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Corruzione e repressione nel Brasile dell’austerità

Demonstrators clash with military police during a protest against the approval of the measure to cap government spending over the next 20 years, in Brasilia, Brazil, Tuesday, Dec. 13, 2016. Congress in Brazil approved the spending cap measure that was opposed by many sectors but justified as way to revive a struggling economy. (AP Photo/Eraldo Peres)

Che ne è della potenza emergente che dava l’iniziale ai Brics? Della crescita costante e dei progressi sociali del Brasile degli ultimi vent’anni? Alle controverse vicende politiche si aggiunge ora una crisi profonda dell’economia, tale da spingere alcuni governatori degli Stati federali a dichiarare la “calamità finanziaria”, il dissesto delle casse pubbliche. Il governo di Rio ha provato a deliberare tagli ulteriori alle politiche sociali già smantellate: un piano di austerità che riduceva i fondi per le politiche di base, gli stipendi dei dipendenti pubblici e le pensioni del 30%. Il provvedimento è stato congelato solo grazie alla reazione della gente che ha assediato la sede dell’assemblea legislativa, l’Alerj.

Il 6 dicembre sindacati della scuola, studenti, vigili del fuoco, lavoratori del servizio pubblico e cittadini comuni hanno invaso le strade. La reazione non si è fatta attendere: incaricati di difendere l’assemblea, gli agenti di polizia hanno invaso la vicina chiesa di San Giuseppe, da dove hanno cominciato a sparare gas lacrimogeni e proiettili di gomma sulla folla. «Gli spari non si sono fermati neanche quando sono arrivati gli operatori delle tv, dopo che tanti abitanti del quartiere e noi che eravamo in piazza avevamo filmato la scena condividendola in Rete. Quelle immagini hanno fatto il giro del Brasile», racconta un gruppo di studenti che dentro la Marè, una delle zone più povere e violente della città, ha messo in piedi un collettivo con l’obiettivo di favorire processi partecipati e migliorare le loro condizioni di vita.

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Demonstrators clash with military police during a protest against the approval of the measure to cap government spending over the next 20 years, in Brasilia, Brazil, Tuesday, Dec. 13, 2016. Congress in Brazil approved the spending cap measure that was opposed by many sectors but justified as way to revive a struggling economy. (AP Photo/Eraldo Peres)
Scontri tra manifestanti e polizia militare a Brasilia, il 13 dicembre 2016. AP Photo/Eraldo Peres

Protesters kneel on the opposite side of the street from police during clashes outside the state legislature where lawmakers are discussing austerity measures in Rio de Janeiro, Brazil, Tuesday, Dec. 6, 2016. Legislators were voting on measures to address the state's deepening financial crisis, in which thousands of state employees and retirees have not been paid or have been paid months late. (AP Photo/Leo Correa)
Manifestanti in ginocchio il 6 dicembre per protesta contro le misure di austerità. AP Photo/Leo Correa

Demonstrators seek cover from teargas in clashes with police outside the state legislature during a protest against austerity measures being discussed in the chamber, in Rio de Janeiro, Brazil, Tuesday, Dec. 6, 2016. Legislators were voting on measures to address the state’s deepening financial crisis, in which thousands of state employees and retirees have not been paid or have been paid months late. (AP Photo/Silvia Izquierdo)
Scontri tra polizia e manifestanti il 6 dicembre. AP Photo/Silvia Izquierdo

La rivoluzione gentile del Web 2.0

Questo è stato l’anno dei “cattivisti” (non a caso fra i nuovi lemmi dello Zanichelli 2017), soprattutto dei cattivisti su internet. Ma c’è stato un tempo – eravamo nel lontano 2004 quandoTim O’Reilly coniava il termine “web 2.0” – in cui l’evoluzione della rete sembrava promettere: più collaborazione, più uguaglianza, potere alle intelligenze collettive e lunga vita all’open source. Un mondo migliore, etico. Un mondo di cui qualcuno ancora non si è dimenticato e sul quale cerca di investire. A maggio del 2008 per esempio in Italia è stato lanciato CriticalCity Upload, un social game che attraverso una piattaforma online recluta persone per compiere missioni etiche nella propria città. Si va dal “fai sorridere un passante” al “pianta dei fiori nell’aiuola della tua città” o “realizza un orto di quartiere”. Piccole follie quotidiane che hanno lo scopo di migliorare la vita urbana e permettere alle persone di fare rete con altri giocatori.
Il risultato? 1.092 ore di “rivoluzione urbana”, 21.064 missioni svolte, 13.901 giocatori. «CriticalCity Upload è riuscito ad aggregare attorno al tema della trasformazione creativa urbana e dell’attivismo civico una community determinata, giovane e intraprendente, libera e auto-organizzata» spiegano gli ideatori. «Non sappiamo come evolverà, abbiamo risvegliato la meraviglia dentro di noi e ne abbiamo sperimentato la forza. Non ci fermeremo certo qui».
Web 2.0 è anche sinonimo di incontro.
È il caso per esempio di www.alvearechedicesi.it in cui produttori e consumatori si incontrano e danno vita a una comunità per vendere e acquistare prodotti a km zero. Stesso concetto per www.kalulu.it, gruppo d’acquisto 2.0 che funziona come un social network. «Spero che Kalulu – spiega il fondatore Emanuel Sabene – possa permettere a tutti i cittadini del pianeta di mangiare cibo buono e sano senza distruggere l’ambiente». Schierati sul fronte della moda etica troviamo invece Cecilia Frajoli Gualdi e Fabio Pulsinelli, ideatori di Dress The Change, un progetto finanziabile su produzionidalbasso.com. L’obiettivo della piattaforma sarà aiutare il consumatore nella scelta e nell’acquisto di abbigliamento etico, perché spesso i nostri vestiti raccontano di abusi, sfruttamento, violenza, delitti e inquinamento. Secondo Zanichelli c’è un’altra parola che, a buon diritto, è tra le più rappresentative dell’anno: cambiamento. Ecco, se cambiamento deve essere, allora facciamo sì che sia nel verso giusto. Sui social, ma non solo.

L’approfondimento su Left in edicola dal 23 dicembre

 

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«Il 2016 ha spaccato il mondo in due. Che il 2017, lo riunisca». Il messaggio di Natale del vedovo di Jo Cox

LONDON, UNITED KINGDOM - JUNE 17: Tributes are seen at Parliament Square after the murder of Jo Cox, 41, Labour MP, who was shot and stabbed yesterday by an attacker, in London, United Kingdom on June 17, 2016. Labour Party MP Jo Cox died of her injuries after being hospitalized following the attack in the town of Birstall, near Leeds in northern England. Kate Green / Anadolu Agency

Dal 1993 a oggi, ogni 25 dicembre, il canale televisivo britannico, Channel 4, trasmette “un messaggio di Natale alternativo” (Alternative Christmas message) rispetto a quello ufficiale pronunciato dalla Regina.

Nel 2016 della Brexit e di Trump, la scelta è caduta su Brendan Cox, vedovo della defunta parlamentare laburista, Helen Joanne – per tutti semplicemente “Jo” – Cox.

Jo è stata uccisa il 16 giugno scorso – una settima prima del voto sul referendum britannico per l’uscita dall’Ue – a colpi di pugnale e pistola, al grido: “Prima il Regno Unito” (Britain First), da Thomas Mair, un estremista di destra di 53 anni. Il 23 novembre scorso, Mair è stato condannato all’ergastolo.

Segue la traduzione del discorso di Brendan Cox che verrà trasmesso il 25 dicembre. Il testo originale è consultabile sul sito di Channel 4.

Jo amava il Natale, i giochi, la tradizione, il riunirsi con gli amici e la famiglia, ma soprattutto amava l’entusiasmo dei nostri figli.

Questo anno cercheremo di ricordarci quanto siamo stati fortunati ad aver avuto Jo al nostro fianco per così tanto tempo – non quanto siamo stati sfortunati ad averla persa.

Il 2016 è stato un anno terribile per la nostra famiglia; ed è stato un anno che ha spaccato il mondo in due.

Un anno in cui – dall’Europa agli Stati Uniti, passando per il Medioriente ed oltre – fascismo, xenofobia, estremismo e terrorismo ci hanno divisi e fatti sentire minacciati.

E sono tendenze che potrebbero rafforzarsi – potrebbero crescere e consolidarsi, colpire le libertà fondamentali e la democrazia: i valori per cui si sono battuti i nostri nonni.

Ma non è detto che vada così.

La tolleranza e, più in generale, le società tolleranti sono forti quanto le persone che le difendono: non c’è nulla di inevitabile, tanto meno il ritorno dell’odio.

Invece di essere un punto di svolta verso il peggio, il 2016 potrebbe rappresentare una chiamata d’allerta.

Un richiamo per coloro che hanno pensato, erroneamente, che i valori che sono alla base delle nostre società – tolleranza ed equità – fossero in qualche modo garantiti e non avessero bisogno di essere difesi.

Una chiamata d’allerta che non riguarda “qualcun altro”.

Una richiama d’allerta che ci dice: dobbiamo fare la nostra parte.

In un discorso tenuto poche settimane prima che fosse uccisa, mia moglie ha citato Edmund Burke: «Tutto ciò che serve affinché il male trionfi, è l’inazione delle donne e degli uomini di buone intenzioni».

Durante questo Natale, sono parole più che mai veritiere.

La nostra famiglia ricorderà Jo in ogni momento durante i prossimi giorni: la sua energia, il suo entusiasmo, il suo amore e la sua esemplarità.

Dopo tutto ciò che è successo quest’anno, Jo si augurerebbe che il 2017 diventasse l’anno della riconciliazione: l’anno in cui usciamo là fuori per incontrare con chi non è d’accordo con noi.

Non è il momento per urlare più forte degli altri, ma il momento per entrare in contatto.

Se il 2016 è stato, per tutti noi, l’anno della chiamata d’allerta, spero che il 2017 possa diventare il momento in cui realizziamo che abbiamo molto più in comune, di quanto non ci separi.

Vi ringrazio per l’ascolto e buon Natale.

Brendan Cox

 

 

L’anno del voto in Germania: cosa ci ha detto la leader della Linke

epa05683859 The Brandenburg Gate is illuminated in the colours of Berlin to commemorate the victims of the previous day's attack in Berlin, Germany, 20 December 2016. At least 12 people were killed and dozens injured when a truck on 19 December drove into the Christmas market at Breitscheidplatz in Berlin, in what authorities believe was a deliberate attack. EPA/JOERG CARSTENSEN

La politica della porta aperta ai rifugiati destinata a diventare centrale nella campagna elettorale dopo l’attentato di Berlino, l’economia e la destra xenofoba che avanza per la prima volta nella storia della Germania democratica. Il primo piano di Left questa settimana è dedicato al gigante economico europeo: una lunga intervista alla leader della Linke Katija Kipping, la sinistra tedesca: «La destra populista che cresce non si sconfigge prendendosela con gli elettori che la votano». Kipping ci parla delle diseguaglianze crescenti per alcuni settori della popolazione e delle prospettive di collaborazione con gli altri partiti di sinistra come in due Lander e al comune di Berlino: «Pronti a collaborare con Verdi e Spd, ma nulla è automatico: tasse e politica estera i nodi». Tra i temi, tornato di attualità dopo la strage al mercato di Natale, anche quello dei rifugiati e del dovere dell’accoglienza.


Quanto pesa Die Linke

È il partito della sinistra tedesca nato nel 2007 dalla fusione della Pds, forte in Germania est e guidata da politici provenienti da quella storia e la WASG fondata dall’ex leader Spd, Oskar Lafontaine. Il partito ha preso l’8,6% alle elezioni del 2013 e conta 64 deputati al Bundestag. Gli eletti al Parlamento europeo sono 7. Oltre che a Berlino, il partito è al governo in coalizione con Spd e/o Verdi in Brandeburgo e Turingia.


 

Lo speciale tedesco continua con un’analisii di Federica Matteoni che racconta l’annus horribilis della Cancelliera Merkel, stretta tra la destra che cresce e l’ala dura del suo partito furiosa per quelle che considera apertura a sinistra. Dalle porte aperte ai rifugiati passando per le quote rosa nelle grandi imprese e il congedo di paternità.

Alex Damiano Ricci, infine, ci racconta dei dilemmi della socialdemocrazia tedesca, che non sa ancora chi sarà il suo candidato al premierato e se fare una campagna elettorale per difendere la Grande Coalizione o guardando a sinistra.

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Attentati a Berlino, Amri ucciso a Sesto San Giovanni. Cosa sappiamo

epa05684720 An undated handout composite photo made available by German Federal Criminal Police Office (BKA) on 21 December 2016 shows suspect Anis Amri who is searched for in connection to the 19 December Berlin attacks. A manhunt for the truck driver is underway after an initial suspect had to be released after he was cleared of the suspicion. At least 12 people were killed and dozens injured when a truck on 19 December drove into the Christmas market at Breitscheidplatz in Berlin, in what authorities believe was a deliberate attack. EPA/BKA / HANDOUT BEST QUALITY AVAILABLE, MANDATORY CREDIT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Anis Amri, il sospetto di aver lanciato il Tir contro la folla del mercato di Natale a Breitscheidplatz di Berlino  è stato ucciso in una sparatoria dalla polizia di Milano. Anis Amri è stato ucciso a un posto di blocco di routine alle 3 del mattino di stanotte in Piazza I Maggio a Sesto San Giovanni. I poliziotti lo hanno fermato mentre, riferisce il ministro Minniti, «si aggirava con fare sospetto».

Amri ha tirato fuori una pistola, la stessa con la quale ha ucciso l’autista polacco del Tir, e cominciato a sparare contro gli agenti. Uno dei poliziotti, in servizio da soli nove mesi, ha poi ucciso il sospetto. L’altro ufficiale è stato colpito alla spalla non in maniera grave ed è in ospedale a Monza. Le impronte digitali confermano che si tratta del terrorista. Amri aveva trascorso diversi anni in Italia, quattro in un carcere, dove, si comincia a sospettare, si sarebbe radicalizzato. A questo punto le indagini devono rispondere alla domanda sul ritorno in Italia di Amri: aveva relazioni? Tornava a casa? Amri sarebbe arrivato in Italia in treno e passato per la Francia e poi per Torino.

Ore dopo la sparatoria, l’agenzia di stampa dello Stato Islamico, Amaq, ha pubblicato un video in cui si mostra Amri che giura fedeltà ad Abu Bakr al-Baghdadi, il leader dell’autoproclamato Stato Islamico.

Le immagini lo mostrano in giacca a vento nera con cappuccio su un ponte di ferro mentre esorta i musulmani in Europa a sollevarsi e colpire «i crociati». «Se Dio vuole, li massacreremo come maiali. Le persone che possono combattere dovrebbero combattere, anche in Europa», dice l’attentatore di Berlino.

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Due uomini sono stati intanto arrestati in Germania con l’accusa di pianificazione di un attacco contro un centro commerciale a Oberhausen, vicino al confine olandese. I fratelli, di età compresa tra 31 e 28 e nati in Kosovo, sono stati arrestati stamane a Duisburg.

La polizia ha detto che  l’attacco a Oberhausen era stato destinato a colpire il centro commerciale locale.
Non è ancora noto quanto avanzati fossero i preparativi per l’attacco o se ci fossero altre persone coinvolte.
Non vi è alcuna indicazione finora che gli arresti siano legati all’attacco di Berlino.

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Il ministero degli Interni tedesco è intanto sotto forte pressione per essersi fatto scappare due volte Amri: prima era stato in una moschea sospettata di essere una base di reclutamento dell’Isis (come da fotogramma in telecamere a circuito chiuso qui sopra), stesso luogo dove si è recato dopo l’attentato. Le autorità tedesche parlano di 330 persone sospettate di avere legami con reti terroristiche o di avere “simpatie”.

Il governo vuole salvare Monte dei Paschi. Cosa succede e quanti soldi servono

È Natale anche per Monte dei Paschi e questa è la storia, meglio, questa è la banca più vecchia del mondo. Ecco in breve cosa è successo.
Servivano 5 miliardi di euro per salvare l’istituto finanziario, ma la soluzione di mercato è fallita, i soldi non sono stati raccolti, gli investitori non si sono fatti avanti. E se nessun privato vuole assumersi il rischio a farsi avanti è lo Stato con un “ombrello-protettivo” e un decreto “salva banche”. Per il nuovo primo ministro Paolo Gentiloni e per Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia, si prospettano festività cariche di emozioni: la Bce ha fissato come data di scadenza per il salvataggio il 31 dicembre.
L’aiuto dello Stato non potrà però durare a lungo (si pensa a un anno, massimo un anno e mezzo), la direttiva europea Brrd sulla risoluzione delle crisi bancarie infatti parla chiaro: il carattere degli interventi pubblici nel salvataggio degli istituti finanziari in crisi “hanno carattere cautelativo e temporaneo”.

Come funzionerà il decreto “Salva-Banche” e cosa succede adesso?

Già 20 miliardi di euro sono stati approvati dal Parlamento per supportare il sistema bancario in crisi (Mps inclusa quindi, ma non solo). Nel caso specifico di Monte dei Paschi si procederà attraverso una ricapitalizzazione preventiva: in poche parole il Tesoro, che già possiede il 4% della banca toscana, dovrebbe acquisire una quota che presumibilmente si avvicinerà molto alla maggioranza assoluta. Realizzata la ricapitalizzazione precauzionale scatterà il meccanismo del burden sharing cioè della condivisione dei rischi e delle perdite con gli azionisti (quindi praticamente con lo Stato) e gli obbligazionisti subordinati, chi ha investito in obbligazioni subordinate sarà infatti costretto a trasformarle in azioni vere e proprie della banca. Il meccanismo del burden sharing ha il vantaggio di limitare le perdite, cosa che non sarebbe accaduta con il bail in, la ricapitalizzazione interna, con perdita del capitale per azionisti, obbligazionisti e correntisti al di sopra dei 100 mila euro. Qui un’infografica per capire meglio quali erano gli scenari che si prospettavano. Ovviamente sulle modalità della condivisione dei rischi tra Mps e lo Stato, inizierà una trattativa fra il Governo e Bruxelles.

Cosa succede per i piccoli risparmiatori

Oltre agli investitori istituzionali la faccenda Monte dei Paschi coinvolge circa 40mila risparmiatori. Padoan ha negoziato con la commissaria europea per la concorrenza Margrethe Vestager alcune compensazioni (probabilmente un rimborso in azioni) per garantire ai piccoli investitori un impatto “minimo o inesistente”. Un’operazione quella di Padoan che dovrebbe anche placare le polemiche del Movimento 5 Stelle, agguerritissimo, come è ovvio, sulla questione.

Quanto costa risanare il sistema delle banche italiano

Secondo Bloomberg, quello che sta accadendo con Monte dei Paschi è imbarazzante. «Si supponeva che dovessero sistemare il problema la scorsa volta, ogni volta invece si ritorna allo stesso punto. Francamente è imbarazzante. Spero sia l’ultima volta che sentiamo parlare di un salvataggio di Mps» commenta Lionell Laurent. Secondo i giornalisti di Bloomberg è evidente che, se il problema continua a ripresentarsi nonostante i vari salvataggi, evidentemente il mercato non vede una soluzione. Soprattutto, si chiedono: quanti soldi sono necessari per far sì che le banche italiane siano risanate e possano sostenersi da sole?
Secondo le stime di Bloomberg almeno di 52 miliardi di euro, più del doppio di quelli previsti dal decreto salva banche.

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Il “sottobosco” vuole che Raggi resti dov’è. Parla Ignazio Marino

IGNAZIO MARINO 2016

Sul web la sua foto con sotto la scritta “dite la verità, vi manco?” in questi giorni spopola. E in effetti il sindaco Marziano sembra sempre meno marziano e la nostalgia, in molti romani, si fa sentire. Alla guida della Capitale per 28 mesi, poi deposto violentemente dall’attuale dirigenza del Pd, a Ignazio Marino abbiamo chiesto cosa pensa stia accadendo a Roma dopo i primi sei tormentati mesi di giunta Raggi.

Possiamo dire che lei la Capitale e la sua macchina amministrativa la conosce davvero bene. Cosa pensa stia accadendo a Roma?

Roma è ritornata a soffrire di quelle patologie che l’affliggevano fino a quando io fui eletto sindaco. E cioè quelle di una città dove la classe dirigente rappresentata dai consiglieri comunali che siedono in Campidoglio è di fatto assai meno preparata e attenta alle dinamiche della città di quella classe dirigente, in parte visibile e in parte oscura, che ambisce da decenni a gestire tutte le aree strategiche, quelle economicamente e finanziariamente più rilevanti della Capitale d’Italia. In altre parole, fino al mio ingresso, c’era un affermato consociativismo dei partiti che si sorreggevano su una partitocrazia di destra, di centro e di sinistra che rispondeva agli interessi economici di coloro che si sentono i veri padroni della Capitale.Ora è nuovamente così.
[…]
Il governo di Virginia Raggi invece ha introdotto nuovamente la continuità con il passato, e infatti nessuno ne chiede le dimissioni. La sindaca Raggi esegue ciò che la partitocrazia ha sempre voluto a Roma ma lo fa lei, senza che i partiti debbano più sporcarsi le mani. Quando l’ex assessore all’Ambiente della Giunta Raggi, appena nominata, afferma che “forse” bisogna riaprire Malagrotta e comunque bisogna riattivare il tritovagliatore di pro-
prietà privata che io fermai e che fruttava 175mila euro al giorno ai privati, indica con chiarezza una direzione che, appunto, era quella dello slogan utilizzato dal Pd durante le elezioni del 2016, “Roma torna Roma”.

Chi comanda a Roma? Cambiano i sindaci ma le dinamiche di potere no?

Diciamo che il motivo principale del mio allontanamento è stato proprio il fatto che ho interrotto quelle dinamiche. Se l’assessore all’Ambiente della Raggi parla lo stesso linguaggio di Manlio Cerroni (proprietario della discarica di Malagrotta, ndr) e se il governo Raggi tentenna nella costruzione dello stadio che tutti sappiamo essere fortemente criticato sin dalla sua presentazione iniziale dal quotidiano Il Messaggero di proprietà di Francesco Gaetano Caltagirone, io ne traggo delle conseguenze logiche perché non credo che il Movimento 5 Stelle agisca su base illogica. Immagino che prendano delle decisioni sulla base di ragionamenti che tengono in conto i grandi poteri che hanno governato la Capitale negli ultimi decenni.

L’intervista continua su Left in edicola dal 23 dicembre

 

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(Sì, ma Formigoni è presidente di commissione in Senato, eh)

Roberto Formigoni (Area Popolare), del Comitato del No, insieme a una delegazione dei parlamentari promotori del referendum parzialmente abrogativo della legge sulle unioni civili, arriva in Cassazione per depositare il quesito referendario. Roma, 26 maggio 2016. Obiettivo del Comitato del No è raggiungere le 500mila firme necessarie per indire il referendum. ANSA/ FABIO CAMPANA

Va bene tutto. Anzi, ora tutti prendono la posa di chi sapeva già tutto da tempo. Formigoni condannato e secondo loro dovrebbe bastarci così, come funziona per quelle condanne che in molti vorrebbero conclusive anche per i ragionamenti etici e politici. La condanna a Formigoni di ieri invece lascia sul tavolo domande a cui ovviamente non risponderà nessuno:

  • dove sono quelli che per vent’anni ci dicevano che il “modello Formigoni” fosse un modello vincente? Dove sono quelli che cercavano di convincerci che una visione privatistica della sanità non sia portatrice di interessi particolari (oltre che di atti corruttivi)?
  • che ne dice Maroni che da Presidente della Regione Lombardia non ha dato segnali di discontinuità?
  • che ne dice quel centrosinistra lombardo (anzi quel centro centro centro sinistra lombardo) che per anni ha sperato di mantenere quell’impianto semplicemente sostituendo le cooperative (e i loro coaguli) azzurre con quelle rosse?
  • che ne dicono tutti i sopraffini osservatori e analisti politici di un Formigoni politico da sempre (e quindi con redditi facilmente verificabili) e  con uno stile di vita evidentemente al di sopra delle sue possibilità? Che ci dicono di questi quasi 7 milioni di euro sequestrati?
  • ma soprattutto: che ne dice il PD (e Renzi in quanto segretario ed ex Presidente del Consiglio) di Formigoni come alleato di governo e riabilitato dopo la sua rovinosa caduta in Lombardia? Ma ancora di più: chi lo ha eletto presidente di commissione in Senato (per essere precisi la Commissione 9ª – Agricoltura e produzione agroalimentare)?

A proposito di meritocrazia. Appunto.

Buon venerdì.

Grecia, migliaia di migranti bloccati al freddo. Accusa all’Unhcr

Un'immagine dei migranti e rifugiati intrappolati in Grecia e costretti a vivere in condizioni degradanti a causa dell'accordo Ue-Turchia, che rischiano la vita con l'arrivo dell'inverno e del freddo, 14 dicembre 2016. ANSA / oxfam +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Sono migliaia le persone bloccate nei campi profughi delle isole greche al freddo. La colpa, dell’Unhcr e del Dipartimento europeo per gli aiuti umanitari (Echo). Ad accusare i due organismi internazionali di cattiva gestione, molte associazioni di aiuti umanitari attive in Grecia. L’Agenzia per i rifugiati delle Nazioni unite e la Protezione civile europea, avrebbero gestito malamente i fondi (25milioni di euro) loro assegnati con lo scopo di rendere accettabili le condizioni dei rifugiati più vulnerabili d’Europa che invece giacciono abbandonati nel gelo invernale.

Un’inchiesta del Guardian in alcuni campi e nei registri contabili delle agenzie umanitarie e del governo greco, segnala come l’assenza di una catena di comando nella gestione di fondi ed aiuti sia all’origine delle pessime condizioni nelle quali i rifugiati e i migranti si trovano a dover vivere.

Il quotidiano britannico ne ha anche per il governo greco, responsabile della gestione dei campi. Proprio Atene ha ricevuto di recente un finanziamento di 90mila euro dall’Unione europea finalizzato a migliorare le decine di strutture di accoglienza prima delle prime nevi cadute a inizio dicembre.

Purtroppo, nessuna delle istituzioni in questione ha però il controllo globale della situazione. A ciascuno attiene una parte di gestione e finanziamento limitata. E questo consente alle parti coinvolte, di prendere le distanze dall’accaduto e di rimpallarsi le responsabilità.

Prima dell’arrivo dell’inverno, i migranti avrebbero dovuto godere di strutture adeguate, o, in caso contrario essere evacuati. Oltre a fornire lenzuola e vestiti più caldi, l’Unhcr avrebbe dovuto utilizzare il denaro per spostare le persone dalle tende riscaldate ai container riscaldati o, dove possibile, in veri e propri alloggi temporanei. E ancora: fornire un rifornimento costante di acqua calda; installare pavimenti isolati per chiunque fosse ancora in tenda e riscaldare i capannoni. Dopo mesi, i fondi sono andati dispersi. Uno sperpero inaccettabile alla luce della delicatezza della situazione.

Dei 45 campi ancora attivi, sono almeno 15, a quanto ha potuto constatare il Guardian, quelli che devono essere ancora adattati. Solo 8 invece quelli che, per stessa ammissione dell’Agenzia, hanno effettuato il trasferimento dei profughi da tende a prefabbricati. Mentre 20mila sarebbero secondo le stime, le persone – inclusi migliaia di bambini – esposte al gelo.

«Un vero e proprio fallimento», come ha dichiarato Medici senza frontiere. «Completamente disconnessi dalla realtà», ha dichiarato il responsabile di Msf in Grecia, Loic Jaeger. «Cos’è stato fatto con quei soldi? Che fine hanno fatto? Chi sta controllando?», prosegue. E dove sono i report che descrivono quanto è stato fatto e cosa c’è ancora da fare? Dov’è la trasparenza?».

Nonostante questo, a novembre l’Unhcr promuoveva con un video i successi della campagna invernale, mentre l’Unione europea dichiarava che la Grecia fosse un posto sufficientemente accogliente e sicuro per accogliere i profughi europei.

Tanto che proprio un paio di settimane fa, Bruxelles annunciava la riapertura del trattato di Dublino. A partire da marzo 2017, gli Stati membri potranno nuovamente respingere in Grecia i richiedenti asilo arrivati in Europa da questo Paese.

Nel frattempo, proprio Amnesty International aveva richiesto ai capi di Stato dei Paesi europei, di impegnarsi concretamente in questo senso, denunciando le pericolose condizioni di accoglienza sulle isole: «a tal punto che recentemente una donna e un bambino sono morti per l’esplosione di una bombola a gas. Migranti e rifugiati, inclusi bambini e famiglie vulnerabili, dormono in tende esposte al freddo e alla pioggia, senza servizi igienico-sanitari adeguati a disposizione e nella costante paura di attacchi razzisti o di altre forme di violenza, compresa quella di genere». Tra le “sei azioni pratiche”, proprio il trasferimento dei richiedenti asilo dalle isole greche verso la terraferma.