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Lo Stato della nostra stampa

Osservare i fatti messi in fila può aiutare a rendere consistente l’idea. Solo negli ultimi giorni è accaduto che un ministro della Repubblica, tra l’altro un ministro alla Difesa che ha accesso a informazioni riservate, abbia rilasciato un’intervista da cui si evince l’accusa di oltraggio allo Stato per i giornalisti che hanno raccontato i misfatti imprenditoriali di una sua collega. L’intervista di Guido Crosetto in difesa di Daniela Santanchè contiene tutti i topos dell’attacco alla stampa con l’aggiunta della minaccia velata. Un capolavoro dell’orrore.

Sono questi i giorni in cui uno scrittore – Roberto Saviano – è sotto processo per avere pronunciato la parola “bastardi” nei confronti di Giorgia Meloni, in riferimento alle politiche xenofobe e ai discorsi d’odio che questa destra ha concimato in questi ultimi anni. Lasciando perdere inutili letture pietistiche (che Saviano sia minacciato dalla mafia non c’entra nulla con questo discorso, usare questa roba è inutile) che una presidente del Consiglio quereli il giudizio di un cittadino è una sproporzione inaccettabile. Come dice Corrado Formigli che “la persona più potente d’Italia” monopolizzi “un’aula di giustizia per la sua personale resa dei conti” alla ricerca di una pena esemplare “del chiodo al quale appendere, d’ora in poi, il diritto di critica” è una pessima notizia per il giornalismo. È un avvertimento per chi si ritrova a scrivere notizie sul governo.

Ancora. Secondo quanto riferito dal presidente della Federazione nazionale stampa italiana, Vittorio Di Trapani, nella bozza del contratto di servizio presentata nel nuovo consiglio di amministrazione della Rai – guidato da Roberto Sergio – sono stati tolti i riferimenti all’obbligo di “valorizzare e promuovere la propria tradizione giornalistica d’inchiesta”. In più, secondo il presidente della Fnsi, dai principi generali è stato eliminato il comma relativo al “diffondere i valori dell’accoglienza” e viene introdotto l’obbligo di diffondere i valori della “natalità”. La principale azienda d’informazione pubblica italiana si ritrova ad avere scritto, nero su bianco, il passaggio dall’informazione alla propaganda.

Nel frattempo l’ex responsabile della comunicazione di Giorgia Meloni, Mario Sechi, annuncia di lasciare il suo ruolo politico per trasferirsi a un ruolo giornalistico come direttore del quotidiano “Libero”. Nel Paese in cui il conflitto di interessi tra stampa e potere (ma anche imprenditoria, soprattutto nel campo sanitario) vige da 30 anni ormai le “porte girevoli” non sono nemmeno più una notizia. La pacifica indifferenza con cui si assiste a tutto questo è l’effetto di un Paese narcotizzato. Eppure lo stato della stampa è il sintomo dello stato dello Stato.

Buon mercoledì.

Lo sbrocco di Giorgia Meloni

Dopo i rave party, dopo gli orsi, dopo la sostituzione etnica e dopo un’innumerevole sfilza di argomenti di distrazioni di massa ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha deciso di buttarsi sulla “droga” – come argomento – per rinverdire la propaganda spicci, fatta solo di luoghi comuni sputati come se si fosse al bar.

Così in occasione dell’evento alla Camera per la Giornata mondiale contro le droghe ha infilato una serie di panzane in cui riesce a prendersela con Netflix perché si è permesso di investigare nella vita e nei modi di Vincenzo Muccioli e della comunità di San Patrignano. Non contenta se la prende – i nemici come linfa vitale, siamo sempre lì – con quelli che spacciano «la droga come un forma di libertà» (ma chi sono? dove sono?) proclamando «finita la stagione dell’indifferenza, del lassismo, del disinteresse». In effetti tagliare la sanità e quindi la prevenzione e la riabilitazione sembra confermare la mendacia del proposito.

«Le droghe fanno male tutte, non esistono distinzioni, chi dice una cosa diversa dice una menzogna. Dire che ci sono droghe che possono essere usate è un inganno», dice Giorgia Meloni, provando ad alludere anche all’utilizzo di cannabis quando si debbano alleviare dolore (oncologico e non), disturbi cronici associati a sclerosi multipla o a lesioni del midollo spinale, malattie reumatiche e neuropatie. Finge di non sapere che nel marzo 2007 la rivista scientifica The Lancet ha pubblicato uno studio che evidenzia minore pericolosità della cannabis rispetto ad alcool (di cui questo governo è uno sponsor eccezionale), nicotina o benzodiazepine.

Dopo ore di banalità Riccardo Magi di +Europa decide di mostrare un cartello che recitava “se non ci pensa lo stato ci pensa la mafia”. «È stata una kermesse, – spiega Magi – non è stato un convegno, nella quale sono stati forniti all’opinione pubblica italiana da parte del governo e che sicuramente avranno la massima evidenza mediatica su giornali e telegiornali, i principali luoghi comuni e le principali fake news sul fenomeno del consumo delle sostanze stupefacenti in questo paese. Siccome noi crediamo che il governo abbia delle responsabilità serie nell’affrontare un fenomeno sociale serio come quello del consumo delle sostanze stupefacenti, a un certo punto dopo due ore non potevamo restare in silenzio e quindi abbiamo semplicemente esposto dei cartelli».

A questo punto la presidente del Consiglio si infiamma, diventa paonazza, impugna il microfono come una spada e comincia a urlare contro il parlamentare. Un’esplosione di volgarità nei modi e nei toni ben lontana dalla recitazione che Meloni si è imposta per apparire una papabile leader dei conservatori e non un’aizzapopoli tra i sovranisti. Basta osservarla qualche secondo per comprendere il motivo per cui Giorgia Meloni non tenga una conferenza stampa dai tempi della strage di Cutro. Lo schema è semplice: falsità propagandistiche e subito dopo incapacità di argomentare se viene smentita.

Buon martedì.

tratto da The Lancet

Unica strategia: opporsi all’opposizione

L’altro ieri il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha fatto un salto al Convegno nazionale dei giovani imprenditori di Confindustria a Rapallo, per elogiare il governo di cui fa parte com’è normale che sia. La profezia è da opuscolo pubblicitario: “Nei prossimi anni l’Italia vivrà una rivoluzione positiva infrastrutturale, economica, sociale, ambientale e lavorativa, che è paragonabile solo al boom del secondo dopoguerra. Questo governo durerà per tutti i 5 anni, non un minuto di meno. Sono sicuro che andrà così. In Silvio (Berlusconi, ndr), in Antonio (Tajani, presente tra il pubblico, ndr), in Giorgia (Meloni, ndr) sto trovando non dei colleghi, ma degli amici. Più provano con ricostruzioni fantasiose e surreali ad allontanarci, più ci uniscono. Ci sentiamo 2, 3, 4, 5 volte al giorno”.

Fin qui niente di più del previsto. Poi arriva l’unica vera strategia che unisce questo governo: opporsi all’opposizione. Lo fanno benissimo, sono forgiati da anni di esperienza. Odiare i presunti “nemici” è l’unico collante di questa maggioranza. Così Salvini comincia prima a bastonare la Cgil: “Se critica il mio codice degli appalti, allora vuol dire che è fatto bene. Ho scoperto che c’è questa nuova categoria filosofica: dopo i terrapiattisti, ci sono i no pontisti. I signori del no sono sempre molto bravi a farsi sentire. Io sono sicuro che, se adesso accendete la tv per vedere un telegiornale – dice il ministro – vedrete Landini, Tizio, Caio, Sempronio. Quelli del no, i no Tav, i no ponte, i no flat tax, i no autonomia, i no Brennero, i no alta velocità, i no qui, i no là sono bravissimi: pochi, organizzati, spesso ignoranti e arroganti ma molto presenti. Quelli del sì invece passano le loro giornate lavorando e non hanno questo gran tempo come quelli del no”.

Poi attacca gli studenti: “C’è il tema casa a cui stiamo lavorando da 8 mesi, non in base alle tendopoli davanti al Politecnico di Milano, perché abbiamo una programmazione che prescinde dalla volontà scoutistica di qualche studente. Quello dei cretini che si stendono sulla tangenziale non è ambientalismo, quelli sono nemici dello sviluppo del nostro paese“.

Poi bastona gli odiatori di Berlusconi e i nemici della ministra Santanchè: “La sua morte è stata la morte non di un alleato politico, ma di un amico. E io penso che mancherà al paese e a chi gli voleva bene. Mancherà anche a coloro che lo odiavano, perché adesso dovranno ricollocarsi ma penso che abbiano già parecchi obiettivi a loro disposizione. Se la politica dovesse lavorare in base alle inchieste di Report e del Fatto Quotidiano, saremmo un paese delle banane. E quindi, per quanto mi riguarda, do massima fiducia ai colleghi in carica, perché l’ho vissuto sulla mia pelle”.

Infine, non riesce a trattenersi e incastrato nel suo personaggio Matteo Salvini dice anche agli organizzatori del convegno: “Andrei avanti per ore, però vedo facce un pochino affamate. Fuori è brutto, sta diluviando. Avete scelto un brutto posto per fare questa assemblea: un brutto albergo e una brutta città con un brutto clima“. E saluta così. Il piccolo episodio di cronaca politica rivela l’antropologia di questo governo che per sentirsi vivo deve fingersi sempre assediato da qualcuno. Era la modalità della campagna elettorale ed è la modalità di Salvini, berlusconiani e Meloni negli ultimi anni. Ora che sono arrivati al governo – ormai da più di qualche mese – non riescono a schiacciare l’interruttore per mettersi in posizione di governo e come un cucù rotto continuano a cantare una parte che non ha più senso. Viene quasi il dubbio che se non avessero “nemici” stamattina sarebbero lì, spersi in mezzo al deserto, a pregare che arrivi un nemico per tenerli vivi.

Buon lunedì

Nella foto: Matteo Salvini al Convegno nazionale dei giovani imprenditori di Confindustria a Rapallo, 24 giugno 2023, frame del video

Il gioco delle parti fra Putin e Prigozhin. Nello scontro fra due criminali chi resta sotto è il popolo

Putin e Prigozhin da wikipedia common

Lo scontro fra le forze mercenarie del gruppo Wagner e il Cremlino avrebbe potuto sfociare in guerra civile. Quello a cui abbiamo assistito il 24 giugno era un attacco pianificato da tempo da Evgeny Prigozhin, capo della milizia privata detta Wagner, nata con l’aiuto di Putin, che si è insinuata in molti Paesi africani, sfruttandone le risorse e che ha fatto il lavoro sporco per Mosca nei teatri di guerra dall’Africa all’Ucraina.

Molti analisti sostengono che Prigozhin –regista dell’attacco a Rostov che minacciava di marciare su Mosca – sia passato all’atto quando ha capito che Putin voleva farlo fuori riportando la Wagner nei ranghi dell’esercito ufficiale.

Parliamo di uno scontro fra due criminali di guerra. Da una parte il presidente Putin, in sella almeno per ora, dall’altra l’ex cuoco ed ex carcerato che è diventato il capo degli squadroni della Wagner: ufficialmente una società militare privata, ma con stretti rapporti con gli apparati di sicurezza russi, a partire dall’intelligence.

Dalla padella alla brace, potremmo dire. O meglio: dalla brace alla brace, altrettanto nera. Il presidente Putin, ex capo del Kgb e che ha sempre mantenuto quella mentalità sterminando direttamente e indirettamente oppositori e giornalisti (vedi l’uccisione della giornalista Anna Politoskaja), non è diverso da Prigozhin.

Povero popolo russo trascinato in guerra da Putin contro il popolo ucraino, di cui è fratello. Il presidente russo aveva a sua volta pianificato per tempo l’aggressione all’Ucraina sacrificando una intera generazione di giovani uomini; un popolo che non vede luce ormai da più di vent’anni. Dal 1999 a oggi Putin ha fatto un uso privato del potere, auto consacrandosi zar, alterando la Costituzione (vedi qui l’intervista a Olga Misik che leggeva la costituzione in piazza), con la benedizione della Chiesa guidata dal patriarca Kirill, (sodale di papa Francesco con il quale andò a Cuba) che ha inneggiato alla guerra santa contro l’Occidente

Insomma, ribadiamo, Prigozhin non è diverso da Putin, che lo ha stigmatizzato come novello Lenin. Purtroppo non c’è traccia di rivoluzione sociale, come fu – pur fra mille errori – nel 1917. Questa espressione di Putin evidenza con ancor più chiarezza – ammesso che ce ne fosse ancora bisogno – la sua ideologia imperialista, nazionalista che ha improntato l’invasione dell’Ucraina. (A questo proposito consigliamo di leggere Putin storico in capo di Nicolas Werth, appena pubblicato da Einaudi).

Ora cosa succederà?  Quale ruolo giocherà il feroce dittatore ceceno Kadyrov, che non ha scrupoli nell’usare la forza più brutale, andrà il soccorso di Putin?

In che mani potrebbero finire le armi tattiche militari russe che anche la Bielorussia  ha accettato sul proprio territorio?

Quali passi farà in questo nuovo contesto la controffensiva ucraina?

Come reagiranno i Paesi africani dove è profonda l’infiltrazione del Wagner? Dal Mali al Sudan dove la Wagner concorre allo sfruttamento delle locali miniere di oro, a detrimento della popolazione ( a questo proposito ascolta l’analisi di Jean Leonard Toudì)

Sono tutti quesiti aperti che ci interrogano profondamente.

24 giugno ore 20.30 «Ci fermiamo e torniamo alle basi. Torniamo in Ucraina». Il capo della compagnia di mercenari Wagner, Evgenij Prigozhin, annuncia il ritiro in un messaggio audio dicendo di voler «evitare un bagno di sangue».

Che cosa ha ottenuto in cambio di questo stop della marcia su Mosca? Prigozhin avrebbe voluto che fossero rimosse le massime cariche militari russe, ma dopo colpo di testa, rischia di rimetterci le penne. Anche perché ha reso plasticamente evidenti le crepe profonde del regime russo. Prigozhin ha dimostrato che si può arrivare a 200 km da Mosca senza ostacoli. È un messaggio che “pragmaticamente” il capo della Wagner lancia all’Occidente e contemporaneamente al cerchio magico di Putin, che da tutta questa vicenda esce indebolito. Ma vedremo concretamente se sarà così nei prossimi giorni.

L’unica cosa che abbiamo registrato a caldo è che il leader bielorusso Lukashenko, che era dato in uscita di scena, da perfetto maggiordomo di Putin ha mediato l’accordo e che il presidente Erdogan ha chiamato Putin per offrirgli il suo supporto, come Putin fece con lui nel 2016, quando avvenne il presunto putch.

DIARIO DI UNA SETTIMANA DI TENSIONE E DI ESCALATION NEL CONFLITTO

26 giugno Putin parla alla nazione: «Fin dall’inizio degli eventi, il 24 giugno, su mie dirette istruzioni, sono state prese misure per evitare molto spargimento di sangue. Ci è voluto del tempo, anche per dare a coloro che hanno commesso un errore la possibilità di cambiare idea, per chiarire che le loro azioni sono state fortemente respinte dalla società e per chiarire a quali conseguenze tragiche e devastanti per la Russia, per il nostro Stato, porta l’avventura in cui sono stati trascinati», ( sintesi Tass) E ancora: «Questo è esattamente il risultato – il fratricidio – che volevano i nemici della Russia: i neonazisti a Kiev, i loro protettori occidentali e ogni sorta di traditori nazionali. Volevano che i soldati russi si uccidessero a vicenda, in modo che il personale militare e i civili potessero morire, in modo che la Russia alla fine perdesse e la nostra società si dividesse, soffocata da una sanguinosa guerra civile», ha sottolineato.
Gli avversari di Mosca, ha aggiunto «si sono fregati le mani, sognando di vendicarsi dei loro fallimenti al fronte e durante la cosiddetta controffensiva, ma hanno calcolato male».
Putin chiede ai mercenari della Wagner di arruolarsi nell’esercito. La Wagner è stata finanziata con una cifra pari a un miliardo di euro nell’ultimo anno, soldi presi dal bilancio dello Stato. Come via d’uscita offre loro di andare in Bielorussia insieme al loro capo Prigozhin. Quando arriverà la vendetta? Polonio o carcere per l’ex cuoco di Putin che nel frattempo è sparito?

27 giugno: Putin ammette che il Paese è stato sull’orlo della “guerra civile” e ammette l’uccisione di diversi piloti dell’esercito regolare durante l’ammutinamento (senza però dire quanti), chiedendo un minuto di silenzio per loro. Non ci sono informazioni ufficiali su quanti piloti siano morti, ma secondo alcuni blogger sarebbero almeno 13.

27 giugno: Mediazione del dittatore bielorusso Lukashenko? Il vassallo dello zar Putin si vanta di aver portato a casa la mediazione. La violenta repressione delle proteste in Bielorussia avvenne grazie all’intervento russo e Lukashenko ha ben chiaro che se cade il suo sodale Putin cade anche lui. Anche per questo sbandiera di essersi esposto per trattare con il capo della Wagner Prigozhin. «Ho detto a Putin: può essere ucciso, non è un problema. O al primo tentativo o al secondo. Ma gli ho consigliato di non farlo», ha raccontato il presidente bielorusso, affermando che Prigozhin è arrivato in Bielorussia, dopo aver ricevuto le “garanzie di sicurezza” che Putin aveva promesso lunedì nel suo primo discorso dopo la rivolta dei mercenari di Wagner. Putin manterrà davvero le promesse. Sono in pochi a crederci.

27 giugno. La propaganda di guerra di Meloni
La presidente del Consiglio Meloni alza il tiro atlantista e muscolare: «difendere l’Ucraina significa difendere l’Italia». «L’Unione europea confermerà il sostegno a Kiev. La posizione italiana è riconosciuta e apprezzata e rafforza il nostro ruolo”, dice la premier. «Si continua a confondere la pace con la sconfitta militare della Russia. Il cessate il fuoco dovrebbe essere il primo obiettivo dell’Italia», ha commentato Peppe De Cristofaro di Sinistra italiana. «inviare armi sempre più potenti e offensive non significa difendere l’Ucraina ma spingere il mondo verso il precipizio. Innalzare le spese militari al 2% del Pil equivale a dire che la diplomazia passa per le armi»

28 giugno. L’implosione della potenza nucleare russa preoccupa anche gli Usa
Biden che fin qui aveva sempre sempre parlato di agito per una vittoria sul campo dell’Ucraina e per un regime change, ora afferma che l’instabilità in Russia è un problema per tutti. Poi incontrando la stampa inciampa in una gaffe di Biden, scambiando l’Iraq con l’Ucraina: quando un giornalista domanda al presidente Usa se Putin sia uscito indebolito dalla marcia dei paramilitari di Wagner verso Mosca ha risposto: «Difficile dire ma lui chiaramente sta perdendo la guerra in Iraq. Sta perdendo la guerra in casa È diventato un po’ un paria nel mondo. Non è solo la Nato, non è solo l’Unione Europea. È il Giappone, sono… sono… sapete, quaranta nazioni».

28 giugno Ingresso dell’Ucraina nella Nato, pericolose accelerazioni. Il segretario di Stato degli Stati Uniti, Antony Blinken annuncia un nuovo «solido». Sarà ufficializzato nel vertice Nato del 12, 13 e 14 luglio in Lituania. «Un certo numero di Paesi sta guardando in parallelo, oltre a ciò che sta accadendo nella Nato, cosa possiamo fare per ottenere proprio quello che ho appena detto, ovvero aiutare l’Ucraina a costruire la sua capacità di deterrenza e difesa a lungo termine. E ciò comporta molte cose, ma sono anche fiducioso che arriveremo a quel punto», ha detto. E ha aggiunto «la ribellione del gruppo paramilitare russo Wagner, comandato da Prigozhin dimostra che l’aggressione russa contro l’Ucraina è stata un fallimento per Putin in tutto e per tutto».
Lo stesso ministro degli esteri Tajani precisa che l’Ucraina non può entrare immediatamente nella Nato in quanto Paese in guerra. Il suo ingresso farebbe scattare immediatamente l’articolo 5 che obbliga anche gli altri i Paesi dell’alleanza ad entrare in guerra.

28 giugno Vertice europeo su Ucraina, Tunisia e Cina. “Curiosamente” partecipa alla colazione di lavoro anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
Nella bozza di conclusione i leader dei Ventisette assicurano già il sostegno per garantire la sicurezza al Paese per il futuro. La stessa strategia di cui parla l’Alleanza atlantica in vista di una futura piena adesione.

28 giugno il ministro Crosetto a sostegno del cardinal Zuppi
“Il governo sostiene totalmente la missione di pace a Kiev del cardinal Zuppi”. Lo dice il ministro della Difesa Guido Crosetto.”Dobbiamo necessariamente perseguire ogni giorno la ricerca di un percorso di pace. Per me – aggiunge – inizierà quando per 24 ore non cadranno bombe russe. Siamo in terreno non neutro. Nel giorno in cui sembrava che la Russia cadesse e Putin cadesse le bombe non hanno smesso di cadere sull’Ucraina.

28 giugno È stato arrestato il generale Surovikin?
Il generale russo Sergei Surovikin, già comandante in capo delle forze di Mosca in Ucraina per tre mesi, tra ottobre 2022 e gennaio 2023 prima di essere sostituito dal capo di stato maggiore Valery Gerasimov, è stato arrestato. Lo scrive il Moscow Times citando due fonti vicine al ministero della Difesa russo che hanno parlato a condizione di anonimato. Il ministero della Difesa non ha ancora commentato il presunto arresto di Surovikin, che non si vede in pubblico. L’ultima sua apparizione è in un video in cui, con un fucile, accanto intima a Prigozhin di fermarsi. La posa innaturale e non solo ha indotto a pensare che sia stato obbligato a girare quel video. Surovikin sarebbe stato un membro segreto della Wagner ed avrebbe appoggiato Prigozhin nell’insurrezione. Da qui il presunto arresto di cui ha scritto anche il Financial Times.

29 giugno Von der Leyen parla dell’impatto della Wagner in Africa
«La ribellione della Wagner mostra le profonde crepe nel sistema di Putin. Questo ammutinamento avrà anche scosse di assestamento a cui assisteremo ed è importante che raddoppiamo il sostegno all’Ucraina, che sia la capacità militare o il sostegno finanziario. Dobbiamo anche tenere a mente che l’insurrezione di Wagner non avrà un impatto solo in Ucraina, ma anche in Africa, perché Putin aveva proiettato il suo potere in Africa attraverso Wagner e, dunque, di sicuro vedremo gli effetti di questa insurrezione anche lì» ha detto la presidente al Consiglio europeo

29 giugno Borrell: «Putin indebolito è un pericolo maggiore»
«È chiaro che Putin ne esce indebolito da questa crisi. Ma un Putin indebolito è un pericolo maggiore. Dobbiamo stare attenti alle conseguenze, tutto quello che sta succedendo rimane poco chiaro, come chi c’era dietro a questo tentativo di ribellione militare. Alcuni generali sono stati arrestati e immagino che Putin vorrà fare pulizia all’interno», dice l’alto rappresentante Ue alla Politica estera, Josep Borrell al Consiglio europeo.

29 giugno l’olandese Rutte: non in nostro interesse instabilità in Russia
In soccorso a Putin anche l’olandese Rutte :«Non è nel nostro interesse se la Russia diventasse instabile. Può sembrare paradossale, ma è nel nostro interesse che anche la Russia rimanga stabile e che una Russia stabile ponga termine a questa guerra di aggressione contro l’Ucraina. Dunque, assolutamente non è vero quello che Putin ha suggerito un paio di giorni fa, e cioè che l’Occidente sarebbe in qualche modo dietro” agli eventi dello scorso fine settimana della Wagner perché “non è nel nostro interesse». Lo ha dichiarato il premier olandese, Mark Rutte al Consiglio europeo. «Sono eventi della politica interna russa e sta a Putin gestirli. Il nostro principale interesse è che ponga termine a questa guerra di aggressione inaccettabile contro l’Ucraina che sta uccidendo migliaia di persone, creando il caos anche in Russia, ora, ed enormi difficoltà in Ucraina», ha aggiunto.

29 giugno Zuppi, Lvova-Belova e il mandato di cattura della Corte penale
L’inviato del papa, il cardinale e capo della Cei Matteo Zuppi, ha voluto incontrare a Mosca la commissaria russa per l’infanzia, Maria Lvova-Belova, su cui pesa un mandato di cattura della Corte penale internazionale per “deportazione” dei bambini ucraini dai territori occupati dai russi. Sia lei che Putin sono oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale, che li considera responsabili del “crimine di guerra di deportazione illegale” di minori ucraini durante l’offensiva russa.

29 giugno Zuppi incontra il patriarca Kirill che benedì la guerra di Putin
Il patriarca, stretto alleato di Putin, si è anche detto “molto contento” della visita del porporato a Mosca: secondo Kirill «è importante che tutte le forze del mondo si uniscano per evitare un grande conflitto armato». Il presidente della Cei, a Mosca, è stato ricevuto dal consigliere della presidenza russa per gli affari internazionali Ushakov. Nel faccia-a-faccia non si è arrivati a «decisioni o accordi concreti», ha riferito il portavoce del Cremlino, Peskov, ma le parti si sono “scambiate opinioni e informazioni su questioni umanitarie nel contesto degli affari ucraini”. Le prospettive di mediazione al momento sono scarse, visto che da un lato la Russia insiste che è Kiev a non voler negoziare e dall’altro continua a ribadire che Zelensky deve comunque accettare la “reale situazione” sul campo, ovvero l’annessione della penisola della Crimea nel 2014 e quella delle altre quattro regioni nel Donbass, nel 2022. D’altra parte il presidente Volodymyr Zelensky, che Zuppi ha incontrato tre settimane fa a Kiev, non perde occasione per sottolineare che non accetterà alcuna cessazione delle ostilità che non implichi il ritiro russo dai loro territori.

29 giugno Il gruppo Wagner sta ancora reclutando miliziani
Secondo un’inchiesta della Bbc l’esercito di mercenari sta reclutando combattenti in tutta la Russia, giorni dopo aver organizzato l’ammutinamento che ha portato Putin a sollevare timori di guerra civile. I nuovi membri ora firmerebbero contratti con il gruppo mercenario stesso, non con il ministero della difesa russo.
Perché la Wagner non è stata smantellata? Le risposte potrebbero essere tante. In primis per ruolo che riveste tuttora nel continente africano perché la funzione che ha a livello politico, economico e il livello di influenza e di beneficio per la Russia sono troppo grandi.

30 giugno: Conte: dobbiamo spingere per un negoziato
»Con l’assedio ordito dalla Wagner e il pericolo che in Russia si potesse verificare una guerra civile si è aperto uno scenario ancor più complesso – dice il presidente M5s Giuseppe Conte a un convegno a Roma sulla pace in Europa. «Difficilmente dopo Putin si insedierà un campione di democrazia». E poi precisa : «Non si tratta di difendere Putin. Chi banalizza è un superficiale».
«Lo scenario che abbiamo davanti è di centinaia di migliaia di morti, milioni di profughi, distruzione di territori che andremo a ricostruire. E stiamo pagando una corsa al riarmo. In tutto il mondo, il volume della spesa militare è aumentato rispetto al passato. Crosetto ha chiarito, dopo l’ultimo vertice Nato, che il 2% del Pil è il minimo che garantiremo, non è tendenziale». E ancora: «È stato un errore anche per l’Italia – dice Conte -, che si è sempre contraddistinta per la capacità di proporre soluzioni diplomatiche, se le avanzi vuol dire che non sei fra alleati ma in una condizione di vassallo. Oggi siamo nella condizione di spingere per un negoziato».

30 giugno l’Iran presto nell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai, alleanza di cui fanno parte la Cina e la Russia ed è considerato antagonista rispetto alla Nato. Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. «In occasione della prossima riunione dei capi di Stato dell’OCS, che si terrà il 4 luglio, sarà formalizzata la completa adesione dell’Iran”, ha detto il capo della diplomazia di Putin. Il vertice sarà in formato virtuale sotto la presidenza dell’India e anche il presidente Xi ha annunciato che parteciperà in video».

Verso il vertice Nato di Vilnius L’11 e il 12 di luglio saranno una data spartiacque. C’è il pericolo reale di uno scontro allargato e diretto tra Nato e Russia. Nell’ipotesi che Mosca possa attaccare direttamente uno degli Stati membri dell’alleanza la Nato è intenzionata a studiare «dove, cosa e come schierare» le sue forze per dirla parole del segretario generale Jens Stoltenberg

Diritto alla salute sotto attacco. Sorrentino, FpCgil: il governo Meloni vuole eliminare la Sanità pubblica

Serena Sorrentino segretaria generale FpCgil

«La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale che prescinde dalla semplice assenza di una determinata malattia», secondo la definizione dell’Oms. Per raggiungere questo obiettivo che riguarda l’essere umano nel suo complesso, psichico e fisico, occorre una profonda riforma  dello Stato sociale che rimetta al centro la persona, come recita l’articolo 32 della Costituzione italiana: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». Un diritto fondamentale che oggi rischia più che mai di essere disatteso e negato, fra privatizzazione crescente della Sanità e servizi diseguali fra Nord e Sud del Paese, una disparità che diventerebbe devastante se dovesse passare il progetto di autonomia differenziata promosso dal ministro Calderoli. Anche per questo la mobilitazione  lanciata per il 24 giugno dalla FpCgil sulla salute assume un valore sociale importante. Per approfondire i temi della piattaforma abbiamo rivolto alcune domande alla segretaria generale Fp Cgil Serena Sorrentino.

Oggi più che mai è necessario contrastare o superare la cultura individualista di questi ultimi 30 anni. Serena Sorrentino cosa può fare oggi il sindacato per sensibilizzare le persone?

Fortunatamente la mobilitazione è più ampia, vede associazioni, movimenti, sindacati e soprattutto la Cgil con tutte le sue categorie. È un fatto politico positivo, la difesa del diritto alla salute non è più questione delle lavoratrici e dei lavoratori della sanità ma è questione generale che riguarda uno tra i più importanti diritti fondamentali della persona.
 Il punto è proprio questo: far prendere consapevolezza ai cittadini che non devono rassegnarsi alla privatizzazione della cura, ad una salute per censo, a servizi che mettono le persone “in attese” spesso troppo lunghe, ad una sanità già differenziata su base regionale ancor prima dell’autonomia differenziata.

Si può invertire questa tendenza?

Sì, dobbiamo impegnarci per invertire questa tendenza. Se abbiamo la legge 833/78 è perché lavoratori e cittadini rivendicarono a gran voce un Servizio sanitario nazionale che superasse le vecchie mutue. Ora possiamo correggere due errori: la differenziazione dei diritti su base regionale e l’aziendalizzazione che è stata il viatico della logica di mercato applicata alla salute che in quanto bene comune non dovrebbe essere mercificata.
 Le assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori che stiamo facendo servono a questo: presentare l’idea di riforma e le proposte sulla sostenibilità per rendere il diritto alla salute adeguato ed esigibile.

Tanti anni di tagli alla sanità hanno generato pessime condizioni di lavoro. In più l’aver dovuto affrontare l’emergenza covid. Tutto ciò ha stremato e demotivato il personale. Quali gli interventi mettere in campo da subito?


Risposta semplice: rinnovare i contratti recuperando l’inflazione a due cifre, assumere personale, superare il numero chiuso alle facoltà che formano i professionisti sanitari abbattendo anche le tasse universitarie, migliore l’organizzazione del lavoro che ridia una qualità di vita dignitosa anche a chi eroga servizi essenziali.

Dopo la dura esperienza della pandemia è diventata evidente a tutti l’importanza della medicina territoriale. L’idea è stata anche quella di implementare le case della salute e gli ospedali di comunità. Ma il governo Meloni sta facendo marcia indietro. Con quali rischi?

Il governo Meloni parla agli interessi dei privati e di alcune corporazioni a cui offre il mercato dei servizi sociosanitari. Dal Pnrr che darà molte risorse ai privati e poche risposte ai cittadini alle corporazioni fuori e dentro l’ambito sanitario che hanno molto più peso nelle scelte del governo dei bisogni dei cittadini e nella valutazione degli esiti di salute. Se si riprogramma il Pnrr dismettendo l’opzione “salute di comunità’” sostituendola con un sistema che è modulato come “prestazionificio” cambia il paradigma: dal benessere della comunità al business pubblico-privato sul bisogno di salute, non a caso parliamo di diritto e non di bisogno, abbiamo attenzione al benessere non solo alla cura della malattia.

Il fenomeno delle aggressioni al personale incide negativamente sulla relazione di cura, i cittadini sono insoddisfatti e gli operatori sono spaventati. Come ricostruire il rapporto di fiducia necessario all’alleanza terapeutica?

Con personale dedicato all’accoglienza che possa essere realmente quell’anello che accompagna paziente e familiari nell’accesso alla cura, con un investimento importante nelle cure di prossimità, nella medicina di iniziativa, nella gestione della emergenza urgenza adeguata che prenda in carico l’evento acuto prima dell’arrivo in pronto soccorso. Bisogna rimettere al centro la persona, solo così il paziente sarà consapevole dei diritti di chi lavora nella sanità perché sa ed è consapevole che la qualità della cura dipende dalla qualità del lavoro. Un professionista ben retribuito, che svolge un giusto orario, in un’organizzazione integrata territorio-ospedale e socio-sanitaria ha come unico obiettivo di prendersi cura e di curare i propri pazienti.

Il ministro Schillaci continua a fare annunci di rifinanziamento del Ssn di cui però non si vede traccia nelle politiche del governo, ma i problemi del Ssn sono solo di finanziamento o è necessaria una riforma dei servizi?

Entrambi. Un sistema complesso per essere riformato ha bisogno di risorse. Il governo
 ha programmato nel Def la spesa più bassa nella storia del finanziamento del Fondo sanitario nazionale se guardiamo alla percentuale di spesa in base al Pil e per il 2024 anche se guardiamo alla variazione in valore assoluto (23/24: -4 mld) nel momento in cui bisogna affrontare l’epocale riforma dell’integrazione sociosanitaria nel territorio, prevista dal piano Pnrr cioè il Dm 77 nonostante limiti e correzioni possibili proprio sul fronte del personale.
Questa scelta mette in luce la volontà di cambiare profondamente un modello di salute di comunità e contemporaneamente di disinvestire sul sistema pubblico incrementando il mercato dei servizi privati che già oggi pesa per oltre 41 miliardi sulle tasche dei cittadini italiani.
 L’ipotesi che il ministro Schillaci ha avanzato al tavolo dello scorso 20 giugno è quella di risolvere il problema della carenza di personale e delle liste d’attesa aumentando l’extra orario volontario dei lavoratori della sanità. Il tema che pone la Cgil è quello invece di retribuire correttamente e in maniera adeguata e proporzionata il lavoro dei tanti professionisti e delle tante competenze che lavorano nel sistema socio sanitario. La risposta non può essere: se vuoi guadagnare di più la soluzione è l’aumento dell’orario di lavoro ma occorre investire su assunzioni (qui la proposta della Fp Cgil per un Piano straordinario per l’occupazione: Piano Straordinario per l’Occupazione ndr) contrastando il dumping contrattuale che vede differenze di retribuzioni di Oss, infermieri, medici, tecnici, educatori, psicologi, assistenti sociali e di tutte le altre figure che compongono il complesso articolato sistema sociosanitario, anche del 30%. La verità è che la sanità è una grande business per gli interessi che tutela il governo e una grande fonte di disuguaglianza sociale per i cittadini. Per questo il 24 giugno siamo in piazza: è in gioco il modello sociale che vogliamo nel nostro Paese, fondato sulla disuguaglianza e sul censo come vuole il Governo, o sulla Costituzione come chiederemo in tanti in piazza del Popolo a Roma.

Non spiega, querela

Ha deciso di querelare la ministra al Turismo Daniela Santachè, finita nel ciclone delle polemiche dopo la puntata della trasmissione Report in cui le vengono mosse accuse pesantissime: «Bilanci in rosso – recita il sito della trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci -, lavoratori mandati a casa senza liquidazione e ditte del tanto celebrato Made In Italy messe in difficoltà, o addirittura strozzate, dal mancato saldo delle forniture». I servizio di Giorgio Mottola coinvolge anche l’ex compagno, Canio Mazzaro e gli emolumenti che da questi sarebbero stati incassati e indaga sui rapporti «tra alcune società del gruppo che si è visto assegnare, senza gara, l’appalto per la campagna promozionale del ministero del turismo “Open to Meraviglia”».

La ministra si dice tranquilla ma a Palazzo Chigi il nervosismo è evidente. Come racconta Tommaso Ciriaco su Repubblica la strategia prevede tre possibili passi: “il primo è quello della difesa, come detto. Il secondo servirebbe a gestire l’eventuale ufficializzazione alle parti di un’indagine a carico di Santanché: la ministra verrebbe convocata a Palazzo Chigi dalla leader per un nuovo faccia a faccia risolutivo. Il terzo servirebbe a maneggiare nuove insostenibili rivelazioni. Meloni pretenderebbe un passo indietro.

L’annunciata querela però è un altro segale dell’apolitica con cui questo governo intende il proprio ruolo. In un Paese democraticamente sano, in un Paese qualsiasi dell’Europa occidentale, una ministra travolta da accuse di questo tipo non si affiderebbe (solo) alla giustizia per fare emergere le sue verità. È quel vecchio discorso di politica e giustizia che sono due campi separati: serve una spiegazione “politica”, di fronte ai propri elettori (e anche agli elettori di altri) per sgomberare qualsiasi ombra.

Non le querele ma le spiegazioni sono il passo che tutti aspettano da Santanchè. Se davvero come dice la ministra la trasmissione Report ha costruito la sua puntata su fatti non veri sarà facile e veloce smentirli e dare all’opinione pubblica tutti gli elementi per smontare la tesi giornalistica. Ma non è accaduto, non accade e c’è da scommetterci che non accadrà. Il motivo è facile da intuire: l’obiettivo è aspettare che si posi la polvere e subentri l’oblio, come spesso avviene in questo Paese.

La querela è la risposta sbagliata.

Buon venerdì.

I giovani criminali di cui si parlerà pochissimo

Hanno 16 anni i due ragazzini accusati di avere ammazzato a suon di calci, pugni e spintoni Akwasi Adofo Friederick lo scorso 19 giugno a Pomigliano d’Arco. Le immagini registrate dalle telecamere mostrano che la vittima è stata pestata in strada, poi avrebbe camminato per qualche metro fino ad accasciarsi all’interno di una corte condominiale, dove è stato soccorso in fin di vita. Trasportato all’ospedale di Nola, l’uomo è morto al pronto soccorso, nell’ospedale di Nola, in seguito a un grave trauma cranico ed emorragia cerebrale.

I due, dopo aver colpito al volto l’uomo, hanno continuato a sferrare calci e pugni. Hanno colpito la vittima con calci alla testa, mentre Akwasi Adofo Friederick era immobile a terra. Sui profili social dei ragazzi si trovano contenuti che esaltano la violenza, con immagini di coltelli e bastoni retrattili.

Akwasi Adofo Friederick è arrivato in Italia, dalla rotta mediterranea, più di 10 anni fa. Aveva conseguito la licenza media. Viene raccontato come uomo buono, sempre disponibile. “È successo già altre volte e nessuno di noi ha mai fatto qualcosa perché non arrivasse il peggio. Purtroppo il peggio è arrivato. Perdonaci se puoi”, dice un biglietto accanto alla panchina dove Akwasi si fermava spesso.

L’omicidio lo inquadra bene Alex Zanotelli. “Il problema è del razzismo che emerge in continuità”, dice il missionario comboniano commentando, nel corso di una manifestazione che si è tenuta davanti al consolato greco di Napoli per ricordare la strage di migranti a Pylos, l’uccisione di Frederick Akwasi Adofo. “Man mano che si va avanti, in Europa, parlo dell’Italia, dell’Ungheria, della Polonia, con governi di suprematismo bianco, noi bianchi – spiega Zanotelli – non vogliamo saperne dell’altro, basta che abbia il volto scuro o sia un musulmano e diventa l’altro, ci fa paura. Dobbiamo uscire davvero da questo, richiederà una rivoluzione culturale, le scuole, le chiese devono davvero giocarsi tutto su una questione ormai di umanità”.

Vedrete che di questo omicidio si parlerà molto meno di altri casi di cronaca giovanile. Del resto un sopravvissuto alle carrette del mare che viene ammazzato di botte qui è una vicenda che pone domande a cui nessuno ha voglia di rispondere.

Buon giovedì.

Nella foto: un biglietto lasciato sulla panchina di Akwasi Adofo Friederick (frame video Fb)

Marga Ferré (transform! Europe): La sfida della nuova coalizione di sinistra alle elezioni in Spagna

Col cuore e la testa sta in Spagna dove, tra poche settimane, ci sarà un’elezione cruciale che potrebbe riportare gli eredi del franchismo al governo. Lei è Marga Ferrè, appassionata dirigente della sinistra spagnola, due volte deputata all’assemblea regionale di Madrid ed ora copresidente di transform! Europe. La incontriamo a Roma dove ha partecipato a varie iniziative.

Marga Ferré all’incontro “La pace, le lotte, la sinistra e la destra, in Italia e in Europa”, Roma, Casa Internazionale delle donne, 14 giugno 2023

Marga Ferré, che succede in Spagna dove il 23 luglio si terranno le elezioni anticipate?

Io sono spagnola e in Spagna la possibilità, che non mi auguro, che il fascismo torni a governare il mio Paese, mi fa ricordare quando negli anni Trenta la sinistra organizzò i fronti popolari per fermare il fascismo e la necessità dell’unità come costruzione collettiva di fronte al nemico che ci minaccia. Oggi non siamo come negli anni Trenta ma siamo tuttavia in un momento molto particolare della storia, in una situazione di allarme. Il problema è che c’è un’ondata reazionaria, che in Italia conoscete bene, e che in Spagna è rappresentata dall’arrivo della destra e dell’estrema destra di Vox che tra l’altro è il partito fratello di FdI. Giorgia Meloni e Santiago Abascal, presidente di Vox, sono molto amici e la vittoria di Abascal alle recenti elezioni comunali e regionali rende un’ipotesi reale la possibilità che ci possa essere un governo con ministri fascisti. Inoltre penso che l’astensione alle elezioni comunali e regionali, come è avvenuto in Italia, sia un fenomeno che deve essere analizzato. Occorre capire qual è la causa della smobilitazione di una parte della sinistra e quanta di questa smobilitazione possiamo recuperare per fermare la destra, come abbiamo detto ricordando l’appello del Fronte Popolare, e usare Sumar, la nuova coalizione progressista delle sinistre alternative (alleata con i socialisti ndr), come costruzione collettiva.

Ci parli della coalizione progressista.
Il fatto è che i tempi della politica non sono mai decisi dalla classe operaia. Avevamo una proposta per creare un ombrello unitario, Sumar, che raccogliesse forze politiche e singole persone, cittadini, intorno a una proposta progressista, però alcune elezioni comunali e delle autonomie in Spagna hanno dato la vittoria alla destra e questo ha costretto il presidente Sànchez a convocare immediatamente le elezioni generali il 23 luglio. Quindi non c’è stato quel processo che avevamo ideato, tutto ha subìto una accelerazione, credo troppo veloce, anche se comunque al processo di costruzione di Sumar partecipano 13 partiti politici, fondamentalmente i più importanti, Esquerda Unida, Podemos, Cataluña in Comune con alcuni piccoli partiti verdi. Questa è stata la proposta di Yolanda Diaz, che, come tutti sapete, è la ministra del Lavoro e uno dei ministri più apprezzati dal popolo spagnolo, la politica più apprezzata in Spagna per le sue azioni concrete, per alcune leggi sul lavoro e il modo in cui ha operato. Il problema è cosa succederà il 23 luglio: io sono a favore di Sumar e voterò per Sumar e spero che avremo un buon risultato elettorale. Sono convinta che il pensiero progressista della sinistra abbia un ruolo da svolgere non solo per costruire alternative, ma anche per negare la possibilità della barbarie. Anche per questo l’incontro che abbiamo promosso qui in Italia come transform Europa e Italia è stato molto importante per noi, per me stessa.

Cosa pensa della discussione sull’Italia che abbiamo svolto nella giornata organizzata da transform! Europe e Italia?

In transform! Europe abbiamo pensato da molto tempo di fare una riflessione sulla questione italiana. Per noi non è possibile immaginare un’Europa e una sinistra europea senza la presenza italiana. Questo è qualcosa in cui crede tutta la rete di transform! Europe, ed io in particolare, come tutta la sinistra spagnola, ho un punto di riferimento enorme nella sinistra italiana, sia a livello teorico che dei grandi dirigenti che fanno parte della cultura politica di molti Paesi in Europa. È molto difficile immaginare un disegno europeo senza una proposta italiana. Per questo abbiamo pensato che ogni iniziativa che aiutasse ad aprire dialoghi, a creare ponti per costruire un’alternativa italiana per le elezioni europee, o almeno a parlarne, ci sembrava importante. Siamo qui per aiutare un po’, come sta facendo transform! Italia, a far interloquire tante persone in un momento molto particolare dell’Europa e della storia d’Italia come questo. Non so se ho capito male, ma non credo, ma mi pare che in tutte le persone e in tutte le distinte sensibilità che ho sentito, ci sia stata un’enorme quantità di terreno comune. Dalla proposta di Michele Santoro ai rappresentanti politici che hanno partecipato, non ho sentito lingue diverse, e non sono naif – capisco quando ci sono cose tra le righe. Penso quindi che si possa aprire una possibilità di unità, che dal mio punto di vista è una necessità storica, per il ritorno della sinistra italiana nel Parlamento europeo. Chiaramente nel modo in cui gli italiani decideranno, farlo non è il mio ruolo, ma faccio mie le parole di Manon Aubry che in quella iniziativa, come copresidente del gruppo della sinistra al Parlamento europeo, ci ha detto che una sinistra europea senza una presenza italiana è monca, come la mancanza di un braccio, la mancanza di un po’ di cervello, io direi. Penso dunque che sarebbe bene che mettessimo tutto l’impegno possibile perché ci siano voci della sinistra italiana nel Parlamento europeo il prossimo anno.

Transform! Europe ha anche organizzato tre giorni di incontri, seminari e workshop dal suggestivo titolo “la Fabbrica del futuro”. Ci può dire qual è l’intenzione e perché è stata promossa qui a Roma?

L’intenzione è quella di contendere al capitalismo la distopia del futuro. Il capitalismo contemporaneo nega la possibilità non solo di un’alternativa, ma di un futuro diverso che non sia capitalista. La famosa frase “è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo” non è la verità. L’idea che ci muove quindi è quella della disputa del futuro, ecco perché abbiamo voluto organizzare una “fabbrica” per pensare ad un futuro diverso, a partire da vari temi del pensiero accademico. È la contesa del futuro, con la creazione di nuove utopie, del ritorno dell’utopia, del ripensare alla possibilità di mondi diversi. Davanti al cambiamento climatico, alla lotta delle donne e naturalmente della classe operaia, ad un nuovo uso del tempo, al capitalismo digitale, abbiamo bisogno di idee nuove, molto avanzate e molto necessarie per noi, da condividere. Questa era l’idea originale della Future factory. La guerra in Ucraina ha reso necessario concentrare i nostri sforzi sull’analisi della situazione dei rifugiati dalla guerra e delle politiche di sicurezza, che è al centro di ciò che stiamo discutendo e che inizialmente avevamo previsto di fare a Sarajevo come atto simbolico. La scelta di Roma ha a che fare con la grandezza del movimento pacifista in Italia che è stato l’unico Paese europeo a realizzare grandi manifestazioni unitarie per la pace. Credo che dobbiamo valorizzare questo aspetto ed è per questo che siamo qui per la prima volta come laboratorio. Un esperimento, e ne siamo molto felici.

L’appuntamento La Pace, le lotte, le destre e le sinistre in Italia e in Europa, questo è stato il titolo dell’iniziativa che transform! europe e transform! italia hanno promosso il 14 giugno scorso presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma e a cui ha preso parte Marga Ferré. Un appuntamento che ha visto due momenti di discussione sulla situazione italiana. Il primo, con una introduzione di Fausto Bertinotti, e la partecipazione di diversi rappresentanti sociali come il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, Salvatore Marra (Cgil), Walter Massa (Arci), Camilla De Simone (Paese Reale), Maria Luisa Boccia (Crs), Franco Russo (Osservatorio Ue), Giovanni Russo Spena (Lab Sud), Patrizia Sentinelli (Altramente). Il secondo momento, più dedicato alle vicende politiche della sinistra in Italia introdotto da interventi della co-presidente di transform! europe Marga Ferrè e di Manon Aubry co-presidente del gruppo the Left al Parlamento europeo e moderato da Roberto Musacchio in cui hanno preso parola Michele Santoro, Maurizio Acerbo (Rifondazione comunista), Giuseppe de Cristofaro (Sinistra Italiana), Giuliano Granato (Potere al Popolo), Yana Ehm (Manifesta), Mauro Alboresi (Pci), Eleonora Forenza (ex deputata europea) e con le conclusioni di Cornelia Hildebrandt (co-presidente di transform! Europe) e Walter Baier (presidente del Partito della Sinistra europea).

Nella foto: frame del video in cui Yolanda Diaz presenta i candidati di Sumar alle elezioni del 23 luglio, 21 giugno 2023

In Senato va in onda la verità calunniata

“Quando Berlusconi decide di scendere in campo, accanto ai grandi successi e cambiamenti che impone alla politica, si crea un problema che lui denunzia come persecuzione, che è un problema non solo giudiziario ma a suo avviso anche mediatico, che durerà parecchi anni. Non si è mai sottolineato, però, che un giudice a Berlino Berlusconi lo troverà sempre, se è vero che tutte le accuse più gravi – tranne una, quella per cui è stato condannato- cadranno nel nulla“. Parole del presidente del Senato Ignazio La Russa. Si è dimenticato di dire che gran parte dei 36 procedimenti penali a cui Berlusconi è stato sottoposto sono stati evitati grazie a leggi ad personam, prescrizioni, codicilli aggiunti pro domo sua.

“Aveva sempre il sole in tasca. Odio e invidia non sapeva dove stessero di casa. La sua mancanza è un vuoto difficile da colmare ma i suoi insegnamenti resteranno un faro. Grazie presidente. Il suo spirito continuerà a vivere nei nostri cuori”, dice Licia Ronzulli. Discorso agiografico al limite del ridicolo di Antonio Tajani: “Berlusconi era un uomo di Stato e di governo che metteva sempre al centro la persona. Era un combattente ma ha sempre rispettato tutti gli avversari”. Del resto come non ricordare quando definì “coglioni” gli elettori degli altri partiti.

“Il ricordo è soprattutto per la sua umanità: la capacità di mettersi in sintonia con i capi di Stato e con la gente più comune. Ha avuto la capacità di essere un combattente senza mai usare parole di odio per nessuno, neanche contro coloro che l’hanno espresso, anche recentemente, nei suoi confronti”, dice invece il capogruppo di Fratelli d’Italia Lucio Malan. Ne sa qualcosa la magistratura italiana, definita di volta in volta “metastasi”, “mentalmente disturbati” e così via.

Il nuovo Berlusconi, Matteo Renzi, come Silvio non riesce a non parlare di sé stesso ogni volta che parla di altri: “Mi viene in mente il primo incontro con lui, il famoso “pranzo di Arcore“, quando andai a chiedergli i soldi per Firenze: lui volle che al pranzo ci fossero anche i figli. Io da lui ho capito che il più grande lusso della vita sono i rapporti umani. È questo che mi porto dietro di Silvio Berlusconi: uno statista, ma soprattutto un uomo capace di rapporti umani“, dice.

Applausi scroscianti.

Buon mercoledì

Nella foto: frame del video di Senato tv, 20 giugno 2023

Viaggio nella Romagna alluvionata che ancora aspetta risposte

Pier Luigi Fagioli

L’alluvione che ha flagellato la Romagna tra il 16 e il 17 maggio ha lasciato conseguenze pesanti in tutta la Regione. A un mese di distanza, l’emergenza è solo parzialmente rientrata e lascia il campo a dubbi e incertezze dal punto di vista economico, ambientale e sanitario.
La cosa che più sorprende, a detta dei testimoni, è la varietà di forme con cui l’acqua ti sommerge. A volte la vedi arrivare di colpo, con un’ondata furiosa. A volte cresce poco a poco, come una coltre che si dispieghi inesorabile, avvolgendo, uno strato dopo l’altro, i campi, le ferrovie, le strade, le case. Il paesaggio scompare sotto un manto color fango che si insinua in ogni fessura. Rotto l’argine, qualsiasi gesto di resistenza di fronte alla gravità dell’acqua è inutile. L’unico scampo è fuggire, trovare un riparo, correre in alto il più veloce possibile.
Gli occhi di chi racconta hanno ancora il riflesso di questa marea inarrestabile o delle frane che hanno tempestato i declivi. E sarà difficile dimenticarsene. Perché l’alluvione avvenuta in Romagna a maggio è stata davvero un evento eccezionale, che nessuno, da queste parti, aveva mai sperimentato. Nemmeno i più vecchi ricordano un disastro tale. A leggerli, i dati sono impressionanti: in sole 36 ore sono piovute sulla regione precipitazioni che in media cadono in una stagione, provocando oltre 400 frane in Appennino, da Rimini a Bologna, e l’esondazione di 23 fiumi in pianura, con 16 vittime e migliaia di sfollati. La furia della pioggia ha travolto tutto: rive, colline, città e campagne. E a guardarlo ora, a quasi un mese di distanza, il territorio romagnolo appare uscito da una guerra. Crivellato di crolli sui pendii, impastato di argille in pianura, il paesaggio ha cambiato forma, come sconvolto da un ordigno di incommensurabile potenza.

Dalla montagna alla pianura
Il viaggio dall’Appennino alle pianure è uno zigzagare continuo tra frane e fangose carrarecce. Molti paesi e borghi in collina sono rimasti a lungo isolati. Altri, a settimane dall’evento alluvionale, sono ancora raggiungibili a stento, con complesse circonvoluzioni per strade secondarie. Ranchio, Modigliana, Sorrivoli, Monteleone: ecco alcuni dei nomi della miriade di paesi e borghi colpiti da frane e smottamenti. Ad attraversarli, si tocca con mano l’entità del disastro. Strade incrinate dal furore delle acque; ponti sbriciolati lungo forre e pendii. Gli abitanti hanno continuato a resistere nelle settimane di isolamento, e ora si affaccendano puntellando qua e là la terra che cede. Uno sforzo enorme, in cui i macchinari, date le condizioni spesso impervie, svolgono solo una parte dei lavori di ripristino.

Il compito più duro, del resto, è ora fare il conto dei danni, delle attività perse e di quelle da ricostruire. La distruzione è vasta e molteplice, e va dalle coltivazioni abbattute o sepolte al danneggiamento di magazzini, allevamenti, ristoranti e strutture di ospitalità turistica. Per quanto sia ancora prematuro fare un bilancio definitivo, si può intuire quanto l’economia delle regioni collinari e montane, già messa a dura prova da decenni di spopolamento, sarà ulteriormente incrinata dal disastro.
«Turismo e ristorazione colmavano i vuoti di un’agricoltura e di un allevamento che non rendono più come un tempo», dice Fabio, gestore di un agriturismo sulle colline di Cesena. «Ma quest’anno, con le strade interrotte e i danni alle coltivazioni, sarà molto difficile ripartire».
Mano a mano che si scende verso la pianura, i crolli e le frane lasciano posto alle croste di argilla nei campi e ai refoli di melma ridotta in polvere ai bordi delle strade. A quasi un mese dall’alluvione, alcuni quartieri di Forlì e Faenza hanno ancora acqua e fango nelle cantine e nei garage. A estrarre gran parte della melma dalle case, con abili passamano di secchi, sono state squadre di volontari e volontarie pervenute da tutta Italia, che hanno lavorato per giorni e giorni, armate di pale, carriole e secchi, nel tentativo di supplire alla scarsità di macchinari e pompe idrovore. Un bel gesto di solidarietà, che non cancella però dalla memoria di molti le manchevolezze istituzionali e che appare ancora più rivelatore nel momento stesso in cui il governo ritarda lo sblocco dei finanziamenti per gli aiuti.
«Con i mezzi giusti, in tre ore potremmo avremmo potuto compiere il lavoro fatto in tre giorni da tre squadre di volontari», dichiara Stefano, uno degli abitanti. «Ma mezzi e risorse erano sempre pochi, e dobbiamo davvero ringraziare tutti coloro che ci hanno dato una mano».
La stessa sensazione è ribadita da Marcella, mentre smista pacchi di alimenti e prodotti igienizzanti a famiglie alluvionate nell’hub dove si raccolgono le tante donazioni allestito alla periferia di Faenza: «Senza la fatica dei volontari e delle volontarie, la situazione sarebbe peggiore», afferma. «Molto peggiore».
Intanto, nelle vie più colpite, dove il livello dell’acqua, a ridosso degli argini, è arrivato talora a 3 o 4 metri, si affastellano ancora cumuli di masserizie, resti di mobilia, spaccati di vita a cui il fango ha sottratto dignità e memoria. La reazione degli abitanti è varia: c’è chi ripassa minuziosamente gli oggetti, cercando di salvarne il più possibile, e chi invece lascia perdere, gettando tutto come fosse un capitolo chiuso. Ad ogni modo, il loro destino è certo. Finiranno nelle immense discariche create attorno alle città e ai paesi colpiti: ettari di rifiuti accatastati, che chiazzano il territorio agricolo come marchi ingombranti di una perdita irreparabile.

foto di Pier Luigi Fagioli, come l’immagine in apertura

Verso la foce
Conselice si annuncia a chilometri di distanza. L’odore acre e pungente penetra le narici già da Sant’Agata del Santerno, un altro dei paesi della provincia di Ravenna alluvionati, e si fa sempre più intenso mentre ci si avvicina. Per una sciagurata coincidenza di fattori, il paese, balzato alle cronache come emblema di quest’alluvione, è stato allagato da una coltre di acqua stagnante per più di dieci giorni. Un’enormità di tempo, che ha messo in allarme le autorità sanitarie e spinto a proporre l’evacuazione degli abitanti. Ora le acque si sono ritirate, ma la loro presenza rimane in quest’aria che sa di argilla, fogna e gasolio.
«Fino a qualche giorno fa, la puzza era ancora più intensa», afferma Luca, uno dei volontari accorsi. «E ci dovevamo muovere con molta circospezione, armati di occhiali e mascherine. Ora il pericolo è meno visibile, ma sempre presente. Chissà quanta porcheria c’era in quest’acqua. E adesso il fango diventa polvere, e vola dappertutto».
Quello dell’inquinamento residuo sarà uno dei problemi più importanti da affrontare. Fertilizzanti, pesticidi, gasolio, liquami tossici e altre sostanze presenti nei magazzini agricoli e nelle aziende colpite sono stati dispersi dalla furia delle acque nei corsi d’acqua e nei campi coltivati. E le prime stime sono inquietanti. Circa il 40% dei campi coltivati in Romagna è stato compromesso dall’alluvione. Per ora, i danni accertati sono quelli più visibili: la spessa crosta di fango rimasta nelle campagne, che impedisce la percolazione delle acque e mette a rischio migliaia di ettari di colture. Ma molti sanno che il vero pericolo è nello sversamento sui campi di sostanze tossiche. E verificare la salubrità dei suoli e dei prodotti agricoli sarà un lavoro lungo e paziente, di cui nessuno, finora, ha compiuto una stima concreta.
Proseguendo verso la foce, i fiumi continuano a trasportare fango e liquami, e così sarà ancora per giorni. In riviera, nel frattempo, aleggia la preoccupazione. Lo scarso ricambio d’acqua nell’alto Adriatico e i fondali bassi e sabbiosi favoriscono la sedimentazione di reflui e contaminanti. E a rischio, oltre alla salute di ecosistemi costieri già messi a dura prova da decenni di cementificazione, inquinamento ed erosione, ci sono le economie della pesca e dell’acquacoltura.
«A pochi chilometri di qui, nel Destra Reno, una decina di giorni fa sono morte migliaia di pesci. Nelle piallasse di Ravenna, c’è stata una morìa di cozze e vongole. Pensi che la gente avrà voglia di fare il bagno, ora?», si chiede Marta osservando l’acqua torbida sulla spiaggia di Casalborsetti. Siamo appena all’inizio della stagione turistica. E nessuno, nonostante i proclami ottimisti della Regione, ha il coraggio di fare pronostici.

Un bagno di lucidità
Con una metafora forse spietata ma efficace, c’è chi parla del disastro alluvionale come di un bagno di lucidità. A pensarci bene, la provocazione non pare esagerata. Al di là della reazione degli abitanti e della solidarietà di tanti volontari, gli eventi accaduti in Romagna sono la tangibile testimonianza di quanto i nostri territori siano impreparati ad affrontare eventi meteorologici o geologici estremi. Più che in cielo, allora, è a terra, nelle ferite aperte, che occorre guardare. Individuare errori e manchevolezze, e partire di qui per pianificare un uso diverso dei territori, anche in vista delle mutate condizioni del clima e della biosfera.
Gli strumenti non mancano. In un bel libro uscito nel 2019 (L’equazione dei disastri, Codice edizioni), ad esempio, il fisico e climatologo Antonello Pasini descrive il rischio di un territorio come il prodotto di vari fattori: la pericolosità, ovvero l’intensificarsi di eventi atmosferici estremi; l’esposizione, ovvero la presenza di centri abitati in aree esposte a pericoli atmosferici o idrogeologici; la vulnerabilità, ovvero l’inadeguatezza degli insediamenti e delle infrastrutture rispetto all’intensificarsi di eventi estremi. Tra il 16 e il 17 maggio del 2023, la Romagna ha concentrato, elevandoli a potenza, tutti questi fattori di rischio. Un evento meteorologico violentissimo, generato forse dai mutamenti del clima in corso, si è abbattuto infatti su uno dei territori più densamente abitati e fragili dal punto di vista idrogeologico dell’intera penisola. I suoli impermeabilizzati dalla siccità che aveva flagellato la regione nei mesi precedenti hanno favorito il ruscellamento delle acque. Le tante aree cementificate in collina e in pianura, pure, facendo aumentare la massa d’acqua e la sua velocità di scorrimento. L’alterazione degli alvei fluviali operata negli ultimi decenni, con la canalizzazione in alvei sempre più angusti, ha fatto il resto. Il risultato è un territorio estremamente vulnerabile, esposto come mai prima alla volubilità del clima e dei fenomeni idrogeologici.
A fronte di questa vulnerabilità e dei numerosi avvertimenti, fa impressione constatare quanto poco si sia fatto in questi anni per adeguare e mettere in sicurezza i territori. Pochi adeguamenti, nessuna misura significativa di riduzione del rischio. E un’ostinazione pervicace nel promuovere investimenti nell’economia fossile, in nuove urbanizzazioni, grandi opere e infrastrutture. Nella regione con il maggior tasso di consumo di suolo in aree ad alta e media pericolosità idraulica, anche le leggi specifiche, da questo punto di vista, possono diventare armi a doppio taglio: l’articolo 53 della legge 24/2017 dell’Emilia-Romagna sul consumo di suolo prevede infatti una deroga alle limitazioni per ragioni di pubblico interesse. E tra queste ragioni, figurano la costruzione di nuove arterie stradali e di grandi poli logistici.
Resta così aperto il dibattito su quale modello di gestione territoriale si debba promuovere dopo la catastrofe. Da una parte c’è un fronte compatto di forze politiche e attori economici, che intende proseguire sullo stesso solco dei decenni passati, conferendo alla produzione e distribuzione di merci e alla rendita immobiliare la massima priorità. Dall’altra movimenti che esigono un cambio di rotta, fatto di attenzione per le dinamiche degli ecosistemi e la sicurezza dei territori. Quest’ultima è l’idea che ha portato migliaia di persone a manifestare a Bologna. E questa è l’idea che comincia a serpeggiare anche tra le migliaia di abitanti alluvionati.
«Dicono che ricostruiranno tutto come prima. Ma se siamo qui a leccarci le ferite e a fare il conto dei danni, non sarebbe opportuno pensare a costruire meno e meglio?», si chiede Franco, mentre osserva l’acqua che risale dai tombini intasati dal fango dopo un temporale alla periferia di Forlì. Una domanda sensata, la sua. Che riassume, con logica esemplare, una serie di problemi con cui società e politica dovranno prima o poi fare i conti.

Gli autori:
Andrea Fantini ha studiato scienze geografiche, ambientali e agro-forestali alle università di Bologna e Barcellona. Ricercatore, fotografo e comunicatore scientifico, è autore del libro Un autunno caldo: crisi ecologica, emergenza climatica e altre catastrofi innaturali (Codice Edizioni, 2023).

Pier Luigi Fagioli è un fotografo impegnato da tempo nella documentazione di questioni ambientali e sociali.