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Legge elettorale: «Traditori». «No, siete vigliacchi». Tra Pd e M5s bagarre e insulti in aula

Il tabellone elettronico con il risultato del voto durante la discussione sulla riforma della legge elettorale alla Camera dei Deputati, Roma, 8 giugno 2017. ANSA/GIORGIO ONORATI

«Siete traditori, avete votato al contrario del vostro blog. E avete ammazzato la legge elettorale che noi del Pd abbiamo volto facendo un sacrificio noi che volevamo il maggioritario». «No, voi siete dei vigliacchi, per un feudo di undici seggi siete disponibili ad ammazzare una legge che era condivisa». Ecco bastano queste due frasi, la prima di Ettore Rosato capogruppo Dem, la seconda di Danilo Toninelli del M5s, per comprendere il caos e lo scontro presente oggi alla Camera. I due deputati hanno parlato nel pomeriggio, dopo la sospensione della discussione e dopo l’“incidente” accaduto questa mattina. Non a caso, Emanuele Fiano, relatore del testo di lege, frutto, ricordiamo di un accordo tra i quattro partiti, Pd, Forza Italia, M5s e Lega, questa mattina se n’è uscito con «la legge elettorale è morta». Ma che cos’è accaduto?

Nel primo voto segreto in aula alla Camera, la maggioranza è stata battuta. Si doveva votare un emendamento sul sistema elettorale in Trentino Alto Adige che introduce il riparto proporzionale dei collegi come il Fianum (il testo con relatore Fiano) fa nel resto d’Italia. L’emendamento era stato presentato da Micaela Biancofiore di Forza Italia, sul quale i relatori avevano espresso parere contrario, ma alla fine è stato infatti approvato con 270 voti a favore, 256 contrari e 1 astenuto.

Sul piano politico è uno schiaffo al Pd che si era fatto garante con la Svp del mantenimento del Mattarellum in Trentino Alto Adige. Con il nuovo sistema la Svp prenderebbe infatti meno seggi e infatti non a caso era il quinto partito che sosteneva il Fianum. È qui che è scattato il “giallo” del tabellone. La presidente Boldrini, aveva chiamato la votazione specificando che era a scrutinio segreto. Ma sul tabellone invece di spuntare le palline azzurre, spuntano le palline rosse e verdi, come accade per le votazioni palesi con la possibilità di identificare il voto. Si scorgono così dei voti favorevoli nei banchi del Pd e di Fi. Poi, dopo che qualcuno si era accorto dell’errore, si è rimediato ma è bagarre.

La presidente Laura Boldrini al momento della ripresa della discussione in aula, ha detto che «c’è stato un errore materiale, non lo nego, c’è stato e mi dispiace che sia accaduto». Per Biancofore iniziano ore di fuoco. «Ora qualche servo sciocco sta chiamando Berlusconi per dire che per colpa mia salta l’accordo, ma proprio Berlusconi mi ha insegnato il senso di giustizia e della libertà e in Trentino si stava verificando una situazione ingiusta. Se vogliono che me ne vada trarrò le mie conseguenze. Mi devono ringraziare perché così l’M5s ratifica l’accordo che altrimenti sarebbe saltato oggi pomeriggio sulle preferenze, invece così viene meno solo una parte, un emendamento localistico. Il mio gruppo nella sostanza era d’accordo, ed anche Brunetta ha detto che si faceva fatica a votare contro. Questa era la battaglia della mia vita».

Peccato però che per quell’emendamento sia saltato tutto, con toni incandescenti. Alla fine sia Brunetta di Fi che Lorenzo Dellai del Centro democratico chiedono un rinvio in Commissione. «La Caporetto dell’accordo tra quattro partiti non è la Caporetto della politica e del parlamento», ha detto Dellai. Il carattere da gioco delle parti dell’accordo tra i quattro è stato messo in evidenza dagli altri partiti come Sinistra italiana che attraverso Giulio Marcon  ha proposto di andare avanti in Parlamento, niente ritorno in Commissione. «Non vorrei che fosse un pretesto per una drammatizzazione. Noi aspettiamo che il Parlamento approvi la nuova legge elettorale ed eserciti il suo voto. Se il Pd ha il coraggio di confrontarsi con i parlamentari invece che decidere nel chiuso delle stanze con pochi leader», ha detto Marcon il quale ha anche svelato che il Pd sapeva benissimo che il M5s avrebbe votato a favore dell’emendamento di Biancofiore. Dunque, i franchi tiratori sono tutti tra le fila del Pd e di Forza Italia. E allora di che si parla?

 

Per seguire la seduta alla Camera qui

Beni culturali e 8xMille, la prima volta dello Stato italiano

Prove tecniche di Stato sovrano. E laico. Forse. Da un paio di giorni sulla home page del sito del ministero dei Beni culturali è in bella mostra un comunicato che invita i contribuenti a devolvere l’8permille espressamente allo Stato, al fine di contribuire « concretamente al recupero dei beni culturali danneggiati dal sisma» che ha colpito il Centro Italia nel 2016. «Il terremoto – si legge nella nota – ha ferito gravemente centri storici, musei, chiese, abbazie, di un’area che è stata culla della civiltà europea. Salvare il patrimonio culturale significa difendere le radici stesse delle popolazioni colpite e avviare un percorso di rinascita. Da quest’anno e per 10 anni, tutti i cittadini potranno contribuire concretamente al recupero dei beni culturali danneggiati dal sisma, indicando lo Stato come destinatario dell’8xMille nella propria dichiarazione dei redditi. Di tutte le risorse incamerate, infatti, l’intera quota destinata alla conservazione dei beni culturali […] sarà utilizzata esclusivamente per interventi di ricostruzione e restauro del patrimonio culturale nelle aree colpite».

È la prima volta che lo Stato si ricorda di essere tra i destinatari dell’8xMille ed è la prima volta che invita i cittadini a fare i cittadini partecipando concretamente alla tutela e alla salvaguardia del patrimonio culturale e artistico nazionale. Notoriamente a farla da padrona, da quando esiste il meccanismo di ripartizione del millesimale, è sempre stata la Chiesa cattolica. Non a caso la Conferenza espicopale italiana reinveste parte del miliardo mediamente incassato tramite l’8xMille nelle griffatissime pubblicità che passano quotidianamente in tv nel periodo della dichiarazione dei redditi. Rivolgendosi a fedeli e non solo per pagare tra le altre voci gli stipendi ai sacerdoti.

Notizia nella notizia, anche il ministero ha realizzato un video pubblicitario e lo ha messo su Youtube. Ma qui finiscono le good news.

Il video è online dal 6 giugno nella pagina ufficiale del ministero (Mibact.tv) e in due giorni ha totalizzato ben 151 visualizzazioni, compresa la nostra. In tv invece è andata ancora peggio, non essendo proprio passato (avvisateci semmai dovesse accadere!).

«“Dona l’8xMille allo Stato”. Era da tempo che aspettavamo di sentire questo semplice slogan», commenta il segretario della Unione degli atei e degli agnostici razionalisti, Stefano Incani e aggiunge: «La Uaar propugna da tempo l’abrogazione totale del meccanismo ma in attesa che ciò si concretizzi ci sembra il minimo che lo Stato partecipi alla ripartizione come competitor alla pari. Certo a nostro avviso la cosa migliore sarebbe stata quella di destinare le risorse dell’8perMille statale alla ricostruzione delle zone dell’Italia centrale colpite dal sisma con priorità assoluta per case e scuole». Su questo tema verteva un recente appello della Uaar al premier Gentiloni. «E invece probabilmente le prime a tornare in piedi saranno proprio le chiese…».

Peraltro, ricorda Incani, quello del governo è un atto dovuto: «La Corte dei Conti è intervenuta per ben tre volte negli ultimi due anni per mettere in rilievo gli elementi di debolezza della normativa e ha sottolineato a più riprese come lo Stato abbia spiccato per l’assenza di iniziative promozionali circa le proprie attività: cosa che ha compromesso la possibilità di ottenere maggiori introiti. La speranza è dunque che questi spot abbiano un’ampia diffusione che possa tenere il passo con il battage mediatico della Chiesa cattolica». Al momento degli spot non c’è traccia, c’è solo la speranza.

Kim Jong Un riparte alla carica con i missili terra-mare

La Corea del Nord tira dritto. Ci prova ancora Kim. Ci prova con le testate terra-mare. Ci prova ancora con un missile intercontinentale che deve colpire la bomba atomica americana. E ci prova per duecento chilometri di volo verso il mar del Giappone: tanto è stata capace di volare la testata.

Quattro missili oggi, quattro volte nell’ultimo mese. Nel 2017 sono stati in tutto sedici i lanci nei dieci test effettuati. “Lanci multipli di oggetti non identificati”, riportano i militari di Seul, sono stati effettuati dalla base di Wonsan verso la zona marina ad est, un chiaro test di dimostrazione della “precise targeting capability”, la capacità di colpire il bersaglio da parte della Corea del Nord, dice il comandante capo sudcoreano Roh Jae Cheon.

L’antimissile statunitense, il Thaad, Terminal High Altitude Area Defence, contro i missili balistici a corto e medio raggio, dell’aviazione americana su suolo coreano, è stato bloccato proprio ieri, per diatribe sorte con la Cina. Quel sistema di difesa minacciava i confini di Pechino, non solo il regno di Kim Jong Un.

Lasciare un bambino chiuso in auto non è dimenticanza

È accaduto ancora, purtroppo. Ad Arezzo una donna ha lasciato sua figlia in auto sotto il sole. Nonostante l’intervento di un vigile per la bambina non c’è stato nulla da fare. Non chiamatela “dimenticanza” scriveva su Left la psichiatra e psicoterapeuta Annelore Homberg, in un approfondimento del 27 maggio 2011 che oggi ci pare importante riproporre.

 

Qualcuno dimentica le chiavi di casa, qualcun altro l’appuntamento dal dentista ma non esiste che si dimentichi un bambino. Può accadere, invece, che un bambino venga annullato, venga fatto sparire internamente “come se non fosse mai esistito”. A differenza della dimenticanza, l’annullamento non è una cosa senza alcuna pertinenza psichiatrica che capita “a tutti” bensì una dinamica estremamente patologica che per fortuna riguarda solo un numero ristretto di persone. Non è quindi vero che, come temono attualmente molte mamme italiane e come sostiene la mamma della piccola Elena, tutti possono svegliarsi un brutto mattino e “scordarsi” dei propri figli. Quando diventa evidente che qualcuno ha fatto il “black out” annullando il proprio bambino, non servono né la condanna morale, né chiacchiere sconnesse, né il perdono, bisogna che la persona che ha attuato l’annullamento, venga curata. Molti psicoterapeuti italiani basano da anni il loro lavoro proprio su questo concetto, sulla pulsione di annullamento. Abbiamo avuto tutto il tempo per veri care che ciò che crea disastri e tragedie nei rapporti umani, non è una debolezza o mancanza di qualcosa (di attenzione, pazienza, calma). Al contrario è un’attività del soggetto, un’attività pulsionale situata tra “lo psichico e il biologico”, che dall’interno della persona istantaneamente si dirige contro la realtà umana. Ciò che ne risulta, non è una fantasticheria sull’altro morto o leso ma una gravissima alterazione del pensiero inconscio: l’altro è reso inesistente. Nella propria mente, l’altro non esiste più né potrà essere rievocato (come accade invece nella rimozione). Chi lavora interpretando ed opponendosi alla pulsione di annullamento sa bene che è una violenza invisibile di cui il paziente non sa nulla e che si coglie solo in due modi: comprendendo le immagini dei sogni che parlano di un’assenza laddove l’altro dovrebbe esserci e dando credito alla sensibilità del nostro corpo che spesso reagisce con sofferenza e con segni neurovegetativi ben precisi agli annullamenti che i pazienti stanno attuando. Per quest’ultimo motivo, la morte della bambina di Teramo ci pone anche la domanda su quale effetto sortisce sull’organismo di un bambino piccolo un annullamento talmente violento del genitore da decretare l’inesistenza del figlio non solo nel pensiero inconscio ma addirittura nella realtà fisica. Quando, se è vero quello che i giornali hanno raccontato, l’adulto torna alla macchina e sentendo dei rumori (gemiti), controlla se ci sia un ipotetico cane ma non vede la bambina nel suo seggiolino.

Non ci si scusa per il dolore che si prova

Journalists interview Valeria Collina, the Italian mother of one of the London Bridge attackers, Youssef Zaghba, in her home in Fagnano di Monte San Pietro, in Bologna, Italy Wednesday, June 7, 2017. Collina, a Muslim convert, told reporters on Wednesday that she had told Italian airport authorities to detain her son after he was stopped March 15, 2016 on his way to Turkey with a one-way ticket. (Giorgio Benvenuti/ANSA via AP)

Mi hanno colpito le parole di Valeria Kadija Collina, madre di Youssef, uno degli attentatori di Londra. Mi ha colpito, moltissimo, quella loro casa a Castaello si Serravalle, paese di provincia dell’entroterra bolognese: fiori curati ai lati del vialetto in giardino.

“Mio figlio me lo ha portato via l’ignoranza e la cattiva informazione. Il cattivo Islam e il terrorismo sono questo. Ignoranza e cattiva informazione”, dice nella sua intervista a Repubblica Valeria: ha fatto una cosa “atroce”, che “non può e non deve essere giustificata”. E ha provocato un dolore talmente grande “che chiedere perdono ai familiari delle vittime sembra quasi banale”.

Racconta di come, da madre, ha perso contatto con il proprio figlio: Quando mi parlava della Siria e del fatto che voleva trasferirsi in quel Paese, non lo diceva certo perché volesse andare a combattere per l’Isis, ma perché sosteneva che in quella parte del mondo si poteva praticare l’Islam puro e perché voleva mettere su famiglia. Lo diceva sorridendo e io sorridendo gli divevo che era fuori di testa e che io non lo avrei seguito mai perché stavo bene dove sono”. Poi il cambiamento: “La radicalizzazione secondo me è avvenuta in Marocco attraverso internet e poi a Londra, frequentando gente che lo ha deviato facendogli credere cose sbagliate. Suo padre è un moderato, sua sorella non ha abbracciato la nostra fede, nessuno nella nostra famiglia è vicino in alcun modo con quel mondo fatto di stupidi radicalismi”.

E sembra, ad ascoltarla, una storia così simile alle tante che ci capita di leggere quando ci sono madri che si arrendono alla disperazione di non essere riuscite a salvare i proprio figli dalla droga, dal malaffare o dalle mafie: ha lo stesso dolore , lo stesso colore e la stessa naturale (seppur ferocissima) tragica fine.

Così, di colpo, il terrorismo assume anche una dimensione nuova e così lontana dalla retorica degli analisti di prima mano e cola una disperazione folle e pericolosa come tutte le disperazioni.

Buon giovedì.

L’erbicida è nel piatto

Herbicide is sprayed on a soybean field in the Cerrado plains near Campo Verde, Mato Grosso state, western Brazil on January 30, 2011. The neighboring Pantanal area, a sanctuary of biodiversity, is presently at risk because of the intensive culture of soybean and the deforestation, scientists said. AFP PHOTO/Yasuyoshi CHIBA (Photo credit should read YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images)

Nessuno è al sicuro. Questo è il titolo che abbiamo scelto per il Salvagente in edicola questo mese per un’inchiesta destinata a far rumore. Partiamo per una volta dalle conclusioni. Non serve vivere vicino ai campi transgenici degli Stati Uniti, respirare le nubi tossiche di pesticidi sparse dagli aerei dei fazederos brasiliani o dei latifundistas argentini. Il glifosato, l’erbicida più utilizzato nella storia dell’umanità è più vicino di quanto tutti noi possiamo pensare e per questo nessuno può sentirsi escluso o al sicuro. Non lo sono, purtroppo, neppure le donne in gravidanza. Neppure se vivono in una grande città italiana – Roma – e non certo in una zona agricola del nostro Paese.
È questa la conclusione delle analisi condotte da Il Salvagente su 14 donne incinte che volontariamente si sono sottoposte allo screening. Tutte, con il prezioso aiuto dell’associazione A Sud, sono state coinvolte nella nostra ricerca e ci hanno consegnato un campione delle loro urine che abbiamo spedito in Germania per le analisi del caso.
Le conclusioni sono sconcertanti: le 14 gestanti sono risultate immancabilmente positive alla ricerca di glifosato nelle loro urine. Tutte, insomma, ne avevano tracce nell’organismo, con quantitativi che vanno da 0,43 nanogrammi per millilitro di urina fino a 3,48 nanogrammi. Tanti? Pochi?
Patrizia Gentilini per una vita oncologa ed ematologa in prima linea in ospedale e ora nel Comitato scientifico di Medici per l’Ambiente-Isde Italia, è categorica: «Non dovrebbe esserci, per nulla, neppure in tracce». L’oncologa spiega: «Non c’è da stare tranquilli, ma non c’è da stupirsi: recentemente è stata pubblicata una indagine di biomonitoraggio condotta in Danimarca su 143 madri e 116 bambini in età scolare. In un sottogruppo di 27 soggetti è stato dosato anche il glifosato ed è stato ritrovato in tutti i 27 campioni con una concentrazione media di 1 ng/ml. I dati delle gestanti di Roma andranno valutati e commentati anche alla luce della scheda anamnestica che è stata raccolta per ogni caso, e se andassimo a cercare anche nel cordone ombelicale certamente lo troveremmo anche lì, ma il messaggio che già ne scaturisce è chiaro e lampante: le sostanze tossiche sono dentro i nostri corpi e passano dalla madre al feto, potendo condizionare non solo la salute nell’età infantile ma anche nell’età adulta, tanto che si parla ormai di una “origine fetale delle malattie dell’adulto”».
Ma da dove arriva l’erbicida che abbiamo trovato negli organismi delle donne incinte romane?
La risposta, purtroppo, è allo stesso tempo semplice e inquietante: da ciò che portiamo in tavola. E, anche in questo caso, nessuno può ritenersi al sicuro. Lo avevamo ipotizzato già un anno fa, quando decidemmo di portare in laboratorio biscotti, corn flakes, fette biscottate, farine e pasta. Trovando spesso questa presenza sgradita nei prodotti finiti di grandi marchi del “Made in Italy”. E lo hanno testimoniato analoghe ricerche indipendenti in tutto il mondo rintracciando la molecola in miele, birra, prodotti per la prima infanzia, perfino garze sterili, tamponi e salvaslip. Una “roulette russa” a cui è difficile sottrarsi, anche quando si è convinti di curare con estrema attenzione l’alimentazione. Un pericolo reale, almeno secondo una parte importante della comunità scientifica, da anni impegnata a denunciarne gli effetti sulla salute.
A pesare, come un macigno, c’è la conclusione a cui è arrivato nel marzo del 2015 lo studio più esteso mai realizzato al mondo, quello dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms. La Iarc, al termine di una ricerca condotta da 17 esperti, ha definito il glifosato «probabile cancerogeno per l’uomo», classificandolo in classe 2A in compagnia di sostanze come bitume, acrilammide, anabolizzanti.
Purtroppo non è tutto…

L’editoriale è tratto dal numero di Left in edicola

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Metti la Brexit nell’urna

LONDON, UNITED KINGDOM - MAY 29: Prime Minister Theresa May arrives at Sky studios in Osterley, west London to take part in a joint Channel 4 and Sky News general election programme 'May v Corbyn Live: The Battle for Number 10' on May 29, 2017 in London, England. The 90-minute show, which will feature the first party leader interviews of the campaign, will open with an audience Q&A with Jeremy Corbyn hosted by Sky's Political Editor, Faisal Islam, before being interviewed by Jeremy Paxman. The second half of the programme will follow the same format with Prime Minister Theresa May. (Photo by Stefan Rousseau - WPA Pool/Getty Images)

Uno spettro si aggira per il Regno Unito che va alle urne l’8 giugno. È il fantasma di un Paese lacerato dopo la strage di Manchester e la cui unità sembra scricchiolare ogni giorno di più. La minaccia arriva come sempre dalla Scozia di Nicola Sturgeon che rilancia la proposta di un nuovo referendum per l’indipendenza, cui fa eco con la stessa richiesta, l’Irlanda del Nord, eterna spina nel fianco di Westminster. Le elezioni politiche anticipate sono state fortemente volute da Theresa May. Il primo ministro spera che la vittoria dei Tories dia ancora più fiato alla sua leadership tanto da poter fare la voce grossa a Bruxelles, ostinata nel suo disegno di ottenere il massimo dello sconto con il mantenimento del libero accesso al mercato unico europeo e il minimo della pena con la limitazione del libero movimento di persone provenienti dall’Europa. Nel frattempo sfoggia i muscoli di un governo guidato da un partito capace di reggere saldamente le redini del Paese. A darle man forte, i segnali di un’economia in apparente ripresa, secondo le stime del Fondo monetario internazionale che ad aprile ha aggiornato al rialzo le previsioni di crescita dell’economia britannica, con la sterlina che sempre ad aprile, ha toccato il massimo contro il dollaro. Il tutto nonostante la rimonta dell’inflazione e la decrescita dell’occupazione. Eppure, il 22 maggio è arrivata da Bruxelles l’ennesima doccia fredda. Il consiglio straordinario dei ministri degli Affari europei ha decretato che Londra pagherà senza sconti la sua uscita dall’Unione europea. Un piano di pagamento piuttosto salato da esaurirsi entro il 2020, anno in cui si spera che il lungo processo della Brexit sia finalmente completato, con buona pace dei litiganti. Per quando riguarda il conto in moneta contante, non sono state emesse cifre ufficiali ma si stima che il saldo oscillerebbe tra i 60 e 100 miliardi di euro. Nel piano presentato da Bruxelles, entrano anche i costi di “trasloco” delle due principali agenzie Ue che hanno sede a Londra (l’European Banking Authority e l’ European Medicine Agency). La lista presentata dal governo europeo, ha tra le priorità assolute le garanzie dei diritti dei cittadini europei e delle imprese Ue residenti nel Regno Unito. Mentre l’Europa le presenta il conto, un altro grattacapo affligge la signora May ed è rappresentato dal Labour guidato da Jeremy Corbyn che nonostante le diatribe interne, sta rimontando rapidamente, assestandosi al 38% contro il 43% dei conservatori, nelle preferenze dell’elettorato. E non la consola che nel frattempo molti voti sfuggiti all’Ukip di Nigel Farage, siano andati a rimpolpare quelli del suo partito.

L’articolo è tratto dal numero di Left in edicola

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In aula il “pasticcio all’italiana”. Falcone: «Basta con i candidati nominati»

L' Aula durante l'esame della Legge elettorale alla Camera dei Deputati, Roma, 07 giugno 2017. ANSA/ANGELO CARCONI

Un “pasticcio all’italiana”, altro che legge elettorale sul modello tedesco. Così ha definito il testo, il deputato di Mdp Alfredo D’Attorre che ha partecipato ai lavori nella Commissione Affari costituzionali prima della discussione in aula (vedi prossimo numero di Left del 10 giugno). Niente voto disgiunto e nemmeno la possibilità di preferenze che gli esponenti di M5s hanno sonoramente bocciato. «Un tradimento incredibile», ha detto D’Attorre anche rispetto al voltafaccia grillino rispetto ai nominati.

Rincara la dose anche Anna Falcone, vicepresidente del Comitato per il No che ha appena lanciato insieme con Tomaso Montanari l’appello per “Un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza” per una sinistra unita (sempre su Left del 10 giugno). «La cosa più grave sono i nominati. Ancora una volta non si è riusciti a mettersi in sintonia con i cittadini che non si sentono rappresentati da persone che siano scelte e votate direttamente dal popolo», dice Falcone. Invece qui si tratta di votare candidati «doppiamente blindati in collegi uninominali e con liste bloccate». Insomma, «devi prendere l’intero pacchetto», conclude Falcone. Ancora una volta l’attuazione dell’art.49 della Costituzione che sancisce il diritto dei cittadini a riunirsi in partiti ma soprattutto «a concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Domani un altro sit-in a partire dalle ore 16 davanti a Montecitorio da parte dei giuristi del Coordinamento per la democrazia costituzionale e i Giuristi democratici.

Oggi il dibattito a Montecitorio va avanti a oltranza. Ci sono tanti nodi irrisolti. E non a caso il Comitato dei Nove, il gruppo ristretto che prepara i lavori d’Aula con le indicazioni sugli emendamenti, ha dovuto far slittare il proprio incontro al pomeriggio dopo le votazioni sulle pregiudiziali di costituzionalità. Sono state tre  presentate da Mdp, Ci e Ap relative al rispetto della Costituzione a proposito della partecipazione dei cittadini, sulla base degli articoli 56, 57 e 48 della Carta. Il punto contestato è la determinazione dei collegi prevista sul censimento di 26 anni fa. La Camera, a scrutinio segreto, le ha bocciate con 182 voti a favore. Per quanto riguarda gli emendamenti, sono circa 210, su 300 presentati, gli emendamenti che dovranno essere votati dall’Aula. Chi volesse seguire i lavori si può collegare qui.

 

Attentati in Iran, l’isolamento del Quatar e il tweet di Trump

Parlamento Teheran

Perhaps this will be the beginning of the end to the horror of terrorism! L’esclamativo tweet di Trump sulla fine del terrorismo risale a ieri: un commento sulla crisi internazionale che ha portato all’isolamento del Quatar, tagliato fuori da Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati Arabi, Yemen e Maldive, per i suoi legami con il terrorismo sunnita, ma anche con l’Iran. Nemmeno mezza giornata dopo le parole del presidente americano sulla fine dell’orrore, l’Iran è sotto attacco.

È sotto attacco il Majlis, il Parlamento iraniano, e lo è dalle 11 di questa mattina, mentre una seduta era in corso. I video che si susseguono sui social network dalla città sciita mostrano cittadini urlanti e volanti delle forze speciali che attraversano le strade ad alta velocità, a sirene spiegate.

Due attacchi congiunti: uno al Parlamento, uno al mausoleo di Khomeini. Un terzo sarebbe stato sventato. C’è almeno un morto dopo l’assaltonella sede dell’istituzione nella capitale iraniana. Un parlamentare, Elias Hazrat, ha riferito che si trattava di due uomini armati di kalashnikov e un altro armato di pistola. Le agenzie iraniane contano invece quattro assalitori e riferiscono che le teste di cuoio, durante l’operazione, ne avrebbero bloccato e arrestato almeno uno.

L’incursione è avvenuta in concomitanza all’attentato al mausoleo dell’ayatollah, nella zona sud della città, nei pressi della metropolitana, dove è stato aperto il fuoco da un assalitore che si sarebbe fatto saltare in aria in seguito. In totale il bilancio conta sette vittime, mentre gli ostaggi al momento sarebbero quattro. Uno degli uomini al Parlamento si sarebbe barricato con dei politici all’interno della sala, dicendo di possedere una cintura esplosiva.

«Vado a fare il terrorista»

Il 15 marzo dell’anno scorso all’aeroporto di Bologna alcuni poliziotti notano un giovanotto agitato in coda al check-in del volo per la Turchia. Un biglietto di sola andata e uno zainetto erano  un’accoppiata piuttosto insolita per passare inosservata e così, quando gli uomini delle forze dell’ordine, gli hanno chiesto il motivo del suo viaggio quel passeggero rispose candidamente “vado a fare il terrorista”.

La madre, convocata in Questura, raccontò di essere molto preoccupata per quel figlio che “non sembrava più lui”: “non lo riconosco più – disse -, mi spaventa. Traffica tutto il giorno davanti al computer, vede cose stranissime”. Aggiunse che il ragazzo ormai viveva stabilmente a Londra dopo avere trovato lavoro in un ristorante pachistano e che da quando aveva cominciato a frequentare quell’ambiente i suoi atteggiamenti erano diventati molto preoccupanti.

Da un primo sommario esame del suo telefonino gli investigatori scoprirono video che inneggiavano l’Isis e la sua propaganda. Non fu possibile eseguire una ricerca più approfondita sui suoi dispositivi elettronici poiché il Tribunale del Riesame ordinò la restituzione del materiale informatico al sospettato accogliendo un suo ricorso.

Quel giovane era Yousef Zaghba, il terzo attentatore del London Bridge. Questa storiella, che oggi conosciamo e di cui possiamo scrivere, era stata inviata a suo tempo alla polizia inglese. Com’è andata a finire è cronaca di queste ore.

Buon mercoledì.