«Vorrei ricordare che quando l’Europa è stata ufficialmente concepita, cioè nel marzo 1957, i federalisti che sostenevano il manifesto di Ventotene, durante la cerimonia che si fece al teatro Adriano a Roma, andarono in galleria e gettarono giù dei volantini per denunciare che la creatura che nasceva era un mostriciattolo». Luciana Castellina, più volte eurodeputata e con incarichi di rilievo nelle istituzioni europee, parte dal passato per arrivare all’oggi. Quella che nacque 59 anni fa era «un pezzetto della guerra fredda», un blocco dell’Europa occidentale contro l’altro blocco. Castellina non si meraviglia, dunque, che «quei segni negativi si siano poi mantenuti e oggi l’Europa sia più brutta che mai».
Se qualche speranza di migliorarla c’era stata, con Jacques Delors alla Commissione negli anni 80, l’arrivo di trattati come Maastricht, segna la deriva. «È la svolta liberista imposta, la visione catastrofica dell’Europa, perché quando si scrive che l’obiettivo è la competizione si sacrifica ogni altra cosa», ricorda Castellina. Così come l’allargamento immediato a Est «senza trovare strumenti di cooperazione» ha portato alla «diluizione dell’Europa politica».
Decenni di errori, è vero, ma, avverte Luciana: «Bisogna restare sul ring e combattere. È un’illusione pensare che fuori di qui recuperiamo diritti, sovranità e democrazia. Fuori dell’Europa siamo morti». Gli Stati nazionali da soli non ce la farebbero e “affogherebbero”. Occorre quindi, dice Castellina, «un’area politica che eserciti un qualche controllo democratico, controllo che ormai, a livello della globalizzazione, sembra essere completamente perduto». L’Europa, insomma, è «il più straordinario contenitore di lotte e diritti conquistati» e come tale «è un patrimonio su cui lavorare».
Ma come? Il 23 marzo Luciana Castellina era alla presentazione a Roma di DiEM25, il movimento paneuropeo di Yanis Varoufakis, l’ex ministro delle Finanze greco. Quella può essere una strada? «Va benissimo il tentativo di costruire un movimento paneuropeo, però Varoufakis deve sapere che la difficoltà sta proprio nel disegno, fatto proprio dall’esecutivo europeo, di frantumare l’Europa in individui e cittadini, togliendo di mezzo ogni soggetto collettivo, costruendo un’Europa senza popolo. È qui il punto: il popolo europeo non esiste in natura. Perciò si tratta di dar vita ai corpi intermedi che rendono tale una democrazia: partiti, sindacati, media, radio, televisioni giornali. Tutti soggetti che siano europei e non nazionali, questa è la difficoltà dell’opera», sottolinea Castellina.
Greenpeace lancia un video con la partecipazione di dodici noti artisti italiani, schierati in favore del Sì al referendum contro le trivelle del prossimo 17 aprile. L’associazione ambientalista ha coinvolto alcuni tra gli attori, i cantanti e gli showman più popolari del nostro Paese per invitare gli italiani a partecipare alla consultazione referendaria in difesa del mare.
Ficarra e Picone, Nino Frassica, Claudia Gerini, Elio Germano, Valeria Golino, Flavio Insinna, Noemi, Piero Pelù, Isabella Ragonese, Claudio Santamaria e Pietro Sermonti: il 17 aprile tutti hanno un “appuntamento speciale”. Con il mare, le onde, i pesci, i gabbiani, le conchiglie. E con un patrimonio naturale da proteggere, così fragile e prezioso da non meritare l’oltraggio delle trivelle. Perché “il mare non è un giacimento”.
Ficarra e Picone spiegano lo spirito con cui questi artisti hanno voluto collaborare alla campagna di Greenpeace: «Noi votiamo Sì perché bisogna cominciare a investire sulle energie rinnovabili. Noi votiamo Sì perché i nostri figli voterebbero Sì».
«Il contributo di questi generosi artisti è decisivo per bucare la cappa di silenzio che si è voluta far cadere sul referendum», dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace. «Partecipare al voto è un atto importante, di responsabilità democratica, oltre che un diritto».
La fiera del libro per bambini e ragazzi, dal 4 al 7 aprile, presenta le nuove proposte dell’editoria per ragazzi, uno dei pochi settori in crescita in Italia. Accanto alle novità di case editrici piccole e grandi, da ogni parte del mondo,negli spazi di Bologna Fiere c’è quest’anno una grande retrospettiva che ripercorre i 50 anni di storia della Mostra internazionale dell’illustrazione. Abbiamo incontrato la curatrice Paola Vassalli. «Con questo evento abbiamo ripercorso una grande storia storia dal 1967 ad oggi, attraverso le immagini, i libri e le parole degli artisti. E proposto cinquanta artisti da tutto il mondo che hanno fatto la storia della mostra bolognese e che oggi sono nella storia dell’illustrazione. Ognuno di loro è presente con il primo libro o il libro capolavoro o l’albo che ne rappresenta lo stile: grandi classici che hanno influenzato le giovani generazioni, perché l’illustrazione nasce e vive nelle storie che racconta».
Nella nebbia, Munari
Uno dei grandi protagonisti di questa mostra è Bruno Munari, quale è stato il suo contributo al rinnovamento dell’arte dell’illustrazione?
Munari è un perfetto esempio di artista totale del Novecento, secolo che attraversa da protagonista, è fra i primi a concepire l’arte come produzione in serie. A Milano nel 1940 fu i fondatori del Movimento Arte Concreta (MAC) che ha contribuito allo svecchiamento dell’arte italiana restituendo pari dignità alle arti, dalla pittura all’architettura, al design. Insomma è stato un grande anticipatore…
Già nel 1945 pubblicò con Mondadori innovativi libri per bambini e a Brera progettò i primi laboratori “Giocare con l’arte”, che insieme ai suoi originali progetti editoriali offrono un’attualissima occasione di educazione al visivo. Per questa mostra abbiamo scelto Nella nebbia di Milano del 1968, capolavoro della nuova estetica modernista. Un libro-oggetto già interattivo che, grazie a sapienti soluzioni cartotecniche, invita il lettore ad entrare nello spazio della pagina e lo guida in un luogo, non solo narrato e illustrato, ma rappresentato. Siamo in uno dei preziosi libri della Emme Edizioni di Rosellina Archinto che propone, insieme alle eccellenze artistiche italiane, gli innovativi picturebook in arrivo dall’America. Ha portato in Italia fra l’altro due capolavori come Nel Paese dei Mostri Selvaggi di Maurice Sendak e Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, che ha creato il primo “libro astratto” dell’editoria per bambini:opertina cartonata, poche pagine, testo breve che dialoga con immagini forti, ritmo serrato che favorisce la sorpresa e l’emozione. Sono artisti che hanno capito l’importanza del linguaggio visivo perché sanno pensare essenzialmente per immagini. Munari, Lionni e Sendak sono stati degli antesignani negli anni 70.
Non è un caso se la Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi di Bologna sia nata proprio in quegli anni?
Precisamente nel 1964, anni d’oro della letteratura giovanile. E si è caratterizzata subito come spazio di condivisione e scambio di idee, di passioni, riflessioni che ne fanno l’identità, contribuendo a formare intere generazioni di operatori ecultori del libro per ragazzi. Del resto erano gli anni delle grandi rivoluzioni e Bologna, la dotta, sede della prima Università nata in Occidente, registrò questo fermento culturale. Tra i 50 maestri scelti per questa retrospettiva quali hanno segnato in qualche modo una svolta?
Direi tutti gli artisti presenti perché volevamo celebrare i cinquant’anni della Mostra Illustratori, occasione straordinaria per aitori di tutto il mondo di far conoscere le proprie. Dal 1971 è documentata da un Annual, strumento di riferimento per editori, illustratori e operatori. Ne abbiamo ricostruito la vicenda per decenni, in compagnia degli illustratori che proprio in questa Mostra hanno fatto il loro esordio o hanno partecipato, per poi essere premiati con riconoscimenti internazionali.
L’onda
Per esempio?
Ma se proprio vogliamo fare alcuni nomi penso a David Macaulay, il migliore al mondo nell’arte di disegnare l’architettura, con i suoi innovativi libri a cavallo fra fiction e non fiction, grandi classici della letteratura di divulgazione, per bambini ma non solo. Penso a Lele Luzzati, illustratore e scenografo; a Štĕpán Zavřel e al suo ruolo decisivo nella formazione di molti illustratori, grazie all’esperienza della casa-laboratorio di Sarmede, nel trevigiano; e ancora per l’Italia ad Altan, con la sua Pimpa, a Roberto Innocenti, con l’imperdibile Rose Blanche, fino ai nostri nuovi maestri quali Chiara Carrer, Fabian Negrin e Alessando Sanna; dall’Inghilterra a Quentin Blake, l’illustratore di Roald Dahl, e a Tony Ross, amatissimo dai più piccoli, con il suo Voglio il mio vasino della serie “Storie di una principessina”; dalla Francia, a Yan Nascimbene, il raffinato illustratore di Italo Calvino per i tipi della francese Seuil; da Praga a una signora dell’illustrazione, Kvĕta Pacovská, brillante erede delle avanguardie storiche del Novecento. Solo per citarne alcuni.
(J. Otto Seibold)
Venendo all’attualità, in che direzione sta andando la ricerca?
Tra le tendenze da registrare c’è la crescita della grafica computerizzata, oggi infatti oltre il 50 per cento delle opere sono realizzate in digitale. E poi a presenza di un genere sempre più diffuso anche perché universale come il silent book con splendidi esempi come Shaun Tan dall’Australia, con L’approdo, attualissima storia di migrazione, fino alla coreana Suzy Lee con L’onda, prezioso libro senza parole, un cult per i lettori di tutte le età. E appunto fra le ultime tendenze, sono sempre più diffusi i libri cosiddetti crossover, per lettori di tutte le età.
(Arnal Ballester, )
La pubblicazione di Corraini che accompagna la mostra è ricca di contributi critici anche stranieri, più che un catalogo è un volume che resterà nel tempo?
Si è un testo bilingue, inglese e italiano, di riferimento per quanti vogliono saperne di più sulla storia dell’illustrazione degli ultimi cinquant’anni con articoli fra l’altro di Etienne Delessert, uno dei grandi pionieri del moderno albo illustrato, del critico americano Leonard Marcus, di Kiyoko Matsuoka dell’Itabashi Art Museum, che da oltre trent’anni porta la Mostra degli Illustratori in Giappone.
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Children’s Book fair. È qui la festa
Ecco tutte le novità della 53esima edizione del Children Book Faira Bologna Fiere dal 4 all’7 aprile e poi nel week end con incontri con gli autori. Il Paese ospite 2016 è la Germania che presenta una serie di iniziative in Fiera e in città. Durante la manifestazione, mercoledì 6 aprile, sono stati annunciati i vincitori della prima edizione del Premio Strega ragazzi e ragazze in collaborazione con la Fondazione Bellonci: per l’edizione 2016 sono Susanna Tamaro con Salta, Bart! (Giunti)per la categoria +6 (rivolta alla fascia di lettori dai 6 ai 10 anni) e Fuori fuoco (Bompiani)di Chiara Carminati, per la categoria +11 (rivolta alla fascia dagli 11 ai 15 anni). Ma non solo.
La fiera del libro per ragazzi dedica un intero padiglione al futuro e all’innovazione nell’editoria digitale per ragazzi. Ma la festa per grandi e piccini si accende soprattutto nel fine settimana. Anche quest’anno l’apertura al grande pubblico con il week end dei giovani lettori, l’8, il 9 e il 10 aprile con incontri con gli autori, la libreria internazionale.
Il settore dell’editoria per ragazzi è uno dei pochi ad essere in espansione in Italia. «Oggi la vendita dei diritti di libri per bambini e ragazzi è arrivata infatti a coprire oltre un terzo dell’export complessivodell’editoria italiana(il 35,6% ). Tanto, tantissimo – si legge in una nota dell’Associazione editori italiani (Aie) se si considera che ne esportiamo 2140, quando solo nel 2001 erano 486 (Ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori (AIE) per ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane)». Ma la vera bella notizia è che alzare il livello e puntare sui contenuti paga. La qualità, infatti, è il tratto caratterizzante delle proposte di molti editori grandi e piccoli che partecipano alla kermesse.
Qualche esempio? Mondadori porta gli ultimi due volumi della collana in dodici volumi dedicata alle fiabe di Calvino (un approfondimento è su Left in edicola), ma presenta anche la collana di classici con prefazioni scritte da autrici di oggi, come Valeria Parrella che introduce Jane Eyre un classico di Charlotte Brontë eNadia Terranova che presenta un romanzo ancora oggi strepistoso come Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. Anche Donzelli punta sul classico con un nuovo volume delle favole del siciliano Pitrè,Il mio primo DickensCapitan Cuordicoraggio. La lisca magica. Una storia di pirati e una fiaba di magia, illustrati da Hilary Knight e poi don una gemma come Le mie fiabe africane di Nelson Mandela è il libro più venduto della collana «Fiabe e storie». Quanto a Giunti Junior che da qualche tempo sta lavorando a un progetto organico di promozione alla lettura, ha pensato per la fascia d’età 7-10 anni ( per la quale c’è pochissima offerta) la collana Colibrì con grandi storie scritte da autori selezionati. In libreria 16 titoli firmati da autori noti ed emergenti, con registri molto diversi tra loro per mettere a disposizione dei ragazzi una sorta di catalogo pensato, studiato e creato apposta per loro e dove loro troveranno le storie di cui hanno bisogno per crescere e divertirsi. Infine Giunti Junior presenta un nuovo titolo per la collana Best seller dal mondo: in particolare in arrivo dalla Germania (Paese ospite) dove ha avuto un successo eccezionale èBook Jumpers della tedesca Glaser, un fantasy per ragazzi più grandi, un libro straordinario sulla potenza della lettura e sul valore dei grandi classici.
epa05243101 A man flashes a 'Thumb-down' gesture as he is escorted by Turkish police upon the arrival of migrants by ferry from the Greek island of Lesvos (Lesbos) at the Dikili harbour in Izmir, Turkey, 04 April 2016. Some 160 migrants, from Pakistan, Bangladesh and Morroco, who refused to apply for asylum, have been deported on 04 April early morning to Turkey, after an agreement between the European Union (EU) and Turkey on the refugees crisis. EPA/TOLGA BOZOGLU
L’accordo tra Europa e Turchia è finalmente (non per i rifugiati) entrato in vigore. I primi traghetti sono salpati da Lesbos e Chios e sono giunti a Dikili, accolti da un grande schieramento di reporter, funzionari di polizia turchi e dai cartelli (poi rimossi) appesi sulle vetrine dei negozi della città che protestano contro l’arrivo dei rifugiati. Le persone ferme sulle isole greche dove nei mesi ci sono stati più sbarchi sono più di 50mila e le prime due navi ne hanno trasportate circa 250. Il governatore della provincia turca ha parlato di 202 persone.
Il governo greco ha spiegato che tra le persone rispedite indietro non c’è nessun richiedente asilo, ma non ha dato indicazioni su quante siano e da dove provengano le persone imbarcate. L’agenzia Ana ha però rivelato che si tratta di pakistani, bengalesi, cingalesi e persone provenienti da alcuni Paesi africani. Alcuni di questi verranno espulsi dalla Turchia, mentre i siriani verranno trasferiti in campi profughi, registrati e poi, in teoria e fino al numero di 72mila persone, potranno rientrare in Europa. La verità è che pakistani e bengalesi venivano già respinti verso la Turchia e che, dunque, è difficile verificare che cosa cambierà con l’inizio dell’applicazione dell’accordo turco-europeo. I siriani nel primo traghetto erano solo due.
“La Turchia non è un posto sicuro”
Le foto e i tweet dei reporter indicano una certa propensione alla segretezza da parte delle autorità turche, che aprono teloni per coprire dallo sguardo degli obiettivi il loro lavoro. Sulle isole greche e turche manca ancora molto personale addetto alla registrazione e identificazione delle persone: in Grecia tutti devono avere diritto a poter presentare domanda di asilo prima di – eventualmente essere deportati. Negli ultimi giorni c’è stata un aumento improvviso delle domande. In molti hanno però protestato perché non erano stati informati dei rischi di deportazione, ad altri non è stato consentito chiedere asilo.
France presse racconta la vicenda di alcuni siriani provenienti da Homs cui è stata spostata avanti di un giorno la data di ingresso in maniera da farli rientrare nei termini dell’accordo. «Mi hanno detto che il giorno prima il computer era rotto», ha raccontato una persona in fuga da Homs. A Lesbos, Idomeni e altrove ci sono molte donne e molti bambini siriani che stanno cercando di raggiungere i loro familiari in Germania o altrove in Europa: gli uomini hanno fatto per primi l’attraversamento mentre le donne e i bambini sono rimasti nei campi turchi o giordani in attesa di poter raggiungere i loro mariti o padri. Avviare procedure di ricongiungimento familiare per queste persone aiuterebbe e sarebbe umano. Il 90% delle persone a Moria, sull’isola di Lesbos, sono richiedenti asilo. Il che complica ulteriormente la vicenda: legalmente non li si può espellere.
La portavoce di Unhcr Melissa Fleming ha reso noto che l’agenzia ha avuto modo di spiegare le procedure di richiesta di asilo alle persone destinate a essere rispedite indietro. L’agenzia Onu per i rifugiati (come ci ha detto Carlotta Sami, responsabile per il Sud Europa, qualche giorno fa) non prende però parte in nessun modo alle procedure di espulsione e deportazione. Così come non vi prendono parte Medici Senza frontiere e le altre organizzazioni umanitarie che da mesi lavorano in Grecia e in Europa per garantire un minimo di accoglienza.
Nei tweet qui sotto una foto dei teloni che coprono le operazioni di sbarco e registrazione a Dikili e il volantino distribuito alle persone a Lesbos per informare dell’accordo con la Turchia e il centro di accoglienza di Lesbos, divenuto, dopo l’accordo, un centro di detenzione per persone in attesa di essere espulse
The delay is so that the govt can hide the disembarkation under a white tarpaulin, away from press’s prying eyes pic.twitter.com/LEICore4Hi
Matteo Renzi dice che è colpa sua, che se i giudici lo vogliono ascoltare è pronto anche domani mattina. Ci mette la faccia come se fosse la faccia a certificare chissà che garanzia. Non si discute del merito ma, ancora una volta, il presidente del Consiglio fa lo smargiasso trasformando una questione politica in una tenzone personale. E intanto non ci spiega come sia potuto succedere che la decisione di “sbloccare lo sviluppo” abbia fatto sorridere qualche bottegaio senza scrupoli prima che il Paese. Niente di nuovo: ci vuole sorridenti perché lui, a differenza di Letta (suo stesso partito, eh), ha fatto dimettere subito la ministra inopportuna. Non si scusano per averte scelto una classe dirigente con conflitti d’interessi fino al collo, no: si vantano di come poi però l’hanno fatta fuori.
A Milano l’assessora Carmela Rozza (l’assessora più onomatopeica della Giunta Arancione) invece ha deciso di punire un’auto in divieto di sosta con una bella pennellata di vernice bianca (lavabile, eh, che sono lo scriviamo poi si offende) sulla fiancata. “Era un’incivile!” si è giustificata dall’alto della sua civilissima reazione e fa niente se poi per ruolo questa sia una che si trova a decidere per la comunità milanese che rappresenta: ha scritto una lettera di scuse che sembra il rutto di un leone che s’è affrettato a digerire la preda. Il PD milanese ha detto di “passare oltre”: si vede che autoassolversi deve essere una peculiarità di partito.
Matteo Salvini, beh di Matteo Salvini forse si potrebbe anche evitare di fare esempi ma mi ha colpito molto la soluzione che ha proposto per i campi rom: “andiamo lì e gli diciamo che se non hanno soldi devono trovare un lavoro, se hanno soldi in banca devono affittarsi una casa e che se non va bene se ne tornano al loro paese”. Meraviglia: la frase è tranquillamente utilizzabile anche per gli studenti universitari fuori sede o per i pensionati con troppa poca pensione. Almeno è chiaro quali siano i nemici di Salvini: i fragili, semplicemente. Mica i negri o i terroni.
Nel nuovo scandalo finanziario ‘Panama Papers ‘si scopre che anche molti italiani hanno deciso di autotassarsi secondo un regolamento interno che vige tra loro e il loro commercialista. Sono quelli che mentre si fatica nella quarta settimana del mese loro appaiono in televisione per dirci che l’Italia è ripartita. Vero: è andata all’estero. Ma ci è salito solo chi ha potuto comprarsi il biglietto. La giustizia finanziaria italiana è basata su uno strano concetto di equità: più soldi hai per pagare professionisti furbi e meno spendi. Chissà come sono felici i padri costituenti.
Il cardinale Bertone, l’uomo del “cogli l’attico”, ci ha detto che dobbiamo lasciarlo in pace perché ci sono cardinali che rubano più di lui e che hanno abitazioni molto più spaziose. Secondo la sua strana idea di etica e giustizia bisognerebbe arrestarli in ordine discendente partendo dal più grave altrimenti non vale. La tesi del resto è sostenuta anche da molti laici che spesso si difendono dicendo “pensate a quelli che rubano davvero” quando vengono colti sul fatto.
La giustizia in Italia ha smesso di essere un fenomeno collettivo: ormai è uno scalo, un fastidio e non se ne vede più l’utilità. Così ognuno diventa in cuor suo federalista delle sue cose (sempre giuste) e xenofobo verso la giustizia degli altri. È l’ultimo stadio prima del cannibalismo culturale ma anche questo, a guardare bene, comincia già ad essere sopportato per i diversi d’etnia o di gusto sessuale. Insomma si corre a gonfie vele verso una regressione definitiva. Ci manca solo che si rida per la morte altrui. Ah, no. C’è anche quello. Già.
Gheddafi, Mubarak, Assad, Putin (per interposta persona) e poi il premier islandese in carica Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, alti dirigenti della Fifa e chissà quanti altri. I Panama papers sono uno squarcio sulle malefatte finanziarie e l’evasione di tasse mondiali attraverso il trasferimento di denaro in paradisi fiscali utilizzando la consulenza di uno studio legale. Sono un racconto di evasione fiscale, riciclaggio di denaro e altre operazioni finanziarie fuori o al limite della legge perpetrato da potenti e (o ricchi) del pianeta negli ultimi 40 anni. Per ora abbiamo alcuni nomi importanti e planetari, ma altri meno clamorosi, magari relativi a figure importanti a livello locale, verranno fuori.
Undici milioni di documenti in possesso dello studio legale con sede a Panama Mossack Fonseca sono stati trafugati e passati al giornale tedesco Sueddeutsche Zeitung, che poi li ha condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (Consorzio Internazionale dei Giornalisti investigativi). Del consorzio fanno parte 107 organizzazioni di media in 78 paesi, tra cui Bbc, The Guardian, Le Monde e l’italiano l’Espresso. I media hanno analizzato i documenti. Si tratta di una notizia enorme e ci vorrà del tempo per capirne le conseguenze, ma la rivelazione è un colpo duro a un certo modo di fare affari e finanza. I documenti, 11 milioni, riguardano un periodo enorme di tempo – 40 anni – e mostrano come Mossack-Fonseca abbia contribuito a operazioni di riciclaggio di denaro sporco, evasione delle tasse e aggiramento delle sanzioni. Si tratta della più grande fuga di documenti della storia: non i Wikileaks nel 2010, non la pentola scoperchiata da Edward Snowden erano così contenevano tanto materiale. Qui sotto la vastità delle precedenti valanghe di files paraonate alla odierna.
Ora, l’impresa legale è panamense ed è il più grande studio del pianeta nel suo genere e non lavora solo a Panama, ma non è l’unico, e di altre operazioni così se ne conteranno molte altre. Ci sono Davida Cameron, Leo Messi e Michel Platini, il neoeletto presidente argentino Macrì e il premier pakistano Nawar Sharif e il re saudita Salman bin Abdulaziz al Saud. I politici coinvolti sono 140 in 55 Paesi
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Mossack Fonseca
Impiega 600 persone che lavorano in 42 Paesi. Ha franchise in tutto il mondo, in cui gli affiliati – proprietà diverse dal centro – mettono sotto contratto nuovi clienti e hanno diritto esclusivo di utilizzare il marchio. Mossack Fonseca opera in paradisi fiscali, tra cui la Svizzera, Cipro e le Isole Vergini Britanniche, e nelle dipendenze della corona britannica di Guernsey, Jersey e Isola di Man.
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Mossack Fonseca sositene di operare nelle legalità e di aver sempre passato informazioni su operazioni sospette o collaborato in caso di richieste da parte di autorità investigative. E di certo non tutte le operazioni a cui i leaks fanno riferimento sono illegali. Ci sono pochi motivi seri per portare denaro all’estero, ma ci sono. Poi ci sono motivi poco confessabili ma legali, interpretando e stiracchiando le leggi nazionali e internazionali, e infine ci sono le operazioni illegali. In alcuni casi, dunque, seguire i fili di società, conti, operazioni finanziarie porterà a non scoprire niente di fuori dalla legge, in altri invece vedremo casi di politici e dittatori (o una via di mezzo) aver spostato enormi somme per evadere le tasse o per non rivelare da dove i soldi provenissero.
I casi più clamorosi sono forse quelli relativi a Vladimir Putin, ma le figure importanti sono molte altre: figure collegate lal famiglia presidenziale Kirchner, la figlia dell’ex premier cinese. I nomi sono molti, qui sotto la grafica interattiva in inglese e altre lingue (tendina a lato) dal sito dei Panama Papers
Nel 1986, in una valle remota del Camerun, duemila persone morirono in silenzio durante la notte. Uomini, donne e bambini si erano spenti insieme alle loro mucche, ai loro polli, agli uccelli, ai babbuini e alle formiche. Intorno nessuna traccia di distruzione, nessun danno. Solo molti anni dopo gli scienziati arrivarono all’ipotesi che ad uccidere senza lasciare tracce visibili fosse stata una esalazione di anidride carbonica dal lago Nyos. Nel frattempo però molte leggende sono scaturite da quel tragico evento.
Ne L’enigma del lago rosso pubblicato da Iperborea, lo scrittore olandese Frank Westerman cerca di ricostruire cosa accadde ma, soprattutto, attraverso la voce di testimoni e studiosi si interroga sul processo di mitopoiesi e sui modi della trasmissione orale delle storie. Dopo un intervento nell’ aprile al Book Pride di Milano, lo scrittore torna in Italia per partecipare al Festival della letteratura di viaggio, domenica 25 settembre a Roma
Wasterman che cosa ha scoperto studiando le leggende della valle di Nyos?
All’inizio mi sono trovato davanti a un vero enigma. L’accaduto lasciava spazio alle ipotesi più varie, alle dietrologie e, sulle sponde del lago, ai canti, alle preghiere, ai racconti. Le storie trovano sempre dove fare il nido. Gli esseri umani creano un intero mondo intorno ai fatti, li alimentano di significati, di interpretazioni. Viviamo immersi in quel mondo fantastico che colora e trasforma la realtà.
Ancora oggi le cause della strage non sono state del tutto chiarite?
A più di 25 anni di distanza la scienza non ha prodotto una spiegazione univoca e incontrastata. E l’esercito del Camerun sta ancora pattugliando un tratto di 18 km come zona vietata. Quando l’ho saputo ho immediatamente progettato di tornare là. Quel mistero mi ha colpito profondamente. Ho pensato che quella vicenda poteva essere un “laboratorio” per capire come nascono le storie che poi finiscono per diventare miti e leggende. Come è cresciuta quella selva di narrazioni? A cosa assomiglia quella proliferazione? E quale influenza esercita su di noi? Quando nel 1992 per la prima volta andai in Camerun ero un giovane reporter radiofonico e mi domandavo cosa fosse successo. Tornandoci poi da scrittore mi sono chiesto che cosa racconta la gente di ciò che è accaduto. Ciò che mi sembra sempre più evidente è che siamo più influenzati dalle costruzioni culturali più che dalla natura intesa come ambiente fisico, correnti, uragani, terremoti. I nazisti credevano che la razza ariana fosse superiore alle altre. La schiavitù ha trovato “giustificazione” nella religione che parla di un ordine voluto da Dio. Parliamo di mitologie basate su una feroce ideologia. Più in generale, invece, la fantasia è il nostro habitat naturale. Mi affascina osservare come le storie mutino nel tempo, come si moltiplicano se vengono dette e ridette, come evolvono, si trasformano.
La religione cattolica sostiene che il Male è in ogni essere umano come peccato originale. C’è bisogno di una nuova antropologia, più laica, per studiare e conoscere la realtà umana?
Io penso che l’antropologia si sia liberata dalla maggior parte dei pregiudizi cristiani, già da decenni. Ha fatto molta strada e altra ne farà. Riguardo all’Africa per esempio è partita considerando in modo positivistico e razzista la misura del cranio come indicatore di intelligenza ed è arrivata nel ‘900 ad essere la scienza sociale per eccellenza che continuamente ci rimanda indietro la nostra immagine di occidentali europei in maniera critica. Anch’io, in qualche modo, cerco di farlo ne L’enigma del lago rosso. Come? Dando ai superstiti del misterioso lago Nyos l’ultima parola. I cantastorie, i griot, non sono una realtà solo africana: tutti gli esseri umani hanno una dimensione di fantasia e ognuno di noi contribuisce alla narrazione collettiva.
Nel suo Ararat (Iperborea 2010) lo scienziato Salle Kroonenberg racconta che solo quando si è ammesso che il diluvio universale è un’allegoria si è sbloccata la ricerca nel campo della geologia. Questa credenza ha anche ritardato, per esempio, lo studio della storia della Mesopotamia e la scoperta dell’epopea di Gilgamesh.
Alla fine la leggenda dell’arca di Noè si è rivelata più tenace di storie avventurose come il viaggio sul brigantino Beegle che Darwin intraprese per fare ricerca. In effetti c’è un filo rosso che lega L’enigma del lago rosso e Ararat. Personalmente vorrei che mia figlia studiasse la teoria di Darwin a scuola e allo stesso tempo avesse la possibilità di godere della bellezza delle storie prendendole come tali. Oggi ha 13 anni e di recente le ho mostrato un video di youtube in cui fondamentalisti dell’Isis distruggono dei reperti antichi a Ninive. L’ha impressionata molto e mi ha detto: «Papà, non ti deprimere, è esattamente quello che loro vogliono».
Ne El Negro ed io (Iperborea, 2009) racconta di aver visto in un museo spagnolo il corpo imbalsamato di un africano senza nome. «Il modo in cui l’abbiamo guardato e lo guardiamo tradisce il nostro pensiero su razza e identità», lei scrive. Quanto di quello sguardo razzista c’è nelle politiche europee verso i migranti?
Molto direi. Ma fortunatamente la nostra visione dell’ “altro”, dello “straniero” non è sempre la stessa, cambia nel tempo. Ci sono state molte ondate di migrazioni in Olanda, ugonotti portoghesi, ebrei; gli stessi olandesi sono emigrati in massa nel “nuovo mondo” e in Australia, per centinaia di anni fino agli anni Cinquanta e Sessanta. Hanno sperimentato cosa significa essere stranieri L’identità di un popolo è anche definita da come lo vedono gli altri popoli. Ai tempi del conflitto in Jugoslavia ero corrispondente di guerra: serbi, croati e bosniaci avevano rapporti di interdipendenza, contava molto come si percepivano, differenze li definivano reciprocamente. Franz Fanon non a caso diceva: «Diventi un nero solo quando incontri un bianco». Gli incontri sono sempre “a doppio senso”. Si cresce in questa dialettica. In Bosnia ho visto villaggi con una millenaria storia multietnica diventare teatri di pulizia etnica. Solo i Serbi sono rimasti alla fine. E devo dire era una scena davvero pietosa. Come vedere qualcuno in pista che balla da solo il valzer, avendo perso il proprio partner.
“Ho voluto io l’emendamento è lo rivendico”, dopo la chiamata in correità di Maria Elena Boschi -intervistata dalla Stampa – Renzi si è assunto ogni responsabilità. Libertà di trivellare, diritto di prorogare le concessioni, così come ridurre i controlli in edilizia o dare incentivi agli industriali, tutto serve a sbloccare l’Italia da lacci e laccioli, dall’azione frenante di sindacalisti e pessimisti.
Bene. Ma tutto questo almeno serve? Il petrolio,estratto entro le 12 miglia dalle coste, darà impulso alla ripresa? Verrà un nuovo sacco di Napoli (o di Palermo), una schifezza certo, ma che in cambio offra lavoro a centinaia di migliaia di persone e riempia le tasche di un esercito di palazzinari, i quali poi spendono e anche questo fa ripresa?
L’unica cosa che apprendiamo dai giornali è che la disoccupazione è tornata a crescere di 95mila unità in Febbraio. Forse non aveva torto chi diceva che il jobs Act non avrebbe portato nuovi posti di lavoro e che l’effetto degli incentivi sarebbe scemato con la loro parziale revoca,
L’altra che si comincia a vedere è che, proseguendo togliere vincoli e a spianare corpi intermedi, sta crescendo la corruzione, stanno aumentano gli scambi di favori tra imprenditori e amministratori, sta crescendo l’Intermediazione parassitaria essenzialmente mafiosa.
L’Italia non si salva portandola indietro di mezzo secolo. Renzi non sbaglia perché è troppo realista -cinico, se preferite-, sbaglia perché la sua ricetta non funziona, o funziona solo per pochi. Il tempo in cui arricchendo i ricchi – e favorendo i petrolieri- qualcosa dalle loro tasche finiva comunque in quelle dei poveri, dei giovani evdei lavoratori, quel tempo non tornerà.
Ha 33 anni ed uno stile inconfondibile il giovane fotografo giapponese che ha vinto la decima edizione del Foam Paul Huf Award 2016, il premio annuale che Foam assegna a un fotografo sotto i 35 anni e che quest’anno ha visto partecipare quasi 100 autori provenienti da 29 Paesi.
“Daisuke Yokota è uno dei giovani fotografi più innovativi e sperimentali che lavorano nel mondo della fotografia di oggi.” Ha dichiarato Simon Baker presidente della giuria che all’unanimità ha riconosciuto a Yokota un linguaggio visivo inconfondibile e non convenzionale che esprime attraverso “una pratica complessa e sofisticata”. Dalle stampe, ai libri d’artista, dalle installazioni alle prestazioni di collaborazione, dal colore al bianco e nero, Yokota fonde, nei differenti strati della manipolazione dell’immagine, memoria, tempo, presente, passato.
Manca un mese al fatidico 2 maggio, ultimo giorno utile per il socialista Pedro Sánchez. Entro quella data dovrà tornare davanti al parlamento spagnolo per chiedere la fiducia al suo governo. Ma le trattative sono ancora in alto mare, o almeno lo sono quelle con Podemos. Le cose si son messe male dopo l’intesa raggiunta tra il Psoe e i populisti di Ciudadanos – «L’accordo tra Sanchez e Rivera non è compatibile con noi», aveva avvertito Podemos ber bocca di Íñigo Errejón. E adesso Sánchez può contare solo sul suo partito (il Psoe) e Ciudadanos: in tutto 131 deputati. Ma ne servono 176. E con la fine del regno popolare di Mariano Rajoy – e il suo governo di cinque anni proBruxelles – in Spagna si è aperta la possibilità di un governo del cambiamento. Un’ipotesi molto attesa in Europa – dopo le vittorie dei dissidenti Alexis Tsipras in Grecia e Antonio Costa in Portogallo – ma niente affatto facile, ci ha spiegato Jorge Moruno, sociologo di 33 anni e spin doctor di Podemos. «Sanchez non potrà contare su di noi se stringe un accordo con Ciudadanos, perché quell’accordo è come se includesse il Partito popolare», dice a Left il braccio destro di Pablo Iglesias: «Gli accordi si fanno sulla base dei contenuti non possiamo chiudere un accordo con le destre».
Tra voi e il governo del cambiamento in Spagna, quindi, c’è di mezzo Ciudadanos?
Sai che il signor Sánchez durante la campagna elettorale ripeteva che Ciudadanos era la nuova generazione del Partito popolare? E adesso dice che non è così. L’accordo con Rivera non mette in discussione le politiche che ci hanno portati fin qui. Sánchez dice di voler combattere il Partito popolare però “cammina” sulle stesse politiche; per esempio, sulla politica fiscale continua a fare riferimento ai think thank del Partito popolare. Se non contestiamo queste politiche, che hanno impoverito la società e la democrazia spagnole, non cambieremo niente. Possiamo andare al governo, persino trovare un modo per cambiare la legge elettorale, ma non avremo ottenuto nulla. Ecco perché è difficile trovare un accordo con loro, perché hanno una politica totalmente opposta alla nostra.
È una posizione unitaria o c’è una spaccatura in Podemos?
Molti mezzi di comunicazione semplificano e banalizzano quanto accade dentro Podemos. Raccontano che in Podemos ci sono i radicali e i moderati, che i moderati vogliono stringere l’accordo con i socialisti mentre i radicali no. Ma non è così, dentro Podemos non vi è alcuna divisione di questo tipo, non ci sono correnti moderate né radicali. Semplicemente, c’è un dibattito democratico com’è normale che sia all’interno di un partito. Ma tutti pensiamo che ci sia bisogno di un governo del cambiamento, che cominci a democratizzare la società.
Per qualcuno con il vostro No date ai Popolari l’occasione di riorganizzarsi.
Il Partito popolare è molto chiuso. Sicuramente, anche al loro interno, ci sono divergenze però, a differenza nostra, non sono pubbliche. Qualcuno chiede la testa di Rajoy, ma credo che Rajoy tenga duro. Non so se si stia preparando un’operazione Monti… ma se crediamo che il problema sia Rajoy sbagliamo, il problema sono le politiche adottate da Rajoy che passano da Bruxelles.