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Clinton e Sanders duellano in Tv con afroamericani e ispanici nel mirino

Ennesimo incontro in diretta televisiva, più o meno stessa scena, con l’aggiunta che in siccome i prossimi Stati in cui si vota sono molto più diversi che non l’Iowa o il New Hampshire, entrambi i candidati hanno corteggiato le minoranza afroamericana e ispanica. Hillary Clinton e Bernie Sanders sono tornati a sfidarsi dopo la vittoria del senatore del Vermont in New Hampshire e gli argomenti di dissenso tra i due restano più o meno gli stessi: Sanders è solido e all’attacco su quella che definisce l’eccesso di potere di Wall street e dei miliardari e insiste sul fatto che Hillary sia collusa con quei poteri.

Clinton conviene su molte cose che Bernie propone, ma crede che le soluzioni siano troppo radicali e irrealizzabili e che, come ha detto nella dichiarazione conclusiva, non ci sia un solo tema dal quale dipende tutto: i diritti LGBT, l’acqua piena di piombo a Flint, il diritto all’organizzazione sindacale sono tra le cose per cui battersi (e io sono la persona adatta a farlo). «Non sono una candidata monotematica e questo Paese non dipende da una sola questione» è forse un argomento forte contro Sanders.
Allo stesso modo, la frase di Bernie sul ruolo dei soldi in politica è un colpo molto ben assestato: «Non prendiamoci in giro: perché Wall street dona tanti soldi? Forse perché si divertono a farlo? Ma si, dev’essere perché gli piace buttare soldi». Su questo tema Clinton è e rimarrà in difesa: i soldi li ha presi e oggi è critica nei confronti di Wall Street anche perché il vento è cambiato.

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Nei sondaggio crescono solo Bernie e TrumpSchermata 2016-02-12 alle 15.12.57

Il primo sondaggio nazionale post New Hampshire (ma precedente al dibattito di cui parliamo qui) preoccupa Hillary Clinton. Il suo vantaggio è diminuito da 13 a 7 punti. È solol’effetto del voto o è un effetto reale? In campo repubblicano Trump resta saldamente in vantaggio, secondo Cruz. Il primo cresce, il secondo sta fermo

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I due hanno rimarcato aree di accordo (molte) e aree di disaccordo tra loro – la più grande è la fattibilità di alcune proposte di Sanders e il rischio di un aumento eccessivo delel tasse per implementarle. Entrambi, come in passato hanno fatto a gara per dipingersi come vicini a Obama, che è un modo di corteggiare gli afroamericani. Clinton ha criticato Sanders per non essergli stato abbastanza vicino. Lui si è difeso «Lei lo ha chiamato debole e deludente» ha detto Clinton, «No, questo è un colpo basso, io sono amico di Obama e tra noi due non sono io quello che ha corso contro di lui nel 2008». Entrambi hanno elogiato Black Lives Matter ed entrambi hanno parlato della necessità di finirla con la violenza della polizia e dell’urgenza di una riforma del sistema penale. È un enorme successo per il movimento e in prospettiva una buona arma per portare gli afroamericani a votare. Sull’immigrazione, entrambi hanno detto che serve una riforma.

Un altro colpo assestato bene di Sanders è in politica estera, il suo punto molto debole: «Io non sono amico di Kissinger e non chiederò il suo consiglio mai» ha detto il senatore rispondendo a una citazione dell’ex Segretario di Stato, che di Kissinger aveva fatto il nome. Una cosa che piace alla base.


Ieri Clinton è stata più brava a presentarsi in maniera non aggressiva e a dipingere Sanders come poco realistico, senza diventarlo troppo lei. Altro aspetto da sottolineare è il fatto che Hillary non è sembrata nervosa e aggressiva: nel 2008, in difficoltà, aveva perso la bussola. Oggi non sembra andare così. Basterà per rallentare la corsa del senatore socialista democratico? E basterà a Sanders avere poche proposte forti, l’entusiasmo di una base pronta a mobilitarsi in massa per dare una mano (il giorno dopo il New Hampshire il senatore ha raccolto sei milioni in piccole donazioni) o gli serve una maggire capacità di parlare a un pubblico più ampio? Certo è che come candidato, Bernie ha fatto enormi passi avanti in pochi mesi. Sono grandi le incognite che ci porteremo dietro nei prossimi giorni, quando i candidati democratici passerano il tempo a farsi fotografare con leaders latinos e afroamericani.

Tutto il dibattito (che comincia dopo circa un’ora di camera fissa)

Siria, le potenze si accordano per un cessate il fuoco. Forse

L’incontro di Monaco è andato benino. Ora resta da vedere se, come e quando verrà implementato. La situazione umanitaria catastrofica – me non è una novità – e le tensioni regionali montanti hanno forse portato a più miti consigli Mosca. O forse no.
La notizia è semplice, in una riunione di ministri degli Esteri occidentali e di potenze regionali, si è deciso di aprire corridoi umanitari già da oggi e di cercare di implementare un cessate il fuoco entro una settimana in tutta la Siria tranne nelle aree dove si combatte l’Isis. La buona notizia è quella dei corridoi umanitari: ad Aleppo e altrove mancano acqua, cibo, medicine e coperte, se oggi e magari per un paio di giorni i convogli dell’Onu potranno passare allevieranno un pochimo le sofferenze.
Quanto al cessate il fuoco, questo è più complicato. Nella conferenza stampa finale Kerry ha detto che i raid sopra Aleppo devono cessare. Il suo omologo Lavrov non è dello stesso avviso. La Russia infatti sostiene che ad Aleppo le forze anti Assad siano terroristi. Vero, ci sono anche parti della città in mano a Daesh, e falso, in atre parti sono gruppi considerati interlocutori dall’Occidente a combattere Assad. Gli aerei di Mosca colpiscono entrambi, rendendo più complicata l’ipotesi che questi smettano di sparare mentre piovono bombe sulla loro testa.
Il ministro degli Esteri britannico ha detto che l’accordo ha qualche possibilità di reggere solo se la Russia la smetterà con i raid. E un rappresentante dell’opposizione aggiunto: «Se vedremo gli accordi implementati, ci presenteremo immediatamente a Ginevra per negoziare». Il problema è che più di una volta, come del resto in Ucraina, i russi firmano accordi ai tavoli internazionali e procedono con le azioni militari che li contraddicono. Primo aspetto da verificare è, appunto, l’apertura dei canali umanitari. Assad ha circondato Aleppo, se aprirà canali di passaggio è anche un metro per misurare l’influenza che Mosca ha sul regime siriano.
Chiunque, a questo punto, può lavorare per far saltare l’accordo. Certo, diverso se a sparare sono piccoli gruppi fuori controllo o l’esercito di Assad e le opposizioni con le quali si può e deve parlare. Qualsiasi cosa succeda comincerà un balletto di accuse reciproche. Se l’accodo di Monaco sia un pezzo di carta straccia o un piccolo e fragile mattoncino che pone le basi per la fine delle ostilità di una guerra spaventosa che ha fatto già quasi mezzo milione di morti e distrutto un Paese lo sapremo presto. Nelle prossime ore.

Bagnasco, il Ministro degli affari degli altri

12/03/2013 citta del Vaticano, messa Pro Eligendo Pontefice nella basilica di San Pietro celebrata dai cardinali prima dell' inizio del conclave nella foto il cardinale Angelo Bagnasco

Eccoci. Quando avevamo la sensazione di avere ascoltato tutto, dopo gli sproloqui di Giovanardi e Formigoni in Senato, dopo avere visto la Mussolini moralizzare sulla sessualità degli altri pur non essendo riuscita a tenere a bada nemmeno le voglie minorili del marito, dopo esserci sorbiti Adinolfi geometra degli affetti altrui, ecco che arriva Bagnasco. Il vescovo dei vescovi, il gran regnante di mamma CEI, il vescovo con l’umiltà larga qualche centinaio di metri quadrati in pieno centro.

E il gran visir dei vescovi ha pensato bene di spargere il suo santo verbo non solo sull’innaturalità dei gay (com’è in voga tra i prelati in questi giorni) ma ha addirittura sentenziato sulle modalità di voto: “che si voti a scrutinio segreto!” Ha ordinato. E Calderoli, mistico, subito a ruota: “il Senato ascolti il cardinale!”.

Medioevo Italia, qui da noi dove un porporato decide di occuparsi di frugalità così terrene come il furbo modo di votare in segreto, senza prendersene le responsabilità. Ha scambiato, il Bagnasco, il Senato per il Suo regno credendosi probabilmente capogruppo del partito dei benpensanti e dimenticando, sbadato, che in Parlamento si risponde al popolo più che agli arcangeli.

Eppure il gesto di Bagnasco riesce a superare il già perenne fastidioso interessamento del Vaticano sulle cose italiane infilandosi addirittura tra i suggerimenti delle pratiche furbe. In qualche angolo di San Pietro, come nei bei tempi andati, i vescovi più birichini giocano a fare i politici di nascosto, un governo ombra (seppur illuminato) dove Bagnasco deve essere stato eletto Ministro degli affari degli altri e chissà che Papa Francesco forse non abbia la delega dell’innovazione digitale, Padre Pio al turismo e Giovanardi ministro ombra per i rapporti nel Parlamento. E si divertono un sacco, sono sicuro. Così succede che si facciano prendere la mano e ogni tanto qualcuno sbarelli come è successo ieri.

Dai, non scherziamo: adesso togliete a Bagnasco il cellulare e non dateglielo più dopo l’aperitivo. Ognuno torni ad occuparsi delle cose sue. O delle case. Per amor di dio.

Il talento di Ezio Bosso. In dodici straordinarie stanze

Ezio Bosso

«Ho una malattia ma non sono malato», dice Ezio Bosso parlando della patologia  degenerativa che lo ha colpito. Nonostante il progredire della Sla e l’aver dovuto affrontare anche un tumore al cervello, Bosso non ha smesso di comporre e di fare musica, anche in concerti dal vivo sui palchi di tutto il mondo. Senza  cercare di nascondere lo sforzo che gli richiede. Ogni giorno di più. «Sto lavorando a strumenti musicali che si possano adattare alla disabilità – racconta -.Abbiamo bisogno di mostrare la nostra fragilità: non c’ è nessuno che si deve mostrare più forte». Una fragilità che sul palco, nel fluire avvolgente della sua musica, diventa straordinaria forza espressiva.

La musica di Ezio Bosso ha il colore limpido di uno zampillante ruscello di montagna, anche quando è innervata di malinconia e di un sottile dolore. Lo notavamo a dicembre sulle pagine di Left, dopo aver ascoltato The 12th Room, uno straordinario doppio album che, da quando è uscito a ottobre 2015 per l’etichetta Egea, gli intenditori si passano di mano in mano. Un tam tam che è cresciuto e che finalmente dilaga dopo la serata di Sanremo, che ha svolto egregiamente quello che dovrebbe essere il suo compito: rendere popolari musicisti veri e di talento.

Enzo Bosso lo è a pieno titolo e in modo fuori dal comune. Talento precocissimo suonava già prima di imparare a scrivere. Ha diretto molte orchestre  in Italia e all’estero, tantissime le collaborazioni , a cominciare da quella con un violoncellista come Mario Brunello, con il quale lavora dal 2013 essendo diventati nel frattempo amici strettissimi.  Ma è stato anche al fianco di Sergej Krylov e di Gidon Kremer in orchestre come la London Symphony.  E a Londra, dove vive, facendo la spola con Torino, ha diretto la London Strings.

Cosmopolita ma anche eclettico,  ha suonato alla Carnegie Hall NYC,  alla Sydney Opera House, Palacio de las Bellas Artes di Mexico city e in molti altri teatri in giro per il globo trovando il tempo anche per comporre per il cinema, suo – per esempio -, il quartetto d’archi del film Io non ho paura di Salvatores.

Ma la vera sorpresa è questo concept album The 12th Room di straordinaria forza espressiva, in cui  mescola sonorità contemporanee ( Ezio Bosso è stato “allievo” di Philip Glass) e atmosfere impressionistiche e romantiche.

Queste dodici “stanze” , come Bosso chiama i suoi brani evocando una misura poetica antica, rappresentano simbolicamente un percorso attraverso altrettante tappe della vita dove il silenzio, un silenzio denso di senso, parla altrettanto delle note. Qui il musicista e compositore distilla dodici brani e una lunga, toccante,  sonata che non si interrompe mai (pur essendo divisa in tre movimenti), un flusso che dura più di 45 minuti.

L’interdisciplinarità, la ricerca, spaziando fra musica, arte e teatro, è uno dei fili rossi che percorre tutto il suo lavoro, consapevolmente cercando di superare l’autoreferenzialità di tanta arte contemporanea, cercando di ricreare il modo di lavorare che avevano gli artisti delle avanguardie storiche, a cominciare da Kandinsky e Schönberg che inseguivano il sogno dell’opera totale in cui i differenti linguaggi artistici non fossero meramente giustapposti. «Senza l’interdisciplinarietà non esisterebbe l’opera – ha detto Ezio Bosso intervistato da Arskey -. Non mi riferisco solo all’opera lirica, ma parlo dell’esigenza di sposare i pensieri e di muoversi tra pensieri e discipline. In questi anni c’è stato un lento progredire verso l’assolutismo dell’autoreferenzialità non più dell’arte, ma dell’artista: l’artista è diventato molto più ego riferito e soprattutto comincia ad esserci un’involuzione, perché non è più l’arte a cambiare il mercato, ma è il mercato a cambiare l’arte e questo, dal mio punto di vista, non può essere funzionale alla crescita». E ancora: «Non si uniscono più le forze e proprio per questo, c’è un’esigenza di ripartire da una maggiore interdisciplinarietà. Kandinsky e Schönberg sono un esempio perfetto di quello che intendo, l’applicazione delle due teorie, in un metodo quasi a scontro. Ma penso anche  al rapporto tra Sol LeWitt e Philip Glass. Quando Philip Glass era un ragazzo attirò l’attenzione perché sonorizzava Sol LeWitt e questo tipo di esperienza ha portato a una forma di sincretismo».

Chi ha avuto la fortuna di ascoltare Ezio Bosso dal vivo nei recenti concerti di Milano e Roma sa che è un’occasione davvero da non perdere. Ecco dunque i prossimi appuntamenti da segnarsi in agenda:  il 27 febbraio Ezio Bosso suonerà alla Lavanderia a Vapore di Collegno (To). E poi l’8 aprile a Cagliari (Salone del Conservatorio), il 12 aprile all’Auditorium Parco della Musica, il 19 aprile al teatro Teatro Puccini di Firenze. @simonamaggiorel

www.eziobosso.it

https://soundcloud.com/egeamusic/sets/ezio-bosso-the-12th-room/s-8KXpM

Qui l’intervista a Ezio Bosso di Rainews24:http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Ezio-Bosso-il-mondo-ha-bisogno-di-musica-fb9e2897-f138-467f-bf23-5df7167eea11.html

Il dilemma di Matteo Renzi: fare o gufare?

A due anni dall’insediamento di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, qual è il risultato? Che da Milano alla Calabria il partito di governo viaggia a gonfie vele. Con il vento in poppa. Lo dimostrano il successo di Sala alle amministrative e la spaccatura a sinistra mentre in Calabria si assiste alla nascita di un patto di ferro tra Pd e Ncd. In Sicilia da destra si affannano a salire sul carro del vincitore Renzi, anche se Davide Faraone esclude che ci siano pasticci nel tesseramento. Insomma, un gran movimento. Lo stesso fenomeno si nota anche nei grandi gruppi editoriali, con passaggi di direttori, ricapitalizzazioni e voci di accorpamenti: si tratta di un riposizionamento rispetto alla linea del governo o di grandi manovre per limitare i danni del crollo delle vendite? È chiaro invece il ruolo del governo nella Rai, con la riforma che concede grandi poteri all’amministratore delegato. E a proposito di Rai, Massimo Giannini, sotto accusa spesso per la sua conduzione di Ballarò, giudicata troppo critica nei confronti del governo sottolinea come si sia passati dalla Rai dei partiti alla Rai del governo, mentre Carlo Freccero, che fa parte del Cda della Rai, punta l’indice contro la relazione “acritica” che lega televisione e politica, facendo cadere entrambe sempre più in basso.
Intanto, sempre a proposito di informazione un’inchiesta di Left indaga sulla crisi che investe i rivenditori di giornali, la cui sopravvivenza è messa a repentaglio anche da un progetto di legge che ridisegna la distribuzione e la vendita dei media. E ancora: un focus economico sulla caduta in picchiata delle Borse e sulla richiesta di un unico ministro del Tesoro europeo e un graphic novel di Valentina Boldrini sullo status, tra immaginazione e realtà, di un fumatore oggi.
Negli Esteri l’apertura è dedicata alla morte di Giulio Regeni e di quel che resta della primavera egiziana del 2011, mentre Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi, ricorda l’impegno di Giulio a studiare e far conoscere al tempo stesso la realtà con l’obiettivo di cambiarla. Anche la Spagna è al centro dell’attenzione, con un governo a sinistra che stenta a nascere. «Ma niente governo dei tecnici, un Monti spagnolo non va bene», dice il filosofo e scrittore Josep Ramoneda. Un reportage sempre dalla penisola iberica, racconta invece la crisi vista dal Portogallo, dove cinque anni di austerity hanno lasciato solo macerie, così Lisbona ormai è diventata meta di turisti e di stranieri che comprano a buon mercato. Un altro scenario di crisi è la Palestina da dove arriva la storia di Lema Nazeh, avvocato di 28 anni che ha scelto la nonviolenza per contrare la politica coloniale di Israele.
È in arrivo nei cinema italiani il film Il caso Spotlight di Tom McCarthy: Left racconta la storia dello scoop che ha fatto tremare la Chiesa e ha smascherato una rete di pedofili su cui i vertici ecclesiastici per molti anni hanno mantenuto il silenzio. E poi la grande letteratura di ieri e di oggi: Dacia Maraini e Giorgio Manacorda raccontano a modo loro il Viaggio in Italia di Goethe di cui quest’anno ricorre il bicentenario. Per la scienza, infine, lo straordinario esempio della ricerca biomedica in India dove è stato annunciato il primo vaccino contro il virus Zika.

A chi Roma? A noi! Le votazioni on-line per il programma M5s

Activists of the anti-establishment 5 Star Movement gather in front of the ancient Colosseum in Rome, Sunday, April 21, 2013. A day after Italy's president was re-elected to an unprecedented second term, the leader of an anti-establishment movement says citizens' patience with traditional parties is wearing thin. Beppe Grillo, a comic who heads the Five Star Movement, has dismissed President Giorgio Napolitano's re-election as a bid by doomed parties to hang onto power. Grillo, whose party is the No. 3 bloc in Parliament, predicted in Rome on Sunday that traditional parties would "last a year." (AP Photo/Gregorio Borgia)

Pronti via. Oggi, dalle 10 alle 19 si voterà per decidere il programma elettorale del M5s, candidato alla guida di Roma. Hashtag scelto: #Romaiairomani. Un programma al quale sarà bene attenersi, visto l’anatema lanciato da Casaleggio, e contestato da molti giuristi: secondo il “codice di comportamento” dei Cinquestelle fatto firmare agli aspiranti politici da Roberta Lombardi, distaccarsi dalle linee del movimento potrebbe costare agli eletti pentastellati ben 150mila euro di penale.
Nove ore dunque, ritenute più che sufficienti per chiedere ai cittadini quali vogliono che siano le priorità della Capitale, per stabilire 3 punti prioritari fra 11, divisi per aree di intervento elencate sul blog:

1) Il diritto alla casa
2) La mobilità e la manutenzione delle strade
3) L’emergenza rifiuti e la cura del territorio
4) La sicurezza
5) Il turismo
6) Le politiche sociali per le fasce più deboli
7) L’ambiente (come verde pubblico e spiagge)
8) L’architettura urbana dal centro alle periferie
9) La cultura
10) La trasparenza e lo stop agli sprechi
11) Nidi e scuole, più pubblico e sicurezza

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Tutti stilati dal Movimento capitolino ed elencati sul sito romano. Si va dall’edilizia residenziale pubblica, «un vero e proprio business teso a favorire i soliti “amici degli amici”», ai trasporti: tema caldo della Capitale, congestionata dal traffico (il costo della quale, ricordano i grillini, è di 2,3 miliardi di euro l’anno, quasi la metà del costo complessivo di tutta l’Italia») e dai mezzi pubblici inutilizzabili causa malfunzionamenti: «La velocità commerciale delle vetture del trasporto pubblico è la più bassa d’Europa», e «le limitate, oltre che poco estese, piste ciclabili corrono lungo tracciati ad alto rischio di incidentalità».
Poi la gestione dei rifiuti, basata «per 35 anni su “un sodalizio criminale in grado di condizionare la pubblica amministrazione”», con inevitabile richiamo all’inchiesta Mondo di Mezzo, lo scempio e l’eredità della discarica di Malagrotta (chiuso però da Marino, ndr), e la partecipata Ama. Essendo una delle loro 5 stelle, sull’ambiente i grillini di proposte ne hanno da vendere. Basti ricordare il sistema di Parma, premiato dall’Anci come primo Comune Reciclone d’Italia con oltre il 65% di raccolta differenziata. Non così bene a Livorno, dove nella riorganizzazione della partecipata il sindaco Nogarin ha avuto non pochi problemi. A Roma, la partita sarà senz’altro un altro paio di maniche, e i grillini ne sono consci, tanto da fare appello alla comunità tutta, Europa inclusa: «Fondamentale per questo percorso, per una realtà difficile come Roma, sarà anche il contributo responsabile di ogni corpo sociale sano della nostra comunità e delle istituzioni europee e nazionali. Quest’ultime, seppur di colore politico diverso, non potranno lasciare sola la Capitale d’Italia per giochi di potere o indicibili difese di lobby dell’incenerimento o discariche».
E ancora: sicurezza, turismo e cultura. Burocrazia disumana, sostegno alle famiglie a partire dagli asili nido, e naturalmente: la trasparenza, con un «bilancio open». Che dovrà essere sicuramente più dettagliato dell’attuale (vedi qui).

Come sono intenzionati a risolvere molti dei problemi da loro evidenziati, non è dato saperlo. Così come il costo o quanto meno i fondi che intendono dedicare a ciascuno dei punti. Bisognerà chiederlo alla squadra scelta, quando ci sarà.
Intanto, il capogruppo uscente Marcello De Vito, già candidato sindaco nelle elezioni del 2013 (nelle quali il Movimento raccolse il 12% dei voti), sebbene continui a ribadire come in 3 anni abbiano “studiato” e imparato a “conoscere la macchina capitolina”, non sarà fra i favoriti. Raggiunto telefonicamente da Left, correttamente non rilascia dichiarazioni in questa fase. Soprattutto perché della comuneicazion, per quanto riguarda Roma, si occupa lo staff nazionale. Città che vai, regole che trovi.
In ogni caso, le 209 candidature stanno venendo vagliate una per una, per essere scremate e dare il via alle tanto attese comunarie a doppio turno. Tra i primi 48 nomi, dovranno uscirne 10-15. Tra i quali, a loro volta, gli oltre 9 mila iscritti al portale romano, dovranno scegliere il candidato sindaco. Il tutto dovrebbe avvenire entro una decina di giorni.

E su Twitter M5s lancia #RomaAiRomani

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Su aborto e adozioni gay, in Portogallo la sinistra mette alle strette l’uscente Cavaco Silva

adozione coppie gay portogallo

Adozioni per le coppie gay e interruzione volontaria di gravidanza. Prima di terminare il suo mandato (il 9 marzo) e cedere la presidenza del Paese a Marcelo Rebelo de Sousa, il presidente di orientamento conservatore Cavaco Silva dovrà promulgare queste leggi approvate dal Parlamento il 18 dicembre scorso, e sulle quali aveva posto il veto il 25 gennaio.
Il Parlamento portoghese ha chiesto a Cavaco Silva di promulgare le leggi su aborto e adozioni per coppie omosessuali prima di cedere il posto al neoletto Marcelo Rebelo de Sousa. Con la maggioranza assoluta, la sinistra (Bloco de esquerda, Partito socialista, Partito comunista portoghese, Verdi e Pan) ha confermato il 10 febbraio le leggi contro le quali Aníbal Cavaco Silva si era opposto il 25 gennaio. Adesso, il presidente ha una settimana di tempo per promulgarle. Le modifiche alla legge sull’aborto erano state approvate il 18 dicembre 2015 con 119 voti a favore e 97 contrari; e la legge sulle adozioni per le coppie dello stesso sesso è stata approvata – sempre il 18 dicembre – con 137 voti favorevoli, 73 contrari e otto astenuti.
Adesso i documenti verranno restituiti al presidente senza modifiche e, secondo la legge portoghese, sarà obbligato a promulgarle entro otto giorni.

I veti del presidente «sono veti politici», secondo la deputata bloquista Sandra Cunha, «parole amare parole che hanno solo l’intenzione di piegare i diritti degli uomini , donne e bambini a una visione ideologica del passato», ha detto la deputata bloquista, nel suo intervento in plenaria: «Niente di più che un atto meschino di vendetta inaccettabile».

L’aborto è stato reso legale in Portogallo solo nel 2007 con un referendum tenuto l’11 febbraio. Fino ad allora aveva una delle leggi sull’aborto fra le più restrittive in Europa: consentito solo in casi di gravidanza avvenuti dopo uno stupro, oppure in casi in cui la salute della paziente o del feto erano a rischio. All’infuori di questi casi veniva punita con un massimo di tre anni di carcere. Poi, con il referendum il sì raggiunse il 59,25% ma non si raggiunse il quorum del 50% il che in Portogallo rende non vincolante la proposta referendaria.
L’allora primo ministro José Sócrates sottopose una nuova legge sull’aborto al presidente della Repubblica senza discuterla in Parlamento (poteva farlo perché aveva vinto il sì, ma non era obbligato a farlo perché non si era superato il 50 per cento di affluenza): la legge fu firmata dall’allora presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva il 10 aprile 2007.
Poi, il 22 luglio del 2015 la legge sull’aborto è stata nuovamente cambiata (al governo, i socialdemocratici) e sono stati introdotti nuovi obblighi: il pagamento di una “tassa” dall’importo ancora sconosciuto (che limiterebbe di fatto le possibilità di accesso all’aborto alle fasce economicamente più basse); un periodo di riflessione durante il quale i genitori devono essere affiancati da psicologi e assistenti sociali (la consulenza è obbligatoria e improntata a comunicare il valore della vita e della cura del nascituro); il limite legale per abortire resta di 10 settimane. Insomma, una legge che scontentava tutti.
Le modifiche in questione (e i conseguenti veti) riguardano particolarmente la questione delle “consulenze psicologiche” e della partecipazione dei medici obiettori di coscienza a tali percorsi.Una modifica che, secondo il veto di Cavaco Silva, diminuisce il diritto di informazione delle donne che deccidono di abortire.
Per quanto riguarda l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso, Sandra Cunha ha accusato il presidente di mettere «i propri pregiudizi davanti ai diritti fondamentali. Solo il pregiudizio e la totale mancanza di senso della realtà possono spiegare perché si rifiuta a migliaia di bambini il diritto a una famiglia».

«Con il nostro voto di oggi, nella legislazione portoghese cessa di esistere un’esplicita discriminazione basata sull’orientamento sessuale. È un momento storico», ha concluso la deputata bloquista.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/TizianaBarilla” target=”on” ][/social_link] @TizianaBarilla

Johnny Depp è Donald Trump in un finto film anni 80

Un film risalente agli anni 80, una musica in stile Dinasty e immagini kitsch come poche. Una serie di star di Hollywood e un team coi fiocchi hanno lavorato a girare un finto film scritto, diretto e interpretato da Donald Trump nel suo decennio d’oro. Il finto racconto è questo: Ron Howard, il regista da Oscar, racconta di aver ritrovato una cassetta contenente un lungometraggio basato sulla autobiografia del miliardario texano e andato perduto in un rogo. Nel film Johnny Depp interpreta Trump, poi ci sono anche Howard – che appunto fa la parte di se stesso che narra del ritrovamento – e altre facce note di Hollywood e dintorni (Carmen Electra, Alfred Molina). L’idea è venuta a Joe Randazzo, ex direttore del settimanale satirico The Onion, che ha studiato Trump per mesi e, come ha detto al Los Angeles Times, «Abbiamo cambiato molte volte i testi, perché durante i suoi comizi non faceva che dire cose più deliranti di quelle che scrivevamo noi». Tra le altre cose, la troupe che lavorava al film non aveva idea che nel 2016 ci saremmo davvero trovati ad avere a che fare con la possibilità di una vittoria di Trump alle primarie.
«La nostra è satira, non propaganda contro Trump, chi vuole votarlo lo voterà anche dopo aver visto il film, chi lo detesta non cambierà opinione – ha detto l’altro autore Jenni Konner – ma certo, nessuno di noi voterebbe Trump: si tratta di un clown, di una figura comica che non deve diventare presidente»

 

La campagna acchiappa millennials di Bernie Sanders

Indubbiamente il senatore socialista democratico del Vermont ha un modo di fare campagna innovativo e capace di coinvolgere i più giovani, i cosiddetti millennials. Molti sono coinvolti anche nella realizzazione dei contenuti, che anche per questo sono freschi e parlano alle giovani generazioni. Due chiari esempi di questo si possono ritrovare nelle grafiche e nello spot realizzati dal sito together.vote i cui caratteri sono una forte linea estetica e un discorso enfatico e coinvolgente. Le parole e i temi proposti da Sanders hanno funzionato sia per reclutare volontari, raccogliere fondi e voti in Iowa e New Hampshire: nello Stato dove ha vinto ha preso l’83% dei voti degli under30 e tra le donne, sulle quali i due sono più o meno alla pari, le giovani votano 4 a 1 per Sanders. Prossime tappe le primarie in Nevada e South Carolina. Qui intanto potete vedere nella traduzione italiana:

Le grafiche e i poster di together.vote che sul sito si invita a scaricare e diffondere:


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Referendum sulle trivelle, si vota il 17 aprile. Il governo evita di fissarlo nell’election day

Il 17 aprile andremo alle urne. Un decreto approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri ha fissato la data del referendum popolare per l’abrogazione della norma sulla durata delle concessioni, già rilasciate, a estrarre petrolio entro le 12 miglia. Attualmente la norma  – per abrogare la quale si dovrà votare “sì” – prevede, devi che le attività di coltivazione di idrocarburi relative a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro le 12 miglia marine abbiano durata pari alla vita utile del giacimento.

Il governo Renzi replica così la condotta che alcuni suoi esponenti avevano contestato nel 2011, quando l’allora premier Berlusconi “disgiunse” le consultazioni referendarie su acqua e nucleare dalle elezioni amministrative per evitare che si potesse raggiungere il quorum e provare così a invalidare l’esito del voto. «Il governo buttano dalla finestra 300 milioni di euro», si disse all’epoca. Evidentemente adesso l’imperativo del “non sprecare” fondi pubblici non vale più.

Il governo, dopo l’ok della Consulta del mese scorso a uno dei sei quesiti proposti, gioca così un’altra carta per depotenziare la mobilitazione del Movimento “No Triv”, che si riunisce in assemblea a Roma domenica 14 febbraio, presso il Parco delle Energie di Via Prenestina. Il tentativo dei No Triv, ai quali si sono uniti ambientalisti ed enti locali (i referendum erano stati chiesti da 11 Regioni), è quello di saldare le mobilitazioni territoriali contro le trivelle alla campagna nazionale per il “No” al referendum sulla riforma della costituzione. Dopo il “no” del governo all’election day, i No Triv hanno poco più di 60 giorni per portare il 50% più uno degli elettori alle urne.