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Renzi e Berlusconi? Che stiano insieme è naturale

Pare che l’intesa tra Pd, Cinquestelle, Forza Italia e Lega sulla nuova legge elettorale alla tedesca sia raggiunta. Una riforma che, con il passare dei giorni, diventa sempre di più il terreno su cui tessere le trame di quella che ormai in Europa è nota come la politica delle grandi intese, dei grandi centri, delle larghe coalizioni. Al di là dei vari aggiustamenti tecnici prodotti dagli emendamenti il risultato è quello di annoiare e allontanare il cittadino medio che, sempre più stanco di una politica che si riduce a “inciuci di palazzo”, si allontana dall’agone politico perdendo di vista il nocciolo sostanziale della questione in ballo. E allora, per cercare di comprendere meglio e per non farsi confondere o addormentare dai continui ripensamenti, cambi di rotta, aggiustamenti di tiro, abbiamo raggiunto al telefono un esperto di precisione filologica e chiarezza espositiva: il professor Luciano Canfora.
«Prima di tutto bisogna vedere se è davvero il modello tedesco, cioè il proporzionale con lo sbarramento al 5 per cento» ci risponde subito il professore che, se davvero fosse così, si dichiara contento in parte, vista la sua ostinata simpatia per il sistema proporzionale contro le alchimie maggioritarie.
«Non ho mai accettato questo criterio assolutamente iniquo della “governabilità” – aggiunge – perché questo vuol dire in maniera elegante: “sono minoranza, ma fingo di essere maggioranza”, quindi un assurdo, la negazione del principio del suffragio universale.
Sulla questione dello sbarramento il classicista sfodera subito la lente da storico e filologo e va alle origini di un sistema che fu inventato nella Germania Federale raccontandoci:
Fu instaurato nel 1953, nelle prime elezioni fatte nel ’49 non c’era ancora. Fu inventato per mettere fuori dal Parlamento, e dopo poco addirittura fuori legge, il Partito comunista tedesco, piccolo partito della Germania Occidentale il cui Segretario si chiamava Max Reimann. La Corte suprema, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, mise fuori legge il Partito l’anno successivo nel 1954 dicendo che era un partito anti tedesco, anti patriottico, eversivo, i cui principi erano in contrasto con la costituzione. Allora “sbarramento” fu giustificato ipocritamente con la motivazione “non possiamo fare come nella Repubblica di Weimar dove la frantumazione dei partiti creò le premesse del nazismo!”. Ma era un’idiozia perché a Weimar i partiti in tutto erano 5-6 mica 35 o quanti sono i nostri oggi!
Dunque in origine era tutt’altro che democratica la motivazione dello sbarramento?
Non c’è una motivazione né logica, né politica dello sbarramento perché bisognerebbe dire che se un partito non supera una certa soglia quegli elettori non esistono, sono delle non-persone e non possono avere rappresentanza in Parlamento. Questa cosa non sta in piedi sul piano logico e, sul piano politico, è una sopraffazione. Siccome la lunga epoca del maggioritario ha devastato i cervelli e drogato le persone, non si coglie che il fatto che si torni al proporzionale è un bene e lo sbarramento passa quasi inosservato.
Come spiega le “scene isteriche” che ci regala il teatrino della politica nostrana di questi giorni?



L’intervista a Luciano Canfora prosegue sul numero di Left in edicola
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Bersani: «Sinistra unita sì ma di governo. E non una sinistra “desiderante”»

Massimo D'Alema (s) parla con Pier Luigi Bersani, durante il congresso del Partito Socialista Europeo nel centro congressi all'Eur, Roma, 01 marzo 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Onorevole Bersani è uscito l’appello “Un’alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza” firmato da Anna Falcone e Tomaso Montanari. È rivolto a tutti i movimenti, partiti, semplici cittadini. Dall’altra parte c’è Campo progressista di Giuliano Pisapia in cantiere il 1 luglio. In questa situazione oggi si sente più che mai l’esigenza di una sinistra unita. Lei che ne pensa?
L’esigenza per me è quella di una sinistra di governo. Una sinistra che non si ponga il problema di portare i suoi valori dal cielo alla terra a me non interessa. Benissimo quindi l’unità della sinistra purché si abbia la capacità di inserire questa esigenza in un contesto ampio e aperto.
Che cosa significa in concreto?
Io penso, dati storici alla mano, che in Italia una sinistra di governo possa esprimersi solo nelle forme di un centrosinistra plurale dove si può trovare una sintesi dei temi classici della sinistra. Cioè: l’uguaglianza, la dignità del lavoro, il tema dell’ambiente, il civismo, le sensibilità solidali di origine laica e religiosa. Insomma, questa è la forma in cui può esprimersi una sinistra di governo. Se non c’è tutto questo, vincono sempre gli altri. E visto che per particolari ragioni storiche noi siamo un Paese molto segnato dall’individualismo e dalla scarsa fiducia nella dimensione dello Stato, naturaliter, prevale la destra. La sinistra quindi per vincere deve fare la fatica di comporsi, di federarsi. Del resto, l’unica volta che la sinistra ha vinto è stata così.
Ma scusi Bersani lei pensa che ai promotori dell’appello non vada bene quello che lei ha appena detto?
Non lo so… ma vedo che si sottovaluta questo tema. Ma quando dico federiamoci, sia chiaro che non escludo nessuno, anche se bisogna mettere qualche paletto concettuale e programmatico in modo che gli italiani capiscano. Altrimenti una federazione o un’alleanza che sia, può sembrare un’accozzaglia e non va bene. Allora, al di là del fatto che è facile condividere i principi di equità e i contenuti di quell’appello, bisogna pensare anche ad altro. Primo punto, l’Europa: e qui voglio sapere se i federati di fronte a quello che ci si presenterà – tra l’effetto Trump e altri scenari internazionali – vorranno esserci oppure no? Io ci voglio essere. Secondo punto, il problema della crescita e del risanamento. A me non sta bene che il debito pubblico sia una questione degli altri, dell’Europa ecc. No, è una questione che riguarda i nostri figli.
E quindi bisogna intervenire, e come?
Come fece l’Ulivo: si deve riuscire a aumentare gli investimenti riducendo il debito e portandolo al 99 per cento. L’Italia è nei guai. C’è bisogno di rigore, serietà, priorità negli investimenti. Per tutto il resto, come la giustizia fiscale, non ci sono problemi nel trovarsi d’accordo, ma su questi punti bisogna superare il concetto di “sinistra desiderante”. E poi mi lasci dire un’altra cosa a proposito di quelli del Comitato del No al referendum di cui si parla nell’appello. Se trovo persone che sui temi sull’uguaglianza sono d’accordo con me e hanno votato Sì, a me vanno bene lo stesso, sia chiaro.



L’intervista a Pierluigi Bersani prosegue sul numero di Left in edicola
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Il numero monografico e l’omaggio de “Il sogno della farfalla” a Massimo Fagioli

Il 16 giugno, in un caldo pomeriggio dell’estate romana, si terrà in Piazza San Cosimato, nel cuore di Trastevere la presentazione del numero speciale de Il sogno della farfalla dedicato a Massimo Fagioli.

Il luogo è noto: a via di Roma Libera, al numero 23, si sono svolti per quarantuno anni, quattro volte la settimana, per quattro ore ogni volta, i seminari dell’Analisi collettiva. Fenomeno strano, definito da Massimo Fagioli movimento spontaneo di una massa di persone che sono andate a farsi interpretare i sogni da colui che, per primo, nella storia dell’uomo, ha eliminato il dogma dell’inconoscibilità di queste strane immagini che rimangono nella mente al risveglio.

L’occasione: presentare il secondo fascicolo del 2017 della rivista di psichiatria e psicoterapia Il sogno della farfalla. Periodico trimestrale, edito da L’Asino d’oro, fondato da Fagioli insieme ad un gruppo di colleghi psichiatri e psicoterapeuti nel 1992. Il nome della rivista deriva da quello della sceneggiatura di un film, scritta da Massimo Fagioli, che si intitolava nello stesso modo. Nel corso di questi venticinque anni, la rivista ha pubblicato numerosi contributi di psichiatria, psicoterapia, medicina, biologia, fisica, filosofia, arte, letteratura, linguistica, tutti ispirati direttamente o indirettamente alla ricerca di Fagioli e alla prassi svolta nell’Analisi collettiva. Come scritto nell’editoriale di apertura del numero, l’essenza de Il sogno della farfalla è il suo comitato editoriale, composto dalle decine e decine di psichiatri e psicologi che si sono formati con Massimo Fagioli e che devono ora portare avanti questa magnifica e geniale ricerca che lui ha iniziato da solo, senza l’aiuto di nessuno, a volte in mezzo a migliaia di persone, altre volte in solitudine, spesso contro tutto e contro tutti, contro la ragione e la religione, contro il pensiero dominante e la psichiatria organicista, senza paura di scontrarsi, senza mai un’angoscia, anzi, spesso con gioia e sempre e comunque con un grandissimo amore per gli esseri umani.

Il numero: il volume è interamente dedicato a Fagioli, dopo la sua scomparsa avvenuta il 13 febbraio scorso. Sconvolgendo il piano editoriale già programmato, il comitato di redazione ha deciso di pubblicare alcuni interventi inediti fatti da lui, sia durante presentazioni di alcuni suoi volumi, sia durante alcune interviste televisive. Come tante api operaie organizzatissime e precisissime nel loro lavoro, un gruppo di colleghi del comitato editoriale ha messo per iscritto questi interventi. L’opera è stata portata a termine in un tempo brevissimo e il risultato sembra riuscito. L’immagine di Massimo Fagioli che emerge è quella di un vulcano inesauribile di vitalità e fantasia che, soprattutto, nell’ultimo anno, a partire dalle Aule Magne tenutesi presso la “Sapienza” università di Roma in occasione dei 40 anni di Analisi collettiva, ha portato ancora più a fondo la ricerca sulla realtà mentale umana. Nel corso di questi mesi sono nate, infatti, Ventuno parole che prima non esistevano, come titolava l’articolo di Fagioli comparso su questo settimanale il 30 luglio 2016. Parole che arricchiscono e ampliano il pensiero verbale sulla nascita umana e sul primo anno di vita di ognuno di noi, periodo durante il quale Fagioli ha sempre sostenuto si crea la malattia mentale, nel rapporto con chi scalda e nutre. Malattia della mente che Fagioli ha per primo teorizzato come conoscibile e curabile, affrontando questa dimensione di mente non cosciente che viviamo tutti per un terzo di vita: il sonno e le immagini dei sogni.
L’idea di trascrivere nero su bianco le parole dette da Fagioli soprattutto nell’ultimo anno, è stata quella di avere del materiale di studio su una ricerca nuovissima e, forse, ancora in parte da comprendere appieno.

Il fine secondario (che in realtà è quello principale): ritrovarsi, in un caldo pomeriggio d’estate, tutti insieme, in quel luogo, quella piazza, che ci ha visto crescere, piangere, ridere, stupirci, arrabbiarci, andarcene e ritornare, innamorarci e separarci.

Comitato di redazione e comitato editoriale de Il Sogno della farfalla



L’articolo è tratto dal numero di Left in edicola
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Quei partiti cartello vuoti di idee

Perché elezioni anticipate? E chi decide che debbano essere anticipate? È paradossale che non appena i maggiori partiti si sono accordati per darci una legge elettorale si sentono legittimati a mettere in circolo l’idea di andare a elezioni anticipate subito, appena dopo l’estate. Perché non aspettare la fine naturale della legislatura? Ha una qualche giustificazione questo anticipo? Ha la stessa giustificazione, di quella di colei che, comprando un cappotto in estate per approfittare dei saldi lo voglia indossare subito, proprio perché appena comprato. Vannino Chiti su Huffington Post ha scritto con molta ragione a proposito della poca cultura costituzionale che anima gli attuali partiti. «Può darsi che sia fuori moda – scrive Chiti – ma per me il rispetto delle regole e della Costituzione resta fondamentale: non si può ridurre, in un accordo tra partiti, a quello di semplice notaio il ruolo del presidente della Repubblica. Spetta a lui fissare la data delle elezioni! Non si può, in incontri tra Forza Italia e Pd, stabilire il giorno di conclusione per l’approvazione della legge elettorale, dimenticando che spetta farlo alla Conferenza dei capigruppo convocata e diretta dal presidente del Senato. Oltre al 7 di luglio, è stata decisa anche l’ora?».
Gli attori politici di questa fase storica sono mediocri e deludenti, e la causa non è l’esito del referendum del 4 dicembre. Se fosse passato il Sì, i partiti non sarebbero per incanto diventati “partiti politici” propositivi e di buon conio; sarebbe restati esattamente gli stessi ma così ingombranti (quelli al governo, soprattutto) da poter permettersi di essere mediocri con protervia. Oggi, che devono dimostrare sul terreno di essere forze politiche capaci nella loro diversità di avanzare proposte che siano diverse e capaci di produrre risultato, oggi, i partiti mostrano la loro pochezza, che cercavano di nascondere scaricando i problemi sulla Costituzione. Sono partiti “cartello” – cioè tutti loro prima di tutto istituzionali ed essenzialmente parlamentari – con addentellati sociali labili e spesso assenti, e con uno sforzo che è solo volto ad avere pubblicità, ma senza lasciar intendere ai cittadini-elettori quale prodotto offrono che non sia anche offerto dagli altri. Il mainstreamismo è la malattia dei partiti apparato elettorale: loghi (non luoghi) simbolici e strutturalmente quasi inesistenti e leggerissimi, vuoti di idee-principi portanti che riescano a dare visibilità non solo ai loro leader e leaderini.



L’articolo di Nadia Urbinati prosegue sul numero di Left in edicola
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Un mare di plastica si mangia gli oceani

Isabella Lovin è un’eurodeputata ambientalista, ministro della cooperazione in Svezia dal 2014 e vorrebbe che nel 2050 negli oceani «non ci fosse più plastica che pesce». Le ha fatto eco Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, alla prima conferenza dedicata allo stato di salute degli oceani in corso a New York. Ma non ci sono buone notizie, né per i mari, né per i pesci, né per gli uomini che li mangiano.

«I nostri oceani, il nostro futuro» è lo slogan dell’evento e l’Onu ha specificato che gli ecosistemi marini, causa inquinamento, sono «in pericolo come mai prima d’ora». Nel mare oceanico c’è il 97% dell’acqua del pianeta, che serve anche all’aria, all’ossigeno, oltre che a regolare la sua temperatura. Ma sono diventati serbatoi liquidi di plastica, canali e flussi di rifiuti.

Ogni anno finiscono in mare otto milioni di tonnellate di rifiuti, un dato che suscita inquietudine, nell’anno in cui il presidente Usa Trump abbandona gli accordi di Parigi per fermare il cambiamento climatico.

È la prima volta che una conferenza viene dedicata allo stato di salute degli oceani e rientra nell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sottoscritto nel 2015 da 193 paesi dell’Onu. L’“Obiettivo 14” di cui si è dibattuto in America è il punto “blu” del progetto e ambisce a “conservare e utilizzare in modo durevole oceani, mari e risorse marine per uno sviluppo sostenibile”. Insieme a Isabella Lovin, più di un milione di persone vorrebbe «più pesce che plastica” e lo ha messo nero su bianco firmando una petizione sulla piattaforma Avaaz, quella che il Guardian chiama «la rete di pressione politica online più grande ed efficace del mondo». Avaaz «vuol dire voce in diverse lingue europee, mediorientali, asiatiche» e ha una missione democratica: «Organizzare le persone per ridurre la distanza tra il mondo che abbiamo e il mondo che la maggior parte delle persone, in ogni luogo del mondo, vorrebbe». Chi ha firmato la petizione (link) era d’accordo con il loro messaggio: «Quello che stiamo facendo al nostro pianeta è indecente, ci fa mettere in dubbio la nostra stessa fiducia nell’umanità».

Il successo di Corbyn. E se la lezione britannica servisse anche all’Italia?

epa06018345 Britain's Labour leader, Jeremy Corbyn leaves the Labour headquarters in central London in Britain, 09 June 2017. Britain's general election has ended in a hung parliament according to news reports, with the Conservative Party unable to gain a majority. Labour leader Jeremy Corbyn has called for Prime Minister Theresa May to resign. EPA/FACUNDO ARRIZABALAGA

«La lotta vera inizia ora». Owen Jones, opinionista del Guardian cita il tweet di Jeremy Corbyn a conclusione del suo pezzo di oggi sull’autorevole giornale inglese che ha preso posizione a favore del Labour e del suo segretario dalla barba bianca. Una lezione dalla Gran Bretagna che potrebbe servire non solo alla sinistra europea ma anche a quella italiana, adesso più mai alle prese con il proprio futuro. La coerenza e l’impegno con i quali il capo del Labour ha portato avanti la sua battaglia contro le diseguaglianze lo ha premiato. Niente terza via blairiana, niente compromessi, ma un programma chiaro e controcorrente.

Il governo fragile di May

Dopo la Brexit ecco dunque che un altro scossone ha investito la Gran Bretagna. E anche in questo caso a fare la figuraccia sono esponenti dei Tories: dopo Cameron che aveva lanciato un anno fa il referendum su Leave e Remain e la relativa capitolazione con dimissioni un mese dopo, adesso tocca a Theresa May che aveva preso il suo posto e che, sperando di consolidare il suo potere, ha anticipato le elezioni all’8 giugno. Ma le è andata decisamente male e i britannici hanno punito il partito conservatore anche per la Brexit. È vero, Theresa May governerà ancora, ha detto, dopo essersi recata al tradizionale incontro, questa volta brevissimo, con la Regina. Lo farà grazie all’appoggio dei dieci seggi del Democratic Unionisti Party irlandese. Ma il suo governo sarà decisamente più debole e quando si andrà a trattare per le modalità della Brexit ai negoziati di Bruxelles il 19 giugno, peserà il risultato elettorale.

Il successo del Labour

Il Labour, invece, era dai tempi di Blair che non riscuoteva un così grande successo. C’è stata una sinergia generale. Infatti in molti casi gli elettori britannici hanno votato il partito liberale proprio per far perdere il candidato conservatore nel seggio dove magari quello laburista non era così sicuro.
Le cifre parlano da sole: il partito conservatore ha perso 12 seggi, invece dei 330 ne ha presi 318 , il Labour 261 e ne ha presi in più 31. Il partito conservatore ha preso 13.650.918 mentre il Labour segue a ruota con 12.858.644 preferenze, meno di un milione di voti. Anche l’affluenza è stata altissima, il 69%, una percentuale che non si verificava negli ultimi 20 anni.

La campagna «per i molti non per i pochi»

«La gente ha detto di averne abbastanza della politica di austerità, dei tagli alla spesa pubblica, alla sanità, alle nostre scuole e al servizio educativo – ha detto Corbyn poche ore dopo il risultato -. Così non possiamo offrire delle opportunità ai nostri giovani». «Sono molto orgoglioso – ha aggiunto – della campagna elettorale gestita dal mio partito. Il nostro manifesto era “per i molti, non per i pochi”. Le persone votano per la speranza, la speranza del futuro e voltano le spalle all’austerità». Con la parola hope contrapposta ad austerity Jeremy Corbyn ha sintetizzato il suo programma, chiaro, netto, che alla fine ha avuto la meglio. L’8 giugno, il Labour ha trascinato non solo i tanti giovani che gli avevano consegnato il partito a settembre 2015, ma anche gli adulti e anziani delusi dai loro partiti nel dopo Brexit. «Le persone sono molto più intelligenti di quanto pensano i baroni della stampa», ha scritto ancora Owen Jones oggi sul Guardian, riferendosi alla campagna mediatica condotta contro il socialista d’altri tempi che non ha mai cambiato idea sulle battaglie da fare.

Una leadership grazie ai giovani

Nel 2015 aveva avuto il coraggio di dire che «abbiamo molto da recuperare da Marx» eppure riuscì a diventare il capo dei laburisti. Dopo la sua elezione (v.articolo Left qui), Corbyn dovette vedersela con i suoi dentro il partito. Non sono stati anni facili, considerate anche le critiche mosse dai media. Troppo utopico, troppo fuori della realtà, dicevano. E invece aveva ragione lui.

Dalla Gran Bretagna all’Europa e all’Italia

E qui il discorso si estende alla sinistra in Europa e soprattutto all’Italia, in preda ad una fibrillazione causata dalle elezioni anticipate – se mai ci saranno – e dal pasticcio della legge elettorale.
A vedere le reazioni dei leader sui social e anche nei relativi siti, colpisce il silenzio di Matteo Renzi, ma anche di Pier Luigi Bersani. Mentre sulla pagina facebook di Campo Progressista di Giuliano Pisapia si legge questo post: «Vediamo, Considerate le dovute differenze, come si possa superare il 40% proponendo un programma chiaro e progressista, che faccia i conti con la realtà quotidiana delle persone e proponga soluzioni tanto radicali nei contenuti quanto pragmatiche nella loro possibilità d’essere. Ben lontano da quel politicismo fine a sé stesso che, specialmente negli ultimi mesi, sta imperversando nel nostro Paese». È chiaro il riferimento a come si sia arrivati ad una legge elettorale dichiarata già superata dai suoi autori, ma c’è anche il riferimento alle larghe intese Renzi-Berlusconi. La lezione britannica piace a Campo progressista: «La Gran Bretagna ci dimostra che la bellezza del confronto tra le differenti idee è un punto al quale non ci si può sottrarre, ma bisogna essere convinti del proprio programma ed esser sicuri di muoversi per il bene dei tanti e non per l’interesse di pochi».
Nicola Fratoianni segretario di Sinistra Italiana, sempre su facebook scrive: «Una Sinistra che fa il proprio mestiere. Una lezione di umiltà, testardaggine e di coerenza che può essere utile anche per coloro che in Italia si affannano con formule vuote, politiciste o si alambiccano con progetti politici non più ripetibili». Entusiasti Anna Falcone e Tomaso Montanari che hanno appena lanciato l’appello per una sinistra unita. «La straordinaria affermazione di Corbyn nelle elezioni politiche in Gran Bretagna dimostra che la Sinistra che con-vince è quella che pone al centro del suo programma politico la lotta alle diseguaglianze e il ritorno alla giustizia sociale come priorità delle politiche pubbliche», scrivono i due firmatari del documento che, ricordiamo, danno appuntamento a domenica 18 giugno, Teatro Brancaccio, Roma.

Una lezione che serve all’Italia?

«Ormai non si vince più stando al centro», ha detto questa mattina ai microfoni di Radio Tre il politologo Piero Ignazi. Programmi netti, con parole ben definite sui problemi da affrontare che in Italia sono simili a quelli britannici: sanità, istruzione, lavoro, sono i grandi temi per i quali occorre trovare una soluzione per eliminare le diseguaglianze crescenti. Senza compromessi e senza inciuci. Chissà se la lezione britannica potrà servire alla sinistra italiana in cerca di una unità per ora alquanto incerta. È sicuro però che, come scrive ancora Owen Jones, «quella di un governo socialista che può costruire un’economia gestita nell’interesse dei lavoratori – non l’intreccio degli interessi che ci hanno messo in ripetuta crisi – beh, è ​​probabile che sia stata una prospettiva che molti di noi pensavano non avrebbero mai vissuto in tutta la nostra vita. Ora è molto più vicino di quanto non sia mai stato».

Anoressia, perché e come ci si può curare e guarire

La toccante lettera di Novella pubblicata nella rubrica di Concita De Gregorio su Repubblica del 6 giugno lascia con l’amaro in bocca.
Novella è una ragazza anoressica. Sta molto male e chiede aiuto.
Cosa si può fare?
Novella racconta che i curanti le hanno detto che non è lei a farsi del male ma è la malattia e «tu non sei la malattia». Giustamente Novella afferma allora: «Ah, no? E allora perché ve la prendete con me se non mangio?». Viene da chiedersi che cosa sia la malattia se non qualcosa che c’entra con la persona. Si tratta di un’alterazione organica o di una possessione demoniaca?
In effetti Novella di fronte ai medici che dimettendola dopo 5 mesi di ricovero le assicurano che «la malattia è in fase remissiva», risponde: «Credeteci pure, ha sogghignato il demone che mi porto appresso. Che mi porta a zonzo. Come quelle formiche nella cui testa certi insetti iniettano uova che diventano larve che gli mangiano il cervello e ci si siedono dentro. Lasciandole monche, morte che camminano. Fino a che la larva diventa mosca e decapita la formica per venire alla luce. Come quei film di fantascienza, dove uno spregevole essere minuscolo guida un gigante buono. È questa l’anoressia. Una larva assassina».
Novella è disperata ma conclude la sua lettera così: «Si può guarire dall’anoressia. Con pazienza, indulgenza, fiducia. E amore, per se stessi. Io ci sto provando. Io lo voglio».
Immediatamente pensiamo all’importanza di fornire risposte chiare e non forvianti sulle cause e sulla cura di queste malattie a Novella e a tutti gli altri che ne sofforno perché ahimè l’amore per se stessi non basta.
Ma dalle patologie del comportamento alimentare si può veramente guarire. E’ necessario però impostare un discorso coerente.
In medicina esiste l’obbligo dei mezzi e non dei risultati ovvero il medico deve utilizzare i metodi giusti per la cura di quella malattia.
L’impostazione del giusto trattamento non può prescindere dalle cause che hanno prodotto la malattia. La malattia non è un demone, non è frutto di un alterazione anatomica né funzionale del cervello. Ipotesi questa a lungo caldeggiata da una certa psichiatria ma che non ha mai avuto nessuna reale conferma.
La malattia della mente è prodotta all’interno del rapporto interumano. In particolare si struttura seguito di una reazione patologica, la pulsione di annullamento (Massimo Fagioli 1970), che fa sparire il rapporto umano che ha deluso. Da questo consegue che la ricerca della cura può essere fatta solo all’interno di un rapporto interumano che questa volta sia valido e non deludente. La psicoterapia quindi è la strada da percorrere. Occorre però capire bene che tipo di psicoterapia sia valida nell’immenso pannorama esistente.
Su Repubblica del 3 giugno (cronaca Firenze) era esposta l’iportanza attribuita alla Pet terapy nel reparto di neuropsichiatria infantile del Mayer di Firenze attuata on l’aiuto di alcuni cani. Leggiamo: «L’ingresso dei cani in reparto spegne la tensione e fa calmare i pazienti anoressici e bulimici» e «anche la sola presenza dell’animale aiuta i medici a comunicare con i pazienti». Poi quando arriva il momento del pasto «magari facendosi allungare un biscotto “insegnano” ad avere una relazione sana con il cibo». Seguono spiegazioni sui benefici della Pet terapy nei disturbi del compotamento alimentare che sarebbero confermati da studi scientifici. Infatti il primario Tiziana Pisano spiega che «i cani sono di aiuto perchè e permettono di ridurre i sintomi, e ci danno la possibilità di trovare una mediazione emotiva che ci apre un canale di comunicazione con gli adolescenti». E ancora scopriamo che «gli animali in base all’indole si dividono le attività: Budino è specializzato in esercizi di abilità, Polpetta invece è incline a ricevere affetto, Muffin va forte in entrambi questi aspetti. Poi c’è Mali che capisce solo l’inglese ed è un asso nello spezzare le barriere emotive. Infine Gallileo è un tipo allegro e curioso, quello che fa sorridere di più i ragazzi ricoverati».
Ma queste qualità/abilità non dovrebbero far parte della realtà umana dello psichiatra?
Non so se di questo passo si arriverà persino a proporre il cane che interpreta i sogni, magari scodinzolando un certo numero di volte. Probabilmente esistono degli psichiatri cani ma mi sembra improbabile che esistano dei cani psichiatri.
Proporre la Pet terapy come cura, seppur in concomitanza con altri trattamenti, è pericoloso in quanto si veicola l’idea che basta far cose interessanti o divertenti per stare meglio. I pazienti non sono stupidi e capiscono che se va bene tutto per “la cura” significa che in realtà non va bene niente ovvero che niente è veramente risolutivo.
Qualsiasi attività può essere potenzialmente utile nel promuovere il benessere del paziente rispetto magari all’isolamento e al disinteresse che spesso vive in famiglia ma non si può parlare di cura perché al più serve a farlo stare temporaneamente un po meglio ma non cambia nulla di fondo. Anche portare le ragazze anoressiche a divertirsi a Gardaland le può far stare un pò meglio ma siate sicuri che non cambierà di una virgola il loro pensiero. Ancora se alla persona bulimica assetata dò da bere questo la farà stare meglio alleviandole la sete ma la bulimia resterà inalterata.
Anche nello speciale del Tg1 del 28 maggio su anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata si è parlato dell’importanza del rapporto con i cavalli per fornire ai pazienti «un’esperienza riparativa». Riguardo alle cause della malattia poi veniva spiegato che nel corso del tempo si sarebbe capito che nella genesi della patologia non c’entrano i rapporti familiari ma sarebbero implicati i traumi, esprienze di derisione tra coetanei, abusi sessuali, bullismo, ecc. Ancora una volta tutto e niente o seguendo la terminologia che in psichiatria ci si è inventati per far tornare la tesi che si vuole sostenere: eziologia mutlifattoriale.
Ma se la famiglia non c’entra niente perchè la cosidetta Terapia della famiglia è uno degli approcci più utilizzati nel trattamento di questi pazienti (spesso adolescenti e quindi non autosufficienti su molti piani) e in molti orientamenti psicoterapeutici si ritiene utile occuparsi anche dei familiari?
Mi sembra che si avverta il bisogno di riproporre la sacralità della istituzione familiare come frequentemente fa il papa. L’importante è bloccare la ricerca sulle reali cause. La malattia si origina durante i primi mesi di vita per le delusioni subite dal bambino nel rapporto con chi si occupa di lui e alle quali reagisce perdendo, attraverso la pulsione di annullamento, la sua originaria sanità. Per cui è chiaro che i familiari sono implicati. Questo non significa che i familiari siano i responsabili ma che occorra occuparsi dei primi rapporti in queste malattie cosi pericolose anche per la vita stessa dei pazienti.
Inoltre altri due elementi dello speciale Tg sopradetto mi hanno sconcertato. Il primo è il riferimento alla presenza di presunte alterazioni biologiche in questi pazienti, con tanto di immagini di diagnostica che mostrerebbero che il cervello sarebbe «cieco al corpo». Ovvero l’anoressica posta di fronte allo specchio presenterebbe aree cerebrali non rispondenti allo stesso modo dei soggetti normali che determinerebbero una incapacità di vedersi per come è realmente. Tutto cio non risponde assolutamente a realtà in quanto nell’anoressia, come in nessuna malattia mentale, sono stati mai trovati alterazioni organiche a cui è stato possibile attribuire un nesso di causalità con la malattia stessa.
Il secondo punto è quando alla domanda specifica se i farmaci servono in queste malattie viene risposto che servono perchè spesso sono presenti anche depressione e ansia in comorbillita. Ma è noto e universsalmente riconosciuto, che i farmaci in queste patologie sono quasi del tutto inefficaci anche solo sul piano sintomatologico.
La cosa principale in psichiatria è l’onesta. La stessa onesta metodologica e di ricerca che ha caratterizzato l’intero percorso umano e scientifico di Massimo Fagioli. La sua Teoria della nascita si basa sulla scoperta dell’emergenza alla nascita dalla realtà biologica della realtà mentale. Realtà mentale che ha una sua origine fisiologica e non originariamente alterata. Se la mente è inzialmente sana si può realmente pensare a una malattia come perdita di questa condizione originaria e alla cura della malattia attraverso la ricreazione di quanto perduto.

Lo psichiatra e psicoterapeuta Luca Giorgini è autore del volume Anoressia ( l’Asino d’oro edizioni), con Ludovica Costantino e Manuela Petrucci

La sinistra unita

Perché mai la sinistra non riesce ad essere unita?
Gramsci lo aveva affermato con il titolo di un giornale, l’Unità. La grande aspirazione della sinistra, essere unita. «Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito. Dovrà essere un giornale di sinistra. Io propongo come titolo l’Unità puro e semplice che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale».
Voleva un giornale di massa Gramsci. Un giornale che non fosse di partito. Questa frase così cristallina, così chiara nel suo senso, è stata sempre disattesa. Fino al 4 giugno, quando l’Unità ha cessato volontariamente le pubblicazioni. Si è compiuto il delitto. Il mandante è riuscito nel suo compito di far scomparire anche solo l’idea di Gramsci che possa esistere l’unità della sinistra.
L’Unità è stata uccisa da Matteo Renzi. Ma forse il primo mandante è in verità Togliatti, che prima non salvò Gramsci dal carcere e poi, dopo la guerra, riportò in edicola l’Unità come giornale del Pci. Tradendo l’idea originaria del suo fondatore. Doveva essere un giornale per tutta la sinistra. Non solo per i comunisti, di cui peraltro ci sarebbe anche da dubitare che siano mai stati di sinistra, con la loro fissazione per la realtà materiale, il loro dio assoluto.
Sinistra e unità. Sarebbero due parole semplici che potrebbero essere fondanti per una sinistra che finalmente riesca ad esistere e ad avere un ruolo politico vero. L’appello di Montanari e della Falcone va in questa direzione ed è animato da buone intenzioni. Ma mi chiedo e vi chiedo, cari intellettuali o futuri e presenti leader di sinistra: perché vi è sempre necessario riferirvi al papa? Forse c’è un problema di mancanza di idee comuni all’area di sinistra ? È per questo che vi riferite al papa?
Io direi di lasciare il papa alle scelte personali e private di ognuno. Cerchiamo di capire cosa ci può essere di comune e quindi di fondante per la sinistra. È sufficiente pensare che basti una redistribuzione del reddito per fare stare bene le persone che oggi si sentono oppresse? Cosa vuol dire non vivere bene? È solo una questione di reddito e di distribuzione della ricchezza? Discorsi difficili. Ma prima forse bisogna iniziare da una cosa che è uno dei sicuri fondamenti della sinistra: l’uguaglianza.
Intanto capire cosa significa questa parola: perché ci può essere un’uguaglianza che si acquisisce con il reddito. Oppure una uguaglianza di diritti, quindi garantita dalla legge e dalla costituzione. Oppure una uguaglianza nelle possibilità di carriera tra uomini e donne. Al limite si può pensare che la possibilità di avere un’arma, come negli Stati Uniti, stabilisca una uguaglianza di forza tra chi ha una pistola. (Questo è proprio l’argomento dei sostenitori della vendita libera delle armi.) A pensarci bene, ci sono mille forme di uguaglianza (e di disuguaglianza).
Qual è quella giusta? È anche vero che l’uguaglianza sappiamo tutti istintivamente cosa è senza che ce lo si spieghi. È un idea vaga per cui “sappiamo” che tutti siamo uguali. Ma cosa significa esattamente questa uguaglianza in effetti non si sa definirlo. Io vi propongo un’idea molto semplice, non mia ma di Massimo Fagioli. L’uguaglianza assoluta tra gli esseri umani è per la nascita che è uguale per tutti. Perché è alla nascita che si forma il pensiero umano. La dinamica di formazione del pensiero è uguale per tutti ed è proprio questa dinamica che ci fa essere esseri umani uguali gli uni agli altri. Se invece l’uguaglianza si acquisisce, allora vuol dire che la realtà umana “naturale” è quella di non essere tutti uguali. È evidente allora che avrebbe ragione il pensiero di destra: chi ha la pelle di un colore scuro non è uguale a chi ha la pelle bianca! Facile quindi pensare che sia un essere inferiore. Stesso ragionamento si applicherebbe alle donne che sarebbero esseri inferiori perché sono fisicamente diverse dagli uomini.
L’umanità non sarebbe una sola ma sarebbero tante.
È ovvio che se non comprende dove nasce e che cosa è l’uguaglianza, la sinistra si ritrova senza armi dialettiche, perché difettosa nel pensiero.
La verità è che l’uguaglianza degli esseri umani è per la nascita che fa il pensiero umano.
È così difficile accettare che questa idea di Fagioli possa essere un’idea fondante per la sinistra? Magari è difficile da accettare perché questa idea spazza via ogni religiosità?
In alternativa ci dovremo rassegnare ad un partito che dice di essere di sinistra ed è basato sulle idee del papa.
Che poi non è altro che il partito di Matteo Renzi: oggi si chiama Pd, una volta si chiamava Democrazia cristiana.



L’editoriale è tratto dal numero di Left in edicola
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Fratelli Rosselli, un omicidio fascista per annichilire la speranza di giustizia e libertà

Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne in Francia, Carlo e Nello Rosselli furono assassinati da una banda di squadristi dell’organizzazione parafascista francese “La Cagoule”. L’ordine proveniva dal servizio segreto militare italiano e da Galeazzo Ciano, dunque, con ogni probabilità, direttamente da Mussolini. Intellettuali e attivisti antifascisti entrambi, di famiglia fortemente legata alle tradizioni del Risorgimento italiano, Nello Rosselli fu giornalista, storico e studioso di Bakunin, Mazzini, Pisacane, mentre Carlo da giovanissimo fu economista, poi, rifiutando l’insegnamento accademico, fu intellettuale, teorico e uomo d’azione. Pericoloso agli occhi del fascismo anche per la sua generosità nel mettere a disposizione le sue ingenti ricchezze personali per organizzare l’opposizione al regime, Carlo Rosselli è celebre per essere stato il fondatore del movimento politico “Giustizia e Libertà”, come anche per il suo testo Socialismo liberale, scritto nel confino di Lipari e pubblicato in Francia nel 1930. Il testo si colloca all’interno di una corrente di pensiero originale e assai attiva nella cultura italiana, caratterizzata da contributi di pensatori e attivisti quali Salvemini, Gobetti, Calamandrei, Lussu e altri. Questo filone di pensiero, e il testo di Rosselli in particolare, propone una sintesi tra le idee di uguaglianza del socialismo e i principi della democrazia liberale. Ad avviso di Rosselli, infatti, il socialismo avrebbe dovuto rifiutare il marxismo e l’esperienza illiberale sovietica, assorbendo invece le idee e i principi del liberalismo, mentre quest’ultimo avrebbe dovuto trovare il suo sviluppo sul piano, appunto, della libertà di opinione e di organizzazione politica, abbandonando invece quei principi economici che conducono all’ineguaglianza delle condizioni materiali e allo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Per queste sue critiche al liberismo economico e al marxismo, Rosselli, oltre a entrare in polemica all’inizio degli anni venti con Einaudi, fu accusato da Togliatti di essere «collegato in modo diretto alla letteratura politica fascista».

Carlo Rosselli, oltre a caratterizzarsi come studioso e teorico, fu anche un uomo d’azione. Nel 1926, dopo l’attentato a Mussolini e il giro di vite segnato dall’arresto di Gramsci dalla fine di ogni parvenza di democrazia del regime fascista, Carlo, allora ventisettenne, divenne punto di riferimento per la fuoriuscita degli oppositori più in vista del regime. Tra gli altri, organizza assieme a Sandro Pertini e Ferruccio Parri una rocambolesca fuga in motoscafo da Savona in Corsica per Filippo Turati, anziano leader del partito socialista; al suo rientro in Italia, assieme a Parri è arrestato ed è confinato a Ustica, poi a Lipari, dove dovrebbe scontare cinque anni di isolamento. Il 27 luglio del 1929 però, assieme a Nitti e a Emilio Lussu, fugge da Lipari ed emigra in Francia. Lì, lungi dal restare inattivo, pubblica il suo manifesto teorico Socialismo liberale e organizza l’opposizione al fascismo. Dalla Francia, oltre a fondare l’organizzazione “Giustizia e Libertà”, scrive articoli di denuncia e organizza operazioni spettacolari come il lancio su Milano, da un aereo partito dal Canton Ticino, di 15.000 volantini inneggianti all’insurrezione e al ricordo dei moti del ’48.

Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel 1936, Rosselli non ha esitazioni: raccoglie fondi e armi per la resistenza e si reca in Spagna, dove comprende bene che quella che si combatte è una battaglia di rilevanza internazionale. Ferito torna in Francia, ma a Guadalajara, nel marzo del 1937, il battaglione Garibaldi che ha contribuito a formare sconfigge i fascisti italiani. Carlo non si accontenta della vittoria militare ottenuta da italiani sul fascismo. Piuttosto, nella sproporzione delle forze tra Mussolini e i suoi oppositori, aveva ben chiara l’importanza di assestare colpi all’immagine del regime fascista: contribuì dunque affinché le interviste dei soldati italiani sconfitti e catturati facessero il giro del mondo. Quelli che Mussolini spacciava per valorosi volontari, si mostrarono per quello che erano: contadini poveri, ignoranti di tutto, demotivati, finiti in Spagna per quattro soldi o addirittura con l’inganno. Fu forse quest’attacco all’immagine del regime che spinse Mussolini a commissionare l’omicidio.

Nel 1937, ancora in Francia per problemi di saluti, Carlo Rosselli trova la morte. L’organizzazione terroristica “La Cagoule”, in combutta con il servizio segreto italiano, dietro la promessa di ricevere una partita di armi dall’Italia organizzò materialmente l’agguato, ma i retroscena dell’omicidio sono ancora in parte avvolti nel mistero. Sembra certo, infatti, che tra i membri di quell’organizzazione facesse parte anche il giovane François Mitterrand, all’epoca ventunenne, il quale solo nel 1943 si unì alla resistenza gollista. Leader socialista e per quattordici anni presidente della Repubblica francese, Mitterrand non rimosse mai il veto posto da De Gaulle sugli archivi e sui documenti relativi a quell’organizzazione. La Cagoule peraltro non fu soltanto un’organizzazione terroristica di estrema destra; impegnata tra l’altro – negli anni tra il 1936 e il 1939 – nel tentativo di rovesciare il governo del Fronte Popolare francese, aveva appoggi importanti sia a livello internazionale, sia all’interno dalle élite militari, istituzionali ed economiche del paese: dirigenti della Citroën, della Renault e di alcune società petrolifere, come anche il presidente del gruppo L’Oréal, furono infatti tra i suoi finanziatori.
Secondo lo storico Franzinelli, che si è occupato a fondo della vicenda, al di là delle condanne di alcuni dei killer avvenute nei primi anni del dopoguerra, ancora oggi non esiste una verità giudiziaria per il delitto Rosselli. La ricerca sui mandanti è dunque fallita. Non sappiamo quali segreti possa ancora nascondere la storia di quell’omicidio, né del tutto quale sia l’eredità di quei cupi anni europei.

La dose giornaliera di rabbia e quegli sputi su una madre

“Ma come si fa”

“Non merita di avere figli”

“Basta buonismo…un bimbo di 16 mesi che aveva tutto il diritto di vivere la propria vita non c’è più…Questa povera creatura chissà quanto avrà pianto prima di spegnersi piano piano…chissà quanto ha sofferto…non esiste dimenticarsi il proprio figlio in macchina…in questi casi dico solo una cosa: ERGASTOLO!!!”

“Chi si dovrebbe vergognare e l’assassina in prima persona. Non meritava di essere madre”

“Era talmente persa tra le sue cose che la bimba era l’ultimo suo pensiero”

“Nessuno vi prega di mettere figli al mondo se poi non riuscite ad occuparvene”

“La (scritto così, senza “h” nda) voluto lei secondo me se aveva un appuntamento dal parrucchiere non se lo dimenticava”

E qualcuno commenta: “brava, l’ho pensato anch’io, magari parlava al telefono”

“Sì magari la signora non si distraeva se non era a bere un caffè con il collega”

Sono solo alcuni dei commenti che sono piovuti dal “tribunale dell’uomo qualunque su facebook” su Ilaria Naldini, la madre che ad Arezzo ha perso la figlia piccola soffocata nella sua auto lasciata sotto al sole. Il tribunale del popolo ha vomitato i suoi insulti: gente che prima di andare a dormire, dopo una giornata di lavoro ha pensato bene di utilizzare un lutto e un dolore come anti stress alla propria giornata. Hanno messo a letto i loro di figli, dato il bacio della buonanotte alla moglie e poi hanno pensato di passare per un secondo sul cadavere di una bambina e sulla ferita di una madre per sputare un po’ di veleno prima di spegnere tutto e mettersi a dormire.

Una dose giornaliera di rabbia e sangue nel moderno Colosseo dei social dove nessuno ti chiede il conto del giudizio di pancia (o anche un po’ più giù) sparato a palle incatenate. A posto così: anche oggi la dose quotidiana di rabbia è stata ingerita. E migliaia di persone continuano a credere che sia un buon sciroppo contro le proprie piccole o grandi disperazioni quotidiane.

Prima era Riina, oggi è “la madre sbadata” e domani ci sarà sempre qualcuno contro cui scagliarsi.

Buon venerdì.