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iPhone X, ecco perché lo smartphone per “foolish” rende davvero “hungry”

Apple CEO Tim Cook kicks off the event for a new product announcement at the Steve Jobs Theater on the new Apple campus on Tuesday, Sept. 12, 2017, in Cupertino, Calif. (ANSA/AP Photo/Marcio Jose Sanchez) [CopyrightNotice: Copyright 2017 The Associated Press. All rights reserved.]

Quanti giorni di lavoro costa un telefono? Molti in alcune parti della terra, troppi in tutto il resto del globo, se si tratta di quelli di Steve Jobs. Quando nemmeno 24 ore fa Tim Cook ha annunciato al mondo il nuovo iPhone X, presentandolo come il «più grande passo in avanti dal primo modello», la Bbc si è chiesta se si riferisse alle caratteristiche del cellulare che aveva in mano o al suo prezzo sul mercato. Molti utenti esperti hanno associato subito quella X ad eXpensive, costoso. X che poi starebbe per modello numero dieci, anche se l’iPhone 9 non è mai apparso e non si sa se apparirà mai.

In Gran Bretagna costerà 1149 sterline, in Europa 1189 euro, negli USA 999 dollari e non è molto diverso rispetto al vecchio modello che hanno in tasca gli eventuali compratori. Al Jazeera ha calcolato chi si potrà permettere il gioiello digitale in base alla rendita mensile media in alcuni dei più grandi paesi del mondo. Chi lo comprerà in Brasile, dove ogni famiglia guadagna in un mese 627 dollari, chi in Cina, dove si raggiunge la soglia dei 515 dollari e chi in Nigeria, dove i più fortunati ogni 30 giorni ne guadagnano 222 – cioè un quarto del prezzo dell’iPhone?

Il motto di Steve Jobs era: Stay hungry, stay foolish. Rimanete folli e affamati. Appunto.

La novità principale di questo prodotto è costituita soprattutto da un’app che permette il riconoscimento facciale tramite uno scanner capace di leggere i dati biometrici del proprietario: grazie al Face ID, le possibilità di sbloccarlo da un ladro sono una su un milione. Lo stesso scanner permetterà alla tua faccia di trasformarsi in quella di un maiale, una gallina, un topo emoji che parleranno imitando il movimento dei muscoli del tuo viso.

Il nuovo telefono si caricherà senza fili, sarà solo di vetro, senza alluminio, con 256 giga di memoria e sarà disponibile dal prossimo 3 novembre. Il titolo del marchio però – schizzato in borsa dopo la presentazione dell’Apple Watch – ha perso punti proprio con l’ultimo prodotto, il nuovissimo X. Forse per il suo prezzo eccessivo: se nel 2007 il primo telefono Apple costava 500 dollari, oggi, nel 2017, ne costa più del doppio.

Emanuele Fiano nel mirino dei neofascisti da tastiera: L’apologia del Ventennio non si tocca

Il saluto dei nostalgici del fascismo che ha celebrato la fucilazione di Benito Mussolini e Claretta Petaccci avvenuta il 28 aprile del 1945, a Giulino di Mezzegra, sul lago di Como, 29 aprile 2012. MATTEO BAZZI / ANSA

Il primo ok di martedì, alla Camera, del disegno di legge Fiano contro l’apologia di fascismo ha scatenato il risentimento dell’ultradestra, che di abbandonare gesti e immagini del Ventennio proprio non ne vuole sapere.

La proposta, lo ricordiamo, prevede un unico articolo:

«Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici»

Ma per Roberto Fiore – leader di Forza Nuova – limitare la diffusione di immagini proprie della ideologia fascista farebbe parte di una «furia iconoclasta», fomentata da «un odio “democratico” – ma profondamente anticostituzionale, oltre che antistorico» proveniente da ambienti definiti «neotrotzkisti». «Fiano e Boldrini – scrive – sembrano delirare».

Anche il militante di estrema destra Maurizio Murelli – protagonista degli scontri del cosiddetto “giovedì nero” di Milano e dell’omicidio dell’agente di polizia Antonio Marino, il 12 aprile 1973, e condannato per questo a 18 anni di carcere – non ci sta. E (come sottolinea anche Paolo Berizzi su La Repubblica) scrive «Fiano: “giusto abradere la scritta ‘Dux’ dall’obelisco”. Io credo che sia più giusto abradere Israele dalla Palestina… non prima di averci mandato Fiano». E poi suggerisce a Fiano di mollare la presa sull’antifascismo e sulla sua «legge idiota»:  «fai il bravo e fatti bastare questo momento di gloria (sic!) che il troppo stroppia».

Giudizio decisamente tranchant anche da Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound, che risponde ad alcune domande su Il primato nazionale (diretto dal responsabile cultura dello stesso movimento): «Il Ddl Fiano è una schifezza. Ma non può danneggiare CasaPound, che il fascismo non lo ha mai sventolato ma sempre incarnato nella sua dimensione rivoluzionaria, di sguardo verso il futuro». Anche se poi precisa che alcune eccezioni ci sono state e continueranno ad esserci: «difficilmente CasaPound potrà essere colta in fallo da una legge del genere», «a parte le commemorazioni, in cui continueremo a fare il saluto romano per ricordare i caduti».

Fermo restando la piena solidarietà della redazione di Left al senatore Fiano, di fronte a queste reazioni aumenta la nostra convinzione che – come ha scritto lo storico Sergio Luzzatto sul numero 29 del nostro settimanale – il vero antidoto all’estremismo nero non sia una nuova legge, bensì scuola e cultura della Costituzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ventotene, la scuola non chiude. E nel 2018 il piano per i bambini migranti

«Abbiamo lanciato il sasso nell’acqua e qualcosa si sta muovendo». Il sindaco di Ventotene è contento. Left lo ha sentito appena poco dopo l’incontro di ieri in Regione e le prospettive per la scuola dell’isola, destinata alla chiusura per mancanza di studenti, sono un po’ più rosee. Tra l’altro, mentre soffia il vento xenofobo un po’ in tutta Italia che arriva perfino alla bocciatura dello ius soli anche da parte di chi, come il partito democratico aveva sempre sostenuto la legge sulla cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia, l’appello del sindaco per far arrivare famiglie di migranti con figli, va decisamente controcorrente.
Gerardo Santomauro, eletto in una lista civica a giugno, qualche giorno fa aveva lanciato, appunto, l’appello che ha fatto notizia: «Vogliamo salvare la nostra scuola, siamo pronti ad accogliere famiglie di migranti con figli», aveva detto. Suscitando, almeno stando alle dichiarazioni apparse sui media, non poche preoccupazioni e resistenze da parte dei genitori dei pochi bambini – due alle medie e otto alle elementari – dell’isola e che frequentano la scuola intitolata ad Altiero Spinelli. Le mamme intervistate erano state piuttosto lapidarie: non c’è posto per altre persone a Ventotene e poi cosa faranno?
Dopo l’incontro con Massimiliano Smeriglio vicepresidente con alla delega alla Scuola e formazione, Santomauro è soddisfatto. «Ho trovato passione e impegno per contrastare lo spopolamento dell’isola». Il piano concordato prevede alcuni punti che lo stesso sindaco spiega: «Il primo è rendere memorabile l’ultimo anno della scuola alle due bambine alle quali è stato garantito l’anno scolastico. Potranno svolgere attività che non hanno mai avuto, dallo sport alla musica e al teatro. Insomma, stiamo cercando di rendere la scuola di Ventotene una scuola vera, con un livello elevato di istruzione che scoraggerà le persone ad abbandonare l’isola». Pieno appoggio anche sulla possibilità di accogliere famiglie di migranti con stranieri. «Prima di tutto ne parleremo con la popolazione per coinvolgerla ma anche in questo caso la Regione ha garantito risorse. E il luogo per ospitarli c’è già, la casa alloggio per anziani che per metà è vuota. Spero che questo piano entri in funzione il prossimo anno, quando la scuola media rischia davvero la chiusura». Il sindaco non esclude nemmeno la possibilità di ospitare i minori stranieri non accompagnati, coloro per i quali è stata promulgata la cosiddetta legge Zampa. «Conosciamo il tema e la legge, ne abbiamo parlato anche qui a Ventotene in un convegno», dice Santomauro.
Ma è il terzo punto che rilancia la formazione nell’isola. «Non solo non chiudiamo la scuola ma creiamo a Ventotene un triennio di istruzione professionale che non c’è mai stata. Formazione professionale legata al turismo, e quindi i ragazzi invece di andare via potranno svolgere un corso triennale nella loro isola. Alcune mamme hanno detto “se vengono questi ragazzi, ma dopo cosa gli facciamo fare”. Ecco, noi cerchiamo di dare un futuro a questi bambini».
Infine l’ultima notizia, il piano di salvataggio del carcere di Santo Stefano, nell’isolotto di fronte a Ventotene, dove venne incarcerato anche Sandro Pertini. Qui dovrebbe sorgere la scuola di alta formazione europea. Il progetto per la “rifunzionalizzazione” della enorme struttura, 70 milioni di euro stanziati va avanti. «Il progetto è operativo, sta andando avanti, è stato istituito un tavolo tecnico permanente e il 2 agosto è stato firmato il contratto istituzionale di sviluppo, dall’amministrazione di Ventotene, dal ministro Franceschini per i beni culturali e dalla sottosegretaria Boschi. Ora tutto è nelle mani di Invitalia che deve bandire il concorso internazionale di progettazione».

Un parcheggio per i cretini leghisti. Mica solo a Pontida

Non c’è niente da ridere nel commentare le scelte del sindaco leghista di Pontida Luigi Carozzi che a corto di provocazioni ha deciso di stilare un regolamento dei parcheggi che rasenta la follia.

Dice il “regolamento comunale per la disciplina della sosta nei parcheggi riservati alle donne gestanti e alle donne puerpere” (lo trovate qui) che “possono richiedere il rilascio gratuito di idoneo permesso risultante da tessera, esclusivamente le donne appartenenti a un nucleo familiare naturale e cittadine italiane o di un paese membro dell’Unione Europea”. Niente extracomunitarie e niente lesbiche e nemmeno madri surrogate, quindi: questo è il “non detto” che sta tra le righe. Le mamme no, non sono tutte uguali.

Ma non è tutto. I leghisti pretendono anche di spiegarci cosa sia una “famiglia naturale”: nell’introduzione infatti si legge: “Pontida intende promuovere il sostegno alle famiglie naturali, formate dall’unione di un uomo e una donna a fini procreativi, nucleo fondante della società civile”. Poi, all’articolo 2, troviamo anche la definizione di “donna”: “ai fini del presente regolamento per “donna” si intende un individuo umano con sesso femminile risultante dai registri anagrafici della città di Pontida”.

E non c’è niente da ridere almeno per due motivi che saltano subito all’occhio. Primo: non si tratta solo di  una scellerata iniziativa di un singolo ma il provvedimento rientra evidentemente in una propaganda che da anni Salvini propugna con veemenza e che vede nella provocazione l’unico modo di fare politica (evidentemente incapaci di amministrare senza farsi notare e senza solleticare la pancia del Paese). E infatti lo stesso Salvini, sempre prodigo di tweet, risulta sempre “distratto” sulle aberranti provocazioni dei suoi sindaci sparsi per il nord Italia. Secondo: il richiamo ai bus riservati ai bianchi, il divieto dei matrimoni misti o le scuole separate è troppo vivo (anche per l’incultura generale di leghisti e affini) per non essere richiamato da una misura del genere.

Servirebbe, insomma, un parcheggio riservato ai leghisti e ai loro compari, con una sbarra sempre abbassata regolamentata dalla Costituzione, che li tenga separati nella loro inciviltà. Se ci sono clandestini, in Italia, sono loro.

Buon giovedì.

A Pordenonelegge “L’ultimo concerto” il nuovo romanzo di Paola Cadelli

L’ultimo concerto di Paola Cadelli è un libro di pure emozioni che rapisce. I suoi capitoli, brevi ma intensi, sono scanditi da un linguaggio semplice e profondo, asciutto e senza sbavature, capace di raccontare tutte le declinazioni e le sfumature degli affetti umani. I suoi personaggi sono personaggi che possiamo incontrare in qualsiasi momento della nostra vita reale. Eppure essi non sono mai scontati, rigidi o usuali. Vivono spesso ai limiti del sogno, senza per questo essere meno concreti e palpabili.
Jeanne, la protagonista, è una pianista francese che vive a New York: ribelle, anticonformista, con un talento musicale straordinario e una storia durissima che si snoda via via nel libro in una serie infinita di flashback e di rimandi al presente. Al suo fianco Leonardo, “medico eccentrico e visionario”. Abilissimo nella medicina del corpo, ad essa unisce una straordinaria e particolare acutezza nell’indagare i meccanismi più profondi dell’umano e una capacità singolare di percepire intensamente i battiti del cuore di chi ha vicino.
La loro è una storia particolare e misteriosa. Si incontreranno solo 4 volte nella vita ma rimarranno segnati e legati da un rapporto intenso, profondo e originale. Intorno ad essi si muovono altri protagonisti, le cui storie si intrecciano tra loro avanti e indietro nel tempo, attraversando la Seconda guerra mondiale; l’occupazione nazista con le deportazioni, le violenze, i dolori indicibili, la resistenza; il crollo delle Torri gemelle; il disastro di Cernobyl.
Le atmosfere a volte surreali, a volte oniriche, a volte convulse che avvolgono le vite dei personaggi si dissolvono tra le vie di New York, sulle spiagge della Bretagna, della Normandia, nell’Italia del Nord, in luoghi fiabeschi come l’isola che non c’era e che poi appare in una notte, all’improvviso, simultaneamente a un evento drammatico, in mezzo ad un lago imprecisato e sconosciuto, dove vivono Matilde e Janos, bizzarri scultori di statue di sabbia, viaggiatori immaginari. “Noi non siamo pazzi, Ilka, e nemmeno dei ciarlatani. Siamo solo dei viaggiatori, sì, questo è il termine esatto. Quando inizi a conoscere il mondo, ti rendi conto di quanto è piccolo il giardino di casa tua. Non è un pensiero profondo, è normale, è così per tutti. Ma quando inizi a viaggiare dentro te stesso, l’esperienza è ancora più entusiasmante e può lasciarti senza fiato. Chi non riesce a svelare il mistero che ha dentro di sé non capirà nemmeno il mistero del mondo, Ilka.“Paola Cadelli racconta le sue storie ricche di suggestioni forti con agilità ed eleganza, in una continua rêverie scandita dalla musica. Versi dei Muve marcano idealmente attimi di umana tensione, mentre il preludio op. 28 n.4 di Chopin è il fil rouge misterioso che, come un fiume carsico, continuamente appare e scompare tra le pagine dove le vicende si sovrappongono come i tasti neri e bianchi di un pianoforte, altro protagonista del libro che Jeanne incontra come fosse uno sconosciuto e comincia a suonare per caso, senza sapere una nota e senza sapere come. “Io non amo la musica- dice Jeanne -io sono la musica.”
Come se la musica rendesse tutti uguali e diversi. Permettesse di cambiare, di essere invincibili di fronte al dolore e di restare insieme.

L’appuntamento è a Pordenonelegge. in Palazzo Montereale Mantica. Paola Cadelli  presenta L’ultimo concerto sabato 16 Settembre alle  20, 30 con Roberto Calabretto. Presenta Paola Dalle Molle. In collaborazione con Circolo della cultura e delle arti di Pordenone

Ius soli, la resa del Pd sulla legge è una ferita per la democrazia

Una delegazione del 'Movimento Italiani senza cittadinanza', rilascia una dichiarazione ai giornalisti, dopo aver incontrato Giusi Nicolini a margine della segreteria del Pd, Roma, 20 luglio 2017. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

Il dubbio cominciò a serpeggiare dopo i ballottaggi alle elezioni amministrative di giugno. Vuoi vedere che se approviamo lo ius soli perdiamo elettori? Questo deve essere stato il pensiero – davvero elementare – circolato nella testa degli esponenti del partito democratico, in primis del segretario, Matteo Renzi, che aveva speso buone parole sull’argomento. Il 27 giugno infatti aveva rassicurato tutti: «Non si rimettono in discussione battaglie come quella sullo ius soli. Non si può cambiare idea per un sondaggio che dice che gli italiani sono meno favorevoli, tendenza che non è legata all’insicurezza sugli attentati. Noi siamo capaci di prenderci le nostre responsabilità», aveva detto in merito al sondaggio di Nando Pagnoncelli pubblicato dal Corriere della Sera  proprio il giorno del ballottaggio – guarda un po’ che caso – e che sugli italiani favorevoli allo ius soli presentava cifre in calo (dal 71% del 2011 al 44% del 2017). Tante belle parole, tante rassicurazioni, Graziano Del Rio, portavoce della campagna nazionale sulla cittadinanza L’Italia sono anch’io, che continua a sostenere la legge, il premier Gentiloni che promette che a settembre, certo, si farà sicuramente, dopo i rinvii dell’estate. Anche la relatrice al Senato Doris Lo Moro (Mdp) alla fine di giugno era speranzosa: «La maggioranza al Senato c’è, eccome».

E invece ecco la beffa. O meglio, il calcolo politico. Ieri, 12 settembre, la conferenza dei capigruppo in Senato ha stabilito che non c’è spazio per la legge sulla cittadinanza a settembre. Il capogruppo dei senatori Pd Luigi Zanda spiega: «Non c’è maggioranza».

«Ma come, non c’è maggioranza? Il Pd se avesse voluto, avrebbe potuto benissimo portare a compimento la legge», sostiene Filippo Miraglia vice presidente dell’Arci, tra i promotori della campagna L’Italia sono anch’io. Ieri pomeriggio era insieme ai ragazzi degli Italiani senza cittadinanza a protestare davanti a Montecitorio – non avevano ottenuto il permesso per andare davanti a Palazzo Madama – . «Abbiamo parlato con Loredana De Petris, di Sinistra italiana, loro erano disposti a votare anche la fiducia sullo ius soli, una fiducia di scopo, la chiamano». E poi il M5s che se ne va dall’aula fa scendere il quorum, quindi i numeri, se il Pd avesse veramente voluto far approvare la legge, ci sarebbero stati tutti, eccome. Per non parlare poi, continua Miraglia, di alcuni senatori di Forza Italia che avevano già espresso il loro voto a favore. Quindi, di che parliamo? «La responsabilità cade tutta sulle spalle del Pd, ed è inutile che diano la colpa al M5s e al loro dietrofront e all’opposizione di Alfano», sostiene Miraglia. Tra l’altro, il Pd in questo modo regala un grandissimo potere al leader di Ap Angelino Alfano. Ma questa è un’altra storia. La cosa importante è che un partito che si è battuto in prima fila fin dalla campagna elettorale del 2012 per concedere la cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia o venuti qui da piccoli, per timore di perdere i consensi, faccia questa incredibile retromarcia.

Il fronte dei movimenti che sostengono lo ius soli  – ricordiamo l’appello promosso da Luigi Manconi, Gianfranco Bettin, Furio Colombo ed altri, l’Arci e le tante associazioni dell’Italia sono anch’io – ha in programma altre mobilitazioni. «Probabilmente faremo qualcosa in Senato con il presidente Grasso», annuncia Miraglia che commenta amaramente: «È una vigliaccata». Certo è che la resa del Pd sullo ius soli dal punto di vista culturale e politico è un passo falso dalle conseguenze gravissime. Forse il Partito democratico non si rende conto che così infligge un forte vulnus all’idea stessa di democrazia e di uguaglianza stabilita dalla Costituzione.

Diario da Quito, stop a mine anti uomo: verso uno storico accordo tra governo colombiano ed Eln

epa06043630 A photography dated on 16 June 2013 (reissued on 22 June 2017) shows members of the National Liberation Army (ELN), the second most important guerrilla in Colombia after the Farc, in Cali, Colombia. The ELN claimed on 22 June 2017, that they will release the two Dutch men kidnapped at the municipality of El Tarra, in Catatumbo, Colombia, journalist Derk Johannes Bolt, 52, and his cameraman Eugenio Ernest Marie Follender, 68. 'The ELN's Northeastern War Front reports that the two captured Dutch men are in good health and will be released with a statement', said the guerrilla in Twitter. EPA/CHRISTIAN ESCOBAR MORA

25 luglio 2017. Ore 7.15. La sveglia è già stata posticipata per tre volte. Nel gruppo di whatsapp qualcuno ha mandato un messaggio vocale… È la registrazione della voce di Bernando Tellez, portavoce e delegato di pace dell’Esercito di Liberazione Nazionale (Eln), gruppo di guerriglia colombiano, che annuncia alla radio l’individuazione dei possibili territori dove avviare un progetto pilota di sminamento umanitario: sono i comuni di Samaniego e Santacruz.

Prossima decisiva tappa a Quito il 18 settembre, giorno in cui è stato fissato l’incontro per la negoziazione tra governo e Eln. Al tavolo sono stati invitati anche parlamentari friulani del Partito Democratico.

Ma facciamo un passo indietro…

Il distretto di Samaniego è un comune di 50mila abitanti della Regione del Nariño, a sud della Colombia. È una zona rurale e di cordigliera, conosciuta per la produzione di caffè, uno dei migliori del Paese, soprattutto grazie alle condizioni climatiche e al suolo di origine vulcanica, e per il concorso di bande regionale, un evento annuale per la cittadina, che con orgoglio vanta questa tradizione musicale. A partire dalla fine degli anni ‘80, l’insediamento sul territorio delle diverse forze di guerriglia (Eln e Farc-Ep) e dei gruppi paramilitari e, parallelamente, la diffusione delle coltivazioni di coca, marijuana e oppio, hanno iniziato a stravolgere la tranquillità di questa zona. La conformazione geografica montuosa e di difficile accesso riduce, infatti, le capacità dello Stato di mantenere il controllo sul territorio.

Inoltre, la posizione strategica della Regione, quale territorio di confine, nel tempo, ha conferito alla zona un ruolo chiave per la produzione e il traffico di coca, con conseguenze devastanti sul tessuto politico e sociale cittadino. La situazione di violenza derivante dallo scontro tra le forze armate, aggravata dalla lotta di potere della mafia e del narcotraffico, hanno dato forma a un connubio che ha corrotto la società civile e costretto migliaia di persone ad abbandonare le proprie case e a cercare rifugio in altri comuni. 
La Unidad de Victimas, ente preposto all’assistenza delle vittime del conflitto, registra 13.819 persone residenti nel Municipio di Samaniego come vittime di fatti relativi al conflitto armato avvenuti tra il 1985 e il 2016. A questi dati si aggiungono le statistiche del Piano di Sviluppo del Municipio di Samaniego, nel quale il numero delle vittime salirebbe a 19.337, equivalente al 38,5 % degli abitanti del comune.

Una delle principali conseguenze della disputa tra i gruppi armati per il controllo del territorio è stata la disseminazione delle mine antiuomo in diverse aree strategiche: nel comune di Samaniego, tra il 2005 e il 2013 si contano circa 135 persone, tra civili e militari, vittime di artefatti esplosivi. Questi dati, tuttavia, sono parziali, poiché molte persone non hanno denunciato le perdite familiari subite per timore di ripercussioni. La prima vittima di mine antiuomo del Municipio è stata un minore nel 2005 nel settore la Varazón, che ha perso la vita a causa dell’esplosione di una di esse. Molte persone, negli anni, sono state costrette ad abbandonare le proprie case, perché i giardini erano minati, non potevano più coltivare i propri campi e molti sentieri non erano più sicuri. I bambini in quell’epoca avevano smesso di andare a scuola, troppo pericoloso. Oltre alle vittime umane, anche molti animali da bestiame sono morti a causa delle mine, con gravi ripercussioni sul fabbisogno economico e sociale. Alla paura e all’impotenza di fronte a questa condizione, si aggiunge un senso di profonda ingiustizia nell’ascoltare che «se una mucca incappava in una mina e la faceva saltare, oltre ad aver perso un animale e quindi una possibilità di ingresso economico, eravamo costretti a ripagare ai gruppi armati la mina che era saltata..»

Il legame con il territorio, unito forse alla mancanza di alternative, ha spinto queste comunità a reagire e a trovare forme di pervivencia, come quella di una maestra della zona del Chinchal che creò dei cammini sicuri e organizzò dei corsi di prevenzione per i bambini della scuola, in modo che potessero continuare a studiare. Nonostante la diffusione della violenza, infatti, sono state diverse le iniziative individuali e collettive di pace e di resistenza. A partire dagli anni ’90 nacque un movimento della società civile di promozione dei diritti umani e di costruzione di pace, che si consolidò nel triennio 2004 – 2007 durante l’amministrazione comunale di Harold Montufar attraverso la promozione di un patto locale di pace, strutturato in dieci punti. Con esso si richiedeva ai gruppi armati illegali (Farc-Ep, Eln e gruppi paramilitari) di rispettare i diritti della popolazione civile e, tra questi, le tradizioni culturali, come il concorso di bande musicali. Nel 2006, le comunità, guidate dall’amministrazione comunale, riuscirono a presentare una proposta di sminamento umanitario al tavolo di negoziazione instaurato a Cuba tra il Governo, presieduto allora da Alvaro Uribe, e l’Eln. La proposta, relativa allo sminamento di 14 frazioni del comune di Samaniego e del territorio indigeno del Sande del comune di Santacruz, venne approvata dal tavolo di pace. Tuttavia, il processo di negoziazione naufragò e non fu possibile realizzare l’obiettivo fissato.

Un ulteriore tentativo di avviare uno sminamento umanitario nel territorio di Samaniego si ebbe, poi, nel 2008, purtroppo però si modificò il carattere dell’azione e da sminamento umanitario divenne sminamento militare, con la bonifica di una sola finca (una tenuta, ndr) e l’estrazione di 8 mine, mentre le risorse economiche restanti furono utilizzate per rafforzare l’esercito. Come conseguenza di quest’azione, la guerriglia, allertata per la vicinanza dell’esercito, rispose disseminando maggiori mine sul territorio per disincentivare l’avanzata della forza militare. Tra il 2007 e il 2009 si è assistito a un’acutizzazione del conflitto con forti ripercussioni sulla società civile che visse un periodo di “confinamento” non potendo uscire dalle proprie case per l’intensità degli scontri tra i gruppi di guerrilla e l’esercito.

Molte famiglie abbandonarono i propri territori, soprattutto nel settore montuoso di Samaniego, confluendo nel casco urbano (centro abitato, ndr), e qui, non sapendo dove rifugiarsi, iniziarono a occupare terreni pubblici e a costruire delle baracche dove ripararsi. La Corte Costituzionale colombiana, nel 2008, emanò due risoluzioni con cui intimò alle istituzioni di assumere le misure necessarie per garantire il soddisfacimento delle necessità basiche (abitazione, alimentazione, assistenza sanitaria, educazione) alla popolazione desplazada nel comune.

A nove anni dalle risoluzioni, le famiglie continuano a vivere nei terreni occupati in una situazione di precarietà, ricevendo aiuti minimi da parte delle istituzioni. Questo abbandono provoca in molti casi un fenomeno di re-vittimizzazione per cui oltre ad aver subito delle violenze legate al conflitto armato (omicidio, desplazamiento, sequestro, torture, minacce, sparizioni forzate, abusi e violenza, reclutamento forzato, sequestro dei terreni), la condizione di abbandono e isolamento successiva, lede ulteriormente la dignità della vittima e ne riduce le possibilità di recupero.

L’attuale momento storico costituisce un’opportunità per la società civile e le comunità minoritarie di intervenire e contribuire attivamente per la costruzione della pace nell’implementazione degli accordi di L’Avana e nelle negoziazioni di Quito. In seguito alla firma degli accordi di La Avana, avvenuta il 26 settembre 2016, tra il Governo e le FARC-EP, sono state avviate le procedure di implementazione degli accordi, tra cui la smobilitazione del gruppo di guerriglia e la concentrazione nei territori designati, la consegna delle armi, l’avvio del sistema di giustizia transizionale e la definizione dei programmi di sviluppo e sostituzione delle coltivazioni di uso illecito. Parallelamente, a febbraio di quest’anno, è stato annunciato l’avvio della fase pubblica dei negoziati tra Eln e Governo, essenziali per poter garantire al Paese una pace completa.

Nell’agenda di pace tra Eln e Governo, il tema trasversale a tutto il processo è la partecipazione della società civile, la quale è chiamata a presentare le proprie iniziative di pace. Sulla base di questo punto fondamentale, il 26 febbraio 2017, nel comune di Samaniego si è tenuta un’assemblea, a cui hanno preso parte comunità campesine, vittime del conflitto, comunità indigene, accompagnate dalle istituzioni locali e da organizzazioni internazionali, tra cui l’Organizzazione degli Stati Americani (Mapp- Oea) e Geneva Call, per far sentire la propria voce, come pervivientes di un conflitto che ha un debito incalcolabile nei confronti dei civili e dei territori. In questa occasione, approfittando della discussione nei tavoli di pace di Quito del punto 5f dell’agenda “dinamiche e azioni umanitarie”, le comunità, riunite nel movimento sociale regionale Minga por la paz de Nariño, hanno presentato la proposta di riattivazione del patto locale di pace del 2004 e sette iniziative di pace, tra cui lo sminamento umanitario della frazione del Chinchal di Samaniego e dei territori indigeni de El Sande e La Montaña, le stesse che erano state presentate nel 2006. Le iniziative sono state accolte positivamente dalle delegazioni ai tavoli di pace del Governo e dell’Eln, che tramite dei video hanno espresso la loro approvazione.

La prima fase di negoziazione si è conclusa ed è stata avviata la seconda ma il 25 luglio, l’Eln ha annunciato ai giornali l’approvazione da parte del gruppo dello sminamento umanitario nei territori proposti. Questo significa che dopo 12 anni di richieste di sminamento umanitario, finalmente le comunità hanno ricevuto una risposta. Questo processo è frutto della partecipazione dal basso della società civile che in tutti questi anni ha continuato a costruire, instancabile, una proposta collettiva in “minga” (termine di origine quechua, usato per identificare il lavoro comunitario).

Ed è così, quindi, che la voce di Bernardo Tellez, alle 7.15 di mattina, non può che dare speranza: una porta si è aperta per le comunità, che potranno avere un ruolo protagonista nella rivendicazione dei propri diritti, e per la Colombia, che, anche se un po’ traballante, pone le basi per il raggiungimento di una pace completa.

 

Gli autori

Oikos Onlus ha conosciuto il processo di resistenza al conflitto delle comunità di Samaniego nel 2006, a un incontro internazionale di una rete di realtà urbane europee e latino-americane a Porto Alegre (Brasile), durante il quale il coordinatore dell’associazione ascoltò per la prima volta le parole di Harold Montufar, oggi coordinatore dell’Instituto Sur Isais. Da quell’incontro nacque un’amicizia che sfociò poi in una collaborazione quando, nel 2015, la Regione Friuli Venezia Giulia, nell’ambito del programma regionale di cooperazione, approvò un progetto di promozione dei diritti umani in Colombia, che fu l’inizio di un percorso di scambio, tutt’ora in corso, con le comunità locali del Comune di Samaniego.

Il primo progetto, avviato a gennaio 2016 e denominato DUPLA PAZ, ha l’obiettivo di promuovere i diritti umani e la partecipazione, attraverso corsi di formazione, realizzati in collaborazione con il Centro de Estudios Sociales di Coimbra, diretti a rappresentanti di organizzazioni comunitarie e sociali, membri delle comunità indigene, campesinos e vittime del conflitto armato, per approfondire il tema del processo di pace. Contemporaneamente, è stata avviata la costruzione dello Spazio educativo per la pace e il buen vivir, un centro di formazione, dialogo e incontro in cui promuovere una educazione di qualità, attraverso programmi tecnici e universitari. Formare le future generazioni con i valori del dialogo, della reciprocità, della riconciliazione e del perdono e fornire loro le competenze necessarie per la gestione di questo cambiamento storico rappresenta uno dei compiti e delle sfide fondamentali del post-conflitto, ancor più nelle zone rurali dove l’esclusione e la scarsità di risorse economiche impediscono ai giovani di poter accedere a un’istruzione di qualità. Infine, il progetto sostiene un’associazione di vittime del conflitto, formata da circa 64 famiglie, attraverso attività di accompagnamento giuridico e psico-sociale.

Il secondo progetto SABOR ECO Y JUSTO, avviato a fine dicembre 2016, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Itaca di Pordenone, ha l’obiettivo di sostenere i produttori locali attraverso la formazione e il sostegno alla commercializzazione dei prodotti tipici, come il caffè e l’artigianato locale. Al contempo, mira a migliorare le condizioni di vita di un’associazione di vittime del conflitto attraverso l’avvio di un centro di raccolta e riciclo della plastica e promuovendo pratiche in linea con la protezione dell’ambiente.

 

Attenzione allo spreco alimentare, gettiamo oltre 15 miliardi di euro all’anno

Sacchi contenenti spazzatura lasciati in un angolo a Trastevere a Roma, 30 maggio 2016. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

A un anno dall’entrata in vigore della legge per la limitazione degli sprechi alimentari, l’uso consapevole delle risorse e la sostenibilità ambientale,  (la “legge Gadda”), si iniziano a tirare le prime somme grazie alla campagna europea di sensibilizzazione “Spreco Zero”. Ed ecco i risultati. La campagna rileva che lo spreco alimentare vale oltre 3,5 miliardi di euro. La cifra è desumibile dall’agricoltura (euro 946.229.325), dalla produzione industriale (euro 1.111.916.133) e dagli sprechi nella distribuzione (euro 1.444.189.543).

Una cifra che rappresenta, tuttavia, solo un quinto dello spreco totale di cibo in Italia, da sommare poi allo spreco alimentare domestico che ci porta a oltre 15,5 miliardi di euro gettati ogni anno (lo 0,94 per cento del Pil), calcolato sulla base dei test “Diari di Famiglia”, una sorta di agenda scaricabile online che sensibilizza la famiglia sullo spreco del cibo, eseguiti dal ministero dell’Ambiente con il Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna, nonché l’apporto delle ricerche di mercato della Swg, nell’ambito del progetto “Reduce 2017”.
I dati dei “Diari di Famiglia”, condotti le scorse settimane su un campione statistico di 400 famiglie di tutta Italia, saranno resi noti nell’ambito di un convegno internazionale nel febbraio 2018, in occasione della quinta Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare. La quantificazione reale dello spreco domestico in Italia smentisce così le stime dei sondaggi semplicemente percettivi, che sono nettamente sottostimati.

Ogni giorno, per una settimana, 400 famiglie hanno annotato su formulari composti da parti compilative e chiuse il cibo gettato a ogni pasto, con annessa motivazione, sul modello inglese del programma di azione sui rifiuti e risorse Wrap. Il dato confortante è che, tra i cittadini, cresce la sensibilizzazione intorno al tema spreco: l’Osservatorio waste watcher (Last Minute Market / Swg) informa che 7 cittadini su 10 sono a conoscenza della nuova normativa, e oltre il 91 per cento considera grave e allarmante la questione spreco legata al cibo, mentre l’81 per cento dei cittadini si dichiara consapevole che il cambiamento deve avvenire innanzitutto da se stessi e dalla propria famiglia, nel quotidiano.

La campagna prevede anche un premio, che si chiama, non a caso, “Vivere a Spreco Zero”: nella categoria “testimonial”, per questa quinta edizione, va al disegnatore Francesco Tullio Altan. Queste le motivazioni del riconoscimento ad uno degli interpreti più sensibili della società italiana: “Per aver illustrato con fulminea incisività il paradosso del nostro tempo bulimico e sprecone, dando voce e matita, nell’ultimo decennio, ai temi dello spreco alimentare, idrico ed energetico. E per aver così contribuito a sensibilizzare adulti e giovani, amichevolmente ma con straordinaria efficacia, intorno a una questione tema centrale e ineludibile del nostro tempo”.

L’illustratore sarà premiato martedì 28 novembre a Bologna, presso la Quadreria Palazzo Magnani, insieme ad aziende, enti pubblici, scuole e cittadini in gara per questa quinta edizione del concorso, organizzato con il ministero dell’Ambiente, l’Università di Bologna Distal e il progetto “Reduce”, al via il prossimo mese di ottobre, in occasione del “World Food Day 2017”. La campagna è sostenuta da un pool di aziende dell’agroalimentare italiano e del packaging nazionale. Promuovere e condividere le buone pratiche di prevenzione degli sprechi alimentari adottate sul territorio nazionale da soggetti pubblici e privati: questo l’obiettivo del premio “Vivere a Spreco Zero” per l’edizione 2017.

Ogni giorno, tutti i giorni, uno schizzo sull’Italia e su Giulio Regeni

People hold signs depicting Giulio Regeni as they attend a march in memory of Italian researcher at Sapienza University on the first anniversary of his disappearance in Egypt, Rome, Italy, 25 January 2017. Italian President Sergio Mattarella on Wednesday called for cooperation to bring to justice the killers of Regeni in Egypt. "Italy has mourned the killing of one of its studious young people, Giulio Regeni, without full light being shed on this tragic case for a year, despite the intense efforts of our judiciary and our diplomacy," Mattarella said on the first anniversary of Regeni's disappearance. "We call for broader and more effective cooperation so that the culprits are brought to justice". ANSA/ MASSIMO PERCOSSI

Ma dove sono tutti i sovranità e i difensori della Patria di fronte a questa Italia calpestata, stropicciata, abusata e derisa da Al Sisi e il suo Egitto che trattano l’Italia come scema del villaggio? Ma dove sono Gentiloni e Alfano, quelli che si ostinano a garantirci che l’Egitto è un partner “corretto e affidabile” se non addirittura “ineludibile” mentre la verità sulla morte di Giulio Regeni non solo si allontana ma addirittura viene sfigurata ogni giorno di più? Ma che dice l’ambasciatore italiano in Egitto, fresco di nomina che ci hanno detto essere indispensabile, di ciò che accade? Non ha tempo, l’ambasciatore, di rilasciare una dichiarazione, divergere almeno un tiepido comunicato stampa? E dove sono i difensori dei marò di fronte a questo giovane italiano ucciso e alla sua famiglia senza risposte?

Ieri l’avvocato egiziano Ibrahim Metwally Hegazy, uno dei componenti dell’associazione che cura la difesa di Giulio Regeni in Egitto, è apparso davanti al magistrato della sicurezza in stato di arresto. Era “scomparso” domenica mentre si imbarcava per Ginevra invitato dalle Nazioni Unite per presentare una relazione sugli “scomparsi” in Egitto. L’accusa? Dice Al Sisi che farebbe parte di un gruppo che vorrebbe sovvertire la democrazia in Egitto. Funziona sempre così: nei governi tirannici, anche se travestiti, la parola “democrazia” diventa un vuoto sinonimo della volontà del capo.

In pratica, secondo Al Sisi, non solo Regeni si è ammazzato da solo (se non ci sono colpevoli alla fine la colpa è dei morti) ma addirittura chi difende la sua famiglia sarebbe un pericoloso terrorista. Terrorismo italiano in terra d’Egitto.

E in tutto questo rimbomba tetra la frase nuda di un tiepido Gentiloni che ieri ha ripetuto il ritornello della “verità su Giulio Regeni” come “dovere di Stato”. Ogni giorno uno schizzo. Tutti i giorni.

Buon mercoledì.

Iran e alcol. Gli ayatollah aprono ai gruppi di auto aiuto

Islam e alcol in Iran: bere è ancora un crimine nel paese degli ayatollah, eppure le cliniche di recupero per alcolisti e i gruppi di auto aiuto compaiono uno dopo l’altro. Per gli abitanti è comunque un progresso rispetto alle celle della prigione dove venivi fustigato solo per averlo assaggiato.

Non è solo illegale per legge dal 1979: in Iran l’alcol è praticamente un tabù per i musulmani più devoti. Ma qualcosa sta cambiando: il governo lascia che si aprano cliniche private, centri di trattamento per aiutare chi ne abusa, reparti speciali in ospedale e gruppi di aiuto, compreso quello degli AA, alcolisti anonimi, per far uscire dall’ombra e dalla vergogna chi vive la dipendenza dall’alcol come uno stigma. Gli alcolisti non sono più criminali, ma persone che hanno bisogno di aiuto per contrastare la dipendenza.

La decisione è stata presa dal ministero della Salute ed è un cambiamento d’attitudine, un’evidenza di apertura di una realtà che cambia: nelle statistiche ufficiali oggi finalmente si può leggere – perché è stato finalmente ammesso- che almeno il 10% della popolazione usa l’alcol nel paese islamico. Le cliniche aperte riflettono un miglioramento sociale, certo sempre ordinato e controllato dal radar governativo.

È facile procurarsi l’alcol in Iran, nonostante sia illegale. Gli “spacciatori” hanno un numero di telefono a cui tutti possono chiamare e arrivano sulla soglia di casa tua con la bottiglia. Il network fa affari d’oro, gli alcolici entrano contrabbandati dal confine con l’Iraq e ormai c’è talmente tanto alcol nel paese “che è impossibile punire chiunque”, dice un organizzatore degli alcolisti anonimi. Questi gruppi ormai sono migliaia in tutto il paese, centinaia a Tehran.

Molti muoiono perché la qualità dell’etanolo consumato è pessima. Prima della rivoluzione c’era l’aragh sagi, lo “spirito di cane”, un distillato di uva passa che ti spaccava le viscere. Un mese fa, dopo che tre persone sono morte e l’intera cittadina di Sirjan è rimasta intossicata, è stato un ex poliziotto a scrivere una lettera aperta affinché l’alcol non fosse più vietato.

Il presidente Rouhani, al potere dal 2013, “sta tentando di inserire realismo nella severa ideologia del paese” scrive oggi Thomas Erdbrink sul New York Times. Nonostante sia vietato dal Corano e dalla legge iraniana, “il governo sta anche facendo campagne pubbliche avvisando i cittadini di non bere e guidare insieme, cosa che non avrebbe mai fatto nel passato. Lungo la strada verso il mar Caspio dove si va in vacanza, ci sono cartelloni che mostrano bottiglie di whiskey e macchine incidentate e questo ha sorpreso molti guidatori. Nel passato la linea ufficiale era – nessuno ha un problema con l’alcol in Iran, perché nessuno beve alcol in Iran”.