificazione della notizia che i mass media perversamente garantiscono a chi commette crimini particolarmente efferati: per un momento di notorietà e di esposizione pubblica si è disposti allora a sacrificare centinaia di vite umane.

«Un bambino su sei vive in zone di guerra». Il grido d’allarme di Save the children

Senza toni felpati. Oggi più che mai. Le cifre dell’ultimo report appena pubblicato da Save the children sono lapidarie: uno su sei. Ora come mai prima, ora più che negli ultimi venti anni, dice l’organizzazione: un bambino su sei nel 2018 vive in una zona di conflitto. Sono 357 milioni i bambini a rischio, che abitano in zone dove infuria la guerra o aree in cui i politici non tacciono, ma non lo fanno neppure le armi. Più della metà, 165 milioni, vive in zone di conflitto “ad alta intensità”.

Rispetto al 1995, quando erano “solo” 200 milioni, i minori in pericolo sono aumentati del 75 per cento. La mappa del rischio, della violenza, della morte non è solo quella della Siria, ma arriva ai confini della Somalia e dell’Afghanistan. È in Medio Oriente però che due bambini ogni cinque vivono a una manciata di chilometri dal sito di un bombardamento, di una battaglia, di un conflitto armato. Più che in Africa, dove accade a un bambino su cinque. Altri 220mila bambini sono in trappola in Europa, in Ucraina dell’est.

Dal 2005 ad oggi 73mila bambini sono morti o sono rimasti mutilati in 25 conflitti nel mondo, riporta l’Onu, ma dal 2010 il numero dei casi verificati è salito del 300 per cento. Il report di Save the children ha valutato i canoni delle Nazioni unite per calcolare quale fosse il nuovo numero nero dell’infanzia nel mondo, nei paesi in cui si compiono omicidi e mutilazione, si fa uso di bambini soldato, violenza sessuale, rapimento, si ricorre ad attacchi a scuole e ospedali, c’è mancato accesso all’aiuto umanitario. In Siria i bambini rimangono sotto bombardamento costante, proprio come in Yemen, dove però il mancato accesso agli aiuti umanitari peggiora la situazione.

Non solo la morte, le ferite, il lutto: c’è anche la fame, il mancato accesso alle cure mediche di base, all’educazione. «Soffrono quello che nessun bambino dovrebbe mai provare, dalla violenza sessuale agli attacchi suicidi, le loro case, le loro scuole, i loro parchi giochi, sono diventati campi di battaglia» ha detto Helle Thorning Schmidt, amministratrice delegata di Save the children international.

Le ragioni dell’aumento sono semplici: «Ci sono più conflitti oggi e più conflitti che durano per molto più tempo, che accadono in zone densamente popolate. I conflitti in Siria, Yemen, Iraq, accadono tutti in paesi e città dove molti bambini abitano», ha detto una delle consigliere per le aree di conflitto, l’avvocato dell’organizzazione, Caroline Anning. «Nel conflitto in Siria molte scuole sono state attaccate, c’è un uso indiscriminato delle armi, bombe a grappolo sono state usate nelle zone dove i bambini vivono». Ma dopo la Siria, c’è anche il Sudan e il Sud Sudan, lo Yemen, la Nigeria, l’Iraq, la Repubblica democratica del Congo: «C’è un’intera gamma di fattori che, messi insieme, mettono a rischio i bambini oggi, come si era più visto negli ultimi vent’anni».

Gli stregoni sul cadavere di Pamela

Una foto tratta dal profilo Facebook di Pamela Mastropietro la 18enne romana il cui cadavere fatto a pezzi ?? stato trovato ieri mattina in due valigie nelle campagne di Pollenza (Macerata), 1 febbraio 2018 +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO? ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++

Avete letto dei terribili riti tribali che avrebbero straziato il corpo della giovane Pamela Mastropietro, uccisa a Macerata (sono tre le persone in carcere al momento)? Avete letto i “deliri” di Meluzzi e compagnia cantante (con il candidato di Fratelli d’Italia Guido Corsetto a dargli manforte) sul cuore asportato e il sangue bevuto perché “così fanno i nigeriani”? Vi siete gustati gli speciali di qualche giornalaccio sul “cannibalismo nigeriano”?

Bene. Tutto falso. Tutto. Come scrive l’Agi:

“Da giorni si rincorrono voci secondo cui alla ragazza sarebbe stato asportato il cuore o altro, e fatto sparire, come in un rito tribale o di affiliazione. Invece, a quanto pare, ciò non è avvenuto, come pure non è stato trovato nulla che rimandi a riti nella casa di cui è affittuario Innocent Oseghale in via Spalato, dove Pamela è morta e dove c’è stato il vilipendio del cadavere”.

Eppure per qualcuno è stato bellissimo calpestare il cadavere smembrato di Pamela (smembrandolo se possibile ancora un po’ di più) per aggiungere allo schifo anche un po’ di pittoresca paura per le fantasiose abitudini omicide di un’etnia. Descrivere i nigeriani come un’orda di stregoni è stato perfetto per alimentare ancora di più la xenofobia strisciante e rimpinzare i voti di qualche partituncolo impegnato a concimare il terrore con l’ignoranza.

E invece gli stregoni sono loro: gli italianissimi avvoltoi che hanno aggiunto orrore all’orrore.

Ah, tanto per chiarire: gli autori dell’omicidio (che saranno processati e giudicati) meritano tutta la giusta pena che gli verrà assegnata ma purtroppo non hanno inventato niente: ad agosto dell’anno scorso il sessantaduenne Maurizio Diotallevi a Roma ha strangolato la sorella prima di farla a pezzi e gettarla in diversi cassonetti. L’orrore omicida evidentemente ha tutti i colori e tutte le lingue del mondo.