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Le 10 composizioni più belle di Ennio Morricone

Per festeggiare l’oscar di Morricone per la colonna sonora di The Hateful Eight, abbiamo stilato una lista delle più belle composizioni del Maestro:

Per qualche dollaro in più (1965)

Metti una sera a cena (1969)

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970)

Giù la testa (1971)

C’era una volta in America (1984)

The Mission (1986)


Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Malena (2000)

The Hateful Eight (2015)

Della cui Overture, diventata già un cult, qualche apassionato è riuscito a fare anche un montaggio di 3 ore. Ascoltare per credere:

Malattie rare, #UniamoLaVoce: oggi la giornata per rompere l’isolamento

Quell’aggettivo “rara” accanto alla parola malattia incute timore, ma bisogna sempre pensare alla ricerca scientifica e ai passi avanti che la conoscenza può compiere nella medicina.
Il primo passo però è il fatto che i malati possano far sentire la propria voce, che abbiano la consapevolezza di quello che stanno vivendo e che non si sentano soli. Insomma, il ruolo del paziente e delle loro famiglie sono sempre più importanti (v. video). Anche per promuovere azioni da parte della classe politica e delle istituzioni con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie. Conoscere significa reagire.
E’ questo il filo conduttore della giornata della malattie rare.

Rare desease day 2016 è la giornata nata nel 2008 da Eurordis (European organisation for rare disease) che conta 700 organizzazioni per 60 Paesi e 30 milioni di pazienti. In Italia l’evento è promosso dalla Federazione delle malattie rare (Uniamo Fimr Onlus) e con il sostegno di Farmindustria. Con lo slogan “Unitevi a noi nel far sentire la voce delle malattie rare” si rivolge non solo ai malati ma a tutti i cittadini per una mobilitazione collettiva. #UniamoLaVoce è lo slogan della campagna che consiste nella realizzazione di un video in cui condividere un “urlo liberatorio” per dar voce ai pazienti colpiti da malattie rare. Ma si può partecipare anche con foto e tweet con l’hashtag #UniamoLaVoce. La campagna ha un suo sito (qui) prosegue fino al 5 marzo.

Cosa si intende per malattie rare?
Intanto va detto che sono oltre 6mila di cui sono affette in Italia circa 670mila persone. Una malattia si definisce rara quando colpisce non più di 5 persone ogni 10mila. Poi ci sono quelle rarissime, meno di una persona ogni milione. Qualche nome: fibrosi cistica, epidermolisi bollosa, fibrosi polmonare idiopatica, amiotrofia spinare infantile, malattia di Startgardt. Secondo il Centro malattie rare dell’Istituto superiore di sanità, “le malattie rare sono molto eterogenee per età di insorgenza, eziopatogenesi e sintomatologia”. I sintomi “possono manifestarsi alla nascita o nell’adolescenza (ad esempio, atrofia muscolare spinale infantile, neurofibromatosi, osteogenesi imperfetta), molti altri compaiono solo quando si è raggiunta l’età adulta (ad esempio, malattia di Huntington, malattia di Charcot-Marie-Tooth, sclerosi laterale amiotrofica)”. L’80% delle malattie rare è dovuto a cause genetiche. Il restante 20% è invece il risultato di fattori associati all’alimentazione, all’ambiente, a infezioni o ad abnormi reazioni immunitarie.
Si tratta di malattie la cui diagnosi deve essere tempestiva e corretta e per questo motivo è necessario che l’attenzione dell’opinione pubblica sia allertata e vigile.

La giornata di oggi
A Roma, presso l’Aula Pocchiari in Viale Regina Elena 299 dalle 9 alle 13.30 è possibile seguire l’evento promosso da Uniamo Fimr onlus e il Centro nazionale malattie rare dell’Iss. “La voce del paziente. Unisciti a noi per far sentire la voce delle malattie rare”, questo il titolo del convegno che può essere seguito anche in streaming (qui). Come si legge nella presentazione dell’evento, si tratta di “fare appello alla cittadinanza ad unirsi alla comunità delle malattie rare, per comprendere l’impatto di queste patologie nella vita delle persone e delle famiglie che ne sono colpite, e il fare comunità rompe l’isolamento di chi è colpito da queste patologie e migliora in qualche modo la qualità di vita.
E’ prevista anche una sessione dedicata ai “senza diagnosi” per dare spazio a chi voce ancora non ce l’ha ma che è riuscito comunque a creare comunità e rappresentanza.

Infine la sera alla Casa del cinema la rassegna di cortometraggi Uno sguardo raro, ideata da Claudia Crisafio e da Uniamo. L’appuntamento è dalle 18 alle 21 nella Sala Kodak.

La bellezza salverà il mondo. La mostra di Salgado a Genova

Sebastiao Salgado definisce il progetto Genesi «un tentativo di antropologia planetaria». Nato per documentare angoli del globo ancora non aggrediti dall’inquinamento e dall’economia selvaggia. Ma anche per proporre alle nuove generazioni l’immagine di un rapporto equilibrato, possibile, fra uomo e natura. Ha dietro queste motivazioni forti la mostra che dal 27 febbraio al 26 giugno approda nel sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova. Un percorso di duecento fotografie in bianco e nero,  in cui il fotografo brasiliano propone un viaggio straordinario attorno al globo, dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, al Congo, dall’Indonesia alla Nuova Guinea. E oltre. Passando dai ghiacciai dell’Antartide, alla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne dell’America, del Cile e della Siberia. Un viaggio durato otto anni e che è stato tradotto sul grande schermo da un mestro del cinema come Wim Wenders, che negli ultimi anni ha dato il meglio di sé nella misura del documentario. (In occasione della mostra il suo docufim  Il sale della terra sarà proiettato al Cinema Sivori  di Genova, dal 10 al 13 marzo).

Curata da Lélia Wanick Salgadoun e accompagnata da un catalogo edito da Contrasto, l’esposizione genovese è articolata attorno ad elementi naturali, dal forte valore simbolico: aria, acqua e fuoco, terra, da cui è scaturita la vita. L’eleganza delle immagini, il forte impatto visivo, fanno del lavoro di Salgado un prodotto estremamente seducente. E in mezzo al plauso spunta anche qualche voce critica riguardo ad una eccessiva estetizzazione. Ma Salgado rivendica: «La mia non è solo una ricerca estetica ma anche etica». Radicata in lunghi di lavoro come freelance e poi per le agenzie fotografiche Sygma, Gamma e Magnum, fino a decidere di fondare con Lèlia la agenzia Amzonas Images, con cui si è occupato degli indios e dei contadini dell’America Latina, della carestia in Africa verso la metà degli anni Ottanta. Senza dimenticare il lavoro con cui ha documentato la fine della manodopera industriale su larga scala e poi raccolto nel libro La mano dell’uomo, (Contrasto, 1994) e  il progetto dedicato a profughi, rifugiati, e migranti.

«Genesi è un modo per dire soprattutto alle nuove generazioni che il Pianeta è ancora vivo e va preservato – ribadisce il fotografo -.Abbiamo fatto una ricerca e abbiamo fatto una scoperta molto interessante: circa il 46 per cento del mondo è ancora intatto, insieme possiamo continuare a fare in modo che questa bellezza non scompaia». @simonamaggiorel

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immagine in evidenza: Kafue National Park, Zambia, 2010 – © Sebastião Salgado/Amazonas Images/Contrasto

Rifugiati, decine di migliaia bloccati in Grecia. Merkel: «Atene va aiutata, è un problema europeo”

Migrants wait at Greece's border with Macedonia, hoping to enter Gevgelija, Macedonia August 22, 2015. Police and soldiers deployed along Macedonia's southern border with Greece struggled on Saturday to control the numbers of refugees and migrants, many of them fleeing Middle East conflicts, seeking to reach western Europe. REUTERS/Ognen Teofilovski - RTX1P6KK

Dopo aver fatto il falco contro la Grecia per un anno intero, il premier tedesco Angela Merkel prende una posizione molto diversa sul rapporto tra Europa e Atene. Ma stavolta parliamo di rifugiati, non di debito pubblico.

Il governo greco stima che nei prossimi giorni (o ore) la Grecia si troverà a dover gestire più o meno 70.000 rifugiati entrati per mare e bloccati ai confini settentrionali perché i Paesi balcanici confinanti, riunitisi tutti a Vienna, senza aver invitato il governo greco la scorsa settimana, hanno deciso di chiudere le frontiere con un atto unileaterale. Duante un’intervista rediofonica, la Merkel ha avvertito che anche quello che ha definito l’impegno europeo nei confronti della Grecia (dove forse la pensano diversamente, ma non è questo il punto) rischia di fallire se si chiudono le frontiere e si mette a rischio un Paese in gran difficoltà.

«Seriamente, davvero tutti gli stati della zona euro che l’anno scorso si sono battuti per mantenere la Grecia nella moneta unica  – e all’epoca eravamo noi tedeschi i più severi – possono lasciare la Grecia precipitare nel caos?».

Merkel ha anche difeso la sua politica delle porte aperte per i migranti, rifiutando l’idea di porre un tetto agli ingressi, nonostante questa scelta divida il suo governo e abbia fatto calare la sua popolarità.

Merkel ha detto che non esiste un “piano B” al tentativo (discutibile) di ridurre il flusso di migranti attraverso la cooperazione con la Turchia.

«A volte è disperante. Alcune cose si muovono troppo lentamente. Ci sono molti interessi contrastanti in Europa», ha detto Merkel alla radiotelevisione ARD. “Ma è mio maledetto dovere di fare tutto il possibile perché l’Europa agisca in maniera collettiva».

«C’è così tanta violenza e difficoltà alle nostre porte», ha detto. “Nel lungo termine è giusto che la Germania mostri umanità e lavori per mantenere l’Europa unita».

Parlando dell’episodio di aggressione a un autobus di rifugiati,  filmato e diffuso online la scorsa settimana, Merkel ha definito la retorica contro i manifestanti “ripugnante” e “ingiustificabile”.

Vendola, suo figlio e le misure del cuore. Degli altri

Spero tanto di sbagliarmi ma non sono tempi buoni per le persone di cuore. Non credo nemmeno che il punto sia la schiuma dei commenti da bassifondi sulla paternità di Nichi Vendola e il suo compagno Eddy (insieme, fedeli, leali e uniti come scimmiottano male di esserlo tante coppie universalmente “tradizionali”) quanto il vento forte di un benpensare  che ha preso la rincorsa dal family day e arriva oggi a volerci imporre uno standard di misure del cuore. Degli altri.

Non si deve cadere nella tentazione di accettare un dibattito sul gesto (legale e legittimo) della famiglia Vendola ma proprio ora, tra i rigurgiti di chi esulta per la propria grettezza così in auge, è urgente alzare la testa. Occorre costruire una chiave di lettura davvero collettiva di un Paese che sotto le insegne del modernismo sta scivolando in un oscurantismo di rinculo: un pezzo di establishment dell’informazione e della politica (sarà un caso ma proprio la parte solitamente più avvezza a puttane, festicciole, tresche corruttive e pratiche di bassa lega etica) ha indovinato i tasti dell’ignoranza più in voga e cavalca di gran foga con valvole di sfogo sempre nuove: i gay, gli stranieri, i dipendenti pubblici, i comunisti, i giudici, gli aborti, i troppo poveri, i troppo ricchi, qualsiasi troppo che possa funzionare, gli europei, gli antieuropei, i grillini, i rom, gli islamici e altri mille ancora. Tutti nomi diversi di uno stesso bisogno animalesco e turpe: illudersi di avere il pensiero giusto in un mondo sbagliato e così potersi sentiti derubati piuttosto che falliti.

In un Paese incapace di riconoscere e debellare una sistematica corruzione politica e imprenditoriale oggi si finge di avere trovato le coordinate universali di ciò che può essere morale: un portamento ostentato di limiti dei diritti da concedere agli altri. Ciò che conta è che “gli altri” rientrino nella lista delle persone da abbattere: a nessuno in queste ore viene in mente che mentre si mercanteggia sulla pelle di Vendola la maternità surrogata sia la stessa pratica salutata con lacrime e cuoricini per qualche stella del cinema e dello sport. Nicole Kidman, Cristiano Ronaldo, Robert De Niro, Sarah Jessica Parker hanno percorso la stessa strada di Nichi Vendola ma non è pop polemizzare con il divo: il politico frocio e comunista invece è un boccone prezioso.

No. Non può essere normale che i neoignoranti nazionalpopolari ci indichino le forme e le misure giuste del cuore; questo è il tempo in cui avere coraggio di mostrare il proprio, di cuore, piuttosto che giudicare quello degli altri. Obiettori di intelligenza. Una cosa così.

Oscar: dove seguire la diretta, le novità e i pronostici del Guardian

epa05184239 An Oscar statuette is covered on the red carpet during preparations for the 88th annual Academy Awards in Hollywood, California, USA, 27 February 2016. The Oscar ceremony is held on 28 February. EPA/JOHN G. MABANGLO

La diretta tv degli Oscar 2016 sarà trasmessa in chiaro sul digitale terrestre da Tv8 dalle ore 22.50. Oramai a Los Angeles è tutto pronto per dare il via all’88esima edizione degli Academy Awards. Quest’anno lo show promette di aggiungere un tocco di imprevedibilità a partire già dal ferreo ordine con cui in genere venivano fatte le premiazioni. Dai produttori nessun dettaglio più specifico su novità e cambiamenti oltre al fatto che si cercherà di rendere meno prolissi i vari ringraziamenti. E nell’attesa c’è già chi scommette e fa pronostici come il quotidiano inglese The Guardian che ha stilato una lista completa di come dovrebbe andare (consultabile qui).
Noi intanto tifiamo sicuramente Morricone e aspettiamo di vedere se Di Caprio riuscirà finalmente a portare a casa l’ambita statuetta.

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“Lipadusa“ arriva in Germania

Lipadusa è il titolo del libro e della mostra fotografica di Calogero Cammalleri, ex studente di Fabrica, che sarà esposta dal 28 febbraio al 19 giugno presso il Museo Kunst der Westküste sull’isola di Föhr (Schleswig-Holstein, Germania settentrionale). Le foto vengono esposte per la prima volta in Germania.

Lipadusa è un progetto sull’identità di Lampedusa. Divenuta suo malgrado sinonimo di migrazione, di tragedie in mare, di un centro d’accoglienza straripante disperati e miseria è raccontata nel libro di fotografie di Calogero Cammalleri e il testo della giornalista Silvia Giralucci, nella sua veste più autentica e profonda.

Le fotografie di Calogero ritraggono lo scorrere della vita di pescatori, bambini, animali di Lampedusa. Calogero è un migrante di ritorno: partito a tre anni con la sua famiglia dalla Sicilia per la Germania, torna nella sua terra dopo diciassette anni a cercare le sue origini.

Le sue foto narrano di impressioni oniriche, attimi colti in bianco e nero, sfocati nella trasfigurazione di una realtà che diventa senza tempo. Sguardi di bambini, intensi e profondi. Una danza spontanea e improvvisata con salti e battiti di mano. La natura fissata nel suo aspetto più selvaggio. Questi sono alcuni dei momenti colti dal fotografo, durante il suo soggiorno di nove mesi (da novembre 2013 a luglio 2014) a Lampedusa.

Calogero è diventato una presenza familiare per gli isolani, riuscendo a superare l’iniziale diffidenza di chi ha visto troppe telecamere e macchine fotografiche alla ricerca di uno scoop. Giorno per giorno si è mescolato alla vita degli abitanti, si è guadagnato la loro fiducia condividendo i loro ritmi e la loro vita. Il suo lavoro restituisce un volto sconosciuto di un’isola che è molto diversa dalla sua rappresentazione mediatica.

Lipadusa, Photos by Calogero Cammalleri/Fabrica

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(a cura di Monica Di Brigida)

Tutt’altro che Serenissima

Sembra immutabile, fragilissima – certo – ma uguale alla cartolina che hai ricevuto da bambino. A pensarla da lontano sembra minacciata solo dall’acqua alta o dalle grandi griffe che si nutrono di antiche botteghe. Ma, a guardarla più attento, a non seguire le scritte nere sulle frecce gialle (per Rialto, San Marco, Accademia…), a scartare di lato i flussi di turisti, Venezia ti appare piena di scritte, graffiti e di bandiere appese alle finestre contro il Mose oppure contro le Grandi Navi, lenzuola che contestano la svendita di pezzi di città, isole intere, Poveglia, l’Arsenale. E dai muri le locandine ti avvisano di incontri, scontri, conflitti in corso, di carnevali alternativi e contro-mostre del cinema. No, Venezia non è una città pacificata, non lo è mai stata. E non credere di essere il solo a scegliere itinerari alternativi, a seguire tracce di ribellioni, resistenze, utopie. «Altro che morte della città, vuota, decadente, lamentosa, ingorda “trappola turistica”! C’è una Venezia viva, ribelle e resistente, non rassegnata, mai piegata ai poteri, siano essi l’impero o il papato, l’occupante straniero o i padroni di ogni sorta. O il mercato», scrive la storica Maria Teresa Sega nella prefazione di Guida alla Venezia ribelle, di Beatrice Barzaghi e Maria Fiano, con cui le edizioni Voland arricchiscono un catalogo che intercetta il desiderio diffuso di lettori capaci di sguardi incantati ma critici. La ricerca della memoria delle rivolte è anch’essa ribellione, anche solo a modelli di consumo.


 

Questo articolo continua sul n. 9 di Left in edicola dal 27 febbraio

 

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Salpa la “Nave” capitanata da Elisabetta Sgarbi

Italian director Elisabetta Sgarbi arrives for the premiere of 'Due volte Delta', at the 9th annual Rome Film Festival, in Rome, Italy, 23 October 2014. The festival runs from 16 to 25 October. ANSA/CLAUDIO ONORATI

La fondazione della Nave di Teseo, di cui lui è stato il motore primo, coinvolgendo con entusiasmo inimitabile anzitutto gli altri autori, e poi trascinando noi editori, racconta molto del modo in cui Umberto Eco affrontava i nuovi progetti», racconta Elisabetta Sgarbi, ripensando ai venticinque anni di collaborazione con lo scrittore da poco scomparso, in Bompiani e per la nuova casa editrice che hanno creato insieme. «Sceglieva sempre con attenzione i compagni di viaggio, era esigente con se stesso e con gli altri. Cosa mi mancherà di lui? Provo a pensarci e non ci riesco. Mi mancherà lui. Personalità così grandi lasciano una eredità tutta da elaborare».
Nelle settimane scorse Umberto Eco aveva rivisto le bozze del suo nuovo libro Pape Satàn Aleppe. Il volume è uscito il 26 febbraio come primo titolo de La Nave di Teseo diretta dalla Sgarbi, che nel novembre scorso ha lasciato Bompiani, dopo l’acquisizione del gruppo Rcs da parte di Mondadori. «Eco aveva dato il “visto si stampi” alle bozze e aveva approvato la copertina del libro», ricorda Sgarbi. «In questa raccolta di saggi scritti tra il 2000 mila a oggi e selezionata e ordinata dall’autore, sorprende la lucidità dello sguardo sui nostri comportamenti, la capacità di prevedere e immaginare i cambiamenti molto tempo prima che si verifichino. Umberto Eco – dice Elisabetta Sgarbi – è un grande moralista, nel senso alto di questa parola. È capace di vedere in un dettaglio il mondo intero. Sono 460 pagine in cui riversa il suo genio, la sua capacità di osservazione, il suo umorismo, la sua leggerezza, la sua sana ferocia».
Dopo la nascita del colosso “Mondazzoli” Eco aveva lanciato un appello denunciando la mancanza di pluralismo nell’editoria italiana. Ora l’Antitrust potrebbe chiedere a Mondadori di cedere Bompiani e Marsilio. La Nave di Teseo acquisterà Bompiani?
Fino a quando l’istruttoria dell’Antitrust non sarà ufficialmente conclusa, è prematuro fare previsioni. Al momento il nostro scenario è quello di una nave che salpa, con dei libri importantissimi, e che dobbiamo tenere salda in un mare difficile. Fuor di metafora: siamo concentrati sulle prossime uscite. Non è facile creare una nuova casa editrice in tre mesi, con un programma di cinquanta titoli. Si riversano sulle spalle degli editori milioni di cose da affrontare, tutte con la medesima importanza. La nave di Teseo nasce per sottolineare una idea di editoria. Questa idea di editoria, plurale, competitiva, sana, è l’eredità più grande che ci lascia Umberto Eco.
Nel catalogo de La Nave di Teseo ci saranno autori come Hanif Kureishi e Tahar Ben Jelloun. Che cosa apprezza di più del lavoro di questi due autori capaci di fondere in modo originale molteplici radici culturali?
Kureishi e Ben Jelloun sono due grandi romanzieri, i cui libri hanno raccolto premi letterari e traduzioni in tutto il mondo. Il fatto di aver vissuto in prima persona il tema dell’integrazione, li rende estremamente onesti nel raccontarla, senza retorica e senza ideologie, e questa sensibilità traspare nelle loro storie.


 

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Gli afroamericani regalano la South Carolina a Hillary

Hillary Clinton ha stravinto le primarie in South Carolina con più del 73% dei voti. Lo Stato che otto anni fa segnalò al mondo che Barack Obama era forte, competitivo e sarebbe stato un grosso guaio per la allora candidata predestinata a vincere la nomination democratica, stavolta le sorride.
A determinare una vittoria schiacciante di Hillary sono due fattori: una partecipazione molto alta di afroamericani alle urne (anche se rispetto al 2008 ai seggi è andata meno gente, ma quello fu un anno record) e un messaggio che finalmente sembra essere quello giusto per lei. Dopo la vittoria in Nevada, Clinton è uscita sul palco e ha fatto il miglior discorso della campagna, parlando a braccio, rilassata, elencando idee in maniera non ingessata come al solito. Nei giorni di campagna in South Carolina questa sensazione di aver finalmente trovato la quadra a una campagna piena di intoppi si percepiva nei comizi e nell’organizzazione.
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La grande partecipazione degli afroamericani non è solo un elemento interessante che ci dice che la minoranza, accesa nella voglia di cambiare la propria condizione da Black Lives Matter e tutto il resto capitato in quesit mesi sul fronte della battaglia contro la discriminazione, darà un contributo determinante ai democratici come nelle ultime due elezioni presidenziali, ma anche che la macchina Clinton in South Carolina ha funzionato bene e ha saputo portare gente ai seggi. La presenza di cinque mamme di ragazzi afroamericani uccisi dalla polizia, tra cui quella di Trayvon Martin, che la sostenevano in South Carolina è anche un segnale di forza e di impegno su un tema che è diventato centrale.E nel discorso in South Carolina, Hillary ha citato le madri, mostrando di essere decisa a continuare a parlare della necessità di riforma del sistema penale.

E siccome il SuperMartedì (tra due giorni) si vota in molti Stati del Sud (Alabama, Arkansas, Georgia, Tennessee, Texas, Virginia), il fattore minoranza afroamericana peserà molto e sarà un vantaggio per Hillary. Clinton ha anche mandato un messaggio a Trump: «Non dobbiamo costruire muri per rendere l’America grande, ma abbattere barriere». Un messaggio destinato a essere la formula di attacco contro il miliardario se lei e TheDonald saranno i nemici che si affronteranno a novembre.
E Bernie Sanders? Il Sud non è e non poteva essere il suo territorio, mentre lo possono essere il Minnesota e altri Stati della cosidetta Rust Belt, la cintura della ruggine, quegli Stati dove in tempo sindacati e fabbriche erano il centro della vita e oggi sono un ricordo sbiadito, non sempre sostituito da un’industria dei servizi o altro. Stati con un elettorato più bianco, che più facilmente si indentificherà con Bernie, il suo accento, il modo di presentare i temi. Sanders non si fermerà: ha una macchina in ottima forma, idee, volontari e soldi. Il suo messaggio, dopo aver duellato con Clinton, è tornato a essere quello originario, quello che lo ha fatto crescere nei sondaggi: Wall Street e il suo strapotere, la scandalosa forbice tra il reddito dei super ricchi e tutti gli altri. Parallelamente Sanders ha diffuso dei video rivolti alle minoranze, specie agli ispanici. L’obbiettivo – naturalmente non dichiarato – è quello raggiunto fino a oggi: spostare la discussione democratica e nazionale a sinistra. Operazione perfettamente riuscita che Bernie, comunque vada, porterà fino alla convention di Philadelphia.