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Le cinque delle 20.00

Cesare Battisti sarà espulso dal Brasile. Francia e Messico possibili mete

La Giustizia federale brasiliana ha deciso di annullare l’atto del Governo federale che consentiva la permanenza nel Paese sudamericano a Cesare Battisti. Pertanto il condannato italiano per omicidio potrebbe essere estradato in Francia o in Messico, Paesi nei quali Battisti visse dopo essere fuggito dall’Italia e prima di arrivare in Brasile. Lo scrive il sito brasiliano Globo.com. Battisti è in Brasile dal 2004.

GOVERNO
Riforma della scuola, verso il rinvio. Oggi in Cdm solo le linee guida
Il Consiglio dei ministri sulla riforma della scuola in corso a Palazzo Chigi indicherà solo i contenuti, le linee guida della riforma della Scuola. Entro la prossima settimana si deciderà quale strumento legislativo usare per portare in porto in tempi ragionevoli la Buona Scuola promessa da Renzi a 8 milioni di studenti italiani e alle loro famiglie fin dal giuramento del suo governo, poco più di un anno fa.

TANGENTI
Arrestato il presidente Camera commercio di Palermo
Roberto Helg è stato fermato nel suo ufficio subito dopo aver ricevuto da un ristoratore la prima tranche di una tangente da 100.000 euro. Dopo ore è arrivata l’ammissione: “Ne avevo bisogno. Ho la casa pignorata”. L’indagato e’ stato trasferito nel carcere di Pagliarelli. Sia la Gesap la società di gestione dell’aeroporto “Falcone e Borsellino” di Palermo di cui era vicepresidente che la Camera di Commercio si costituiranno parte civile.

POLITICA
Lega Nord, da lunedì fuori dal partito chi è in Fondazione Tosi
Con decorrenza lunedì 9 marzo, l’iscrizione o l’adesione alla Fondazione che fa capo a Tosi è incompatibile con la qualifica di socio ordinario militante della Lega Nord. E’ quanto scritto nel verbale del consiglio federale di ieri, che Calderoli ha inviato alle segreterie regionali con l’obbligo di affissione in tutte le sedi.

MEDIO ORIENTE
Netanyahu agli Usa: L’Iran resta nemico. La Casa Bianca lo boccia: fai solo retorica
«Il più grande pericolo del nostro mondo è l’Islam combattente e le armi nucleari». Così il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, parlando del pericolo che l’Iran rappresenta per il mondo intero, nel suo intervento davanti al Congresso statunitense. Dalla Casa Bianca, però, è arrivato poco dopo un inatteso e gelidissimo commento al discorso di Netanyahu: E’ solo retorica, nessuna idea nuova, nessuna alternativa concreta.

 

Tornano le cronache dal carcere di “Orange is the new black”

Che succede se decidi di raccontare la storia di una ragazza bianca del Connecticut che all’improvviso si vede sbattuta dietro le sbarre di un carcere femminile? Che succede se lasci al di là delle sbarre il suo fidanzato e al di qua metti invece la sua ex ragazza? Quella che faceva il corriere per un grosso narcotrafficante e per cui lei, americana bianca di buona famiglia, aveva preso una sbandata ai tempi del college quando pensava che la sperimentazione facesse parte del building romance di ogni ragazza per bene.

Cosa succede? Succede che fai una serie di culto come Orange is the new black, il comedy drama prodotto da Netflix, ispirato alle memorie di Piper Kerman “Orange Is the New Black: l’anno che ho trascorso in una prigione femminile”. Ora, dopo due stagioni fenomenali in cui ha vinto tutto quello che poteva essere vinto, Oitb – questo l’acronimo della serie utilizzato dai fan per twittare in diretta i loro commenti alla puntata – ritorna in tv il 6 giugno con una terza serie.

Le attese del pubblico sono altissime tanto che la casa di produzione Netflix ha cominciato a rilasciare in rete una serie di anticipazioni per ammansire i fan, ansiosi di tornare dietro le sbarre in compagnia delle loro eroine. La vera forza di Orange is the new Black sta nelle storie. Non solo in quella dello strano triangolo sentimentale che coinvolge la protagonista, eternamente indecisa fra Larry e Alex, ma ancora di più in quelle delle altre ospiti del carcere, raccontate con flashback che, dando profondità e spessore ai personaggi, per un attimo riescono a farli evadere dalle celle di Litchfield.

Le vite delle detenute parlano di disagio, emarginazione, crisi di identità, droga, sogni infranti e povertà. Ma soprattutto tracciano e descrivono un confine sottile fra giusto e sbagliato, fatto di “piccoli” errori, equilibri che si sbilanciano e situazioni che sfuggono di mano fino a diventare tanto grandi da travolgere un’esistenza intera.

Di episodio in episodio, il carcere si rivela essere solo la tappa di un viaggio. La spiaggia dove si è approdati dopo un naufragio e dove bisogna resistere per poter un giorno tornare a casa, in un modo o nell’altro. E Piper e compagne, novelle Crusoe naufraghe sull’isola del crimine, imparano ben presto che si sopravvive solo insieme e solo se si condivide quello che si ha. Più di tutto se si è capaci di ricreare una famiglia e tenere viva la propria umanità.

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Renzo Pasolini, il ritratto

Questo francobollo lo dedichiamo a Pasolini. Non a quel Pier Paolo che fu poeta, regista e scrittore. Il Pasolini della nostra collezione si chiamava Renzo: un riminese schivo, romagnolo occhialuto con i capelli arruffati. Un “cancerino” irrequieto e timido.

Un umile motociclista indomabile. Un piccolo uomo a cui la sorte aveva deciso di negar la gloria terrena per riservargli la grandezza del mito. Renzo Pasolini, assieme a Giacomo Agostini, diede vita a uno delle rivalità sportive più epiche di sempre.

“Ago e Paso”, così venivano appellati dai tifosi, per più di un decennio duellarono aspramente per strade e circuiti di quello che oggi chiamiamo motomondiale. Ago ne collezionò 15, Paso nessuno. Pasolini vinse su Agostini 18 volte, Agostini vinse su Pasolini 46. Ma se c’è una cosa che la nostra collezione ci ha insegnato è che i numeri non sanno descrivere l’epicità della storia.

Agostini era metodico e scientifico, divo da rotocalco, Pasolini cocciuto pilota istintivo fece tanta gavetta, scalò con caparbietà classi e classifiche, avvicinandosi sempre di più al titolo mondiale, migliorando stagione dopo stagione, di corsa in corsa. Pasolini adorava passare le notti a fumare e chiacchierare con i tifosi e trascorreva giornate intere a elaborare i motori delle più prestigiose scuderie. Renzo domò i carburatori di Benelli, Mv Agusta, Aermacchi e Harley Davidson.

Nel 1973 interviene il fato, che decide di portar via questo campione nella maniera più tragica possibile. La vita e la carriera di Renzo Pasolini si interrompono bruscamente sul circuito di Monza. Quando, in un pomeriggio di maggio, in sella alla sua debuttante Harley Davidson 350, Pasolini rimane vittima di un bruttissimo incidente in cui perse la vita anche un altro grande campione di quell’epoca, il finlandese Jarno Saarinen.

A esaltare il carattere beffardo della sorte, quell’anno Renzo vinse il campionato italiano. Quel titolo, più volte sfiorato ma mai raggiunto, gli fu assegnato postumo alla fine della stagione, la più tragica di sempre per il motociclismo. Concludiamo citando Pier Paolo per introdurre Renzo: «Un atleta ha un solo modo per realizzare pienamente la propria libertà: lottare liberamente per vincere».

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Alessandro Gilioli, alla faccia della rete libera

Meglio se taci. Alessandro Gilioli, giornalista de L’espresso, e Giulio Scorza, avvocato e docente di diritto delle nuove tecnologie, nel loro ultimo libro “istigano” alla rivoluzione, quella per la libertà d’informazione che passa per «un accesso libero, non discriminatorio e neutrale alla rete». Una rivoluzione già in atto, di cui protagonisti sono «tanti ragazzini pieni di estro, genio, creatività che all’estero danno vita a piattaforme di informazione dal basso, citizen journalism e whistleblowing in stile Wikileaks» ma che in Italia, raccontano i due autori, avrebbero gettato la spugna, patteggiato la minore delle pene possibile e rinunciato ad esprimersi.

Troppo duro lo scontro contro il dinosauro a tre teste (malapolitica, tv e giornalismo della carta) che non ha intenzione di estinguersi, né di evolversi, e sbatte la coda per sfasciare tutto. Un colpo è, per esempio, l’ultimo ddl che riforma la legge sulla stampa, approvata al Senato e in discussione alla Camera. Per capire se è veramente l’ennesima «legge bavaglio», ne abbiamo parlato con Alessandro Gilioli.

Il dubbio che questo ddl possa essere una difesa contro tanto pessimo giornalismo le è mai venuto?

Certo che sì: la nostra categoria è sputtanata almeno quanto quella dei politici e l’Ordine renderebbe miglior servizio al Paese se si autodissolvesse, dato che serve solo a perpetuare se stesso e a mettere recinti alla libera comunicazione. La battaglia invece è per non far retrocedere ulteriormente un Paese che è già al 49° posto nel mondo per libertà di espressione: non per difendere una categoria scarsamente stimata.

Una delle cose che prevede questa riforma è che in caso di diffamazione non ci sia più il carcere per i giornalisti, ma multe fino a 50mila euro. Eppure giuristi e cronisti sono arrivati a dire: #meglioilcarcere. Perché?

La nuova norma è stata pensata per mettere al sicuro politici e potenti del-l’economia non “dai giornalisti”, ma dalle critiche in genere, anzi soprattutto da quelle dei semplici cittadini, sui social  o nei blog. I giornalisti assunti in un’azienda non temono più di tanto quelle multe, che vengono pagate dagli editori che sono assicurati; al contrario, i cittadini che non hanno le garanzie dei giornalisti assunti si troveranno in una condizione di maggiore fragilità. Lì scatterà l’autocensura.

Altro punto contestato del ddl è il diritto all’oblio: chi crede di essere oggetto di diffamazione potrà scrivere a siti web e persino a motori di ricerca, chiedendo di eliminare quei contenuti ipoteticamente diffamatori.

Sul diritto all’oblio la soluzione più intelligente mi pare quella indicata dal Garante per la Privacy, nel 2013, quando ha proposto di non cancellare nessuna notizia, anche se superata dai fatti, bensì di aggiornarla. Quindi se uno scrive che il signor Y è probabilmente un ladro e poi il signor Y viene prescritto o assolto, non si cancella l’accusa ma la si integra con un visibile “update”. Tutte le altre formule di diritto all’oblio, in questa legge così come nella sciagurata sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che delega il potere di cancellazione a Google, sono violazioni del diritto alla conoscenza, alla cronaca, alla storia.

Ma le risposte vanno date. Le regole della comunicazione da noi sono ferme al 1948. Chi deve farlo e come?

Contemperare il diritto alla privacy e all’onorabilità con il diritto di cronaca e di opinione non è facile, ma nemmeno impossibile. Pensare che la strada giusta sia quella penale, nel 2015, è fuori dal tempo. Oggi il patrimonio più importante per ogni cittadino è la reputazione: tanto quella di chi ha diritto a non vedersi attribuire pubblicamente fatti che non ha commesso, quanto quella di chi scrive le sue opinioni, sia giornalista o no. Quest’ultimo perde ogni autorevolezza e credibilità se viene identificato come “bufalaro”: quindi il modo migliore per contemperare i due diritti sarebbe semplicemente un sistema di rating (publico) che classifica sia chi scrive sia chi fa causa contro chi scrive. Dopo la quarta o quinta volta che un giudice stabilisce che Tizio è un bufalaro chi crederà più a quello che scrive Tizio? Dopo cinque o sei volte che Caio fa causa per diffamazione e il giudice gli dà torto, che reputazione avrà Caio, se non quella di chi tenta di censurare? Oltre questo scenario forse futuribile, già da subito si possono bilanciare meglio le cose. Ad esempio, se il querelante ha torto, alla fine paga lui, fino all’ultimo euro, rimborsando anche i danni morali di chi ha dovuto perdere il sonno per difendersi da un’accusa infondata.

Nel libro ripetete che «un “freedom of information act” sarebbe un antidoto contro le mazzette». Ma che l’unica cosa che si percepisce in Italia è un «ostruzionismo burocratico regolamentare». Domanda retorica: un’informazione poco trasparente serve a una politica poco trasparente?

Un Freedom of information act costringerebbe alla più assoluta trasparenza su appalti e gare, e quindi sarebbe un colpo contro la corruzione a ogni livello. Ma, certo, è un po’ come con il famoso tacchino che difficilmente è felice quando arriva il Thanksgiving: non tutta la politica è così entusiasta di una norma che abbatte la corruzione.

Anche la rete non è un’oasi di libertà. facebook, twitter e google sono i padroni, noi gli ospiti. Da una parte loro garantiscono la comunicazione, dall’altra si riservano diritti e poteri assoluti.
Siamo talmente imbevuti di mentalità proprietaria e privatista da considerare normale che Facebook ci possa censurare perché “tanto è un’azienda privata”. Sciocchezze: l’iniziativa privata non può prescindere dall’interesse pubblico. E l’articolo 21 della Costituzione non può essere calpestato da presunte policy aziendali e da censori che spesso non capiscono gli stessi contenuti perché scritti in altre lingue. Nel libro abbiamo raccontato tre o quattro casi di censura esilaranti, per la loro stupidità. Ma non c’è molto da ridere, se le corporation del web diventano i nuovi poliziotti della Rete.

A chi tocca decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato che il mondo veda? Sulla carta lo decidono l’editore e il direttore, ma è giusto che riguardi anche un intermediatore di contenuti altrui?
Se l’intermediatore non ha responsabilità per i contenuti immessi da altri, com’è giusto e com’è stato stabilito a livello Ue, non si capisce perché poi debba avere il potere di filtrare e censurare contenuti. Se usa questo potere, assume implicitamente la responsabilità di quanto fa apparire e contraddice quella non responsabilità a cui tutti gli intermediatori tengono moltissimo. È una questione da risolvere con norme nazionali o internazionali che siano cogenti e rispettino i principi di libertà costituzionale: nessun intermediario, in nessun Paese, può essere più censorio delle leggi del Paese in questione. Ad esempio, in Italia: nessuna censura preventiva e la possibilità di oscurare un contenuto solo su decisione della magistratura, che valuta sentendo le parti e concedendo appelli. Sono principi di base. Oggi Fb, Twitter o Youtube invece sono allo stesso tempo poliziotti, giudici e legislatori.

«La poca democrazia dei network può indebolire quella della società reale», denuncia il filosofo Peter Ludlow. Sta accadendo questo?

Ludlow fa presente che se ci abituiamo a pensare che è lecito e normale essere censurati da un’azienda digitale, disimpariamo a considerare la libertà d’espressione un valore inalienabile e rischiamo di finire per considerare accettabile essere censurati in genere. Temo non abbia torto.

Le cinque cose peggiori di quello che definite il bestiario della regolamentazione anti-digitale italiana?

Più che di regolamentazione anti-digitale, anche se poi molte norme impattano soprattutto sulla rete, parlerei di norme contro la libertà d’espressione, che ci dicono appunto “meglio se taci”. Tra le varie brutture ci sono senz’altro la norma del 1948 sulla stampa clandestina, che oggi non so se fa ridere o piangere; il reato di esercizio abusivo della professione giornalistica, che è frutto del combinato tra l’articolo 348 del Codice penale e la legge sull’Ordine del 1963; la legge 41 del 1990, che è il contrario esatto di un Freedom of information act; il regolamento Agcom sul copyright, che rende il nostro Paese l’unica democrazia al mondo in cui un’autorità amministrativa e di nomina politica può oscurare dei siti Internet. Poi ovviamente ci sono infinite regole minori che, interpretate in modo stupido, producono risultati tragicomici. Nel libro raccontiamo la vicenda del titolare di una piadineria di Asti che è finito nei guai per aver messo a disposizione dei clienti quattro tablet: gli è arrivata la Finanza contestandogli di gestire “apparecchiature atte al gioco d’azzardo”, perché ovviamente con i tablet si può “anche” andare sui siti di scommesse.

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Le cinque delle 13.00

Scuola: la riforma oggi in Cdm, il governo rinuncia al decreto

Il “pacchetto scuola” arriva oggi in consiglio dei ministri, ma solo a metà. Il Premier Matteo Renzi ha, infatti, annunciato ieri che il Governo varerà solo un disegno di legge – chiedendone l’approvazione in tempi certi – e non più anche l’annunciato decreto. L’esecutivo vuole dare un messaggio al Parlamento e coinvolgere le opposizioni nello spirito delle dichiarazioni del presidente della Repubblica. Una scelta che tuttavia mette in allarme i sindacati perché non dà certezza sui tempi di approvazione e dunque mette a rischio le assunzioni previste. In mattinata il presidente del Consiglio ha avuto un colloquio di circa un’ora e mezza con il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini a Palazzo Chigi per fare il punto.

ESTERI
Mattarella a Bruxelles: L’uscita della Grecia dall’Euro è un’ipotesi che non esiste
L’ipotesi dell’uscita della Grecia dall’euro non è neppure da prendere in considerazione. Queste le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Bruxelles dove ha incontrato il presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz nella prima missione estera per il Capo dello Stato, che ha incontrato i vertici delle istituzioni europee: “l’emergenza profughi interpella tutta l’Ue”.

GIUSTIZIA
Palermo, arrestato il Presidente della Camera di commercio
Roberto Helg è stato arrestato dai Carabinieri di Palermo mentre intascava una tangente. Helg, personaggio assai noto in città è attualmente anche Vice Presidente della Gesap, la società di gestione dell’aeroporto Falcone Borsellino di Palermo, carica che ricopre unitamente a quella di vertice della Camera di Commercio.

TECNOLOGIA
Il Piano per la banda larga arriva all’esame del governo
Potrebbe trovare approvazione già oggi in una riunione che, secondo le attese, non dovrebbe riservare sorprese. Dentro non trova spazio lo switch off dal rame alla fibra previsto per il 2030 né niente di tutto questo come un arbitrario spegnimento della rete, perché «abbiamo immaginato un piano per stimolare gli investimenti, non il contrario». Così il sottosegretario alle tlc Antonello Giacomelli.

SINDACATI
Capodanno senza Vigili a Roma, il garante multa per 100.000 euro i sindacati
L’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali ha deliberato una sanzione di 100mila euro a carico delle organizzazioni sindacali per le assenze di massa dei vigili urbani di Roma lo scorso Capodanno. La multa è di 20mila euro ciascuna per Fp Cgil, Cisl Fp, Uil Fpl, Csa e Diccap Sulpl. Sulle assenze di massa il Garante aveva aperto, lo scorso 15 gennaio, un procedimento, al fine di accertare le responsabilità dei soggetti implicati nelle improvvise e numerose defezioni per malattia.

Non c’è ripresa senza politica industriale

Le cronache sull’economia italiana nell’ultimo periodo si sono popolate di notizie sulla tanto annunciata fine della crisi del nostro Paese, generando (comprensibilmente) molte aspettative, ma altrettanto scetticismo. Non è, per la verità, la prima volta che ciò accade, ma è certamente vero che, allo scorrere di una crisi dura e profonda, gli effetti cumulati della recessione moltiplicano il valore dell’attesa. E dopo tutta una serie di riprese che dovevano essere dietro l’angolo, ma che sono state immancabilmente smentite, diventa ancora più importante capire in che misura i nuovi annunci riusciranno a trovare conferme nel futuro prossimo.

Se leggiamo gli ultimi dati diffusi dall’Istat sulla produzione industriale, il quadro appare contrastante: mentre a livello annuale viene segnalato il terzo rosso consecutivo, sebbene di entità più limitata rispetto ai due precedenti (-0,8% è la variazione di fine anno del 2014 sul 2013, -3,2% quella del 2013 sul 2012 e -6,4% quella del 2012 rispetto al 2011), a livello congiunturale sembrerebbero emergere segnali più confortanti con un aumento dello 0,4% rispetto a novembre e dello 0,1% rispetto allo stesso periodo del 2013.

Quale fiducia può essere tuttavia riposta in miglioramenti di simile entità e – soprattutto – su base congiunturale? A questo proposito un’idea più netta possono darcela i rilievi del quadro di sintesi fornito dalla Commissione europea, che non contempla nessuna variazione del Pil nazionale per il 2015 tra autunno e febbraio, a fronte di un gap di crescita rispetto al resto dell’Europa che è andato aumentando nel corso del tempo, arrivando nel 2014 a sfiorare quasi i 2 punti percentuali (in meno) rispetto alla crescita del resto d’Europa.

Una divergenza che si è andata cumulando dal 1996, che oggi si traduce in una crescita minore dell’Italia sull’intero periodo pari a quasi 19 punti percentuali e che trova indiscutibilmente riscontro nella progressiva contrazione della produzione industriale. Tra il 2009 e il 2013 tutti i Paesi europei (eccezion fatta per la Germania che è rimasta quasi ferma) hanno sperimentato una significativa erosione della propria base industriale, ma l’entità di quella italiana è tra le più elevate (-23%), superata solo da Grecia e Spagna che si aggirano intorno al -26%. Ma c’è di più. Uno spaccato più preciso di questa dinamica ci è infatti fornito dalla fortissima contrazione della produzione di beni capitali (-26,7% nel periodo della 2009 – 2013), la componente a più alto valore aggiunto del tessuto produttivo, che ha costantemente perso terreno fin dagli inizi degli anni 90, diversamente da quanto accaduto (in media) in Europa.

A fronte di questa incessante erosione della nostra base industriale è dunque evidente che i pochi flebili indizi di recupero da poco registrati hanno ben poche possibilità di tradursi in crescita del reddito e dell’occupazione. E che anche tutte le speranze riposte negli attuali vantaggi offerti dalla diminuzione dei prezzi energetici, dalla svalutazione dell’euro e dalla riduzione dei tassi di interesse non sono in grado di sortire, da soli, gli esisti sperati. Ma non è pensabile allora immaginare di incidere sulle possibilità di crescita del Paese affidando la ripresa della sua industria alle forze del mercato.

E’ necessario, invece, puntare su una sua profonda ristrutturazione, mirata allo sviluppo di settori tecnologicamente avanzati ad alto valore aggiunto, rispetto ai quali la capacità di traino della domanda è maggiore. Un’operazione difficilmente realizzabile.

L’essenza della poesia

Diffido dei romanzi che nascono non dall’esperienza ma da una bibliografia, come il Nome della Rosa di Eco, che soddisfava l’inestinguibile “bisogno di università” della middle class alfabetizzata del pianeta. Ma in questa tipologia non rientra affatto Come donna innamorata (Giunti) di Marco Santagata, romanziere e docente universitario, perché è fatto di una materia palpitante, tutt’altro che libresca, e perché è anche un saggio su Dante in forma di avvincente narrazione pop (accanto al rapimento in cielo ci sono scenette da sit-comedy con la moglie Gemma).

Seguiamo qui la genesi dell’idea del poema divino, unica roccaforte e consolazione entro una biografia segnata da delusioni e catastrofi. E resta giustamente sospesa la questione se Dante fosse più un mistico o più un geniale retore illusionista, se la sua “visione” fosse più una invenzione poetica o più una reale esperienza.

Cuore del libro è però la parte seconda, “Guido”, dedicata alla complicata amicizia di Dante con il più anziano Cavalcanti e poi alla rottura drammatica, al sarcasmo risentito di Guido dopo la pubblicazione della Vita nova, al suo disprezzo per la carriera politica di Dante, alle umiliazioni e al proposito di vendetta di quest’ultimo. Ma qui avviene un miracolo laico. Per illustrarlo mi affido a un’osservazione di Pasolini sulla Lettera a una professoressa di don Milani.

Pasolini spiegò in un’intervista che in quel libro c’è una delle più belle definizioni di cosa dovrebbe essere la poesia: un odio, un moto di vendetta verso gli altri che una volta approfondito e liberato diventa amore. Ecco, questo è successo a Dante, che – come ci mostra Santagata – nel Paradiso sceglie come mediatore (e Battista) tra lui e Beatrice una donna – Matelda – calco trasparente dell’amata di Guido. Questi aveva scritto che “cantava come fosse “namorata”, e così la Matelda dantesca modula i salmi «cantando come donna innamorata». L’odio che si trasforma alchemicamente in amore. Ecco l’essenza della poesia.

#Labuonascuola e la buona novella

Di che cosa parliamo quando parliamo di scuola? Al convegno “La scuola che cambia, cambia l’Italia”, organizzato dal Pd a Roma per festeggiare il primo anno di governo, Matteo Renzi ha insistito sulla suggestione che la scuola di oggi disegna l’Italia fra trent’anni e ha rivenduto l’imminente decreto legge sulla scuola come una merce preziosa.

Nessuna rivelazione sui contenuti del testo. Tutti gli sforzi di Renzi si sono indirizzati nella riformulazione di alcune definizioni chiave del suo discorso, da “riformare” ad “ascoltare”, secondo la buona novella del rottamatore. Conseguentemente non ha speso una parola per giustificare il carattere di necessità e urgenza delle nuove norme sull’istruzione. Anzi, aggirando le critiche ricevute su quest’ultimo punto, ha rivelato di essere stato rimproverato per aver sottoposto le linee guida della “buona scuola” all’attenzione dell’opinione pubblica, prima ancora di legiferare.

Neanche un accenno alla freddezza della risposta al sondaggio governativo, specialmente da parte dei docenti. Renzi ha poi respinto le accuse di verticismo e chiusura alle critiche, impugnando l’argomento dell’importanza strategica della scuola, che non può essere riformata in seguito a un dibattito tra i soli addetti ai lavori. Però non ha mai ricordato la Legge d’iniziativa popolare “Per la buona scuola della Repubblica”, scritta da docenti, genitori e studenti, sottoscritta nel 2006 da 100.000 cittadini e da qualche mese riproposta in Parlamento da 33 deputati e senatori.

Ha detto e ribadito che la buona scuola c’è già, che i nostri studenti sono preparati, come testimonia il fenomeno della “fuga dei cervelli”, e che i docenti sono nella stragrande maggioranza validi. Eppure, ha aggiunto senza spiegazioni, bisogna cambiare, anzi rivoluzionare la scuola. Pur riconoscendo come giustificata la diffidenza dei docenti verso la politica, ha criticato duramente gli insegnanti che dicono davanti ai loro studenti di non fidarsi dello Stato.

Forse Renzi non sa che gli insegnanti della scuola pubblica sentono di rappresentare lo Stato e si sentono traditi dai politici che hanno reso mostruoso lo Stato, come accade, ad esempio, quando il Miur impone alle scuole più virtuose di cancellare i crediti che vantano verso l’amministrazione centrale. Nonostante la premessa sulla buona qualità generale del corpo insegnanti della scuola italiana, Renzi non se l’è sentita di spiegare la ragione per la quale intende introdurre la valutazione del merito tra i docenti. Tuttavia si può dedurre dall’ammissione, fatta poco prima di affrontare questo tema, che non ci sono soldi.

Ha pure confidato che non sa neppure lontanamente come sarà valutato il merito, convinto che comunque, per prima cosa, bisogna cambiare. Il senso di questa fuga in avanti è forse nelle parole con cui ha spiegato la frase di Mahler: «La tradizione è la salvaguardia del fuoco, non adorazione della cenere». Prima ha osservato che la tradizione è sempre stata interpretata come ricordo del passato, poi ha aggiunto che «l’Italia non è l’insieme di storie del passato. Certo, anche questo è identità. L’Italia è un paese in cui chi vuole provarci ci può provare, è un insieme di opportunità, non di ricordi». E i precari che contestavano hanno pensato di trovarsi alla presentazione della “Ruota della fortuna”.