Home Blog Pagina 1288

E’ morto Pietro Ingrao, la sinistra delle cose impossibili

Deputato, direttore dell’Unità, amante del cinema e poeta. E poi prima figura istituzionale comunista dell’Italia repubblicana, come presidente della Camera dal 1976 al 1979, anni duri e difficili e, infine, opposizione alla svolta della Bolognina di Occhetto e alla nascita del Pds, non per ortodossia comunista, ma per timore di mettere fine a una storia senza cominciarne una davvero nuova.

E’ morto Pietro Ingrao, aveva 100 anni ed era nato a Lenola, paesino tra le montagne che separano il mare del basso Lazio dalla Ciociaria ed era una delle ultime grandi figure del partito comunista del dopoguerra ancora in vita. Per decenni rappresentò l’ala sinistra dei comunisti italiani, aprendo, fin dalla metà degli anni ’60, all’idea che nei partiti comunisti si potesse dire pubblicamente di non essere d’accordo con la linea adottata dagli organismi dirigenti o spingendo per ragionare sul senso e l’importanza dei movimenti politici giovanili non inquadrati nei partiti. Perse le partite importanti e si adeguò per disciplina, quando ci fu da espellere i dissidenti de il Manifesto (Rossanda, Pintor, Magri, Natoli, Castellina) dal partito nonostante si trattasse di un gruppo ispirato molto dalle sue idee.

novanta_20150927191057700(1965, con Pecchioli, Berlinguer, Sandro Curzi, Luigi Pintor)I 99 ANNI DELLA "QUERCIA" INGRAO, GLI AUGURI DI TRONTI(1968, all’ingresso di Botteghe Oscure, la sede storica del Pci)

30 anni dopo Berlinguer o l'amore per la politica bella

 

(1984, attorno alla bara di Berlinguer, con Nilde Iotti, Pajetta, Napolitano, Pecchioli, Minucci)

 

E' morto Pietro Ingrao / Speciale

Fu direttore de l’Unità per dieci anni e deputato dal 1950 1l 1992.  Dopo l’89 si oppose alla svolta occhettiana ricordando a tutti come certe storture del pensiero e della storia comunista lui le avesse denunciate per decenni. Ossessionato dal tentare di capire il mondo e osservarlo nei suoi cambiamenti, aveva aperto un sito internet nel 2014. Il suo era un pensiero creativo come è difficile trovarne in tutta la storia repubblicana.

 

EPPURE (di Pietro Ingrao)

Per gli incolori

che non hanno canto

neppure il grido,

per chi solo transita

senza nemmeno raccontare il suo respiro,

per i dispersi nelle tane, nei meandri

dove non c’è segno, né nido,

per gli oscurati dal sole altrui,

per la polvere

di cui non si può dire la storia,

per i non nati mai

perché non furono riconosciuti,

per le parole perdute nell’ansia

per gli inni che nessuno canta

essendo solo desiderio spento,

per le grandi solitudini che si affollano

i sentieri persi

gli occhi chiusi

i reclusi nelle carceri d’ombra

per gli innominati,

i semplici deserti:

fiume senza bandiere senza sponde

eppure eterno fiume dell’esistere.

La natura stupefacente negli scatti dell’International Landscape Photographer of the Year

Warren Keelan, AU ILPOTY

Duemilaseicentoquattro partecipanti e due vincitori e diverse sotto-categorie di foto vincenti. Foto che mostrano la natura e il paesaggio senza intromissioni umane. Scatti aerei e marini, cieli, terra, sabbia, grandi distese e acqua.  A vincere è stato l’australiano Luke Austin (che di paesaggi originali ne aveva a disposizione). 

Luke-Austin-AU-ILPOTY_A

Luke-Austin-AU-ILPOTY_B

Luke-Austin-AU-ILPOTY_C

Luke-Austin-AU-ILPOTY_D

Secondo è arrivato Ricardo Da Cunha anche lui dallAustralia.

Ricardo_Da_Cunha-AU-ILPOTY_C

Ricardo_Da_Cunha-AU-ILPOTY_D

Ricardo_Da_Cunha-AU-ILPOTY_A

Ricardo_Da_Cunha-AU-ILPOTY_B

Il premio per la miglior foto è australiano anche lui: Luke Tscharke.

Luke_Tscharke-AU-ILPOTY

Il premio lunga esposizione è di Grant Galbraith, Australia

Grant_Galbraith-AU-ILPOTY

Il premio foschia e nebbia è per lo svedese Gunar Streu

Gunar_Streu-SE-ILPOTY

Il premio neve e ghiaccio lo ha vinto Jon Martin, Gran Bretagna

Jon_Martin-GB-ILPOTY

Il premio per la foto astratta per Thierry Bornier, Cina

Thierry_Bornier-CN-ILPOTY

 

Terzo premio generale e terzo premio per miglior singolo scatto per Warren Keelan, Australia

  Warren_Keelan-AU-ILPOTY_C

Premio per la veduta aerea è di  Will Dielenberg, Australia

Tracks

“Che fai tu, luna, in ciel?”. Stanotte la super eclissi

“Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai, silenziosa luna?”. Giacomo Leopardi se lo chiedeva nello splendido e commovente Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, noi ce lo chiederemo questa notte, di fronte all’eclissi totale di Luna. E anche se lo spettacolo del nostro satellite oscurato dall’ombra della Terra, è un fenomeno naturale, siamo sicuri che proveremo stupore e meraviglia lo stesso. Perché la Luna è una fida compagna di vita: quando è piena la immortaliamo in selfie che diffondiamo ossessivamente via facebook, quando è una sottile lama ricurva sogniamo con lei il futuro. Possiamo piangere o gridare la felicità alla Luna, che rimane immobile, algida, eppur presente.

Ma stanotte sarà diverso. La “metamorfosi” della Luna inizierà alle 2.11, il culmine dell’eclissi è previsto per le 4.47 del 28 settembre. La Luna uscirà piano piano dall’oscurità verso le 5.23 e sarà fuori dell’eclissi alle 7.23. Per gli impazienti, un assaggio, è un video dell’eclissi del 2011 “catturata” dall’Inaf, l’Istituto nazionale di astrofisica.

L’eclissi di stanotte sarà speciale perché la Luna la vedremo più grande del 14 per cento. Infatti il nostro satellite si trova nella fase più vicina del perigeo, che va, ricordiamolo, dai 406.700 km (la distanza massima) ai 356.400 (la minima). Non solo più grande del solito, ma anche rossa. Un fenomeno, quello della blood moon che deve aver destato grande meraviglia ai tempi del “pastore errante” di Leopardi. Ma si spiega facilmente. Anche se la Luna si trova nel cono d’ombra della Terra, una parte dei raggi del Sole, sfiorando la superficie della Terra, viene fatta rimbalzare dall’atmosfera sul satellite, conferendole il colore rosso. L’atmosfera infatti funziona come un filtro e la luce solare perde così le componenti azzurre per conservare quelle rosse. La grande Luna rossa rende l’evento di questa notte ancora più insolito, visto che non accadeva dal 1984, mentre la prossima volta accadrà nel 2033.

Insomma Luna Rossa. Che è anche il titolo di una celebre canzone napoletana. Eccola nella versione “minimalista” ma suggestiva di Renato Carosone.

Infine, poiché la Luna ha affascinato l’umanità da sempre (Pietro Greco L’astro narrante, Springer), dai presocratici a Galileo, da Dante a Giordano Bruno, ecco un brano dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Sulla Luna, ricordiamo, si reca Astolfo a recuperare il senno di Orlando, impazzito perché la bella Angelica l’aveva tradito con Medoro. Ecco secondo l’Ariosto cosa si può trovare sulla Luna, e a dir la verità, non è che sia granché…:

Le lacrime e i sospiri degli amanti,

l’inutil tempo che si perde a giuoco,

e l’ozio lungo di uomini ignoranti,

vani disegni che non han mai loco,

i vani desideri sono tanti,

che la più parte ingombran di quel loco:

ciò che in somma qua giù perdesti mai,

la sù salendo ritrovar potrai.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/dona_Coccoli” target=”on” ][/social_link] @dona_Coccoli

Industria e lavoro dai maestri della fotografia. Al via FotoIndustria 2015

David LaChapelle

Quattordici mostre in contemporanea per raccontare il mondo del lavoro e dell’industria, in tutti i suoi complessi aspetti, raccontati dal punto di vista di chi in fabbrica ci lavora, ma anche dal punto di vista del paesaggio industrializzato, che significa modernità, ma anche forte impatto sull’ambiente circostante, cambiamento del paesaggio naturale. Per realizzare questo viaggio nel mondo dell’industria il Mast di Bologna ha inviato alcuni dei più importanti fotografi internazionali che si sono occupati di questo tema, con stili e modalità espressive differenti.

Hein-Gorny
Hein-Gorny – Rogo-Strümpfe

 

Hong Hao
Hong Hao

Così dal 3 ottobre a Bologna, nella sede del museo della fotografia progettato da Studio Labics e  fondato da Isabella Seragnoli ma anche disseminate in musei, palazzi storici e gallerie della città emiliana si potranno vedere mostre che raccontano l’industrializzazione nel mondo da punti di vista diversissimi e perfino antitetici, andando dalle fotografie estetizzanti e patinate di David Lachapelle alla immagini connotate in senso sociale di Luca Campigotto, che punta l’obiettivo sulla dismisura di navi da attraversamenti oceanici, evocando l’immagine dei grandi mezzi da crociera che sfregiano Venezia quando entrano in laguna.

Kathy Ryan
Kathy Ryan

 

Luca Campigotto

Per questa seconda edizione della Biennale Foto Industria sono stati scelti autori molto noti . Da Berengo Gardin a Burtynsky che riesce a ricavare immagini pittoriche, intense e drammatici dalle cataste di rifiuti , allo spagnolo Gonnord con una formidabile serie di ritratti di minatori. E poi talenti meno not al grande pubblico che offrono uno sguardo particolarmente originale, d’impatto emotivo. Come i lavori di Kathy Ryan (già photo editor del New York Times) e Jason Sangik Noh, oncologo che trasforma la storia della malattia di suoi pazienti in seguenze di immagini pittoriche e astratte.  A guidare la scelta del curatore dell’evento François Hébel ( già direttore dei Rencontres de la photographie di Arles) è stata la capacità degli autori nel dar vita a una propria originale visione. “I protagonisti di questa seconda edizione di Biennale fotografia/Industria – dice- hanno in comune la capacità di dire qualcosa sul lavoro a partire dal proprio profilo sentimentale”.  Spaziando fra i generi e gli stili in modo ampio. “La nostra selezione raccoglie tutte le estetiche fotografiche – racconta – Escluse quelle inerenti alla pubblicità, perché siamo interessati allo sguardo personale, al punto di vista indisturbato del fotografo”. La mostra è accompagnata da un denso catalogo pubblicato da Electa Mast, con saggi di  approfondimento di Hébel e di Urs Sthael curatore delle mostre del Mast e della sezione concorso.
Qui la mappa di tutte le esposizioni aperte dal 3 ottobre ai primi di gennaio e tutti i partecipanti

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/eleonoraforenza” target=”on” ] https://twitter.com/eleonoraforenza[/social_link] @simonamaggiorel

«Sulla Tap Renzi ci ha preso in giro»

Marco Potì è il sindaco di Melendugno, il piccolo comune della costa pugliese costretto ad ospitare l’approdo della Tap (Trans-Adriatic pipeline, che dalla costa turca dovrebbe attraversare Grecia e Albania per approdare in Salento). Tra i promotori di una protesta che coinvolge oltre trenta sindaci, Potì non risparmia parole di accusa e delusione contro il Presidente del consiglio, Matteo Renzi: «Ci ha presi in giro fin dall’inizio, sostenendo che conoscere il parere del territorio era importante e che non sarebbero state prese decisioni senza prima ascoltarci».

Signor Sindaco, il sottosegretario Claudio Vincenzi alla fiera del Levante non ha lasciato molto spazio alla vostra richiesta di trovare un approdo diverso al Tap

Nessuna novità… Alla fiera dello scorso anno Renzi volle incontrare i sindaci e disse che aspettava da noi l’indicazione di un sito alternativo. Ma una volta all’incontro ci siamo resi conto che partecipavamo a una farsa. Il governo disse chiaramente che non ci sarebbe stato tempo per valutare altre soluzioni. Da lì a poco è arrivata l’autorizzazione. Niente e nessuno è stato tenuto in considerazione. Più di 30 sindaci, due presidenti di regione succedutisi, uno dei quali dello stesso partito di Renzi, senza contare le relazioni contrarie


 

cover_left_37-759x1024

Cos’è la Tap? Quale sarà il suo percorso e perché Comuni e Regione Puglia sono  contrari? Sul Left in edicola articoli e infografiche

 

[divider] [/divider]

Che intende con relazioni contrarie?

Che sono state presentate perizie e pareri tecnici da fior di professionisti, docenti universitari e analisti. La relazione è sul sito del comune di Melendugno, potete leggerla. Senza contare che lo stesso Ministero per i Beni culturali del governo in carica ha espresso riserve sul progetto.

Quindi voi rimanete contrari al progetto per intero?

Questa è una speculazione, null’altro. Non è un progetto strategico. Non sappiamo neanche quanti siano i soldi e chi li metterà concretamente. Saranno prestiti delle banche europee? Bene, chi si prenderà l’onere delle garanzie se non gli Stati stessi e quindi i cittadini? La pagheranno i cittadini quest’opera e non solo quelli pugliesi

Mi sta dicendo che la sua è una preoccupazione che non si limita all’impatto dell’opera su Melendugno?

Melendugno e la costa pugliese subiranno conseguenze ambientali, economiche e sociali. La spiaggia di San Basilio, a nord di San Foca, è un gioiello del Mediterraneo. Ma qui non è una questione di dire “Nimby” come gli americani (not in my backyard, non nel mio cortile di casa): sono studi e analisi a confermare che abbiamo ragione ad essere contrari al progetto. E resteremo su questa posizione.

Lavoro la domenica, Italia avanti a Gran Bretagna, Francia e Germania

Chi l’avrebbe mai detto? Siamo più liberali degli inglesi. È questo il risultato di uno studio del Centre of Economic Performance della London School of Economics and Political Sciences pubblicato il marzo scorso, e ripreso di recente da #Treunumbers, sito di informazione economica giornalistica diretto da Marco Cobianchi, improntato sulla nozione secondo la quale tutto ciò che accade nel mondo può essere raccontato attraverso un grafico, una tabella, un numero.

Ebbene, l’Italia, ha liberalizzato le aperture nei giorni festivi (domenicali) a tal punto, da far scattare i vincoli del Parlamento. La Commissione Industria al Senato, nella quale è in discussione un ddl restrittivo – approvato alla fine del 2014 alla Camera – che impone la chiusura per almeno 12 giorni l’anno.

Emendamenti con ulteriori vincoli e proposte di aggiungere altre decine di giorni di chiusura obbligatoria sono attualmente al vaglio. «E questo per la gioia di vescovi e sindacati, insolitamente uniti per questa battaglia in difesa del riposo domenicale», scrive #Truenumbers.

L’Italia è dunque più economicamente “libertina” – complice probabilmente la cirisi – non solo della patria del liberismo, la Gran Bretagna, ma anche della Germania, Francia, Spagna, Grecia a Portogallo.

[social_link type=”twitter” url=”https://twitter.com/Giuppsi” target=”on” ][/social_link] @Giuppsi

Che impressione le destre europee viste da vicino

Eva Giovannini con Europa anno zero, edito da Marsilio, ci racconta le destre europee, che sono ancora lì, non fatevi illusioni, sono lì anche se per qualche settimana avete visto anche il volto di un’Europa accogliente, quella di «welcome refugee». Cronista, inviata di Ballarò, Raitre, Giovannini ha conosciuto, ripreso da vicino, le destre che definisce «sovraniste, non certo fasciste, per quanto in alcuni casi l’album di famiglia nasconda frange più estreme e nascoste».

Il Front National di Marine Le Pen (sapevate delle inchieste sui finanziamenti del Front National e che il meccanismo prevede un partito fantasma dedicato a Giovanna d’Arco? Io no), l’Ungheria di Orbán. I polacchi, e poi gli inglesi di Farage raccontanti andando a vedere il collegio elettorale più significativo, una sorta di Riccione inglese caduta in disgrazia. I tedeschi, poi, quelli che non accolgono i migranti nelle stazioni, quelli di Pegida, che hanno riempito piazze al grido «Via l’Islam dall’Europa». Le destre di chi ha preso troppo sul serio, senza cogliere la provocazione, e si è impressionato leggendo il romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione.

[divider] [/divider]

 

 

 

Left n. 37
Se questo è un uomo.
Bianca, cristiana e autoritaria. Ecco come il premier ungherese Viktor Orbàn vuole l’Europa.

Qui sullo sfogliatore online

[divider] [/divider]

La prima cosa che chiedo a Giovannini, in effetti, è quale Europa le sembra più vera, meno frutto di un racconto mediatico. Io, a naso, direi quella che accoglie i migranti: «Credo che siano vere entrambe», mi dice lei, invece, «e che nessuno delle due sia frutto solo di uno storytelling. Credo però, e spero di sbagliarmi, che l’idea di Europa che veicolano le destre sia più dura a morire dell’altra, che gli applausi alle stazioni possano spegnersi presto». La sento al telefono, mentre sta preparando una puntata di Ballarò, e i greci hanno votato da poche ore. Non possiamo che cominciare da lì. «In Grecia Alba dorata è il terzo partito, stabile», le chiedo, «pensi che dovremo abituarci?». «Lo dicono i fatti, sono ormai tre elezioni che Alba dorata vince e non arretra», conta lei: «Per quello che ho avuto modo di vedere l’elettorato non è più solo quello dei nostalgici, che negli anni 80 assicurava risultati da prefissi telefonici. Ora è molto trasversale, fatto da gente comune che ho incontrato ai seggi, infermiere, professori, pensionati che ven- gono accompagnati a ritirare la pensione». Nel libro, Giovannini ci porta, come fosse in presa diretta, nelle stanze della sede di Alba dorata. Riporta poi un suo colloquio con il fondatore del movimento che ha quel simbolo così simile a una svastica, Ilias Panagiotaros. Una cosa mi colpisce: «Sfonderemo comunque, mi creda», le dice lui quando lei gli fa notare che l’intero vertice del partito è in galera, ai domiciliari o sotto inchiesta, «è solo questione di tempo». La domanda è spontanea: «Alexis Tsipras è l’argine alla destra o è millanteria di un nazionalista?». Risposta: «Tsipras in parte assorbe una rabbia che è senza colore politico, mobile, e la assorbe perché con tutte le contraddizioni note si è posto come colui che era contro la Troika. Ma la rabbia mobile, senza una forza politica percepita come di rottura, sarebbe approdata verso l’estrema destra, sì. Anche i partiti neonati come To Potami sono infatti percepiti come complici di Pasok e Nea Dimokratia». È convinta Giovannini, che di Alba dorata spiega molte cose, ripercorrendone la trentennale storia. Io non sapevo, ad esempio, che proponesse le mine antiuomo a difesa delle frontiere.

 

Nel libro c’è anche un’intervista fatta a Houellebecq, a poche settimane dalla strage di Charlie Hebdo. Da quel momento vive in cattività, sotto scorta. Giornalista e scrittore si incontrano in un luogo segreto, comunicato all’ultimo minuto. «A Houellebecq chiedi: “Come giudica l’avanzata dei neonazionalisti in Europa?”. Lui ti risponde: “È normale che crescano. La gente ha vissuto l’Europa come un’imposizione e non come una scelta. E ora si ribella”. È così: l’Europa è il principale carburante delle destre?». «Il libro», mi spiega, «lo abbiamo chiamato Europa anno zero, proprio perché è questo l’anno in cui tutti i nodi di un’Europa che ha pensato prevalentemente ai vicoli di bilancio, sono venuti al pettine». E nella contrad- dizione si alimentano Syriza e le altre sinistra, se va bene; i nazionalisti se va peggio.

Quello che scopri con Europa anno zero, è che c’è sempre qualcuno più a destra di te. Più a destra di Orbán, ad esempio, ci sono «i migliori» di Jobbik. I nazionalisti più nazionalisti del nazionalista, che – dice Giovannini – «per rispondere alla loro concorrenza da destra, ha deciso di costruire i 175 km di muro in filo spinato al confine con la Serbia». Il loro leader, Marton Gyongyosi, sempre nel libro, azzarda una previsione: «Da qui alle prossime elezioni europee l’Europa non esisterà più, sarà implosa». Trattati economici e incapacità di gestire i flussi migratori. Quale dei due argomenti è il più forte nelle paniere delle destre? «Li alternano con la stessa facilità, anche perché sono facce della stessa medaglia», mi dice ancora Giovannini: «Il migrante fa paura proprio perché si pensa possa intaccare quel poco che si ha. Se il welfare fosse abbondante ci sarebbe meno timore, meno spazio per il populismo di tipo patri- moniale, che soffia sulla paura di veder intaccato il proprio patrimonio che è religioso e valoriale – come sa bene Orbán – ma anche economico».

Nel libro si incontrano decine di tatuaggi, simboli che evocano la Germania nazista, teste rasate. L’ultima cosa che chiedo a Giovannini è quale incontro l’abbia turbata di più, spaventata. «Jobbik», mi racconta, «è stata la conoscenza più inquietante, anche esteticamente. Sono il secondo partito ungherese, sono xenofobi, antisemiti. Alle ultime elezioni suppletive hanno preso il 35 per cento, e hanno una vera e propria milizia. Lo slogan che ti accoglie nella loro sede è – non a caso – “dalle parole ai fatti”».

[social_link type=”” url=”https://twitter.com/lucasappino” target=”on” ][/social_link] @lucasappino

SosMediterranee, la campagna europea: una nave per salvare i rifugiati

Dall’inizio dell’anno 2015 più di 100.000 persone hanno rischiato le loro vite nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mar Mediterraneo partendo dalle coste libiche. In totale, più di 2.500 di loro hanno perso la vita (fonte: Osservatorio Internazionale sulla Migrazione, 24 agosto 2015). Di fronte ai continui naufragi, alla tragedia umanitaria e alla mancanza di fondi per aiutare queste persone in difficoltà, SOS MEDITERRANEE lancia la prima campagna civile ed europea di salvataggio in alto mare finanziata dalla cittadinanza attiva.

L’obiettivo di SOS Mediterranee, insieme a Ulule e Médicins du Monde, è quello di riunire e mobilizzare i cittadini europei con un’iniziativa della società civile per raccogliere i fondi necessari per la realizzazione, al più presto possibile, di una prima operazione di salvataggio in alto mare. Ulule si è offerta così di diventare portavoce di una campagna che coinvolge tutta l’Europa, perché tutti dovrebbero impegnarsi attivamente per salvare vite umane.

«Abbiamo accettato di pubblicare il progetto SOSMed per due ragioni. La prima è molto semplice, come piattaforma generalista siamo aperti a tutti i tipi di progetti di scopo collettivo. Questo progetto quindi rientra naturalmente nella categoria che abbiamo l’abitudine di accompagnare. La seconda, e più importante, è una ragione di cuore: ci sono necessità molto urgenti che riguardano i rifugiati e la volontà collettiva di portare soccorso alle persone in difficoltà. Occorre mobilitarsi al massimo, in ogni paese, e supportare SOSMed era quindi un’evidenza naturale per il team di Ulule». (Mathieu Marie du Poset, Vice Direttore di Ulule)

Klaus Vogel_HD Sophie Beau-HDCome ha dichiarato il presidente fondatore di SOS MED, Klaus Vogel, che insieme a Sophie Beau ha dato il vida all’iniziativa, in un’intervista all’HuffingtonPost, chi fugge lo fa perché costretto, e gli stessi europei in passato si sono ritrovati a dover fuggire verso gli Stati Uniti. Non va dimenticato. Secondo Vogel, capitano con una lunga esperienza ora stabilmente in Italia, davanti a simili tragedie è la società civile stessa, non solo i governi, a dover agire e mobilitarsi perché sarebbe una follia voltarsi e fingere che nulla stia accadendo. 

[divider] [/divider]

I fondi raccolti con la campagna crowdfunding serviranno a prendere a noleggio una prima nave di salvataggio che incrocerà tra le coste italiane e quelle libiche.


 

Greece

«I finanziamenti per questo tipo di operazioni sono delicati: bisogna noleggiare una nave provvista del giusto equipaggiamento tecnico per intervenire in azioni di salvataggio in alto mare, bisogna reclutare personale marittimo, una equipe di medici e il personale necessario per garantire la logistica in mare e sulla terraferma. Per organizzare un mese di operazioni di intervento sono necessari due mesi di preparazione dell’equipaggio e del materiale di approvvigionamento. Non saremo soli, con noi ci saranno I Médecins du Monde, ma per arrivare al budget necessario abbiamo bisogno di voi!»

Il crowdfunding è una forma di finanziamento collettivo basato sulla formula delle “ricompense” che ha lo scopo di sostenere gli sforzi di artisti, associazioni, organizzazioni e di tutte quelle persone che hanno un sogno da realizzare. Uno sforzo che arriva dal basso, dalle persone comuni che, in qualche modo, si sentono coinvolte da questo sogno. Ulule, piattaforma di crowfunding francese, numero uno in Europa con oltre 10.000 progetti finanziati con successo dal 2010 (circa 1600 progetti all’anno) lancia una campagna che vuole portare un aiuto efficace ai tanti rifugiati in fuga dai paesi in guerra: questo, ora, è il loro sogno.

In pochi giorni, la campagna ha già raggiunto il primo obiettivo e superato le 200.000 euro. Con tali fondi sarà possibile il noleggio per la durata di un mese di una nave di 60 metri per gli interventi di salvataggio, in grado di raccogliere oltre 400 persone nell’arco di 48 ore. I prossimi obiettivi, 200.000 e 400.000 euro, permetterà di essere operativi con equipaggio e materiali di scorta. Lo scopo reale della campagna è superare l’obiettivo finale di 1.200.000 euro. Solo così l’associazione potrà diventare totalmente autonoma grazie alla Markab, una nave pilota di 60 metri con cui intervenire in maniera continuative e con cui salvare centinaia di vite, ogni giorno. E non solo. Il progetto prevede anche un accompagnamento psicologico, pratico (presso i centri di accoglienza) e medico, nonché il tentative di sensibilizzare non solo i governi, ma anche le persone comuni, sui rischi legati a un’errata politica sulle migrazioni.

Ultimo weekend per Dismaland, il parco distopico di Banksy

Dopo più di un mese e 150mila visite, questo weekend chiude Dismaland, mostra collettiva e parco a tema distopico concepito da Banksy nella città balneare britannica di Weston-Super-Mare. Barconi di profughi sotto alle bianche scogliere di Dover, cartellonistica e inservienti che imitano e trasformano con ironia acida l’ideale dysneiano e opere d’arte di molte grandi firme. Un successo enorme per l’idea, una massa di visitatori e, come racconta il Guardian, una manna per la cittadina già luogo di villeggiatura edwardiano. In un mese nelle tasche di albergatori, ristoratori e commercianti locali sono entrati 20 milioni in più. Segno che la cultura, persino quella punk e anarcoide di Banksy, è sempre una possibile leva per l’economia. Venerdì sera è stata la serata gran finale con un concerto con Pussy Riot, De La Soul, Damon Albarn.

Dalla strage della Mecca al voto catalano. Le foto della settimana

[huge_it_gallery id=”38″]