Home Blog Pagina 1270

Decreto Colosseo? «Servirebbero politiche e risorse, non limiti al diritto di sciopero»

Il  Senato si appresta a discutere il “decreto Colosseo” varato il 20 settembre  e già passato alla Camera. Un decreto che la vice capogruppo di Sel alla Camera, Annalisa Pannarale  non esita a definire «illegittimo e autoritario». Le abbiamo rivolto alcune domande.

Il cosiddetto decreto Colosseo è stato varato dopo un’assemblea dei lavoratori regolarmente convocata. E riguarda il diritto di sciopero, non di assemblea. Questo cambio di materia è legittimo? E soprattutto questo provvedimento d’urgenza va contro il diritto di sciopero?

Si tratta di un atto illegittimo e autoritario contro i lavoratori e le lavoratrici. Un evento assolutamente ordinario come un’assemblea sindacale, regolarmente convocata e comunicata, è stato trasformato, a forza di tweet, in uno scandalo ai danni del Paese e dei turisti. La verità è all’opposto: quei lavoratori hanno agito a norma di legge per rivendicare diritti fondamentali, visto che pur senza compenso hanno garantito per mesi le aperture straordinarie. Ciò malgrado sono stati dipinti come i devastatori della ineccepibile gestione di politiche culturali sopraffine. Tutto falso, ovviamente. Sono stati costretti a tappare i buchi di una gestione povera di finanziamenti e disastrosa nell’organizzazione di un patrimonio culturale unico al mondo che meriterebbe ben altre cure e investimenti seri. Il decreto considera “servizio pubblico essenziale” l’apertura del luoghi della cultura, come se visitare un museo avesse la stessa urgenza di una corsa in ospedale per essere curati. Laddove di urgente c’è da disegnare politiche culturali sistemiche con risorse adeguate, attraverso il potenziamento e la qualità di organici, l’eliminazione del precariato, il recupero di un patrimonio meraviglioso, spesso disastrosamente in rovina. Questo decreto invece lascia tutto così com’è, a parte l’attacco ai lavoratori. Infatti ė ad invarianza finanziaria, non aggiunge un  euro in risorse ulteriori, non assume lavoratori e lavoratrici, non prevede investimenti per il recupero e il rilancio del turismo; ha solo l’obiettivo di limitare il diritto di sciopero per i lavoratori dei luoghi culturali, comprendendoli nelle maglie della legge 146 del 1990.

Il ministro dei beni culturali Dario Franceschini  ha commentato  la chiusura del Colosseo per assemblea sindacale con un tweet che diceva” la misura è colma”. E poi ha varato un decreto d’urgenza per limitare il diritto di sciopero. Questo provvedimento va contro la Costituzione?
Il decreto ha un profilo anticostituzionale, è persino superfluo dirlo. Non esistono ragioni di necessità e urgenza, esiste solo la fretta di un governo di attaccare il diritto di sciopero in maniera facile e veloce, sottraendosi ad ogni confronto largo con le parti sociali. Il ricorso sistematico e non eccezionale  alla decretazione d’urgenza rappresenta un palese stravolgimento dell’equilibrio e della divisione costituzionale tra poteri, ed è gravissimo e illegittimo che si limiti il diritto di sciopero con lo strumento del decreto legge. Peraltro, esiste già una specifica regolamentazione a livello di contrattazione collettiva che rende ridondante e tendenzioso l’atto legislativo del Governo. L’accordo siglato l’8 marzo 2005 tra l’ARAN e la larga maggioranza delle organizzazioni sindacali, infatti, definisce le norme di garanzia per l’ esercizio del diritto di sciopero da parte dei lavoratori del comparto Ministeri, cui fa riferimento anche il personale in forza al Colosseo. Lo stesso accordo, ritenuto idoneo con propria delibera dalla stessa Commissione di garanzia sulla legge sullo sciopero, stabilisce inoltre che in questo settore non possono comunque essere proclamati scioperi nel mese di agosto e nei periodi connessi alle festività natalizie e pasquali, garantendo quindi ampiamente l’accesso dei turisti.

Il parlamentare di Sel ed ex sindacalista Fiom Giorgio Airaudo ci ha detto che questo è un provvedimento intimidatorio verso i lavoratori. Che ne pensa?

Nessun legislatore all’altezza del suo compito dovrebbe mai agire e legiferare spinto da una scomposta onda emotiva e mediatica. Questo governo ha esso stesso alimentato e gonfiato l’onda dello scandalo e del danno per occultare  le proprie responsabilità politiche su una vertenza ignorata per troppo tempo.  Nessuno però ha mai gridato allo scandalo e al “danno per l’intero paese” quando sono  stati chiusi al pubblico la Biblioteca Nazionale di Firenze, la reggia di Venaria, Villa della Regina, insieme a tanti altri luoghi affittati per sfilate di moda o comunque eventi privati.  Naturalmente il fiore all’occhiello dell’uso disinvolto dei beni culturali pubblici, come molti  hanno ricordato in questi giorni, è stata la chiusura senza regolare autorizzazione di Ponte Vecchio per almeno tre ore da parte dell’allora sindaco Renzi per il ricevimento privato di Montezemolo.  Il ministro Franceschini e la maggioranza fingono oggi di riabilitare la dignità della cultura. Ma senza una visione d’insieme e senza impiegare nuove risorse in un piano di sistema, non resta che prendersela con i lavoratori, in particolare con i dipendenti pubblici.

@simonamaggiorel

Polonia, il ritorno della destra nazionale ed euroscettica. Sinistra fuori dal Parlamento

Le elezioni legislative in Polonia per il rinnovo di Camera e Senato hanno decretato il cambio alla guida del Paese, dal 2007 governato dal partito liberale Piattaforma Civica (PO). A vincere con il 39,1% è il partito euroscettico di destra Diritto e Giustizia (PiS), guidato da Jaroslaw Kaczynski, gemello dell’ex presidente della repubblica Lech, deceduto nel 2010 in seguito al drammatico schianto aereo di Smolensk. Al partito liberale PO il 23,4%. Un mutamento nelle preferenze elettorali del popolo polacco già preannunciato dalla vittoria alle elezioni presidenziali del 6 agosto scorso del candidato dei conservatori Andrej Duda. La sua elezione ha dato inizio ad un periodo di coabitazione tra la presidenza della Repubblica e il governo filo-europeo della Primo Ministro Ewa Kopacz, succeduta a Donald Tusk, oggi alla guida del Consiglio europeo. La nuova premier eletta Beata Szydlo e il suo partito, con 242 seggi ottenuti su 460 alla Camera, non dovranno cercare alleati per governare. Il terzo partito in Parlamento è l’anti-sistema Kukiz, e che prende il nome dal cantante rock fondatore, che ha ricevuto il 9% di voti. Gli altri due partiti del Sejm saranno Nowoczesn del liberale Ryszard Petru con il 7,1% dei voti e il Partito dei contadini (Psl) con il 5,2% delle preferenze. Fuori dalla Camera bassa, perché sotto la soglia di sbarramento dell’8%, rimangono il partito Sinistra unita (Zl) che ha avuto il 6,6%, la formazione di Janusz Korwin-Mikke con il 4,9%, e quella di sinistra sociale Razem (Insieme) di Adrian Zandberg con il 3,9%. E’ la prima volta nella storia della Polonia post-comunista che nessuna forza di sinistra ottiene abbastanza voti per entrare in Parlamento, anche se l’affluenza, che si è attestata al 52%, è stata superiore a quella registrata nelle ultime tornate elettorali. I polacchi hanno quindi deciso di far uscire definitivamente di scena il partito liberale, determinando un forte cambiamento di rotta all’interno del Paese, così come all’interno dell’Europa, in particolare per quanto riguarda la posizione antieuropeista di Diritto e Giustizia e la crisi migratoria, che è stata la principale protagonista del dibattito elettorale.

Il dibattito sull’Unione Europea

Nonostante in quest’ultimo decennio la Polonia si sia affermata come paese leader integrato alle politiche Comunitarie, riconosciuto anche dalla nomina di Presidente del Consiglio europeo di Donald Tusk, l’elettorato sia è spostato. Negli ultimi anni la Polonia ha goduto di una crescita economica quasi ininterrotta e oggi continua a registrare tassi di crescita nettamente superiori alla media europea. E’ l’unico Stato membro dell’Unione Europea che ha evitato la recessione durante la crisi finanziaria, grazie soprattutto al fatto di essersi tenuta molto alla larga dall’euro, del quale non ha mai fatto parte. Nonostante la stabilità economica, la popolazione ha espresso la propria insoddisfazione per la classe politica che ha governato la Polonia in questi ultimi anni, criticandone in particolar modo la visione europeista, che vede la Polonia legata ad un’Europa dipendente dalle scelte della Germania, paese mai amato per ragioni storico-politiche dai polacchi. Diritto e Giustizia (PiS) si è sempre presentato come un partito che antepone gli interessi nazionali a quelli comunitari, che rappresentano, sostengono i suoi candidati, solo gli interessi dell’economia e della finanza tedesche. Sostiene il mantenimento della moneta polacca e il rilancio dell’industria, che si basa su riserve nazionali di carbone, anche se questo significa scontrarsi con la politica climatica dell’Unione Europea.

Diritto e Giustizia intende inoltre promuovere misure che tassino maggiormente comparti come la grande distribuzione e il bancario, controllati prevalentemente da capitale non polacco, utilizzando il denaro che entrerebbe nelle casse pubbliche per innalzare la spesa sociale. Il fatto che la formazione euro-scettica detenga adesso il controllo, oltre della presidenza, anche del Parlamento, crea un problema rilevante per l’Unione europea: non ha più al suo fianco il suo grande alleato in Est Europa. Finora, il premier uscente Ewa Kopacz non aveva escluso un ingresso della Polonia nell’Eurozona, mentre il presidente Duda si era sempre tenuto molto cauto sull’esprimere pareri. In ogni caso, aveva sempre sostenuto che l’entrata sarebbe potuta essere portata a termine solo dietro approvazione da parte dei polacchi mediante referendum e solo quando i salari polacchi fossero stati uguali a quelli dei tedeschi, attualmente ben 4 volte superiori.

Per Bruxelles il rischio che i conservatori decidano di fare squadra con la destra al governo del premier ungherese Viktor Orban, i cui toni sono notoriamente contrari alle istituzioni europee, è molto elevato e creerebbe una situazione difficilmente gestibile. La futura premier Beata Szydło, spesso paragonata a Marine Le Pen, ha più volte detto di ispirarsi alle politiche dell’ungherese Orban. E paradossalmente l’ultranazionalismo del PiS potrebbe favorire Putin, anziché indebolirlo, perché rafforzerebbe ulteriormente le fila di quelle forze che vorrebbero un’Unione europea più debole e un’Europa ancora più divisa.

Polish Prime Minister Ewa Kopacz greets supporters as she arrives to watch the first exit polls being announced after general elections in Warsaw, Poland, Sunday, Oct. 25, 2015. Kopacz has conceded defeat after an exit poll showed that her pro-European Civic Platform party faced a decisive defeat by the right-wing Law and Justice party.(AP Photo/Alik Keplicz)
La primo minstro uscente Ewa Kpoacz saluta i sostenitori dopo la diffusione degli exit polls che la danno sconfitta (AP Photo/Alik Keplicz)

 

Ha vinto la retorica anti-migranti

Nei dibattiti televisivi pre-elettorali, la questione su cui più si sono scontrati i candidati premier è stata quella dei rifugiati. Anche se il flusso migratorio ha finora risparmiato il Paese, la decisione del premier di cedere parzialmente al piano di ripartizione voluto dall’Ue, è stata utilizzata dall’opposizione che ha gridato allo scandalo. Ha sostenuto che, facendo così, il Paese sarebbe stato islamizzato e che vi sarebbero stati problemi per la salute dei cittadini, con epidemie come il colera o la dissenteria, portate dai migranti. Concetto ribadito anche dal presidente Andreji Duda che ha parlato di molti rischi epidemiologici. Il presidente del PIS e la candidata premier del suo partito Beata Szydlo hanno fatto leva sulla paura promettendo in più occasioni di proteggere i polacchi dagli stranieri e soprattutto dai musulmani: «oggi, i polacchi sono soprattutto preoccupati per la loro sicurezza», ha detto Szydlo proponendo di aiutare i rifugiati nei loro Paesi. Il PO, già in pesante calo di consensi per i mancati assegni familiari e le promesse non mantenute sul fronte fiscale, non ha avuto vita facile su questo terreno: secondo un sondaggio pubblicato nel mese di settembre, due polacchi su tre sono contrari all’accoglienza. Consapevole della diffidenza dell’opinione pubblica il premier uscente ha insistito soprattutto sulla “ferma posizione” tenuta dalla Polonia in sede Ue con il rifiuto del sistema permanente di quote.

Varsavia ha ospitato fino ad ora circa 200 siriani cristiani, seguiti da una fondazione privata. Il governo uscente ha indicato di poter accettare più rifugiati rispetto a quanto chiesto dall’Unione europea, ma senza dare il numero esatto. Kopacz dal canto suo ha lanciato l’allarme su cosa potrebbe accadere se il Paese fosse consegnato ai conservatori del PiS: «io offro il buon senso e non il fanatismo, una Polonia civile e non una repubblica confessionale», ha dichiarato il premier uscente, commentando le posizioni del PiS vicine a quelle della Chiesa su questioni come l’aborto, la fecondazione in vitro o la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne. «Hai votato tre volte contro i diritti delle donne», ha attaccato Kopacz parlando alla sua rivale diretta Beata Szydlo.

Zerocalcare: «Nei miei personaggi vedo ben poco di eroico»

Maglietta nera, smilza. Sopracciglioni. E quell’espressione a volte basita, più spesso, disarmante e meravigliata della vita. È la creatura uscita della matita di Zerocalcare, il suo alter ego, protagonista dei libri che il fumettista romano ha pubblicato con Bao publishing e schizzati in cima alle classifiche di vendita dei libri prima ancora che il suo schivo autore avesse avuto modo di rendersene conto. «Non durerà, sarà un fenomeno passeggero» ripete a sé stesso e agli altri il trentunenne Michele Rech in arte Zerocalcare. Immaginando di tornare presto a dare ripetizioni di francese per sbarcare il lunario. E a disegnare per diletto nei centri sociali della periferia romana, dove è cresciuto e dove si sente più a suo agio. «Qui conosco tutti e non avverto nessun pericolo», dice di Rebibbia, dove sorge il carcere. «Un quartiere tranquillo, fatto anche di case basse con la palma che ricordano un po’ Pescara e un po’ Los Angeles». Anche in questo nuovissimo libro, L’elenco telefonico degli accolli che Zerocalcare presenta il primo novembre a Lucca Comics&Games, siamo a Rebibbia. Zigzagando fra centri sociali, computer e serie tv, qui scorre la vita di ragazzi che si danno arie da bulli, per nascondere la timidezza. Fra tutti gli inseparabili Secco e Cinghiale. Perennemente in lotta contro la precarietà, i ragazzi di Zero, però, non lo sono altrettanto nei rapporti. Tanto da «lasciarsi e rimettersi seicento volte con la stessa persona», per dirla con la vignetta che in questi giorni campeggia ad apertura del suo blog.

zerocalcare

Sono storie locali, molto personali, quelle che racconta Zerocalcare. Eppure c’è qualcosa, se non di universale, certamente di generazionale, che risuona anche a centinaia di chilometri di distanza, richiamando frotte di giovani lettori da Bolzano a Catania. Che gli hanno fatto toccare quota 200mila copie vendute con Dimentica il mio nome, approdato alle finali del Premio Strega.

Tutto è cominciato con un passaparola nel 2011, con l’exploit del blog aperto in concomitanza con l’uscita de La profezia dell’armadillo, il suo primo importante lavoro. Poi, su questa scia, sarebbero venuti molti altri titoli e, più di recente, lavori più schiettamente politici, come il suo reportage da Kobane pubblicato su Internazionale. Così, mentre va su e giù per l’Italia per presentare queste duecento pagine che distillano in vignette i suoi ultimi due anni vita, trascorso cercando di schivare gli accolli – ovvero richieste o pressioni del mondo editoriale – ci accolliamo l’impresa di provare a intervistarlo. Per giunta mentre arriva la notizia che l’incontro previsto al Circolo dei Lettori di Torino è stato cancellato perché Zero ha 39 di febbre. Suspense. Finché dall’altro capo del telefono risponde, gentile, disponibile, con un filo di timidezza nella voce. Il successo? «Ho avuto una buona dose di fortuna – si schermisce – . Il lavoro dietro a questo risultato c’è ed è molto, ma ho anche inconsapevolmente azzeccato il modo e il momento giusto per dire certe cose, che poi sono quelle che riguardano molti trentenni di oggi».

Qualcuno dice che hai saputo cogliere lo Zeitgeist, ciò che si muoveva nell’aria ma non aveva ancora trovato forma ed espressione.

A qualche livello ho colto l’esigenza di auto-narrazione che c’è nella mia generazione, fatta di giovani alle prese con la precarietà, da molti punti vista. Mentre il tempo passa e ti accorgi che non puoi più dirti un ragazzo.

 

«Qui si sposano come mosche», dice, con ironia, una tua vignetta. I tuoi antieroi rifiutano le convenzioni, le tappe obbligate della vita?

Ci vedo ben poco di eroico nei miei personaggi. Quella frase in realtà racconta davvero ciò che sta accadendo intorno a me. Molti amici si sposano, il tempo passa, e io non sono poi così sicuro che la strada che ho intrapreso sia la migliore. La vivo con un po’ di ansia, con la sensazione di perdere parti di me, della mia identità. Temo che tutto questo, alla fine, mi lasci solo una grande aridità.

Per Einaudi hai disegnato la copertina di Honky Tonk Samurai, il nuovo libro di un autore cult, visionario, come Joe Lansdale e hai disegnato la locandina della giornata per Stefano Cucchi il 31 ottobre a Roma. Presto tornerai a fare cose più politiche?

L’ho sempre fatto, fin dai tempi del G8 di Genova e nell’underground dei centri sociali. Ora vorrei tornare a raccontare la resistenza curda. Sto lavorando al progetto di un nuovo libro. Quando sono andato la prima volta non era per fare un reportage, ero andato con attivisti poco prima della strage di Suruc, che ha segnato l’inizio di un’escalation di violenza. Erdogan usa la scusa dell’antiterrorismo per azzerare la resistenza kurda.

Mentre parliamo arriva la notizia che Erri De Luca è stato assolto. Dacci il tuo commento “in diretta”.

La richiesta di condanna per Erri De Luca per istigazione era assurda, tutta la vicenda dei processi sulla Tav lo è. È un’aberrazione politica che siano stati richiesti danni ai manifestanti, che dovrebbero sborsare somme impossibili. Che non hanno la possibilità di sollecitare i media perché non sono nomi noti.

copertina_Left_412015

 

Trovi questo articolo nel numero 41 di Left in edicola e in digitale dal 24 ottobre

 

SOMMARIO       ACQUISTA

 

 

 [social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/simonamagiorell” target=”on” ][/social_link]  @simonamagiorell

E Blair chiede scusa per l’Iraq (per evitare di fare una pessima figura)

Tony Blair chiede scusa per l’Iraq. Era ora, anche se non lo fa fino in fondo e, se sceglie di farlo, lo fa per ragioni di autodifesa prima di ricevere un colpo.Con un’intervista concessa a Fareed Zakaria sulla CNN, l’ex premier laburista fa quello che fino ad oggi non aveva ancora fatto: spiegare che le ragioni che hanno portato la coalizione dei volenterosi a invadere Iraq nel 2003 non avevano fondamento. «Chiedo scusa per aver seguito delle informazioni di intelligence sbagliate e anche se sappiamo che Saddam usò armi chimiche contro il suo popolo, il programma che ritenevamo esistesse non esisteva nelle forma in cui lo pensavamo. E devo anche chiedere scusa per quanto non abbiamo previsto e pianificato su quanto sarebbe capitato una volta caduto il regime…ma ancora oggi credo che l’Iraq senza Saddam sia migliore di quanto non lo fosse»· Quanto all’ascesa dell’Isis, Blair spiega che, certo, c’è una parte di responsabilità della guerra in Iraq sulla crescita dello Stato islamico, ma che le primavere arabe e la guerra in Siria «dove l’ISIS è nato» hanno comunque avuto un impatto cruciale. La portavoce di Blair ha smentito categoricamente che nell’intervista l’ex premier abbia cambiato posizione in qualche modo, la verità  è che questa uscita ha die ragioni fondamentali.

Cosa è successo? La sconfitta del blairismo anche nel suo stesso partito ha portato il campione della Terza via a ripensare se stesso? Non esattamente. Appare sempre più chiaro che la Iraq Inquiry, l’inchiesta sull’ingresso della Gran Bretagna in guerra nota come rapporto Chilcot, un milione di pagine che spiega che l’intelligence e il piano sul dopo erano sbagliate e poi chissà che altro. Il rapporto è pronto da anni ma non è stato reso pubblico. La diffusione di un meno riservato di Collin Powell a Bush domenica scorsa, indica chiaramente che Blair era già arruolato in un’eventuale guerra irachena nel 2002. Il memo viene scritto prima del vertice di Crawford – che i due leader hanno sempre detto non sia stato il luogo in cui la guerra è stata decisa e nel testo si legge:  «In Iraq, Blair sarà con noi se dovessimo ritenere che un’operazione militare è necessaria. E’ convinto su due punti; la minaccia è reale; e il successo contro Saddam produrrà un successo regionale».

Il documento spiega che durante il vertice Blair renderà pubblici gli argomenti sui quali conviene con gli Usa e spiegherà perché «ritiene reali le minacce alla pace dell’Iraq».  Il documento, insomma, rivela in maniera incontrovertibile che il governo britannico era pronto a schierare le sue truppe al fianco di quelle americane a prescindere.

Il rapporto Chilcot è stato scritto tra 2009 e 2011 e non è stato diffuso per ragioni di sicurezza e segretezza – ad esempio ci sono state lunghe trattative con gli americani per capire quali documenti secretare. Dopo le rivelazioni del Mail on Sunday, che ha pubblicato il memo domenica scorsa, le pressioni per la pubblicazione del rapporto sono enormi. E probabilmente Blair decide di mettere le mani avanti con l’intervista a Zakaria. Resta il disastro in politica estera e la fine ingloriosa di un’esperienza di governo che era stata, per il rinnovatore del Labour, una marcia trionfale proprio fino all’Iraq. Dopo di allora, prima la guerra e i suoi disastri e poi, quando Blair aveva già lasciato il trono a Gordon Brown, la crisi finanziaria, hanno di fatto distrutto la sua eredità politica. Un’eredità sepolta dall’ascesa di James Corbyn alla guida dei laburisti, che in queste ore sono un po’ in imbarazzo: se il nuovo leader è sempre stato contro la guerra, massacrare una figura tanto importante (e ancora piena di alleati ed ex adepti nel partito) potrebbe essere un autogol. Nel frattempo però, contro Blair si scaglia lo Scottish National Party, che con la sua leader Nicolas Sturgeon chiede con forza la pubblicazione del rapporto Chilcot. Se Blair ha perso i britannici con la guerra, si può senza dubbio dire che una delle ragioni per l’abbandono da parte degli scozzesi del partito laburista è anche la guerra in Iraq.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/minomazz” target=”on” ][/social_link] @minomazz

Tap, la Regione Puglia ferma il gasdotto. Il comitato: «Ora si revochi l’autorizzazione»

Non potranno partire, come previsto, il 2 novembre i lavori preparatori per il gasdotto che entrerà dall’Adriatico fin sulla spiaggia di San Foca, nel comune leccese di Melendugno. Lo ha stabilito la Regione Puglia con due note del dirigente del Servizio Ecologia, mettendo di fatto i bastoni fra le ruote alla Tap, la Trans Adriatic Pipeline già autorizzata e “benedetta” dagli ultimi governi.

Reagendo a una sollecitazione proprio del ministero dell’Ambiente, la Regione ha spiegato di non poter condurre a termine le verifiche sulle prescrizioni ambientali contenute nell’autorizzazione a Tap, perché non è ancora disponibile il progetto esecutivo validato previsto dall’autorizzazione unica. Spacchettando di fatto il progetto, la Tap non avrebbe effettuato alcune opere previste come antecedenti alla data di inizio lavori, fissata al 16 maggio 2016 dall’Autorizzazione unica rilasciata dal ministero dello Sviluppo Economico.

infog-tap_left-372015

 

Dal canto suo, la società ritiene di poter procedere per lotti e quindi di dover mettere in pratica le prescrizioni “preliminari” di volta in volta e non tutte insieme prima di dar via al cantiere. L’obiettivo è quello di accelerare i tempi per concludere i lavori in tre anni e avviare l’erogazione del gas nel 2020. «Una superficialità sconcertante» esordisce Gianluca Maggiore del Comitato No Tap, «Lo stop della Regione è partito su iniziativa del comitato no Tap e del Comune di Melendugno, ma le contestazioni arrivano anche da soggetti come L’Arpa e da autorità “nazionali” come l’Ispra e lo stesso ministero dei Beni culturali, escluso di fatto dalla procedura autorizzativa. Non è soltanto una questione di competenze, ma anche di responsabilità. Chi doveva dire la sua in base alle procedure, fa presente che non ha avuto la possibilità di farlo».

La diffida riguarda anche l’occupazione delle aree di Melendugno incluse nel catasto degli incendi: in base alla legislazione vigente (finalizzata a evitare che si incendino aree agricole con l’obiettivo di cementificare), la destinazione d’uso delle aree interessate dal cantiere non potrebbe cambiare prima di 15 anni e per la realizzazione di insediamenti civili e produttivi bisogna attendere 10 anni, vale a dire il 2021.

«In sede di conferenza dei servizi, il sindaco di Melendugno Marco Potì (qui una sua recente intervista a Left, ndr)  fece mettere agli atti la sovrapposizione tra aree incendiate sottoposte a vincolo e i cantieri della Tap – spiega l’esponente del Comitato No Tap -, spiegando che ciò gli impediva di concedere il permesso a costruire. In questa fase il comitato e il Comune hanno semplicemente comunicato con posta certificata alla presidenza della Regione questa notizia». Una comunicazione che ha di fatto costretto la Regione, proprietaria di una particella di terreno incendiato e vincolato (quindi perseguibile penalmente in caso di edificazione prima dei termini), a diffidare la società dall’effettuare qualsiasi lavoro.

«Quella particella, la 148 del foglio 9, è vincolata fino al 2021, ma il Comune ora ha inviato al ministero dello Sviluppo economico, che ha concesso l’autorizzazione unica, la lista di tutte le particelle vincolate invitandolo ad annullare l’autorizzazione in autotutela». Un risultato che rimescolerebbe le carte della Tap e a sentire Maggiore assolutamente a portata di mano, «perché è già accaduto in passato in Puglia che si ritirasse un’autorizzazione in autotutela, con il rigassificatore di Brindisi. Altrimenti saremmo davanti a un caso di accanimento terapeutico». La patata bollente, ora, è nelle mani del ministro Guidi.

Tina Modotti, impegno, fotografia, vicenda personale: una retrospettiva a Udine

Attrice di teatro e di cinema, artista di avanguardia, ma anche protagonista dei grandi movimenti politici e sociali della prima metà del Novecento. A 36 anni dall’ultima grande esposizione dedicata alla fotografa dalla sua città, Udine dedica a Tina Modotti una grande mostra “Tina Modotti: la nuova rosa. Arte, storia e nuova umanità”. L’esposizione, aperta da qualche giorno, presenta le foto di Tina Modotti tratte dai negativi originali e arricchita dalle le più recenti acquisizioni riferibili sia alla storia familiare, sia all’arte fotografica, sia all’impegno politico e sociale di Tina Modotti.

In mostra a Udine saranno esposti nuovi documenti e materiali fotografici inediti provenienti dal lascito della sorella Jolanda Modotti. Si tratta di fotografie originali di Tina e dei suoi familiari in riferimento al contesto udinese, al soggiorno e alla cerchia delle amicizie negli Stati Uniti e nel Messico degli anni ’20, oltre a carteggi tra Jolanda, Vittorio Vidali e Silvia Thompson. Verrà inoltre esposta nella sua interezza, per la prima volta in Italia e in Europa, la nuova documentazione fotografica sulle Scuole libere di agricoltura di cui l’Istituto Nacional de Antropologia e Historia di Città del Messico è entrato recentemente in possesso grazie alla donazione di Savitri Sawhney, figlia dell’esule indiano Pandurang Khankhoje. Tale documentazione contiene una serie di 18 fotografie, scattate da Tina Modotti, rimaste in gran parte sconosciute fino a tempi molto recenti.

La mostra resterà aperta al pubblico fino al 28 febbraio 2016 dal martedì alla domenica dalle 10.30 alle 17 (chiuso il lunedì).

Museo d’Arte Moderna e Contemporanea – Casa Cavazzini

(immagine in evidenza: Arnold Schroder, Tina a Hollywood, Stati Uniti 1920)

Tina Modotti_07Calle, Messico 1924

Tina Modotti_01_rTina Modotti, Mani di burattinaio, Messico 1929

Tina Modotti_03Tina Modotti, Mani di contadino, Messico 1929

Tina Modotti_05Tina Modotti, Falce, pannocchia e cartucciera, 1928

Tina Modotti_08Tina Modotti, Madre incinta con bambino in braccio, Messico 1929

Combattenti per la libertà

Ci sono voluti ben 10 anni di lavoro e ricerca per mettere insieme la mostra Partigiani di un’altra Europa, dal 25 ottobre all’8 dicembre a Trieste nelle sale di Palazzo Gopcevich. Lo straordinario lavoro fotografico firmato da Danilo De Marco e i testi di scrittori, storici e giornalisti che lo accompagnano permettono uno straordinario viaggio nella memoria collettiva della Resistenza di tutta Europa. Un viaggio raccontato attraverso 59 volti, ritratti in primo piano, da vicino, vicinissimo anzi, e stampati per la prima volta su carta fotografica, in grandi dimensioni. Qui le parole di Erri De Luca danno voce all’anima della mostra e ricordano la stora della Resistenza d’Europa.

partigiani-danilo-de-marco-resistenza

foto di Danilo De Marco

Una persona può lasciare solo una cosa che continuerà ad appartenerle, il nome.
La peggiore condanna è tramandarne uno cattivo. Sono contrario alla prigionia dei vecchi, anche se maledetti, come i responsabili dei crimini di guerra. Tenere in cella un ex nazista, un Pinochet novantenne, è umiliante per il carceriere e poco toglie al reo. È giusto istruire i processi, portare alla sbarra il criminale anche da vecchio, interrogarlo davanti ai superstiti, alle generazioni seguenti.
È giusto condannare alla pubblica infamia il suo nome. Quella sarà la sua pena irreparabile, lasciare un nome che fa rabbrividire di disgusto, che spinge gli eredi a cambiarlo.
Le facce visitate e raccolte da Danilo De Marco lasciano un buon nome, un bene che si allarga ai discendenti ma che resta intera proprietà di chi lo portava. Il nome è l’eredità. Di queste facce il titolo, il predicato resterà: combattente per la libertà.
I fascismi crollarono per la loro avventura in guerra. I fascismi che si astennero durarono a lungo in Spagna, in Portogallo. Ci voleva la guerra, voluta dai regimi di Germania, Italia, Giappone, per sconfiggerli. Allora fu giusto, per riscattare il nome del loro Paese, che una minoranza di italiani prendesse le armi contro gli occupanti tedeschi e gli altri italiani al loro servizio. Fu giusta la guerra civile, l’attacco di una minoranza in inferiorità numerica contro un esercito ben addestrato che reagiva con rappresaglie e stragi di inermi. Il Millenovecento è stato un secolo specializzato in sterminio di indifesi, più che di soldati.
Allora è stata giusta la guerra secondaria combattuta nell’aspro dei monti, nella clandestinità urbana. Quella lotta armata non poteva decidere la sorte di quell’urto mondiale tra eserciti, ma poteva contribuire alla sconfitta dei fascismi e al buon nome di un popolo nuovo.

[divider] [/divider]

I fascismi crollarono per la loro avventura in guerra. Fu giusta la guerra civile, l’attacco di una minoranza contro un esercito ben addestrato. Il Millenovecento è stato un secolo specializzato in sterminio di indifesi, più che di soldati

[divider] [/divider]

Solo in Jugoslavia la guerra partigiana riuscì da sola a vincere contro nazisti e fascisti, senza intervento di russi e di americani. Da noi la lotta armata partigiana fu guerra secondaria, perciò più amara, più dura da combattere davanti all’evidenza che i fascismi alla fine del ’43 erano in rotta e il loro crollo solo questione di tempo. Quei nostri partigiani, quella spicciola minoranza di popolo agì lo stesso per guadagnarsi il dopoguerra della dignità. Quella minoranza si procurò il rispetto, poi l’affetto di una maggioranza che stava a guardare alla finestra, aspettando la fine della guerra. Solo anni più tardi quella maggioranza si mise a celebrare la lotta partigiana. L’Italia di quel primo dopoguerra credeva ancora nella monarchia, nella più sbracata famiglia di regnanti in fuga di tutta la storia moderna di Europa.

partigiani-danilo-de-marco-resistenza-2
foto di Danilo De Marco

E ci volle un referendum a conteggio assistito, incoraggiato, per dichiarare l’Italia una Repubblica.
L’Italia del dopoguerra mise in soffitta le donne e gli uomini che l’avevano liberata a mano armata. E oggi queste sono le ultime facce, l’ultima stesura di una gioventù coraggiosa che fece la cosa giusta al prezzo più alto.
Lasciano un buon nome, di quelli da nominare a una tavola alzandosi in piedi e toccando bicchieri alla loro salute.

copertina_Left_412015

 

Trovi questo articolo nel numero 41 di Left in edicola e in digitale dal 24 ottobre

SOMMARIO       ACQUISTA

 

 

 [social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/erriders” target=”on” ][/social_link]  @erriders

Cile, no all’aeroporto intitolato a Pablo Neruda: «Era comunista»

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista brasiliana OperaMundi il 22 ottobre 2015

Dopo tre anni di dibattito, arriva un altro fallimento. Il progetto per cambiare il nome dell’aeroporto della capitale cilena “Pablo Neruda Airport” è stato rovesciato lunedi 19 ottobre, dopo che i rappresentanti della destra in Parlamento in seno alla Commissione per la Cultura, Arti e Comunicazioni della Camera dei Rappresentanti hanno detto di avere i voti necessario per impedire che venga portato alla plenaria.

Due argomentazioni sono state sollevate dai parlamentari per giustificare il parere negativo del progetto. Il più controverso riguarda il fatto che il poeta sia stato un militante del Partito comunista. Secondo il deputato Ignacio Urrutia, del partito di estrema destra Udi, «Neruda é una figura che divide i cileni, ci sono molte figure migliori, che sono capaci di unirci come Paese».

SCL_Terminal
L’aeroporto di Santiago del Cile, che oggi si chiama Arturo Merino Benítez

Anche Jorge Rathgeb, del partito Rinnovamento Nazionale, ha messo in discussione il progetto, sostenendo che «Neruda potrebbe essere il nome per un Centro culturale, ma non per un aeroporto. Sarebbe come battezzare un ospedale con il nome di Ivan Zamorano (calciatore cileno degli anni 90, ndr)».

Dalla scorsa settimana, l’opposizione già affermava di possedere i sette voti necessari per rovesciare il progetto, e lo ha confermato con una dichiarazione del deputato indipendente Gaspar Rivas, che sosteneva “con la scelta di una posizione politica, Neruda ha smesso di essere di tutti i cileni ed è divenuto un’icona del Partito comunista». L’unico rappresentante della destra che ha tentato di rivendicare il progetto stata Issa Kort, dell’Udi, che ha proposto di aggiungere la parola “Poeta” all’intitolazione: «La posizione politica di Neruda divide i cileni, ma la sua opera letteraria ci unisce, per questo il progetto dovrebbe portare il nome “Aeroporto Poeta Pablo Neruda”». Ma la sua proposta non è stata accolta dai suoi colleghi.

Un altro argomento utilizzato è stato quello del costo che il progetto dovrebbe avrebbe, su questo è stato interrogato uno dei suoi autori, il deputato Pepe Auth: «L’aeroporto di Santiago sta attraversando un proceso di ampliamento, il che richiede nuovi investimenti nella sua infrastruttura, e se includeremo il mutamento del nome in questo progetto potremo ottimizzare buona parte dei costi».

Pablo Neruda, oltre a essere un grande nome della letteratura latinoamericana e mondiale, è stato militante e senatore per il Partito comunista cileno
Pablo Neruda, oltre a essere un grande nome della letteratura latinoamericana e mondiale, è stato militante e senatore per il Partito comunista cileno

L’altro autore del progetto, il presidente del Partito comunista del Cile, Guillermo Teillier, ha affermato: «Il progetto non aveva nessuna mira di essere di parte, e solo pretendeva di dare a questo spazio, per il quale passano migliaia di cileni e stranieri ogni giorno, il nome di qualcuno che rappresentasse il popolo di questo Paese e la cultura di cui godiamo noi stessi e chi ci viene a fare visita», ha affermato.

Oltre a essere uno dei più grandi poeti di lingua spagnola e no dei grandi nomi della letteratura latinoamericana e mondiale – e vincitore di un Premio Nobel per la Letteratura nel 1971 -, Pablo Neruda è stato un militante del Partito comunista, per il quale fu eleto senatore nel 1945, come rappresentante delle province del nord del Paese. Nel 1948, la sua militanza lo obbligò a fuggire dal Paese, dopo che il decreto legge di Difesa permanente della democrazia – chiamato Lei Maldita –, collocò il c nella clandestinità e determinò la persecuzione dei suoi seguaci.

D’altra parte, ci sono anche pressioni da parte della Fuerza Aerea de Chile (il ramo aereo delle forze armate cilene, ndr). Attualmente, l’aeroporto di Santiago porta il nome di Arturo Merino Benítez, considerato per l’aviazione cilena il fondatore della LAN Chile – l’impresa che recentemente si è fusa con la brasiliana Tam, creando la multinazionale Latam. È stato per andare incontro alla Fuerza Aerea de Chile – e già prevedendo il rovesciamento del progetto di questa settimana – che la squadra di governo ha presentato una nuova versione, la scorsa settimana, che prevedeva due nomi per l’aeroporto. Poi, al termine delle operazioni di ampliamento, il terminal internazionale si chiamerà “Pablo Neruda”, in quanto il terminal per i voli nazionali manterrà il nome “Arturo Merino Benítez”.

La nuova proposta ancora non è stata discussa dall’opposizione e, trattandosi di un progetto nuovo, la sua valutazione in Commissione potrebbe avvenire non prima del 2016.

 

traduzione di [social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/TizianaBarilla” target=”on” ]@TizianaBarillà[/social_link] @TizianaBarilla

 

Kashmir, Palestina, Nicaragua, Egitto: le foto della settimana

Children play around a local market where general goods and food items are sold in Abidjan, Ivory Coast, Wednesday, Oct. 21, 2015. Ivory Coast holds presidential elections on Sunday as incumbent President Alassane Ouattara and other political party's allowed to hold political rallies till end of Friday evening. (AP Photo/Schalk van Zuydam)

Un viaggio per il mondo attraverso alle foto più belle della settimana:

A young boy is illuminated by stained-glass window light during a funeral service for three children killed in a Minneapolis house fire, held by the Spiritual Church of God at the Elim Lutheran Church, Saturday, Oct. 17, 2015, in Robbinsdale, Minn. Authorities say the mother of three children was not home when the blaze started. (Aaron Lavinsky/Star Tribune via AP) MANDATORY CREDIT; ST. PAUL PIONEER PRESS OUT; MAGS OUT; TWIN CITIES LOCAL TELEVISION OUT
I funerali di tre ragazzi morti nell’incendio della loro casa a Minneapolis (Aaron Lavinsky/Star Tribune via AP)

 

A man sits inside a local restaurant displaying posters of Guinea’s incumbent President Alpha Conde, in Conakry, Guinea, Saturday, Oct. 17, 2015, Guinea President Alpha Conde is far ahead of his closest competitor in his bid for re-election and could garner enough support to avoid a runoff, according to preliminary results available Saturday. (AP Photo/Youssouf Bah)
Conakry, Guinea, oggi verranno annunciati i risultati delle presidenziali, è possibile che il presidente Alpha Conde ottenga più del 50%, evitando il ballottaggio.(AP Photo/Youssouf Bah)

 

A Kashmiri Muslim protester throws back exploded tear gas shell at Indian security personnel amid tear gas smoke during a protest in Srinagar, Indian controlled Kashmir, Friday, Oct. 16, 2015. Police fired teargas and rubber bullets to disperse Kashmiris who gathered after Friday afternoon prayers to protest against Indian rule in the disputed region. (AP Photo/Dar Yasin)
Srinagar, Kashmir indiano, proteste dei musulmani  kashmiri dopo le preghiere del venerdì contro quella che definiscono l’occupazione indiana (AP Photo/Dar Yasin)

 

Esmail Ahmed , 82 years old, casts his ballot at a polling station during the final day of the first round of parliamentary election, in Fayoum , Egypt, Monday, Oct. 19, 2015. Egyptian authorities have given government workers a half-day off Monday in an attempt to bolster low turnout in the country’s parliamentary election. The government has not released turnout figures for voting on Sunday. (AP Photo/Eman Helal)
Fayoum, Egitto, Esmail Ahmed , 82 anni, vota alle elezioni politiche. Per incentivare la partecipazione (molto bassa), il governo ha dato mezza giornata di ferie. (AP Photo/Eman Helal)

 

A Palestinian protester runs for cover from tear gas fired by Israeli soldiers during clashes with Israeli troops near Ramallah, West Bank, Saturday, Oct. 17, 2015. Israelis shot dead three Palestinians they said had attacked them with knives on Saturday in Jerusalem and the West Bank city of Hebron, the latest in a month of violent confrontations. (AP Photo/Majdi Mohammed)
Ramallah, un’immagine degli scontri di mercoledì scorso (AP Photo/Majdi Mohammed)

 

A riot police fires from a homemade mortar during clashes with residents and miners in El Limon, Nicaragua, Saturday, Oct. 17, 2015. Miners have been on strike for weeks after the firing of three union leaders, blocking access to the mine with roadblocks made of rocks and branches, affecting operations. The miners and their families are demanding the Canadian mining company B2Gold rehire the three former workers, saying their dismissals were unjust. By midday Saturday, police has taken control of the mining town. (AP Photo/Esteban Felix)
El Limon, Nicaragua, la polizia contro i minatori in rivlolta contro la B2Gold, compagnia mineraria che ha licenziato tre loro colleghi (AP Photo/Esteban Felix)

 

A police officer hacks open packages of cocaine with a machete before they're burned in Panama City, Friday, Oct. 16, 2015. According to National Police, they destroyed at least 10 tons of cocaine, marijuana and heroin seized nationwide over the past month. (AP Photo/Arnulfo Franco)
Panama City, la polizia si prepara a un rogo di cocaina, hashish ed eroina da tre tonnallate (AP Photo/Arnulfo Franco)

 

A woman rests aboard a train heading towards Serbia, at the transit camp for refugees near the southern Macedonian town of Gevgelija, early Thursday, Oct. 22, 2015, as migrants make their way across Europe by the tens of thousands, fleeing war or seeking a better life. A U.N. refugee agency field officer says a large number of families with small children have been among the thousands of migrants and it is a tendency seen over the last couple of weeks. (AP Photo/Boris Grdanoski)
Gevgelija, Macedonia, una donna riposa su un treno mentre viaggia verso un campo profughi in Serbia (AP Photo/Boris Grdanoski)

 

Bahrainis run into a house in an attempt to escape police tear gas and shotgun fire during clashes in the western village of Karzakan, Bahrain, Tuesday, Oct. 20, 2015. Clashes erupted after police began removing street decorations for the Shiite religious occasion of Ashura, a 10-day mourning period for an early Shiite saint. (AP Photo/Hasan Jamali)
Bahrein, scontri tra sciiti e polizia in occasione delle festività dell’Ashura  (AP Photo/Hasan Jamali)

 

epa04988366 YEARENDER 2015 JUNE A Burundian protester reacts during an anti-government demonstration in the capital Bujumbura, Burundi, 03 June 2015. Protesters, saying that they were disappointed that the East African leaders didn't ask President Pierre Nkurunziza to give up his bid for a third term, resumed their citywide protests on 02 June. EPA/DAI KUROKAWA
Burundi, proteste a Bujumbura dopo che il presidente Pierre Nkurunziza ha annunciato che correrà per un terzo termine con il benestare dell?Unione africana (EPA/Dai Kurokawa)

 

 

epaselect epa04990768 An Indonesian man rides a wooden boat amid thick yellow haze on Kahayan river in Palangkaraya, Central Kalimantan province, Indonesia, 23 October 2015. Forest fires that have raged on Indonesia's Sumatra and Borneo islands for more than three months could last until the end of November, a disaster management official said. Land and aerial fire-fighting teams have failed to extinguish the fires that have blanketed parts of South-East Asia in choking smog. EPA/HUGO HUDOYOKO
Sul fiume Kahayan, Indonesia: Sumatra e e Borneo sono devastate dagli incendi da tre mesi, rendendo l’aria irrespirabile (EPA/Huho Hudoyoko)

 

Sei un supereroe solo se usi i tuoi poteri per gli altri

Questa volta Claudio Santamaria lo ritroviamo nei panni di un supereroe un po’ coatto, un Jeeg robot italiano che si destreggia tra le bande di Tor Bella Monaca e i social network. Dopo averlo visto in Diaz (per Daniele Vicari), dentro il pigiama di Pentothal che in Paz! (di Renato De Maria) urla «Amatemi» dalla finestra, e dopo aver incarnato un impeccabile Rino Gaetano per la tv, per il suo 35esimo film Gabriele Mainetti gli cuce addosso Enzo, il protagonista di Lo chiamavano Jeeg robot. Romano, cresciuto al quartiere nord Prati, Santamaria ha girato le scene a Tor Bella Monaca, periferia capitolina, «un quartiere piuttosto pesante da vivere, una realtà dura dove i ragazzini si sparano in faccia», racconta l’attore. La linea tra realtà e fantasia, quando si parla di supereroi, è sottilissima.
Stavolta sei Enzo, un Jeeg robot italiano che si destreggia tra il Tevere, Tor Bella Monaca e i social network. Perché la gente ha bisogno dei supereroi?
Da una parte c’è un’identificazione. Ma credo ci sia anche la ricerca di un dio, cioè la speranza che arrivi un essere con dei poteri sovrannaturali che in qualche modo ci salvi e ci guidi.
Il supereroe che interpreti, all’inizio ha un carattere “negativo”: sei un ladruncolo che pensa di usare i superpoteri per la tua attività criminale. Poi diventa “positivo”, e combatte i criminali guidati dal boss di piccolo taglio interpretato da Luca Marinelli. È verosimile una tale trasformazione?
C’è una frase di David Lynch che è una delle cose più illuminanti che abbia mai letto in vita mia: «Le persone non cambiano, si rivelano». All’inizio il mio personaggio ha una chiusura verso il mondo dovuta a una sofferenza, a delle perdite, che lo hanno allontanato dalla gente e che lo fanno pensare solo a sé. È un egoista, ma egoista non significa essere cattivi. Il cambiamento è l’amore, che è la vera trasformazione, il vero superpotere. È quello che lo trasforma da supercriminale in supereroe. Solo quando mette i suoi poteri al servizio degli altri, diventa un supereroe, non basta avere dei poteri altrimenti sarebbe solo “uno con dei poteri”.
«Se avessi davvero i superpoteri irromperei in Parlamento», hai dichiarato ad Adnkronos. E poi cosa faresti?
(ride) Beh è ironico… ma neanche tanto. Innanzitutto manderei via tutte le persone indagate, e poi farei giustizia, perché per me non abbiamo un governo giusto. Certo, in Parlamento già ci sono dei supereroi, persone che si battono per la verità e per l’onesta. Ed è questo secondo me quello per cui dovrebbe battersi un supereroe. Perciò se io li avessi farei questo, semplicemente: manderei via le persone che non sono né oneste, né sincere.

copertina_Left_412015

 

Trovi questo articolo nel numero 41 di Left in edicola e in digitale dal 24 ottobre

SOMMARIO       ACQUISTA

 

 

Insomma, povera la patria che ha bisogno dei (super)eroi?
Esattamente!
La nostra storia di copertina parla di “rivoluzione del pubblico gentile”, quanto bisogno abbiamo in Italia di gentilezza?
Un bisogno smisurato. Quando ci viene dato un seme di gentilezza siamo talmente disabituati a questo che non ci crediamo più, appena arriva qualcuno che è onesto e vuole fare il bene di questo Paese siamo diffidenti, pensiamo sempre che ci vogliano fregare. E invece le persone che fanno davvero le cose per la gente esistono, ci sono. Bisogna ricominciare a fidarsi.
Per esempio?
Bisogna cambiare radicalmente. Ho spesso detto che credo molto nel Movimento 5 stelle. Poi, se un giorno mi deluderanno cambierò idea, ma in questo momento sono la forza politica che mi rappresenta di più. Credo che abbiano le qualità umane e le competenze per farlo, voglio dare loro fiducia.

E questa sera Claudio Santamaria sarà ospite di Fabio Fazio Che tempo che fa, proprio per parlare del suo Jeeg robot

 [social_link type=”twitter” url=”http://twitter.com/tizianabarilla” target=”on” ][/social_link]  @tizianabarilla