«Perché devo fermarmi, perché?» si chiedeva Forough Farrokhzâd nella poesia “È solo la voce che resta”. La poetessa, morta nel 1967, racconta con i suoi versi le tensioni che attraversavano già allora la società iraniana e le contraddizioni tra le sue caratteristiche etico-religiose e culturali. In realtà, questi versi sono più attuali che mai perché, ancora oggi, nessuno ha deciso di fermarsi. È passato un anno dalla morte di Mahsa Amini e noi siamo ancora qui a contare morti e feriti. Si parla di almeno 500 persone uccise negli scontri di piazza e 20mila arrestate, almeno 7 messe a morte. I numeri reali non li avremo mai. Ma abbiamo le storie, le sofferenze, le lacrime di chi ci racconta cosa è successo in Iran negli ultimi 12 mesi. Il 16 settembre 2022, nelle stesse ore in cui veniva seppellita in fretta e furia Mahsa Zhina Amini, nel cimitero di Saqqez nel Kurdistan iraniano, in tutto l’Iran si stava diffondendo il movimento rivoluzionario “Donna, vita, libertà”.
«I miei 6.640 giorni nel braccio della morte»
L’architettura delle metropoli americane non è certo timida nella messa in scena del potere dello Stato. Houston, con il suo quartiere dei tribunali, non fa eccezione. Qui, gli edifici sembrano sfidarsi in un tacito braccio di ferro architettonico, per stabilire quale meriti il titolo di supremo custode della Legge. C’è il tribunale minorile, l’edificio dove vengono selezionati i giurati, la Corte civile, quella storica del 1910 – solenne e maestosa – e la Corte penale, dove si sentenzia la pena capitale. Oltre il fiume, alcuni murales raffiguranti la Giustizia – con la sua spada, la bilancia e la benda sugli occhi, ma qui è nera e porta i capelli cotonati. Anthony Graves attende l’intervista in un bar sotto una vecchia torre dell’orologio. A lui, che ha passato quasi 19 anni nel braccio della morte, si chiede se la percezione del tempo lo turbi. Graves risponde con lo sguardo di chi ha visto i giorni diventare anni e gli anni decenni, mentre lottava per dimostrare al mondo la sua totale innocenza. «Sono entrato nel braccio della morte nel 1994 e quando sono tornato a casa, quasi 19 anni dopo, per me era ancora il 1994», dice. «Vivi rinchiuso per 22 ore al giorno, in uno spazio che non sarà più largo di 2-3 metri. E questi giorni sono stati 6.640. Studi il tuo caso senza tregua, scrivi lettere disperate. Ma spesso, finisci col girare in tondo nella tua cella. L’isolamento forzato spezza la tua voglia di vivere e ti fa impazzire. Succede di continuo».
Perché la democrazia Usa non ferma Trump
C’era una volta l’October surprise, spauracchio di tutti i candidati presidenziali che, a un mese dal voto, temevano sempre di veder comparire sui giornali una notizia considerata sconvolgente sul loro conto (di solito risalente agli anni dell’università). L’incredibile misfatto poteva senza problemi affossare una candidatura promettente, o comunque dare dei bei mal di testa alla squadra del candidato in questione che avrebbe dovuto dare il tutto per tutto per scamparla. C’era una volta, appunto. Negli ultimi anni, qualcosa di molto importante è cambiato, qualcosa che potremmo riassumere in un nome: Donald Trump. Vincitore a sorpresa delle primarie del Partito repubblicano del 2016, Trump arrivò alla Casa Bianca con tutti i pronostici degli analisti contro. Un risultato che è stato possibile anche grazie al meccanismo peculiare delle presidenziali statunitensi, per cui non è sempre detto che chi ottiene la maggioranza del voto popolare sia poi lo stesso a essere nominato presidente dal voto dei Grandi elettori, le eminenze grigie che determinano il risultato finale. Quello a cui stiamo assistendo adesso, però, ha superato tutte le previsioni possibili.
Il futuro che viene da Oriente
“Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà” avrebbe detto Napoleone nel 1816. In realtà sono secoli che la Cina alternativamente si affaccia al nostro mondo, come una creatura curiosa ricca di cultura, oppure come una minaccia politica o commerciale.
Solo in questi ultimi decenni, si è passati dalla curiosità e il rispetto che portarono l’Italia del partito socialista di Nenni al riconoscimento della Repubblica popolare il primo novembre 1971, alla curiosità degli spettatori italiani mossi dalla visione del documentario di Antonioni Chung-kuo (1972) e dello sceneggiato a puntate di Giuliano Montaldo su Marco Polo trasmesso negli anni Ottanta, per poi arrivare alla grande tragedia dei fatti di Tian’anmen del 1989, che sembrarono allontanare la Cina dai nostri occhi.
Poi, l’entrata nella Cina nel World trade organization nel 2001 sembravano averla risucchiata definitivamente nel nostro mondo economico: le Olimpiadi del 2008 e l’Esposizione universale di Shanghai del 2010. Il mondo era globalizzato, l’occidente produceva in Cina, mentre consumava in Europa e in America. Se qualcuno scriveva che il mondo era più complesso di quello che sembrava, veniva tacciato di disfattismo, il sole rosso del capitalismo ormai era già sorto e ai più sembrava ormai alto nel cielo anche in terra cinese.
Violenza contro le donne. La parola chiave è prevenzione
Anna Scala è stata accoltellata alla schiena e trovata morta nel bagagliaio della sua auto. Aveva denunciato per ben due volte il suo ex partner. Il suo drammatico caso, insieme agli stupri di gruppo a Palermo e a Caivano di cui sono state vittime una ragazza e due bambine hanno fatto parlare della necessità di leggi più incisive (restrittive, repressive). Io continuo a pensare che non servano ulteriori leggi chissà come risolutive, ma occorra che quelle già esistenti vengano applicate e che si seguano le direttive internazionali che puntano sul sostegno e la protezione reale delle vittime, con strumenti finanziati e personale formato (centri anti-violenza, case rifugio, percorsi personalizzati di fuoriuscita dalla violenza), nonché sulla prevenzione della violenza maschile contro le donne. La domanda ritorna: abbiamo veramente bisogno di maggiori strumenti legislativi? È solo la coercizione e la repressione la risposta efficace per combattere questo fenomeno che non accenna a scomparire, anzi rimane costante nel tempo nonostante da anni, in Italia, si registri un calo costante degli omicidi totali? A me sembra che nei fatti la prevenzione venga del tutto trascurata.
Oltre la maschera, Alter Heroes
testo e foto di Marco Scardovi
Quanto (poco) possiamo dirci incuriositi dalla vita delle persone che incrociamo per strada? Le percepiamo appena, quasi fossero ombre di passaggio sul nostro cammino. Modelli inconsapevoli che vestiamo con maschere omologanti, tendenti al grigio, il cui fine ultimo è semplificare una complessità che – anche non dovesse spaventare – rischierebbe comunque di disorientare. Quasi volessimo mantenere il diritto ad osservare ma stessimo perdendo la capacità di comprendere, sembriamo essere pronti a relegarne le esistenze all’unico ruolo che sembra loro attribuibile: quello di comparse. A questo tipo di maschere intendono contrapporsi quelle indossate dalle persone ritratte in queste foto. Maschere forse deboli nella trama, ma forti nel significato anche in quanto simboli. Osservandole, verranno certamente in mente i nomi dei supereroi a cui fanno riferimento: Batman, Superman o Flash. Meno immediato, ricordare invece i nomi degli alter ego che si celano dietro ad esse, veri e più autentici protagonisti di ogni avventura, detentori della dimensione più intima e complessa di ogni supereroe. Per quanto riguarda i/le protagonisti/e di questi scatti, basti sapere che – dopo aver attraversato il Sahara, la Libia e il Mar Mediterraneo – i loro destini si sono incrociati nel 2016 a Lugo di Romagna.
Riace resiste e chiede giustizia per Lucano
Crollate le accuse contro l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano e completamente stravolta la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che lo aveva condannato a oltre 13 anni per reati gravi tra cui associazione per delinquere, truffa, peculato. La Corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato Lucano a 1 anno e 6 mesi con pena sospesa: un decimo di quanto chiedeva la procura. Assolti tutti gli altri imputati. Oggi, 11 ottobre, nelle ore in cui è arrivata la notizia della sentenza d’appello, vi proponiamo il reportage integrale di Amedeo Ciaccheri da Riace, uscito nel numero di settembre 2023 di Left.
Battuta dal vento Riace aspetta sulla collina. Un piccolo borgo immerso nella Locride calabrese che ha conquistato l’attenzione del mondo intero per ben due volte negli ultimi cinquant’anni, a vederlo oggi sembra davvero che dorma impassibile di fronte alla storia e in attesa di un destino già scritto. Come tanti altri borghi su queste stesse colline, come potrebbe dirsi di tanti altri luoghi delle cosiddette aree interne, Riace sa che in questo modello di sviluppo non ha futuro. Lo avrà forse la Marina del paese, che ambisce a trovare il suo posto almeno per qualche mese l’anno nell’industria del turismo. Qualche anziano nei bar, poche luci accese nel paese. Rimangono aperte le botteghe di un altro mondo possibile, il vasaio di Kabul, le sarte, gli artisti, e attendono, anche se non ci sono passeggiatori pronti a entrare. Un sonno inquieto dove non c’è pace e rassegnazione mista a rabbia si contendono il campo. Il 20 settembre Domenico Lucano, detto Mimmo, detto Mimì Capatosta, tornerà sul banco degli imputati per essere nuovamente giudicato sulla sua condotta da sindaco prima che una piccola restaurazione tornasse a conquistare questo piccolo borgo che ha tentato la rivoluzione.
In questa estate torrida un mese di eventi e incontri ha animato il Villaggio globale di Riace sfidando il senso di sconfitta e la ragionevolezza. Un appuntamento per rinsaldare alleanze e rilanciare.
Non è difficile raggiungere Riace: in aereo fino a Reggio o Lamezia, qualche ora di macchina, qualche ora di treno. Eppure c’è chi ha lavorato per rendere Riace irraggiungibile tentando di farne un ricordo. Non è difficile raggiungere Riace ma chi la mette sul banco degli imputati qua non c’è mai stato. Probabilmente proverebbe vergogna. Anche la Fattoria sociale non si è fermata. Rinata negli ultimi mesi grazie all’utilizzo di una parte minimale del fondo di solidarietà mosso dalla campagna che Luigi Manconi e tanti altri hanno sostenuto in giro per l’Italia, la Fattoria sociale resiste aggrappata alla montagna. I suoi asinelli, le galline, le papere possono continuare a contare sul lavoro dell’associazione Città futura e di altre complicità solidali, come i ragazzi di Alex Zanotelli. In tempi di dibattito sulla conversione ecologica, la Fattoria sociale non vale solo come esperienza di inserimento lavorativo ma trae la sua importanza nell’aver messo in sicurezza il costone di un monte, recuperato il corso storico di un fiume e frenato così il dissesto idrogeologico. In tempi di alluvioni e frane, pensare a questo qualche anno fa, sembra eccezionale ma non lo è. È solo giusto.Tanti, tantissimi, a cominciare da Left hanno parlato in questi anni di Riace per il modello di accoglienza integrata che Domenico Lucano ha saputo costruire o raccontare le pratiche di comunità che Mimmo ha saputo valorizzare, esercitando la forza di un ideale in contro tempo. Mentre la globalizzazione concentra valori e persone nelle grandi città. Mimmo ha tolto la polvere dalle radici di un ideale antico di giustizia sociale per fare poche cose semplici. Riace è stato per questo un laboratorio politico, un esperimento di democrazia integrale, di riappropriazione della decisione, un problema per la sinistra che cerca nel nuovo millennio una nuova costituzione materiale e che possa reimmaginare ancora una volta il suo rapporto con il potere.
Un agosto militante, davvero sarebbe da dire, quello appena trascorso a Riace, per l’ostinazione di voler raccogliere insieme una geografia solidale, da Luigi Ferrajoli a Wim Wenders, da Eugenio Bennato a Mario Oliverio, da Nichelino in Piemonte alla Garbatella romana. A vedere quanti in questi anni hanno speso dichiarazioni su Riace, può sembrare poca cosa ma non è così. C’è chi è importante che ci sia per tenere insieme iniziativa politica e scenari giuridici, la musica e il dibattito, i laboratori e le cene a tarda notte, il mondo e il borgo.
Mimmo Lucano non è più sindaco e affronta questa battaglia da militante così come ha cominciato nei collettivi diversi decenni fa ma venire a Riace può aiutare chi segue da lontano le vicende di questo Davide che affronta Golia, per sfatare un mito. Mimmo non è un uomo solo. Questo racconto della solitudine di Lucano ha svolto fino a oggi la sua opportuna funzione nel dibattito pubblico: il povero cristo, l’utopista, il disgraziato, in qualche modo è stato fatto pagare a Riace di essere divenuta un simbolo della Liberazione dei nostri tempi, quella di Tonino Bello ad esempio, dove umanità e critica sistemica si tengono insieme. Ma attraversare Riace in questa calda estate italiana dove si fatica a costruire le battaglie dell’autunno su povertà e autonomia differenziata, e mentre la guerra continua, consumando la credibilità della politica europea, si può credere che qua la sinistra potrebbe ritrovare sé stessa. Non un uomo, ma un progetto, intanto antirazzista, e poi radicale, che usa il linguaggio di tutti, e non quello delle élite ma rivoluziona la qualità della vita e le prospettive di futuro. Un progetto che non poteva andare avanti tranquillo.
Mimmo non vuole essere un martire. È tosto, e all’opportunismo di diventare un personaggio non ha ceduto. Una novità per la sinistra dei nostri tempi, ammalata di tatticismo, che ha tentato negli ultimi anni la scorciatoia dell’album di figurine dove incasellare tutti, generalesse e generali senza esercito, al massimo con un liquido pubblico di follower.
Riace perciò resiste a modo suo, come una comunità, sotto schiaffo certo, ma una comunità: i migranti, gli attivisti della prima ora, i ragazzi che non vogliono vedere morire il borgo dei propri genitori e per questo sentono dentro la forza di una militanza necessaria, gli avvocati, i sindaci vicini e quelli lontani, gli artisti, i giornalisti. Riace si è fatta porta d’Europa in questi anni e se condivide le sue buone pratiche con tante altre esperienze a lei vicine e lontane, Riace per prima, così com’è stata con Lucano sindaco ed è ancora ostinatamente oggi, ha colto la forza politica di una sfida valoriale in questo tempo e della critica a questo modello di sviluppo. Non solo accoglienza ma democrazia, ecologia, lavoro, futuro, diritti.
Da una sfida contro la morte della sua comunità Lucano ha tratto forza, parole e motivazione per inventare un mondo che prima non esisteva. Un mondo giusto e possibile, non facile ma possibile. Questo mondo andrà a processo il 20 settembre per l’appello alla condanna di questa storia. Le accuse di peculato e abuso d’ufficio sono uno scandalo per chi conosce questo borgo ma l’ostacolo ormai è obbligato.
Che venga riconosciuta l’innocenza di Lucano e degli altri imputati non è importante solo per liberarli da una ingiusta gogna ed eliminare la scure economica che pesa su di loro come un macigno ma per tornare ad affrontare la sfida politica di Riace. Che Lucano possa essere di nuovo sindaco o ancora di più, militante per una Europa di pace, sarebbe una bella battaglia da combattere, non per lui ma per la sinistra che meritiamo. Una sfida collettiva, non numeri primi ma moltiplicatori generativi, come è Mimmo, per cui il potere è un oggetto da distribuire, potenza di trasformare, battaglia e non solo testimonianza.
Una cosa possiamo fare: aprire ambasciate di Riace in ogni città. Anti nazionaliste, municipaliste, ambasciate di umanità e complicità per sostenere questa esperienza e la sua battaglia.
Perché quando Lucano dice rifarei tutto, senza rimpianti, senza rancore, non fa solo una affermazione, ma ci fa una domanda: rifarei tutto, saremo insieme? Ecco una domanda giusta per la sinistra del nostro tempo.
L’autore: Amedeo Ciaccheri è presidente del Municipio VIII di Roma
I braccianti del ghetto sulle orme di Di Vittorio
In fuga non soltanto dalla guerra, ma anche dalla siccità che provoca carestie e strangola lentamente interi Paesi africani, loro sanno bene quale sia il valore dell’acqua. Dove c’è, si può lavorare la terra, coglierne i frutti, in una parola vivere. Per questo quei grandi serbatoi azzurri che sono finalmente arrivati a Borgo Mezzanone sono stati salutati come un evento. Già, perché ai lavoratori agricoli della Capitanata e del Tavoliere, migranti arrivati fin qui per raccogliere frutta, verdura e ortaggi che crescono negli sterminati campi pugliesi, mancava perfino l’acqua potabile. Sono stati versati fiumi di inchiostro per denunciare l’insostenibile condizione di chi vive in questa vecchia pista aeroportuale, a pochi chilometri da Foggia, costruita dagli alleati durante la Seconda guerra mondiale, dismessa un quarto di secolo fa e subito diventata, nel linguaggio burocratico, un centro di accoglienza per rifugiati. Quale accoglienza? Nemmeno l’acqua potabile hanno avuto, almeno fino a inizio di agosto.
Andrea Orlando: Il governo Meloni è forte con i deboli
Un anno fa da ministro del Lavoro Andrea Orlando aveva avanzato una proposta sul salario minimo, ma poi cadde il governo Draghi. Poi è arrivata la proposta unitaria di Pd, M5s, Alleanza Verdi e Si, + Europa e Azione ma è stata votata una sospensiva. L’11 agosto scorso la premier Meloni, convocando le opposizioni, ha lanciato la palla in tribuna, affidandola al Cnel. Il dibattito sul salario minimo così slitta a ottobre, se non addirittura a gennaio, visto che prima c’è la legge di bilancio. E tre milioni e mezzo di lavoratori poveri restano ancora al palo. Nonostante i sondaggi e le raccolte di firme dicano che gran parte dell’opinione pubblica vuole una legge sul salario minimo (sul modello di quel che accade in 22 Paesi dell’Unione europea) le forze di governo alzano un muro di obiezioni.
Andrea Orlando, cosa rispondete a chi dice che un salario minimo per legge indebolirebbe la contrattazione?
Intanto è importante chiarire quale è la nostra proposta di salario minimo. Non viene introdotta come in altri Paesi rimettendola semplicemente a una decisione del Parlamento o dell’autorità politica. In Turchia, per esempio, prima delle elezioni, Erdoğan ha alzato il salario unilateralmente. La nostra proposta invece lega il salario minimo alla contrattazione come norma, cioè estende i migliori contratti a tutti i lavoratori di un settore. Interviene come una clausola di legge che fissa un minimo sotto il quale non si può andare nella contrattazione. Altro aspetto importante è che il salario minimo viene fissato con la concertazione che coinvolge le parti sociali. Ripeto, non è il Parlamento o il ministro del Lavoro che decide arbitrariamente.
Il catechismo della scuola digitale
Da una parte i docenti e dall’altra i funzionari ministeriali e i pedagogisti. Nel mezzo, l’orientamento sempre più digitale del ministero. Non si era mai arrivati a una distanza tanto ampia tra la visione della scuola più diffusa nel corpo insegnante e le concezioni didattiche dell’apparato burocratico-pedagogico che definisce le linee di indirizzo del sistema di istruzione. Leggendo i documenti ministeriali in tema di didattica e partecipando ai corsi di aggiornamento proposti dall’apparato burocratico-pedagogico, si avverte un’ostile estraneità, come se si fosse smarrito il senso del lavoro del docente. Come si è arrivati a questi livelli di incomprensione tanto alti? Sicuramente attraverso decenni di comunicazione a senso unico: in convegni e incontri pubblici, per esempio, le rare occasioni di compresenza – e quindi di possibilità di dialogo – di funzionari dell’apparato e di docenti di scuola si sono dissolte in un nulla di fatto, con i rappresentanti dell’apparato intenti a dispiegare le magnifiche sorti e progressive dell’innovazione didattica e i docenti di scuola costretti a un ascolto passivo, prima della sparizione (letterale), per improrogabili impegni istituzionali, dell’imbonitore di turno.










