Home Blog Pagina 177

Libertà per Öcalan, il leader curdo che ha sempre lottato per l’emancipazione delle donne

Öcalan, leader del movimento nazionale curdo, è in carcere in Turchia dal febbraio 1999. Le condizioni di detenzione e di isolamento sull’isola di Imrali violano palesemente il divieto di sotto posizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti.

Ad Öcalan è impedito costantemente di incontrare i propri familiari ed i propri difensori, privandolo dello stesso diritto di difesa. In evidente contrasto innanzitutto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti della persona.

Milioni di persone nel mondo hanno firmato per chiedere la libertà per Öcalan e per i prigionieri politici in Turchia , affermando che «la libertà di Öcalan sarà una pietra miliare per la democratizzazione della Turchia e per la pace in Kurdistan».

Öcalan è temuto dalla Turchia e dai regimi arabi perché è il simbolo della democrazia diretta, del multiculturalismo, del meticciato, contro l’identità unica imposta dai regimi.

I Curdi hanno sconfitto l’Isis, hanno costruito un modello di società alternativo al califfato. Il cuore del loro progetto egualitario sono le donne. Le quali reggono questo splendido embrione di società, che abbiamo visto con emozione sei anni fa, quando come racconta Chiara Cruciati e come ha illustrato Zerocalcare nei suoi video «l’ingresso delle Forze della Siria democratica segnò la fine dell’occupazione dell’Isis, insieme alle donne che in strada si sfilarono di dosso le lunghe vesti nere che le coprivano da capo a piedi. Sotto quel velo le singole identità erano state annullate».

Oggi le donne, nell’esperienza rivoluzionaria del Rojava, sono all’interno del quartier generale delle unità curde di difesa del popolo e, nello stesso tempo, coordinano il lavoro delle biblioteche popolari nei villaggi, animano la società di un modello politico che sta penetrando nella mente e nel cuore dei movimenti delle donne in tutto il Medio Oriente. Non a caso “terra, libertà, dignità” non sono solo slogan ma principi ispiratori delle donne che, in Iran come in tutto il Medio Oriente, rischiano la vita contro la ferocia patriarcale delle religioni. Come le donne curde, mettono in gioco il proprio corpo, la propria intelligenza, la propria sensibilità sociale.

Ocalan ritratto di Halil Uysal – Archive of the International Initiative “Freedom for Abdullah Ocalan – Peace in Kurdistan”, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org

Di Halil Uysal – Archive of the International Initiative "Freedom for Abdullah Ocalan – Peace in Kurdistan", CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org

Di tutto questo si è discusso in un convegno, organizzato dall’Università Roma Tre e dall’ottavo Municipio a Roma, con molti importanti approfondimenti e la presenza di molte ragazze e ragazzi. A discutere di diritti civili e libertà politica nella Repubblica di Turchia c’erano Mauro Palma, Arturo Salerni, docenti universitari (il rettore Massimiliano Fiorucci ed Enrica Rigo), il  parlamentare Marco Grimaldi, il consigliere Claudio Marotta, il presidente del Municipio Amedeo Ciaccheri. Il convegno è stato arricchito dalla presenza di Zerocalcare , di Newroz Uysal Aslan (deputata Hedep in Turchia), di Faik Ozgur Erol (avvocato di Ocalan, di Zilan Diyar (del Movimento delle donne curde). Io sono intervenuto come portavoce italiano del Comitato libertà per Öcalan:

Non è, infatti, possibile discutere della “questione curda” senza entrare nelle contraddizioni della Turchia, un Paese sempre in guerra, interna ed esterna. Gli attentati, che si sono susseguiti numerosi dal 1980, servono per seminare paura in una popolazione molto politicizzata, che viene sottoposta ad una dura repressione. È dal 2019 che Erdogan attacca militarmente i Curdi in Siria, usando come mercenari i miliziani dell’Isis. I generali turchi permettono che vengano compiuti quotidiani crimini di guerra, mentre gran parte del gruppo dirigente dell’Hdp l’opposizione legale democratica è in carcere, accusata di rappresentare, in Parlamento e in centinaia di comuni, con persone elette con alti numeri di voti, la “questione curda”. Che l’autocrazia turca vuole cancellare, cancellando 18 milioni di persone.

Nelle prigioni turche vi sono trecentomila persone; quasi la metà, secondo Amnesty, per motivi politici e reati di opinione. La tortura è, purtroppo, spesso utilizzata negli interrogatori. Con precise documentazioni e riflessioni ne hanno parlato, al convegno, i nostri interlocutori stranieri e Mauro Palma , che è stato commissario europeo per la questione carceraria e che ha visitato tre volte il carcere di estrema sicurezza di Öcalan dove è rinchiuso da 23 anni. Il carcere di Imrali è in un’isola elevata a “zona militare”. Come accennavamo Öcalan può vedere i familiari una volta l’anno. Peggio, nel contesto attuale: dal marzo 2021 è stata permessa solo una telefonata con il fratello. L’ultimo incontro con gli avvocati è avvenuto otto anni fa. La Corte europea per i diritti umani, nel 2014, ha stabilito che non è ammissibile il carcere a vita. Ma nulla accade. Gli avvocati ci hanno chiesto di diffondere anche in Italia, come accade in altri paesi europei, Comitati per la libertà di Öcalan. L’obiettivo strategico del governo turco è di eliminare il Rojava.È un territorio democratico che, per l’autocrazia turca, rappresenta un pericolo doppio: da un lato dimostra la capacità curda nell’amministrazione democratica dei territori; dall’altro, è caratterizzato da leggi democratiche, laiche, multietniche. Erdogan teme uno stato democratico che assurge a modello alternativo per tutto il Medio Oriente. Che fonda sulla convivenza tra popoli.

È molto importante il passaggio, voluto e guidato da Öcalan, dal nazionalismo curdo al confederalismo democratico, che è ideologicamente alla base  del processo rivoluzionario anticapitalista ed antipatriarcale del Rojava. Come afferma Öcalan, la molteplicità etnica e confessionale non deve generare rivendicazioni nazionaliste ma superamento dello stato/nazione e forme di democrazia diretta. Il confederalismo democratico vive nella partecipazione, nell’autorganizzazione. «È uno sforzo storico: l’abolizione del patriarcato e del potere dalla mente dei popoli», come spiega Dilar Dirik, ricercatrice all’Università di Oxford. Questo è il messaggio di pace che Öcalan aveva voluto generosamente portare a Roma e in Europa. Ma l’Europa vigliacca fece prevalere il pensiero unico del mercato, gli accordi commerciali, industriali, militari con il regime turco. E lo consegnò nelle mani dei suoi carcerieri. Noi lottiamo per liberare Öcalan, per liberare la democrazia.     

 

In apertura murales a Bologna foto di Pietro Luca Cassarino – Opera propria, https://commons.wikimedia.org

Le dimissioni di un premio Pulitzer contro le parole della guerra

Anne Boyer è poetessa, saggista e giornalista che si occupa di poesia, vincitrice del premio Pulitzer. Qualche giorno fa si è dimessa dal suo incarico per il New York Times Magazine contestando la narrazione sulla guerra a Gaza. La sua lettera di dimissioni parla del giornalismo e dell’uso delle parole. Sarebbe l’occasione per aprire un proficuo dibattito anche da noi se non fosse che la notizia rimarrà nascosta sotto i panni sporchi. 

“Mi sono dimessa da redattrice di poesia del New York Times Magazine.

La guerra sostenuta dagli Stati Uniti dallo stato israeliano contro il popolo di Gaza non è una guerra per nessuno. Non c’è sicurezza in essa o da essa, non per Israele, non per gli Stati Uniti o l’Europa, e soprattutto non per i molti ebrei calunniati da coloro che affermano falsamente di combattere a loro nome. Il suo unico profitto è il profitto mortale degli interessi petroliferi e dei produttori di armi.

Il mondo, il futuro, i nostri cuori: tutto diventa più piccolo e più difficile da questa guerra. Non è solo una guerra di missili e invasioni terrestri. È una guerra in corso contro il popolo palestinese, persone che hanno resistito durante decenni di occupazione, dislocazione forzata, privazione, sorveglianza, assedio, prigionia e tortura.

Poiché il nostro status quo è l’espressione di sé, a volte la modalità di protesta più efficace per gli artisti è rifiutare.

Non posso scrivere di poesia tra i toni “ragionevoli” di coloro che mirano ad acclimatarci a questa sofferenza irragionevole. Niente più eufemismi macabri. Niente più paesaggi infernali igienizzati verbalmente. Niente più bugie guerrafondaie. 

Se questa rassegnazione lascia un buco nelle notizie delle dimensioni della poesia, allora questa è la vera forma del presente”. 

Buon lunedì. 

Nella foto: Anne Boyer, Buenos Aires, 10 de febrero de 2023 – Workshop en el Festival Poesía Ya! Fotos: Kaloian / Ministerio de Cultura de la Nación

Tullia Nargiso: «Noi studenti in piazza al fianco dei lavoratori»

Tullia Nargiso, Rete studenti medi

Ecco l’intervento di Tullia Nargiso della Rete studenti medi dal palco di piazza del Popolo, a Roma il 17 novembre per lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil

Qualcuno ha provato a spiegarci che non potevamo essere qui questa mattina.
Che questa piazza sarebbe stata vuota. Hanno provato a spiegare a chi di voi ha rinunciato ad una giornata di lavoro che sarebbe stato non solo inutile, ma anche fuori legge.
Mi sembra proprio che non ci siano riusciti.
Non ci sono riusciti perché il mondo del lavoro è qui. Non solo. Al vostro fianco ci siamo noi, studentesse e studenti.
Con forza e determinazione abbiamo voluto la convergenza. Per questo abbiamo fatto un appello per costruire una grande mobilitazione insieme. Nella giornata dello studente abbiamo scelto di partire insieme ai lavoratori da piazza Barberini e ora arriviamo in questa piazza in tantissimi e tantissime.

Da un lato c’è chi distrugge, esclude, discrimina. Dall’altro c’è chi costruisce, include, accoglie. E siamo noi.
Ci tengo a chiedere una cosa al ministro Salvini e agli esponenti di questo governo: non sarebbe meglio vi occupaste di garantire un lavoro dignitoso, un’istruzione e una sanità pubblica invece di parlare a sproposito di sciopero? Lasciate che a parlarne sia chi ne sa qualcosa. Ascoltate il sindacato, ascoltate i lavoratori e le lavoratrici.
Non è questo governo a fare gli interessi delle persone.

Lo vediamo in questa legge di bilancio: non c’è niente sulla scuola, niente sulla cultura, niente su noi giovani.
È questa la loro scuola del merito? È questa la società che vogliono costruire? Noi oggi ripetiamo che il Merito senza welfare studentesco si chiama privilegio. Noi non non resteremo a guardare.

Un governo che se la prende con i più deboli e con gli oppressi. L’astensione dell’Italia sulla risoluzione Onu per le tregue umanitarie è una responsabilità grave sul genocidio in atto del popolo palestinese. Una responsabilità che va fatta pesare e alla quale il nostro mondo deve rispondere che Non ci sta. Non ci sporcheremo le mani di sangue. Vogliamo: la libertà per il popolo palestinese, la solidarietà tra popoli. Vogliamo la pace.

Tullia Nargiso, piazza del popolo, 17 novembre 2023

Questa mattina, prima di arrivare qui, eravamo davanti al ministero dell’Istruzione.
Perché oggi è una giornata simbolica per noi. Volevamo mandare un messaggio chiaro: Siamo con gli studenti palestinesi. Potevamo fare finta di nulla, potevamo essere qui oggi a lottare solo per i nostri diritti. Ma non ci sembrava giusto.
Eppure sulla scuola avremmo tanto da dire.

Una cosa ci è chiara: Un governo che non investe sull’istruzione, non tiene al futuro del proprio Paese. Ma questo governo non solo non ci investe. Ma non rifinanzia, taglia.
Il dimensionamento scolastico è una piaga che non possiamo accettare. Un sistema scolastico già ridotto all’osso non può permettersi una riduzione del personale. Vogliamo una scuola in ogni quartiere, non rinchiuderci in classi sempre più piccole, in scuole sempre più vuote.
La realtà è che ogni giorno noi studenti e studentesse facciamo i conti con scuole che cadono a pezzi e che ci respingono. A Sabaudia alcune classi sono state spostate in una chiesa, perché non c’era spazio. Al Rossellini di Roma delle finestre sono cadute addosso a dei ragazzi durante una lezione. Al Lombardo Radice infiltrazioni d’acqua, bagni inagibili, infissi mancanti.
È questo per la presidente Meloni e il ministro Valditara il nostro diritto allo studio?
E poi. Un sistema scolastico che ci spinge alla competitività e alla performatività. Che ci abitua ad un mondo del lavoro sfruttato, sottopagato.
Ci viene spiegato che sappiamo solo lamentarci, che dobbiamo farci forza. Fanno finta che non esista nessun problema sulla nostra salute mentale. Tolgono i finanziamenti persino al bonus psicologo, quando servirebbe molto di più. In Parlamento c’è una legge che questo governo tiene ferma sull’introduzione dello psicologo a scuola e in università. Ci chiediamo: che cosa aspettate a discuterla e approvarla? Dove sono i fondi sulla sanità pubblica?

Oggi essere qui è stato importante. Ma non dobbiamo abbassare la guardia. Non dobbiamo cedere di un millimetro nella costruzione di questa opposizione. Dal governo non ci faranno sconti, così come dalla giunta regionale nel Lazio. Basta ambiguità.
Basta fare capolino al padrone di turno. Non è il tempo di chi esita. Questo governo nazionale e questa giunta regionale stanno svelando le loro carte. Ieri con la repressione, oggi con la legge di bilancio, domani sulla nostra Costituzione.
Noi siamo pronti. Pronti a difendere i nostri diritti, pronti a difendere il lavoro, la sanità, il nostro futuro.
Dobbiamo farlo insieme, essere opposizione a questo governo. Insieme perché non ci potranno più ignorare

In foto Tullia Nargiso, coordinatrice della rete degli studenti medi Lazio

Alcuni attivisti della Rete studenti medi Lazio

Sciopero dell’orgoglio, altro che pregiudizio

Se oggi avrete la sensazione di vivere in un Paese devastato dallo sciopero e dai disservizi oppure se oggi siete convinti di non riuscire a superare l’effetto disturbante che vi procurano i lavoratori che chiedono e difendono i propri diritti potete spendere qualche minuto per aprire il finestrino e guardare un po’ più in là dell’aiuola dall’altra parte della strada. 

Potreste accorgervi che dal 2022 e per tutto il 2023 i macchinisti in Germania hanno aderito all’iniziativa sindacale che gli ha permesso di ottenere un aumento di 410 euro mensili con un una tantum di 2.850 euro esentasse. 

Oppure potreste scorgere ciò che accade in Francia dove a mobilitarsi sono stati trasporti, scuola, sanità e altri servizi pubblici che seguono gli scioperi della stragrande maggioranza delle categorie che si opponevano alla riforma delle pensioni voluta dal presidente Macron. 

Negli Usa sono stati quasi 50mila i lavoratori che hanno incrociato le braccia nel settore automobilistico. Lì nessuna precettazione e nessuna accusa di bighelloneria ai lavoratori: ai picchetti dei lavoratori si è presentato il presidente Joe Biden e perfino il suo sfidante Donald Trump. Inutile dire che il risultato in termini di salari sia stato eclatante. 

Se invece davvero non ce la fate a non guardare il contesto italiano vi è utile un dato: secondo l’Ocse, nel nostro Paese i salari reali, cioè al netto dell’inflazione, sono calati del 7,5 per cento rispetto al periodo precedente la pandemia. L’Italia è anche l’unico Paese europeo in cui i salari sono diminuiti rispetto al 1990. Altro che pregiudizio, qui è una questione di orgoglio. 

Buon venerdì. 

Infanzia e genitorialità. Un pensiero nuovo per la sinistra

Picasso, maternità (1905), fonte Wikipedia

I quotidiani e diversi programmi televisivi hanno parlato di una terribile storia, resa nota proprio poche settimane dopo la proposta del governo Meloni, di istituire “l’assistente materna” per la prevenzione della Sindrome depressiva post partum.
Il caso è quello di una donna di 27 anni, che ha trascorso il suo primo anno di vita nell’orfanotrofio di Maria Teresa di Calcutta, in India. È stata “l’ultima orfana” dell’Istituto, ad essere adottata e portata in Italia da una famiglia bergamasca. La giovane madre, per le ricostruzioni della Procura, è accusata di duplice infanticidio, potrebbe aver soffocato i suoi due neonati, a distanza di un anno l’una dall’altro. È necessario, comprendere cosa si cela dietro questi eventi drammatici e non sporadici. Soprattutto, è opportuno indagare le cause mediche, socioculturali e politiche, che possono generare tali fenomeni.

Parte del mondo medico, la cultura e la politica in generale, sono portatori di un vecchio pensiero, che ancora non riconosce che l’esordio, e lo sviluppo della malattia mentale, avvengono all’interno di rapporti interumani patologici. Facciamo cenno a questo drammatico evento ricollegandoci alla proposta dell’assistente materna, per riflettere sull’importanza della formazione degli operatori che ruotano introno a una coppia che ha, o sta per avere un figlio. È fondamentale che queste figure siano competenti e preparate, per lavorare con situazioni fortemente a rischio. A questo proposito, la cronaca, una volta di più, ci mette davanti quanto sia importante la prevenzione anche da altri punti di vista, citando ad esempio quei casi in cui per la salvaguardia e la tutela dei bambini, il Tribunale per i minorenni predispone la decadenza della responsabilità genitoriale, decretando l’adozione. Tutti gli operatori che s’interessano d’infanzia e di genitorialità – ginecologici, ostetriche, pediatri, pedagogisti, familiari, terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, logopedisti, educatori dei nidi e non solo gli psicologi – devono essere formati ad una nuova immagine di bambino e di relazione con l’adulto, basata su dinamiche legate alla realtà mentale non cosciente di entrambi. Come pedagogiste familiari, spesso ci troviamo ad affrontare con i genitori il tema del pianto del neonato. La stanchezza, l’impegno fisico e mentale che richiede la nascita e la cura di un figlio, possono portare a momenti di sconforto e fatica, e può accadere che anche una mamma o un papà con un sano equilibrio psichico, possano entrare in crisi di fronte a questo tipo di linguaggio, soprattutto quando non riescono ad interpretarlo. Allora, va raccontato ai genitori, come nasce e si sviluppa il pensiero del neonato. Questa specifica conoscenza, aumenterà le competenze genitoriali, potenziando la fiducia nelle proprie risorse.

Va detto, che la mente del bambino nel primo anno di vita, è realtà non cosciente, con cui l’adulto si relaziona costantemente. Ad ogni carezza e suono che percepisce e sente con il corpo sensibile, il neonato fa un’immagine che è legata all’affetto di chi lo circonda. Il pianto è il linguaggio non verbale, con cui il neonato si esprime. In questo modo, facciamo prevenzione primaria e accompagniamo i genitori in questo complesso percorso di vita.
Quando poi si evidenziano delle “difficoltà”, è importante che i genitori possano dare un nome ai loro stessi vissuti, e alle conseguenti reazioni del neonato, che si basano su dinamiche di rapporto non coscienti.

L’accompagnamento alla nascita è utile anche per evidenziare false credenze, di cui si fa portavoce una parte della politica, che da tempo è concentrata nelle battaglie pro-life, negando le evidenze scientifiche che distinguono il feto dal neonato. La vita di un essere umano, infatti, ha inizio alla nascita, prima di questo momento c’è solo lo sviluppo di una realtà biologica. Lo Stato, la cultura cattolica e tutta la filiera della psichiatria organicista, insistono con l’invenzione della vita fin dal momento del concepimento, rischiando di ledere lo stato mentale della donna che, per decisione personale, intenda eseguire una interruzione di gravidanza. Un Municipio romano ha appoggiato l’idea di far ascoltare il battito cardiaco fetale alle donne che intendono abortire, insinuando ancora una volta la colpa della donna assassina.

Ad oggi, uno scatto della sinistra, potrebbe essere quello di trovare il coraggio di contrastare attivamente tutta la politica pro-life e pretendere che lo Stato si interessi alle vite esistenti, investendo sulla prevenzione della malattia e promozione della salute mentale, fin dai primi momenti in cui una coppia si trova a vivere una gravidanza.
I pochi consultori familiari esistenti sul territorio e sempre più in via di smantellamento, quando si avvalgono del lavoro di equipe, ginecologici, assistenti sociali, psicologi, s’impegnano in un lavoro di prevenzione su famiglie a rischio, per evitare gravidanze in coppie o donne, non sufficientemente adeguate alla crescita di un bambino (adulti con patologie psichiatriche, tossicodipendenti, minorenni a rischio, immigrate senza una rete di supporto, ma anche persone in difficoltà a sostenere una gravidanza non desiderata).
Questo lavoro andrebbe esteso non solo nei consultori ma anche negli studi pubblici e privati dei ginecologi e, qualora fossero famiglie conosciute per precedenti gravidanze, anche negli studi dei pediatri, in un’ottica di lavoro multidisciplinare e trasversale, in cui è possibile richiedere la collaborazione di altre figure competenti.
Si eviterebbe di affidare alle Case-famiglia (ex orfanatrofi), quella moltitudine di bambini che rischiano la propria sanità mentale, come possiamo ipotizzare sia successo nel caso del presunto infanticidio della giovane madre di Bergamo.

In casi estremi, può accadere, che il genitore perda completamente il rapporto con il proprio piccolo, arrivando a farlo sparire prima nella mente e poi anche materialmente, fino all’infanticidio. L’impegno della politica, dovrebbe rafforzare i servizi per la famiglia preposti a comprendere quei primi segnali di disagio che spesso sono già intuibili anche durante la gravidanza e che raccontano non di una crisi fisiologica, ma parlano di patologia. È necessario che la genitorialità venga supportata mettendo i genitori nella condizione di poter intraprendere percorsi di sostegno e cura personalizzati, e mirati alla guarigione. Auspichiamo che i servizi lavorino affinché si possa arrivare a programmare una gravidanza come realizzazione di un sano rapporto di coppia.

Un certo tipo di politica, si batte per la difesa aprioristica della famiglia naturale, e poi non investe a sostegno della genitorialità. Il benessere psico-fisico del bambino e il suo diritto a crescere in un ambiente affettivo e quindi sano, è il presupposto per un valido sviluppo. L’Italia, ricordiamo, è tra i Paesi che ha ratificato, nel 1991, la Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che dovrebbe essere una guida per tutte quelle Istituzioni che si occupano di queste fasce di età. Infatti, per quanto riguarda i bambini che vengono affidati ai Centri residenziali per minori, dobbiamo evidenziare che, per lo più, vanno incontro a difficili percorsi di crescita, nonostante il grande lavoro che fanno le diverse figure professionali che ruotano attorno alle strutture di accoglienza. Possono essere bambini molto piccoli, ma anche adolescenti e sarebbe opportuno un interesse più sostanziale da parte della politica. L’intervento degli operatori e le scelte stesse dei Tribunali per i minorenni dovrebbero essere esenti da moralismi, credenze e luoghi comuni, ponendo al centro l’esclusivo interesse del minore. Accade, purtroppo non di rado, che molti casi restino aperti per via delle lungaggini burocratiche, perdendo quel tempo prezioso per la crescita di un bambino e per gli stessi genitori, che a volte non trovano risposte in progetti mirati e personalizzati, volti alla loro cura. Accanto alle famiglie multiproblematiche, troviamo quelle coppie che invece scelgono di ricorrere all’adozione per realizzare il desiderio di un figlio. Anche per questi casi sono necessari quegli investimenti che permettano di seguire e sostenere nel tempo le famiglie adottive e quelle affidatarie, essendo la crescita di questi minori estremamente complessa, per le pregresse storie di vita molto difficili.

Attivare precocemente strumenti preventivi, permette di evitare la cronicizzazione di situazioni a rischio. Sulla base di tutte queste considerazioni, riteniamo che sia molto importante la conoscenza della fisiologia del primo anno di vita, in relazione alle dinamiche genitoriali. Come pediatri e pedagogisti capita di incontrare diverse tipologie di genitori; quelli più a rischio sono coloro che mostrano un atteggiamento freddo e lucido nella relazione con il neonato, provando una forte insofferenza al pianto. In questi casi, infatti, non si tratta di difficoltà dovute allo “stress”, ma di importanti segnali che un professionista deve saper riconoscere per attivare un monitoraggio. Ne consegue che è importante che gli operatori siano formati all’attenzione di quella che chiamiamo “intenzionalità non cosciente” di chi accudisce il bambino.

Storicamente il bambino è sempre stato considerato corpo, senza pensiero. Ora sappiamo che tutto ciò è falso. Il bambino, presenta un pensiero per immagini, non c’è scissione mente-corpo. Le immagini si formano, per la sensibilità del corpo, che sente gli affetti dell’ambiente e delle persone presenti. Il vissuto corporeo verrà trasformato in immagini mentali, più o meno evolutive, a seconda degli affetti vissuti. Ne consegue che non possiamo accontentarci della sola “Capacità d’intendere e volere” che caratterizza l’aspetto razionale del genitore, che si muove con destrezza e lucidità nella quotidiana gestione del bambino. Se usassimo solo il criterio dell’intendere e volere, non potremmo accorgerci di questa tipologia di genitore, detto “schizoide” che, perfetto nel comportamento e nel linguaggio, si occupa in modo eccellente dei bisogni del bambino e ci racconta anche di quanto sia solerte nell’individuare le sue esigenze. Poi, a ben vedere, il suo comportamento e il suo linguaggio sono, in realtà, scollegati dai suoi affetti. Questi, sono casi che mettono in gran difficoltà l’operatore che, pur accorgendosi di un ambiente umano anaffettivo, non può tutelare il bambino, perché ha di fronte un genitore apparentemente perfetto. Non c’è coscienza di malattia, né richiesta di cura. Il bambino inizia ad ammalarsi ed il pediatra può intervenire, per lo più, quando si manifestano sintomi evidenti nel comportamento: bambini con gravi ritardi di linguaggio articolato, oppositivi, con gravi difficoltà di attenzione, di memoria e di comunicazione. Spesso, il mondo scientifico non ci viene in aiuto.  Le diagnosi fanno poco riferimento alle dinamiche non coscienti, dando grande spazio agli aspetti cognitivi-comportamentali, considerando quelli relazionali, secondari alle difficoltà di gestione di bambini difficili. Spesso, questi bambini iniziano dei percorsi riabilitativi del ”sintomo” e gli operatori, se ben formati anche sulla realtà non cosciente, assumono un assetto relazionale, che fa recuperare al bambino un’affettività che diventa la matrice della loro guarigione. Gli affetti non sono distrutti, sono spariti e possono tornare, recuperando in vitalità. Se ne evince l’importanza della formazione degli operatori, che non solo intervengono sulla relazione con il bambino, proponendosi come adulto affettivo, ma possono incidere anche sul genitore che a volte, realizza la possibilità di un altro tipo di rapporto con il proprio figlio. Per questo è molto importante creare una rete di professionisti che sappiano organizzare una prevenzione primaria, che possa individuare precocemente quelle tipologie di genitori a rischio, che potrebbero intraprendere un percorso di cura anche prima della nascita del bambino.

Non è da sottovalutare, che gli eventi più efferati si manifestano proprio nei primi mesi di vita, in situazioni spesso di solitudine, o in contesti dove non si è attenti all’intenzionalità non cosciente di chi si occupa del bambino, in un ambiente culturale che spesso ha perso la sensibilità del corpo. Qualora se ne abbia sentore è comunque molto difficile fare l’invio nei centri competenti, salvo che non succeda qualcosa di eclatante. Intanto si cerca di allertare la famiglia, ma a volte non è sufficiente, come è successo nel caso che ha suscitato le nostre riflessioni. È necessario che uno psichiatra si prenda la responsabilità di una diagnosi basata sulla “Intenzionalità non cosciente”. Il problema è che spesso né l’operatore, né la famiglia, né la rete delle amicizie è consapevole del rischio che la coppia genitore-bambino sta correndo. Mi riferisco alla coppia genitore-bambino e non solo alla madre-bambino, perché negli ultimi anni anche i papà sono diventati centrali nell’accudimento dei figli.

Diverso è il caso di un genitore che ha un assetto interno di tipo “depressivo”. Anche in questi casi c’è una realtà di anaffettività, per una realtà non cosciente malata, ma c’è più possibilità che il genitore riconosca il proprio stato di malattia e quindi può essere più facile l’invio ai servizi di prima accoglienza. Investire sugli operatori della prima infanzia con una formazione che fa riferimento ad un pensiero nuovo, basato sulla realtà non cosciente, permette di non incorrere in errori diagnostici e avviare genitori e figli verso un percorso di cura possibile.

 

Picasso, maternità (1905). Fonte: Wikipedia

L’Onu batte un colpo: ora cessate il fuoco a Gaza

Gaza Foto di ActionAid

Anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu (dopo la risoluzione dell’Assemblea per il cessate il fuoco) ha votato: nessun contrario e tre astenuti (Usa, Russia, Gran Bretagna) per una intensa pausa umanitaria. Ma Netanyahu chiede prima il rilascio degli ostaggi. Dunque le armi non tacciono.

Dopo la foto con le bandiere israeliane nel Parlamento di Gaza, lo hanno distrutto. Anche se di fatto da due anni le riunioni non si tenevano più, il gesto resta fortemente simbolico. Mentre si continua a bombardare si va avanti nella “presa” di Gaza. Si entra negli ospedali. Si continua a morire mentre centinaia di migliaia di persone sono allo sbando e nel terrore. Fin qui le “cronache militari”. “Documentate” dai mass media mainstream e dal web dove le immagini di morte si rincorrono.

Cosa farà Netanyahu? La domanda non ha risposte certe. Dopo aver citato Amalek (la terribile e cruenta storia biblica) è difficile capire quale comportamento “politico” possa assumere. Non cederemo a pressioni internazionali, ha detto. Di certo queste ci sono. A parte l’Onu inascoltata ma dove comunque il governo di Israele appare molto isolato, lo stesso Biden sembrerebbe spingere per una soluzione politica. Ma quale? Chi dovrebbe gestire Gaza «bonificata», ammesso, e pare assai difficile, che non si passi ad una fase di resistenza guerrigliera? Il governo israeliano si insedierà sulla Striscia? Qualche forma di “governo palestinese” che divida ancora più le formazioni dei palestinesi stessi?

Un “protettorato internazionale”? Tutte “soluzioni” che devono fare i conti con la realtà. Ci sono due milioni di persone che magari si vorrebbe mandare altrove, ma l’altrove non c’è. I Paesi arabi non accettano. In Israele la “spinta” per prendersi altra terra è forte. I coloni in Cisgiordania “premono”. D’altronde è la politica sciagurata che tanti disastri ha compiuto. Ma in Israele stessa l’opposizione a questo si muove. Si muovono i parenti degli ostaggi che chiedono si tratti la loro liberazione. Come sta lì quel grande movimento contro Netanyahu e la sua politica, a partire dalle “riforme” sulla legge fondamentale in senso “confessionale” e sulla giustizia limitandone l’autonomia che certo non hanno “standard occidentali”. E le manifestazioni crescono in tutta Europa, a volte gigantesche come a Londra. Come crescono le iniziative e i pronunciamenti per un intervento della Corte penale internazionale.

Purtroppo riappaiono anche forme di antisemitismo che vanno subito combattute. Stando ben attenti a non confondere i piani; semitismo, sionismo, ebraismo che sono cose diverse. D’altronde il revisionismo storico imperante uccide oltreché la Storia anche la ragione. Certo la Ue non fa quello che dovrebbe. Dopo la improvvida sortita di Van Dern Leyen tutta a senso unico, anche sul cordoglio per i morti, che le è valsa una lettera di protesta firmata da oltre 800 funzionari della sua Commissione, i distinguo di altre figure apicali della Ue e diverse richieste di dimissioni, la Ue resta divisa. Si dividono anche i socialisti europei che non riescono a convergere sul cessate il fuoco chiesto dall’Onu e al loro congresso non approvano un testo perché Spagnoli e Irlandesi vanno verso l’Onu mentre la Spd tedesca si trincera dietro il governo di Israele. Aver preso la consuetudine con le “guerre umanitarie” ora non aiuta i “cessate il fuoco umanitario”.

In questo quadro serve anche la capacità di riprendere una riflessione. Cessare il fuoco, giustizia per la Palestina, pace per due popoli. Con questo triplice obiettivo ci incontriamo sabato 18 a Roma alla Casa internazionale delle donne dalle ore 15. A convocare sono il Prc di Roma e Transform Italia! con la partecipazione della stessa Casa delle donne. Un luogo giusto per provare, nel dolore ma anche nella volontà di sfuggire le narrazioni tossiche, a ragionare. Sì, ragionare. Perché questo è ciò che noi specie umana saremmo chiamati a fare. Naturalmente con sentimento, anche con rabbia, avendo consapevolezza che certo ci sono torti e ragioni. Ma, come diceva Habermas, con una etica del discorso, una volontà di intendersi. Chi partecipa all’incontro sta dentro l’orizzonte dei tre obiettivi del testo di convocazione ma ha anche specificità, propensioni, condizioni soggettive.

Molti partecipano alle manifestazioni in corso. Ma, ripeto, si avverte anche l’esigenza di riflettere. Ciò che accade è tragico. Ancora di più perché va avanti ormai da decine di anni. Una terra che la storia di imperi e colonialismi, di guerre locali e mondiali, di eventi inauditi, fa sì che sia invece che condivisa in pace, ferocemente contesa. Con una sproporzione di forze, con una asimmetria delle regole e dei diritti. Una terra per altro piccola e difficile che chiederebbe una cura e che invece soffre il dolore e la crudeltà quotidiani da tempi ormai lunghissimi e le esplosioni ricorrenti e sempre più cruente. Dove oggi la strage degli innocenti non è un immaginario episodio biblico ma l’eccidio odierno e quotidiano dei bambini. Dove Gaza è l’inferno in terra. Basterebbe questo a dire che oggi il cessare il fuoco dovrebbe essere imperativo. Come la ricerca di giustizia e pace.

Purtroppo succede tutt’altro nei consessi istituzionali. Anzi, quando quello che dovrebbe essere il luogo della democrazia mondiale, l’Onu, si pronuncia proprio per il cessate il fuoco e per il rispetto delle sue risoluzioni, viene praticamente irriso da chi pensa di detenere non la forza della ragione ma la ragione della forza. O il messianesimo che è l’esatto contrario di quelle pietà e ragione laiche di cui abbiamo bisogno. Ciò che accade è tragico, ancora di più perché sta dentro quella che viene chiamata guerra mondiale a pezzi. Il conflitto tra Ucraina e Russia è quasi scomparso dai mass media ma è ancora aspro e sanguinoso.

Chi dovrebbe, ad esempio la Ue, cercare di contribuire a sanare i conflitti invece li esaspera. Partecipa a questa sorta di guerra orwelliana tra dominanti che si combattono tra loro mandando al massacro la povera gente mentre continuano, tutti, ad arricchirsi col capitalismo finanziario globalizzato, con l’energia, con i vaccini, con le armi. Dovrebbe, l’Europa, tenere fede all’impegno solenne di pace preso dopo aver scatenato due guerre mondiali e prodotto il mostro del nazifascismo. È molto a causa di quanto fatto nel passato che oggi tra Palestinesi e Israeliani accade quel che accade. È molto a causa di chi persegue i suoi interessi di dominio se quel conflitto asimmetrico si lascia “regolare” dalla forza e non dal diritto.

Certo sarebbe ora di tirare una riga netta sul passato e discutere liberamente di quale futuro può dare la convivenza in quella terra. Cessare il fuoco può essere un primo tratto.

L’appuntamento:
CESSATE IL FUOCO Giustizia per la Palestina Pace per due popoli Sabato 18 novembre 2023 dalle 15 alle 20 Alla Casa Internazionale delle donne, in via della Lungara 19 ROMA. Introduce: Raul Mordenti, docente universitario, scrittore, componente, conclude Maurizio Acerbo, segretario nazionale di rifondazione Comunista. Moderano Elena Mazzoni e Rosa Rinaldi (Prc). Con interventi di  Fabio Alberti, Un Ponte Per, Michela Arricale, Comitato Angelo Baracca e CRED. Giuseppe (Ino) Cassini, ex-ambasciatore in Libano, firmatario appello per il cessate il fuoco insieme ad oltre 3.000 accademici, Clare Daly e Mick Wallace, parlamentari europei The Left, Fabrizio De Sanctis, Presidente Anpi provinciale Roma, Eleonora Forenza, ex parlamentare europea, Stefano Galieni, giornalista, collaboratore di Left, Maya Issa, Movimento studenti palestinesi in Italia, Raniero La Valle, ex senatore, firmatario appello Pace, Terra e Dignità, Luisa Morgantini, Assopace Palestina, già sottosegretaria agli Esteri,  Roberto Musacchio, gli ex parlamentari europei, Roberto Musacchio e Pasqualina Napoletano, Ylmaz Orkan, Ufficio informazioni per il Kurdistan in Italia, Riccardo Petrella, Agorà degli abitanti della terra, Manu Pineda parlamentare europeo The Left, Alì Rashid, giornalista palestinese, ex parlamentare italiano,  Eliana Riva, storica e giornalista, Pagine esteri,  Romana Rubeo, scrittrice e redattrice capo di The Palestine Chronicle,  Giovanni Russo Spena, costituzionalista e ex senatore, Yousef Salman, presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, medico Mezzaluna Rossa, Vito Scalisi, Arci, Aida Touma-Suleiman, parlamentare del Partito comunista israeliano. Al termine dell’iniziativa, verrà proiettato il documentario Il cielo di Sabra e Chatila, prodotto da Pagine Esteri, regia di Eliana Riva e ci sarà un buffet organizzato dai e dalle compagne palestinesi con sottoscrizione alla Mezzaluna Rossa Palestinese.

Cessate il fuoco. Giustizia per la Palestina Pace per due popoli

La faccia del governo è sempre a Cutro

Ieri abbiamo saputo che il governo guidato da Giorgia Meloni non ha nessuna intenzione di risarcire i familiari delle vittime della strage di Steccato di Cutro dove morirono 94 persone di cui 30 bambini. Oggi su certi giornali circola un’affettata sorpresa, come se dovessimo dimenticare che Giorgia Meloni non trovò un minuto per onorare le vittime e incontrare i loro familiari nel giorno in cui cannibalizzò la strage per farne uno spot elettorale con tanto di ministri riuniti in città e uno schifosissimo decreto seguente che porta quel nome macchiato di sangue. 

Giorgia Meloni che dovette “scappare per i toppi impegni” (partecipare al karaoke per la festa a sorpresa del compleanno di Matteo Salvini) ha poi ricevuti i parenti delle vittime a Palazzo Chigi, assicurando la vicinanza dello Stato. Ed eccola qua: ieri al processo contro i presunti scafisti lo Stato ha reso noto che non intende risarcire i familiari delle vittime. La Consap, la concessionaria servizi assicurativi pubblici (del ministero delle Finanze) a cui fa capo il Fondo di garanzia dello Stato per il risarcimento delle vittime di incidenti stradali o del mare, in aula ha spiegato che quella carretta mortale non può “ritenersi un’imbarcazione adibita al trasporto e dunque assoggettabile al codice delle assicurazioni”.

Lo Stato a Crotone getta la maschera e come dice l’avvocato Francesco Verri “a Crotone sta mostrando al mondo il suo volto più impietoso e cattivo”. Con un ulteriore particolare: il Fondo di garanzia vittime della strada che si rifiuta di pagare, è rappresentato dall’avvocata Giulia Bongiorno, senatrice della Lega e presidente della commissione Giustizia di palazzo Madama. 

Buon giovedì. 

Per l’emancipazione delle donne, festeggiamo i 70 anni dell’Aied

Settant’anni fa, il 10 ottobre 1953, un gruppo di intellettuali (Dino Origlia, Rinaldo Lazzaro De Benedetti, Antonio Fussi, Giulia Filippetti Gentili, Ada Baisini Ferrieri, Vittoria Olivetti Berla, Guido Tassinari, Adriano Buzzati-Traverso, Mario Dondina) fondò l’Aied, associazione con l’obiettivo di studiare i problemi della popolazione in Italia e di diffondere una cultura moderna di pianificazione familiare, sull’esempio di quanto avveniva nei paesi anglosassoni e scandinavi.
Inizia qui, nell’Italia appena uscita dalla guerra e dalla dittatura fascista, prevalentemente rurale e agraria, una lunga storia d’impegno civile e sociale, di battaglie culturali e politiche sostenute nel corso degli anni da eminenti figure della cultura laica, democratica e socialista, come Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Emilio Lussu.

Nell’arco di questi settant’anni, Aied ha contribuito alla crescita sociale e culturale del Paese e accompagnato gli italiani in questo percorso, con l’informazione e una lotta tenace e costante per l’affermazione dei diritti fondamentali dell’individuo, a partire da quelli per la libertà sessuale e la libera scelta nell’ambito della pianificazione familiare.

Se oggi in Italia le donne possono usare i sistemi contraccettivi, è grazie alla battaglia politica – e giudiziaria – dell’Aied e di Luigi De Marchi, che nel 1971 portò all’abrogazione dell’articolo 553 del Codice Rocco che vietava e puniva «la propaganda dei mezzi atti a impedire la procreazione», prevedendo un anno di reclusione per chi si fosse reso responsabile del reato di “propaganda”, ma anche dell’utilizzo dei contraccettivi.

Questa conquista ha aperto, insieme alla legge sul divorzio, una stagione di riforme senza precedenti, dalla riforma del diritto di famiglia alla legge sui consultori pubblici, dal voto ai diciottenni all’obiezione di coscienza al servizio militare, dalla 180 alla legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza.

Per onorare questa lunga storia, che appartiene e non solo a questa associazione ma soprattutto ai cittadini e alle cittadine italiane, l’Aied ha riunito storici, sociologici e militanti per i diritti civili in un convegno che si terrà a Roma il 17 novembre, presso la sala Capitolare del Senato a piazza della Minerva, grazie all’ospitalità della senatrice Cecilia D’Elia.

In questa occasione verrà proiettato in anteprima un documentario realizzato dall’Aied che ripercorre un’epoca sofferta e rivoluzionaria e che, ne siamo certi, sorprenderà i più giovani. La consapevolezza di avere dei diritti e di avere il dovere di esercitarli e proteggerli è un processo che ha bisogno di tempo e conoscenza. I diritti non “sono per sempre” e la storia delle democrazie moderne ci insegna che è necessario lottare per conquistare quel passo in più che può fare la differenza per le generazioni future.

Il passo in più di cui abbiamo bisogno oggi in Italia, è quello verso la conquista di una informazione aperta, corretta, serena e diffusa sulla sessualità, finalmente senza tabù o reticenze, alla quale le nuove generazioni possano accedere perché, come sancito dalle convenzioni internazionali sull’infanzia, l’educazione e l’informazione sessuale adeguata è un diritto di tutti i bambini e i ragazzi ed è essenziale per la loro salute e sviluppo.

Nei consultori Aied ci confrontiamo ogni giorno con i giovani da almeno tre generazioni, con madri e padri che hanno saputo leggere i profondi cambiamenti della società e favorire il processo di modernizzazione del Paese.
La nostra esperienza ci dice che i tempi sono maturi per introdurre i corsi di educazione sessuale e affettiva nella scuola di ogni ordine e grado, che è una necessità di cui i ragazzi più grandi sono consapevoli e che è uno strumento fondamentale per la crescita armoniosa e serena dei più piccoli.

l quadro di riferimento dell’intervento che Aied propone per il nostro Paese, in linea con gli altri paesi europei dove è già implementato da anni, è dato dagli standard raccomandati per l’educazione sessuale dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Oms e Bzga (Centro federale per l’educazione alla salute). Il documento è stato messo a punto da 19 esperti di varia formazione, dalla medicina alla psicologia, alle scienze sociali.
Gli standard indicano ciò che bambini e ragazzi, nelle diverse età, dovrebbero sapere e comprendere, quali situazioni e sfide dovrebbero essere in grado di gestire a tali età e quali valori e atteggiamenti è necessario che maturino per poter crescere in modo sano, positivo e gratificante nell’ambito sessuale e affettivo.

Il documento è stato già sottoposto all’adattamento alle specifiche esigenze del nostro paese nell’ambito dell’attività di un gruppo di lavoro di esperti multidisciplinari (tra i quali l’Aied), promosso nel 2015 dal Comitato paritetico Miur-Salute.
Tuttavia, questo importante lavoro condiviso si è fermato ed è solo grazie all’iniziativa di dirigenti scolastici e insegnanti, spesso sollecitati dagli stessi studenti, che in Italia ha potuto affermarsi una esperienza preziosa di educazione sessuale e affettiva, alla quale Aied ha partecipato fin dagli anni Ottanta e che ancora, dove è possibile, porta nelle scuole.

Il convegno del 17 novembre apre per Aied una nuova stagione per l’affermazione dei diritti fondamentali della persona: a fianco dei più giovani, rilanceremo la proposta dell’educazione sessuale nelle scuole non solo per la prevenzione della violenza di genere o delle malattie, ma prima di tutto come strumento per la ricerca della propria realizzazione.

Mario Puiatti è presidente nazionale AIED. Ha collaborato Antonella Dentamaro, vicepresidente nazionale AIED

L’appuntamento: Si tiene a Roma il cuore dei festeggiamenti per i 70 anni Aied: venerdì 17 novembre dalle 9.30 nella sala capitolare del Senato in piazza della Minerva è in programma il forum dedicato a “L’Aied e la società italiana 1953 – 2023. Sessualità, diritti, demografia”, l’occasione per ripercorrere un’ampia storia dell’evoluzione sociale in Italia fra trasformazioni politiche e culturali, e ricordare che Aied c’è, ogni giorno, per tutti, con i suoi consultori diffusi in tutta Italia. Fra i relatori, con il presidente Aied Mario Puiatti, la vicepresidente Antonella Spolaor Dentamaro e la presidente Aied Genova Mercedes Bo, ci saranno voci storiche dell’impegno militante per i diritti civili, come la senatrice e storica attivista dell’impegno radicale Emma Bonino, il fondatore e presidente onorario Arcigay Franco Grillini, e ancora le sociologhe Chiara Saraceno e Marina Mengarelli Flamigni, la senatrice Cecilia D’Elia, gli storici e saggisti Gianfranco Porta, già presidente Aied Brescia e autore per Laterza del memoir “Amore e Libertà. Storia dell’Aied” (2013), Beatrice Pisa, Paola Stelliferi e Fiammetta Balestracci, il demografo Gianpiero Dalla Zuanna, Per festeggiare i 70 anni Aied è in arrivo anche un documentario che ripercorre la lunga e intensa storia di questi 70 anni, con molte interviste. Info e aggiornamenti: aied.it

Dagli allo sciopero che forse ti meriti un posticino in giuria a Miss Italia

Come volevasi dimostrare: il fastidio nei giorni scorsi del ministro Salvini verso gli scioperaturi sindacati Cgil e Uil era solo l’assaggio per decidere di affondare il colpo. Ha tastato con mano che il suo elettorato è infastidito molto più dal ritardo di un treno regionale che dal fatto di vivere nell’unica nazione europea in cui i salari negli ultimi decenni si abbassano invece di alzarsi e ha potuto attaccare le facce di Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri sulla bacheca dei nemici (veri, presunti e immaginari) che tiene nella sua cameretta. 

Qualche buon amico deve avergli consigliato di convocarli al ministero prima di lanciarsi nella precettazione ma i due segretari di Cgil e Uil hanno notato del ministro il digrignar di denti e hanno deciso di starsene a casa. 

Le fazioni qui in basso sono già schierate. Ci sono quelli che “lo sciopero che atto inelegante signora mia!”, quelli che “va bene lo sciopero ma solo di mercoledì dalle 10 alle 10.25 che intanto sono in fila alla posta”, quelli che “per legge bisognerebbe concedere lo sciopero solo nei treni in cui non sale nessuno”, quelli che “Landini mi è antipatico per il taglio di capelli” e quelli che “io non ho mai scioperato” come se fosse una skill da aggiungere al curriculum. 

Quando c’è da fare la guerra agli schiavi questo Paese eccelle sempre senza sapere che a furia di gareggiare con gli schiavi si diventa schiavi. Così ci godiamo la guerra agli oppressi, sperando di diventare cari agli oppressori, ingaggiata da quelli che confidano di essere nella prossima giuria di Miss Italia. 

Buon mercoledì. 

Nella foto: frame del video sull’incontro al Mit, 14 novembre 2023

La guerra unica soluzione? Falso

illustrazione di Fabio Magnasciutti

Cosa pensano, che realtà vivono i giovani di Gaza sotto le bombe di Netanyahu e sotto il giogo di Hamas? Cosa pensano e che realtà vivono i giovani israeliani presi in ostaggio dai terroristi di Hamas, dopo aver visto uccidere loro coetanei con i quali ballavano pacificamente in un rave? Riusciranno a sopravvivere e a conservare una speranza di un futuro diverso, come era nei loro sogni? Sembra quasi impossibile. Anche perché i rispettivi governi, quello israeliano e quello di Gaza, sono contro di loro. Come abbiamo visto dolorosamente in questa ripresa del conflitto israelo palestinese a nessuna delle due opposte fazioni interessano davvero i diritti umani dei civili palestinesi e degli ostaggi israeliani. Hamas e Netanyahu, incarnando opposti e speculari fondamentalismi religiosi, si tengono per mano e si fanno guerra sulla loro pelle. Hamas e altri gruppi jihadisti vogliono distruggere ogni alternativa di governo laico e socialista in Palestina, complici anche le ben note e ingiustificabili debolezze dell’Autorità palestinese, che non indice elezioni in Cisgiordania da molti anni.
Nello Stato di Israele ebraizzato nel 2018, il governo di ultra destra di Bibi Netanyahu che vuole esautorare la magistratura con una contestata riforma, ha favorito e incoraggiato l’illegale espansione delle colonie, quando non azioni di vera e propria pulizia etnica contro i Palestinesi come è accaduto a Gerusalemme Est. Nonostante la sua grave ed evidente défaillance riguardo alla sicurezza interna, Netanyahu vorrebbe mettere a tacere l’opposizione israeliana che nei mesi scorsi e anche in queste ultime settimane si è riversata massicciamente per le strade di Tel Aviv, chiedendo le sue dimissioni. Intanto a Gaza, mentre scriviamo, sta deliberatamente mettendo in atto uno sterminio, senza che fin qui né le Nazioni Unite né l’Europa, né l’America abbiano mosso un dito per fermarlo, al di dà di tanti discorsi e delle coraggiose parole del segretario generale Antonio Guterres.
Due milioni di civili palestinesi sono stati assediati, ridotti alla fame, sono stati privati di luce, acqua e medicinali, come documenta su questo numero il reportage di Tina Marinari di Amnesty international. L’organizzazione apartitica per i diritti umani che già nel 2022 documentava l’apartheid praticato da Israele ai danni dei palestinesi di Gaza, che subiscono l’occupazione militare dal lontano 1967.

Negli anni su Left abbiamo scritto molto sulla Palestina, lanciando l’allarme riguardo a queste inaccettabili violazioni dei diritti umani e dei trattati internazionali, dando voce proprio alle nuove generazioni di Gaza che non si riconoscono né nel fondamentalismo retrivo di Hamas, né nella corrotta Anp. Una generazione che prova a non perdere la speranza ma non ha rappresentanza, che – prima di questa distruzione totale – affidava la propria voce ai social, esprimendosi artisticamente con mezzi di fortuna, come documenta da anni il festival Nazra, anche in Italia, e che ora mette a disposizione i suoi film (fra quali anche il docufilm Gaza di Keane e McConnell che ha ispirato la copertina di questo Left). Nella cover story a cui hanno lavorato giornalisti, storici, esperti di diritto internazionale e psichiatri proponiamo nuove inchieste, interviste, approfondimenti su quel che sta accadendo in Palestina e in Israele, dove – sfuggendo alla logica tribale del dente per dente brandita da Netanyahu – cresce l’onda dei giovani obiettori di coscienza, di cui nessuno parla sui media mainstream. Ma il nostro compito va oltre la cronaca e la denuncia per quanto urgentissime. Così proviamo a sollevare domande radicali: davvero la guerra è l’unica soluzione? Oppure come diceva Gino Strada, e come noi pensiamo, è disumana, è un cancro che va eradicato dalla storia? Come far uscire l’umanità dalla trappola della guerra? si domandava già Einstein, intuendo che per trovare la risposta non ci si potesse affidare solo alla fredda ragione calcolatrice, ma bisognasse indagare più a fondo. Lo studio della storia e dell’antropologia un po’ ci conforta, se diamo uno sguardo al passato possiamo scoprire che sono stati tanti i momenti in cui l’umanità ha saputo trovare alternative alle guerre per risolvere i conflitti: Mandela, Gandhi, ma anche Federico II andando più indietro nel tempo ne sono stati testimoni, come scrive Raffaele Crocco, curatore de L’Atlante delle guerre. Se guardiamo all’antropologia e alla moderna psichiatria potremmo scoprire che la violenza non è innata, che la distruttività è malattia che può essere affrontata e curata. Gino Strada diceva che la guerra non è umanizzabile, che va abolita, non esiste codice di guerra che possa renderla più accettabile. Lo diceva alla luce di una concreta esperienza di medico di guerra, lontanissimo dagli astratti discorsi dei guerrafondai da divano e da salotto tv che bloccano la riflessione pubblica, fin dallo sciagurata invasione dell’Ucraina perpetrata da Putin e continuano ora accusando di antisemitismo e di filo terrorismo chiunque osi criticare le politiche di ultra destra di questo governo israeliano che finge di non sapere che il popolo palestinese non coincide con Hamas e con questa scusa mette in atto una disumana punizione collettiva facendo una immane strage di civili, donne e bambini. Di fronte a tutto questo non possiamo voltarci dall’altra parte. Molte migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro questa carneficina nel Medio Oriente e in tante città occidentali, compresi gli Usa e quella Parigi dove le manifestazioni pro Palestina sono state vietate da Macron. «Non mi appassiona la discussione uno Stato due Stati ma l’affermazione del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione, alla libertà» ha detto in un’intervista Luisa Morgantini profonda conoscitrice dell’area e già vice presidente del Parlamento europeo. «Giovani palestinesi e israeliani sempre più dichiarano di volere uguaglianza di diritti. La vergogna è della comunità internazionale che ha permesso ad Israele di essere impunita per una occupazione e colonizzazione che dura da decine e decine di anni».

Illustrazione di Fabio Magnasciutti