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Siria, perché l’abbattimento dell’aereo russo complica il rebus

epa05042944 Russian President Vladimir Putin (L) welcomes French President Francois Hollande (R), during their meeting in Moscow Kremlin, Russia, 26 November 2015. Francois Holland arrived in Moscow to discuss coordination in their common struggle against so called Islamic State terrorist formation in Syria. EPA/SERGEI CHIRIKOV/POOL EPA POOL

La confusione sul fronte siriano – anzi sulle decine di fronti nei quali tutti combattono più o meno contro tutti – regna sovrana. Come sabbia negli ingranaggi, l’abbattimento dell’aereo russo da parte dell’aviazione turca ha creato nuovi problemi in una situazione che sembrava lentamente essere avviata a maggior chiarezza.

Se nei giorni scorsi Usa e Russia si erano promessi reciprocamente maggior collaborazione nella guerra all’ISIS, la Francia aveva fatto da pontiere e qualche ipotesi di accordo mediato per una uscita di scena pacifica di Assad sembrava all’orizzonte (o almeno in agenda), oggi tutto sembra di nuovo per aria.

La tensione tra Mosca e Ankara è alle stelle, ma tutti stanno cercando di raffreddare il clima: non ci saranno ripercussioni militari (almeno così si spera), ma certo la Russia farà di tutto per colpire economicamente la Turchia. A cominciare dal turismo e dall’agricoltura, in un caso una reazione, nell’altro una decisione presa da Mosca, che ha ridotto l’import. Il colpo si farà sentire e alimenterà il nazionalismo turco – mentre l’abbattimento dell’aereo russo è lievito per quello russo.

Tra i protagonisti della giornata ci sono anche Hollande, volato da Putin a farsi dire che la Russia è pronta a collaborare nella lotta al terrorismo e Cameron, che parlando ai Comuni ha detto che è ora di partecipare ai raid contro Daesh. Il premier britannico ha detto che occorre farlo perché non si può delegare la sicurezza agli altri e perché bisogna stare al fianco della Francia e che, dopo aver verificato di avere una maggioranza, chiederà al Parlamento britannico di esprimersi all’inizio della prossima settimana.

In un’intervista a France24 il premier turco Erdogan ha detto fondamentalmente tre cose: la guerra contro Daesh e l’uscita di scena di Bashar al Assad devono essere perseguite in parallelo; Russia e Iran non colpiscono e non fanno male a Daesh, solo le forze della coalizione (Turchia, Usa, Francia e adesso anche Stati Uniti) lo fanno in maniera seria; il premier turco annuncia anche che sono in corso operazioni congiunte con gli americani per sigillare la frontiera con la Siria.

A rispondere indirettamente a Erdogan ci ha pensato un capo militare del PKK, Celim Bayik, accusando Ankara di indebolire la lotta dei suoi gruppi armati e dell’YPG siriano contro l’ISIS. «Ad oggi siamo stati la forza più efficace nel contrastare Daesh e gli attacchi turchi in Kurdistan stanno distogliendo forze e indebolendo la nostra offensiva». Bayik ha anche detto che con il governo di Erdogan al momento sono interrotti tutti i canali di comunicazione.

In sintesi, dunque, oggi abbiamo gli Usa che bombardano contro Daesh e Assad, i russi che bombardano contro Daesh, ma anche contro gli altri gruppi ribelli, la Turchia che combatte contro Daesh e Assad, ma combatte i curdi. Francesi e presto britannici sono contro Daesh e possono – come gli Stati Uniti – chiudere un occhio sull’uscita di scena immediata di Assad. Cosa su cui i turchi, come ha detto oggi Erdogan, non sono disposti a cedere. E probabilmente nemmeno i curdi. Poi ci sono i sauditi, che combattono per procura contro Assad, finanziano Daesh e soprattutto al Nusra, ma dicono di essere contro. E l’Iran, che sostiene Assad, per le stesse ragioni per cui i sauditi lo combattono. E i curdi che sono alleati di fatto di Usa e Francia ma combattono Erdogan. Confusi? Anche tutti gli attori regionali e non.

Nei giorni scorsi sembrava che il processo di negoziazione con Assad e le forze che lo combattono potesse prendere il via. Russi e americani apparivano convergere sull’idea che il dittatore siriano dovesse avere un ruolo parziale nell’arrivo a un accordo (cosa a cui gli Usa si sono detti contrari per mesi). Quel processo, già complicato perché si trattava di mettersi d’accordo su chi, tra i gruppi ribelli, avrebbe potuto sedersi a un tavolo, era il frutto di uno sforzo diplomatico enorme. L’abbattimento dell’aereo russo da parte dell’aviazione turca ha reso tutto più complicato.

Ad esempio, americani e russi hanno ripreso ad accusarsi di non essere seri: Washington accusa Mosca di colpire tutti i ribelli, di non distinguere tra civili e militari e di non avere come focus la lotta a Daesh. Mosca e Damasco hanno replicato che le accuse sono infondate e che gli Usa prendono per vera la propaganda dei nemici di Assad.

Che succede adesso? Gli Usa sono concentrati sul colpire Daesh, ma senza un sostegno di terra (dei ribelli) è difficile riuscirci senza l’esercito di Assad. A sua volta lo Stato islamico guadagna in consensi proprio a partire dalla brutalità con la quale Damasco colpisce i suoi avversari. L’equazione è quindi complicata: senza alleati è difficile battere Daesh, ma se i potenziali alleati sono i ribelli, occorre difenderli dalle offensive del regime di Assad. Cosa che Mosca non tollererebbe e che farebbe saltare ogni ipotesi di colloqui di pace.

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Proposte e conti per una manovra alternativa: ecco il rapporto Sbilanciamoci

«Ma è proprio vero che la Legge di Stabilità 2016 presenta il segno più?». La domanda che si pone la campagna Sbilanciamoci! è più che legittima, visto che è proprio sulla retorica anti austerità che puntano Matteo Renzi e i suoi, difendendo la manovra. «Può darsi, ma non a favore di tutti», è la risposta, argomentata nel rapporto che Sbilanciamoci! ha presentato al Senato: «Il segno più possono registrarlo sicuramente ricchi e imprese. Non i giovani disoccupati che vorrebbero lavorare o, almeno, avere un reddito minimo. Non molti dei lavoratori scippati dalla riforma Fornero della loro pensione alle porte. Non gli studenti in attesa di un piano nazionale per il diritto allo studio. Non i genitori in cerca di servizi per l’infanzia accessibili. Non i pensionati ai limiti della soglia di povertà. Non i lavoratori pubblici imprigionati in un contratto bloccato da almeno sei anni e per i quali si prevedono pochi spiccioli».

L’analisi di Sbilanciamoci! è accompagnato come ogni anno dal controfinanziaria degli economisti della rete: 89 proposte dettagliate e quantificate, una contromanovra di 35 miliardi, «in pareggio come sempre», specificano, da contrapporre ai «31,6, impiegati male, della manovra del governo».

La contromanovra è presentata nel consueto rapporto e – per la prima volta – su una nuova piattaforma on line. Un’infografica (qui sotto) illustra in modo dinamico i flussi delle risorse. Da dove vengono e dove vanno i soldi. E se l’intervento sul lavoro e sul reddito minimo (600 euro al mese per un milione e mezzo di persone) è finanziato dall’eternamente inascoltato taglio delle spese militari, F35 in testa, molte risorse arrivano da una diverta modulazione del fisco.

 

La proposta della campagna spinge per introdurre una «vera tassa sulle transazioni finanziarie», per «la rinuncia all’abolizione della Tasi prevista nel Ddl di Stabilità 2016, l’abolizione della cedolare secca sugli affitti a canone libero», e «il mantenimento della riduzione dell’Ires a partire dal 2017». C’è poi una diversa e più equa rimodulazione dell’Irpef, «che riduce di 1 punto le aliquote sul I e II scaglione di reddito e aumenta invece l’aliquota dal 41 al 44 per cento sul IV scaglione (da 50.001 a 75.000 euro), dal 43 per cento al 47,5 per cento sul V scaglione (tra i 75.000 e i 100.000 euro) e la porta al 51,5 per cento per i redditi superiori ai 100.000 euro, con corrispondente creazione di un VI scaglione».

Si immagina poi di introdurre in finanziaria (e non alla buona volontà del Senato dove giace una proposta di legge) poi il congedo di paternità obbligatorio di 15 giorni. Immancabile è la riduzione di 1,5 miliardi per gli stanziamenti pubblici per le grandi opere (Tav e Mose in testa), destinando le risorse al contrario a «investimenti capillari su piccole e medie opere utili per il Paese». Un classico da retorica, ma una proposta inascoltata.

Il Moma rende omaggio all’arte di Pollock

Jackson Pollock (American, 1912-1956). Untitled. c. 1950. Ink on paper, 17 1/2 x 22 1/4″ (44.5 x 56.6 cm). Museum of Modern Art, New York. Gift of Jo Carole and Ronald S. Lauder in honor of Eliza Parkinson Cobb, 1982 © 2015 Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York

L’artista moderno «lavora per esprimere un mondo interiore. Esprime l’energia, il movimento ed altre forze interiori», diceva Jackson Pollock (1912-1956), l’inventore dell’action painting, che insieme ai artisti della scuola di New York di cui faceva parte anche Rothko, negli anni Cinquanta rinnovò radicalmente la pittura occidentale spostandone l’epicentro oltreoceano.

Fino al 13 marzo il MoMa di New York torna a rendergli omaggio realizzando una mostra curata che ripercorre tutte le fasi della sua breve e folgorante carriera, dagli anni Trenta al ’56 quando morì in un incidente d’auto, suicidandosi e uccidendo la sua giovane amica.

La sua ricerca artistica era cominciata nel segno del surrealismo europeo, in particolare dopo essere entrato in contatto con Max Ernst all’epoca marito di Peggy Guggheneim. Fantasmagorie astratte e figure di uomini animali campeggiavano su grandi tele, rileggendo i miti greci, ma anche alcune leggende dell’immaginario Navajo. Proprio dalle pitture di sabbia degli indiani americani, Jackson Pollock trasse ispirazione per quadri polimaterici, dalla superficie scabra. Ma anche per le sue perfomances artistiche in cui la gestualità e il movimento del corpo erano una componente essenziale nella realizzazione di opere pittoriche realizzate, senza pennelli, lasciando sgocciolare il colore direttamente sulla tela, stesa a terra. Nella prima sezione della mostra sono esposte anche molte opere che testimoniano come Picasso fosse diventato quasi un’ossessione per Pollock.
Intorno al ’39 realizzò tele che per certi elementi figurativi deformati richiamano la composizione scheggiata de Les Damoiselles de Avignon (1907) di Picasso con cui l’artista americano ingaggiò un lungo confronto. In quello stesso anno Pollock cominciò l’analisi junghiana, cercando disperatamente e senza successo di uscire dalla depressione e di liberarsi dalla dipendenza dal alcool. Nonostante il continuo conflitto interiore fra esigenza di ricerca e autodistruzione che cercava con l’immediatezza del gesto creativo” perdere la coscienza per “vedere”
La superficie scabrosa del dipinto rimanda all’influenza della pittura di sabbia dei Navajo mentre la Il conflitto un’antinomia tragica fra una capacità di ricreare i primi momenti dell’esistenza ed un impulso ad annientare se stesso e la propria libera espressione

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(immagine in evidenza: Jackson Pollock (American, 1912-1956). Untitled. c. 1950. Ink on paper, 17 1/2 x 22 1/4″ (44.5 x 56.6 cm). Museum of Modern Art, New York. Gift of Jo Carole and Ronald S. Lauder in honor of Eliza Parkinson Cobb, 1982 © 2015 Pollock-Krasner Foundation / Artists Rights Society (ARS), New York)

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Il mar Mediterraneo come non lo avete mai visto

mare mediterraneo

Biodiversità è la parola chiave per descrivere i fondali del mare che circonda l’Italia. Biodiversità che significa ricchezza – di specie e organismi marini – e ricerca scientifica. E’ quanto emerge dal libro fotografico dell’Ispra Colori profondi del Mediterraneo realizzato da Michela Angiolillo e Marco Pisapia con le immagini di Simonepietro Canese (26 novembre, ore 18, la presentazione al Museo civico di zoologia, Roma). Il volume è il risultato di 900 immersioni tra i 50 e i 400 metri durante 50 campagne oceanografiche condotte dal 2006 a oggi dai ricercatori dell’Ispra. Nelle 90 immagini pubblicate nel libro, ottenute anche grazie anche al piccolo robot filoguidato Rov (Remotely operated vehicle) sfila un mondo sottomarino affascinante e denso di sorprese. E’ davvero un luogo sconosciuto, quello dei fondali del Mediterraneo. Vedendo le foto scompare l’idea che le profondità marine siano luoghi bui e desertificati. Invece i ricercatori dell’Ispra grazie al robot fotografo – e anche ricercatore poiché poteva effettuare dei prelievi – hanno scoperto dei veri hotspot di biodiversità, appunto. Sono chiamati “foreste animali” e non hanno nulla da invidiare alle foreste terrestri. Così possiamo vedere degli organismi filiformi, che sbucano dal substrato, creando forme arborescenti, dai tenui colori, quasi trasparenti. Ma troviamo anche anfratti e “colline” sottomarine dove sbocciano boschi di coralli rossi, anemoni di mare tra spugne e i pesci dei fondali profondi. E poi molluschi, crostacei, echinodermi. E i pesci che vivono ad una superficie meno profonda, come lo scorfano che si mimetizza con l’ambiente circostante e che viene tradito solo dall’occhio. E ancora: la ricciola, la murena, la cernia gigante, il gattuccio e lo squalo vacca, ma anche l’aragosta.

Ma l’eden subacqueo può diventare anche un inferno, come documentano alcune immagini. Ed ecco le reti che soffocano i coralli, le buste di plastica che arrivano fino a 450 metri di profondità, e così anche rifiuti di ogni genere, copertoni, bidoni. Il segno dell’incuria umana che ferisce ambienti incontaminati.

Tutti questi dati raccolti soprattutto nei mari della Sardegna, della Sicilia e della Calabria, ma anche di Liguria, Toscana, Liguria e Lazio, serviranno per ulteriori ricerche scientifiche. Intanto, al semplice osservatore che ama il mare le immagini appaiono come squarci di vita sconosciuta e misteriosa. E’ un po’ come farsi trasportare dal Nautilus di Capitan Nemo delle Ventimila leghe sotto i mari, anche se stavolta si tratta del piccolo robot Rov.

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Tutte le crociate di monsignor Luigi Negri

Oggi monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara, fa notizia per le parole pubblicate da il Fatto Quotidiano in un articolo di Loris Mazzetti e pronunciate in treno. L’alto prelato non ama il papa e avrebbe pronunciato queste parole. 

“Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro”. Il riferimento a papa Luciani è appena velato. La frase è dell’arcivescovo di Ferrara, Luigi Negri, alto prelato in profondo disaccordo con Francesco e punto di riferimento di Comunione e Liberazione. Negri, allievo di don Giussani, è anche noto per aver contestato la magistratura quando incriminò Berlusconi per il caso Ruby. A chi allora gli fece notare che gran parte del mondo cattolico era indignato sulla vicenda delle Olgettine, rispose: “L’indignazione non è un atteggiamento cattolico”.

Sul numero 12 di Left avevamo pubblicato un suo ritratto. Che il monsignore non è nuovo a sparate fuori luogo.

 

«Tornavo a casa alle tre di notte. C’erano persone intente in atti di promiscuità. Ho visto scene di sesso tra due ragazzi e un gruppo, evidentemente ubriaco, coinvolto in atteggiamenti orgiastici. Io non ho mai visto un postribolo. Ma l’idea era quella». Correva l’anno 2013, mese di luglio, notti afose, di movida. Monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, rientrava nella sua residenza, quando restò così inorridito dalla scena da pensare a un postribolo anche se non ne aveva mai visto uno. Pensò di far chiudere quei bar, i cui locali sono di proprietà proprio della curia (chissà se lì si paga l’Imu).

Eppure qualche idea di postribolo dovrebbe pure essersela fatta, Negri, visto che non disdegna di farsi ritrarre accanto a Silvio Berlusconi accusato di sfruttamento della prostituzione minorile. Ma «le incoerenze etiche di un governante non distruggono il benessere e la libertà del popolo», è convinto il prelato. E «la moralità dei politici va giudicata dall’impegno nel perseguimento del bene comune che consiste nel benessere del popolo e nella libertà della Chiesa. Diversa è la moralità privata che giudicherà Dio». Insomma, per Negri, Berlusconi era l’uomo che «almeno non approva i Dico». Dai microfoni di Radio Vaticana disse che non avrebbe dato nemmeno la comunione a chi li avrebbe votati, tipo Rosy Bindi: «Chi celebra l’Eucarestia non può poi tollerare e consentire leggi che sono evidentemente eversive dell’antropologia personale e familiare che dall’Eucaristia scaturisce». Si aspettava grandi cose, monsignor Negri, da Berlusconi: «Ci sono le condizioni per orientare cattolicamente la restante parte della legislatura verso i principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di istruzione».

Le uscite pubbliche di Negri, negli anni, compongono un sillabario così bizzarro e temibile da finire – poche settimane fa – sul Washington Post. A far scattare le antenne del corrispondente Usa sono state alcune analisi sulla crisi economica che hanno già mozzato il fiato ai ferraresi, grazie agli attenti cronisti di Estense.com: «La legge sull’aborto non ha consentito di venire al mondo a oltre sei milioni di italiani e la scarsità di figli ci ha fatto sprofondare in questa crisi economica».

Il consueto tran-tran di sparate accoglie, proprio mentre scriviamo, un anatema contro l’ideologia gender: «Con la sua insana pretesa di sopprimere la differenza sessuale separandola da qualsiasi indicazione naturale, per ridurre la stessa sessualità a pura istintualità». Lo «tsunami» del gender lo turba da tempo al punto da sospettare una “congiura” del “pensiero unico radicale”.

E la legge sull’omofobia? Ecco una selezione a riguardo: «È un delitto contro Dio e contro l’umanità», «un reato di opinione che evoca i tempi torbidi delle ideologie statali che sembravano superati per sempre». «Chi continuerà a fare riferimento alla grande tradizione eterosessuale dell’occidente rischia di essere inquisito se esprime pubblicamente le proprie convinzioni». «Assurdo che un cardinale spagnolo sia stato iscritto nel registro degli indagati per avere ripetuto più volte un passo di San Paolo che ricorda come l’omosessualità è una devianza grave».

E ancora: rispetto alla dolorosissima decisione di interrompere la nutrizione artificiale a Eluana Englaro, 17 anni, in stato vegetativo, Negri rompe il «silenzio orante» su Radio anch’io, per dire «che è stato compiuto un gesto di violenta eliminazione della vita su una persona debole e indifesa».

Intendiamoci, Negri non è un Don Abbondio qualsiasi, è un teologo di prim’ordine, i suoi discorsi sono assolutamente sofisticati. Uno dei suoi fedeli dei tempi di San Marino ebbe a dire: «Quanto alle sue omelie, bravo chi ci capisce tutto. Quando gli prende, gli vien fuori un linguaggio così alto, così difficile, che la cattedrale piomba in un silenzio di tomba, e vedi certe facce concentrate… Non lo so spiegare, bisogna esserci…». Negri, infatti, non si esime certo da considerazioni tanto teologiche quanto azzardate. Il suo chiodo fisso a riguardo sono le Crociate («movimento di fede, impeto gratuito e missionario»): «Noi – cristiani del Terzo millennio – alle Crociate dobbiamo molto. Dobbiamo che non si sia perduta la possibilità dei grandi pellegrinaggi in Terra Santa». Liquidando così il “piccolo” neo della violenza: «La fede dei crociati si è espressa nella violenza, ma non l’ha mai generata, una fede che è Una, e aveva bisogno del Corpo, di Gerusalemme». Ma un pezzo della Chiesa ripudia la guerra?! «Ci vuol ben altro che un po’ di pacifismo d’accatto e di cattolici che sfilano egemonizzati dai sindacati!».

Bisogna capirlo, forse. Negri, milanese, ha preso i voti «per contestare la contestazione». Fu l’incontro con Don Giussani a salvarlo, con Comunione e liberazione (di cui diverrà dal 1965 al 1967 primo presidente diocesano e ancor oggi punto di riferimento del movimento) dalle insidie del marxismo, del laicismo, del Sessantotto. Ancora di più dei ragazzi che si baciano lo fanno inorridire le donne che pretendono l’autodeterminazione e l’idea stessa che sia «l’uomo storico e terreno il protagonista della (propria) liberazione. E la liberazione si costruisce quaggiù attraverso i movimenti politici, i partiti, le avanguardie rivoluzionarie. Un mondo chiuso al trascendente».

Negri sembra avere orrore del «cristianesimo che non si impone, che non travolge, soprattutto che non dice niente di esplicito per non violare la coscienza altrui», di «una Chiesa ridotta individualisticamente a certe pratiche spirituali, a certe emozioni individuali o a una certa pratica caritativo-sociale». Un mondo in cui dominano internet («sentiero polveroso del nulla»), la fecondazione assistita (Ebola spirituale), i registri delle coppie di fatto, la Ru486, le zucche di Halloween (roba da satanisti), la meditazione yoga; film come Le Streghe di Salem («un misto di satanismo, oscenità, offese alla liturgia e alle realtà ecclesiali che rasenta livelli difficilmente tollerabili», la filosofia new age e i tarocchi, gnosticismo, millenarismo, panteismo, relativismo, sincretismo finanche il salutismo. E poi ufologismo, magia, occultismo, stregoneria, divinazione e cartomanzia. Ed è nelle parrocchie che potrebbero annidarsi le sette, magari mimetizzate «da attività di ginnastica». «Caricature della religione» per le quali «le grandi discoteche sono i primi luoghi di reclutamento e iniziazione». Si salvano solo la messa in latino, le Sentinelle in piedi e il Jobs act.

Ogni giorno, monsignor Negri, si alza alle 6 e l’ultimo pensiero della giornata è: «Rifletto sul destino, sui compiti da assegnare ai miei preti. E dico a Gesù: cerca di evitare di farmi fare cazzate».

L’intervista di Vice agli Eagles of Death Metal

La prima intervista del dopo Bataclan rilasciata a Vice dagli Eagles of Death Metal. Il racconto dei momenti della strage e la speranza di poter tornare su quel palco per la riapertura del locale. La fuga, la descrizioni dei momenti di terrore in più di venti minuti di video.

Quei patetici Skinheads e le loro minacce di cartone

Hanno pensato bene di mettere delle sagome cartonate (come il loro coraggio), immagini funebri e qualche epigrafe contro lo “ius soli” per condannare “il favoreggiamento di un’invasione pianificata di orde di immigrati extracomunitarie”, il tutto in un’operazione notturna (come i vigliacchi che hanno sempre bisogno delle tenebre) davanti alle sedi Caritas di Como, Brescia, Crema, Lodi, Reggio Emilia, Piacenza, Trento, Mestre, Vicenza e Treviso.

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L’azione è stata rivendicata dal “Veneto Fronte Skinheads” sul proprio sito in un comunicato stampa che profuma di un fascismo che galleggia tra la tenerezza che si prova per gli idioti e lo sdegno per la latente pericolosità degli stupidi:

“Di fronte ai tiepidi, rari e scarni festeggiamenti per l’anniversario della Prima guerra mondiale, l’associazione culturale (e già qui giù di grasse risate, ma del resto anche Salvini è un segretario di partito nda) intende rivendicare le azioni tenutesi nella notte di ieri, volte a denunciare chi continua a condurre un chiaro disegno politico finalizzato all’annientamento dell’identità italiana”.

Il comunicato si conclude con “Da sempre e per sempre guerra ai nemici della nostra terra!”

In un tempo in cui i Salvini o le Santanché di turno si divertono a spostare ogni giorno più in là l’asticella del limite politico nelle proprie affermazioni saremo capace di riconoscere il bordo tra le pittoresche azioni dimostrative e i semi di un adolescente terrorismo italico?

Il terrore genera mostri e i mostri spesso partoriscono fascismi e nazionalismi. E anche se in prima battuta possono sembrare inoffensivi contengono già tutta la bile e l’ignoranza pericolosa per la democrazia.

Anche per questo il Salvini di turno è il lievito indispensabile del terrorismo in tutte le sue forme.

 

Diseguaglianze: l’Europa del Sud peggio di tutte le economia sviluppate. Parola di Morgan Stanley

«Se la classe media delle generazioni uscite dal Dopoguerra poteva aspirare a migliorare il proprio tenore di vita, a una casa di dimensioni ragionevoli, a una buona istruzione per i figli e a pensioni affidabili, le aspirazioni della classe medi oggi si infrangono contro il muro della mancanza di lavoro e dell’insicurezza della pensione». Vi ci ritrovate? Peccato, perché non è il discorso di un leader della sinistra che promette di cambiare le cose ma un preoccupato rapporto della banca di investimenti Morgan Stanley.

Le 77 pagine piene di numeri e frutto di un lavoro di molti analisti ed economisti ci dicono almeno due cose: nell’Ocse, i Paesi del Sud Europa sono i più diseguali di tutti, con Portogallo in testa seguito da Italia, Grecia e Spagna e quella negli Stati Uniti tocca livelli molto simili; gli investitori – che sono quelli a cui il rapporto è rivolto – dovrebbero preoccuparsi di tali diseguaglianze perché minano la crescita e rendono i mercati e le economie più insicure. E minano la democrazia, con tutte le conseguenze economiche del caso.

La tabella qui sotto raccoglie tutti gli indicatori presi in considerazione e non è un bel vedere. Tra distribuzione del reddito calcolata con il coefficiente Gini – la più diseguale è negli Usa, dove con la crisi è aumentata, come pure in Italia – diseguaglianze di reddito basate sul enere, giovani che non lavorano e non studiano, part time involontario, accesso a internet l’Italia è messa male.Schermata 2015-11-25 a 11.25.48 PM(Morgan Stanley)

Un’altra notizia non positiva riguarda la florida ed equa Scandinavia: il Paese dove le diseguaglianze sono cresciute di più, sebbene rimangano minime rispetto agli altri Paesi Ocse è la Svezia. Segno che qui come altrove la crisi e le politiche di rigore hanno pesato.

Del resto, in Svezia come altrove sono cresciute forze politiche di destra e tra le prime preoccupazioni della popolazione c’è il controllo delle migrazioni. Se poi questa preoccupazione sia razionale o meno dal punto di vista economico è un altro paio di maniche: demografi, statistici ed economisti ci ripetono in maniera ossessiva che senza immigrazione entro pochi anni in molti Paesi sviluppati mancherà la manodopera. Quando la cancelliera tedesca Merkel  ha deciso di accogliere un numero imponente di profughi siriani è stata criticata: non è bontà è calcolo economico. Può darsi, ma meglio quello, razionale, che non le grida di chi dice “fuori tutti, dagli al terrorista” che sentiamo altrove.

Eppure spiegano gli analisti di Morgan Stanley (preoccupati) i partiti di destra anti-sistema crescono dove l’immigrazione è più alta e meno integrata.

Altra cosa da notare è come la Germania sia molto meno equa della Francia.

Cosa aggiungono gli analisti della banca di investimenti? Le diseguaglianze sono un limite alle opportunità e riducono quindi la spinta a lavorare sodo, studiare, migliorarsi: se non ce la posso fare, perché sgobbare? Inoltre, in una società diseguale il rischio è che cresca la sfiducia nei confronti delle istituzioni, alimentando la voglia di regimi e spinte anti immigrati.

Non servivano gli analisti della banca per scoprirlo, la certo, se anche le banche si preoccupano per lo stato della società, sarebbe ora cominciasse a farlo anche la politica.

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Black Lives Matters: proteste a Chicago e spari a Minneapolis

epa05040609 Protesters stand on Michigan Avenue chanting and blocking traffic after the release of a video showing Chicago police officer Jason Van Dyke, shooting 17 year old Laquan McDonald on 20 October 2014, in Chicago, Illinois, USA, 24 November 2015. A judge denied bond for Van Dyke who is accused of shooting McDonald 16 times on 20 October 2014. EPA/TANNEN MAURY

La scorsa notte a Chicago centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro gli abusi della polizia. Proprio ieri, durante una conferenza stampa, il sindaco della città Rahm Emmanuel e il capo della polizia avevano mostrato un video in cui si vede Jason Van Dyke sparare sedici colpi sul diciassettenne Laquan McDonald già ferito e steso a terra. Qui vedete due frame del video che postiamo in fondo a questo articolo (e che contiene immagini difficili da guardare)

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Qui sotto alcuni video postati sui social

In summary… #LaquanMcdonald #Chicago #protest

Posted by Ibrahim Samra on Martedì 24 novembre 2015

La diffusione del video e la incriminazione di Van Dyke per omicidio segna una novità rispetto al passato: la polizia e la politica sembrano aver capito che il tema della brutalità e dell’uso spiccio di manette e pistole è diventato delicato e sempre meno tollerabile. Due anni fa Van Dyke nessuno avrebbe mostrato il video. Durante le manifestazioni sono state arrestate alcune persone, ma non ci sono state violenze e scontri. #BlackLivesMatter è diventata adulta ed è destinata a svolgere un ruolo nei prossimi anni.

Le immagini della protesta di Chicago
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Diverso quel che è successo a Minneapolis dove da giorni BlackLivesMatters protesta davanti al quarto distretto di polizia per protestare contro la morte di un ragazzo afroamericano. Qui, per la seconda volta consecutiva, qualcuno ha sparato su chi protestava. Il giorno prima sono rimasti feriti in cinque, mentre ieri le pallottole non hanno colpito nessuno. La polizia ha arrestato quasi immediatamente le persone che avevano sparato: tre giovani di un sobborgo vicino alla città del Minnesota.

I video e le foto della protesta e della sparatoria

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In summary… #LaquanMcdonald #Chicago #protest

Posted by Ibrahim Samra on Martedì 24 novembre 2015

Il video dell’uccisione di Laquan McDonald diffuso dalla polizia di Chicago

(contiene immagini che potrebbero urtare la vostra sensibilità)

Luoghi comuni, la fatica della casa nella storia di una donna egiziana

«Tornate a casa vostra!». Certo che ci tornerebbero, se potessero. Ma molti non possono. A molte di loro, di quelle persone così sprezzantemente chiamate immigrati, scegliere dove e come vivere non è concesso. Come Mona, mamma egiziana trapiantata in Italia, nello specifico a Roma, da ormai 18 anni, e protagonista del documentario di Angelo Loy, Luoghi Comuni.

luoghi comuni trailer from angelo loy on Vimeo.

 

La sua storia è un prisma di tutte le questioni sociali che stanno scuotendo il nostro Paese, l’Europa e diversi altri continenti. Nella piccola grande storia di Mona, stazza genuina e occhi liquidi e sorridenti, pieni di vita, c’è la migrazione, abbandonare una terra, l’Egitto, e acquisire una lingua e un linguaggio, quello italiano; c’è l’emergenza abitativa: uno sfratto che nuovamente, piombando sulla vita di Mona e di suo marito Ahmed e dei loro due figli, Mohamed e Lamis, con annessa occupazione abusiva di una villa. Immaginatevi voi, domani, a dover compire una serie d’infrazioni per garantire un tetto alla vostra famiglia: quanti gli interrogativi con i quali vi confrontereste?

E ancora: i suoi figli, nati in Italia eppure incastonati della definizione e nei problemi del definirsi (o essere definiti) “immigrati di seconda generazione”. E ancora, la disoccupazione, i pregiudizi, l’esclusione. Ma anche la socialità, l’incontro, la solidarietà. Le canzoni, le amicizie, il cibo. La periferia. L’essere tutti sulla stessa barca, quella di una crisi economica e di una società che rischia davvero di dimenticarti solo da qualche parte. E l’incontro fra la Roma popolare e il popolo internazionale che questa Capitale la abita. Fino a un simbolico ritorno in Egitto.

Una catena di eventi che intrecciano una quotidianità nuova e difficile, e che il regista ha seguito da vicino con le sue telecamere, quasi a farci entrare anche noi in quei momenti, in quelle tensioni, in quelle difficoltà, e si: anche nei preziosi momenti di gioia.

Prodotto dall’associazione Asinitas, onlus che si occupa di educazione e intervento sociale, e presentato e in diversi festival, da ultimo quello del Cinema Africano di Verona, dove si è aggiudicato il Premio per il Miglior Film nella sezione “Viaggiatori & Migranti”.