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Prendiamocela, invece

Greta Beccaglia è una giornalista di Toscana Tv che ieri era all’uscita dei tifosi del Castellani di Empoli per fare il suo lavoro. Se non avete ancora inteso il senso della giornata internazionale contro la violenza sulle donne e se ancora siete convinti che solo il femminicidio sia un evento per cui allarmarsi (e ci sono quelli che nemmeno per quello hanno un sussulto) allora potete guardare con attenzione quei secondi in cui Beccaglia (che su molti giornali di oggi è “Greta” e basta perché le donne, si sa, si chiamano per nome o per parentela) sta facendo il suo lavoro e viene palpeggiata da un passante che ancora eccitato dalla partita pensa bene di sputarsi sulla mano e tirarle una pacca sul sedere. Non finisce qui: pochi secondi dopo altri tifosi, infoiati per il lussurioso binomio calcio-donna le lanciano epiteti schifosi. Uno sognava di consumarla lì sul posto e continuava a ripeterle «Bellissima. Sei bellissima»·

Beccaglia prova ad abbozzare. Risponde dicendo che no, che non è quello il modo, intervistata da Repubblica dice di aver provato a essere “professionale”. In fondo funziona così: alle donne viene richiesto di essere professionali anche quando gli si vomita addosso di tutto. In quei secondi c’è dentro tutto: c’è quello che non si trattiene e fa ciò che il branco sognerebbe di fare, c’è la mancata solidarietà di tutti quelli intorno che rendono il tutto estremamente normale, c’è un reato (perché la molestia è un reato, vale la pena ricordarlo) in diretta televisiva che viene trattato come un prevedibile incidente e c’è perfino la vittimizzazione secondaria di Beccaglia che sui social viene invitata a non indossare quei jeans troppo stretti perché come al solito la donna che lavora deve essere incompetente, non all’altezza e sprovveduta e non fa niente che Greta Beccaglia abbia fatto interviste nel post partita perfino sotto la curva del Boca Juniors, a Buenos Aires, in uno stadio famoso per essere “caldo”. Doveva temere Empoli, invece. C’è anche un altro aspetto: i calciatori in campo erano tutti con un bel segno rosso sul viso per manifestare contro la violenza sulle donne. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti, perfino la messinscena.

Dallo studio il conduttore Giorgio Micheletti la invita a continuare («non te la prendere», ripete), poi assume il solito atteggiamento paternalista dicendole che «sono esperienze che aiutano a crescere» e infine la invita a chiudere il collegamento e sbrigarsela da sola. Sarebbe bello capire se Micheletti sia disposto a non prendersela mentre qualcuno gli palpa lo scroto all’esterno di uno stadio e sarebbe curioso sapere quale esperienza di vita possa essere una manata sul culo.

Fatto sta che l’altro ieri in diretta abbiamo assistito a un reato e in questo Paese che vive sui reati (veri o presunti) la roba è considerata una semplice disavventura. Il sito della Fiorentina (che giocava in quello stadio) definisce l’accaduto sul suo sito ufficiale «un gesto stupido e incivile». Eppure meraviglia che ci si meravigli che un gruppo di tifosi veda una donna come oggetto a sua disposizione: è il naturale risultato della narrazione e della cultura patriarcale.

Il tifoso che palpa e il giornalista che minimizza sono figli della stessa cultura, nonostante uno commetta un reato e l’altro semplicemente faccia la figura del cretino: non prendersela è il modo migliore per concimare l’ambiente in modo che succeda di nuovo, sempre di più, sempre peggio.

E allora prendiamocela. Usate tutto questo bifolco giustizialismo che avete sempre contro i disperati per chiedere giustizia, convogliate la rabbia nel verso giusto. Aspettiamo con ansia la notizia che quel tifoso venga identificato e denunciato. Prendersela è il modo migliore per celebrare la giornata contro la violenza sulle donne tutti i giorni dell’anno.

Buon lunedì.


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Cemento sull’isolotto di Santo Stefano. La replica del commissario straordinario: “Illazione infondata”

Riceviamo e pubblichiamo:

Gentile direttrice, abbiamo letto l’articolo pubblicato su Left il 24 novembre e firmato da Gianluca Peciola dal titolo “Salviamo l’isolotto di Santo Stefano dal cemento

A nostro avviso riporta in maniera incompleta e forviante il senso e le attività connesse al Progetto di recupero dell’ex carcere borbonico di Santo Stefano in Ventotene, per questo motivo le inviamo una nostra breve nota:

Nessun “cemento e sfruttamento” e nessuna speculazione contro l’ambiente nel recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano di Ventotene. Solo attenzione alla conservazione dell’habitat inclusa la prateria di Poseidonia, e rispetto per la storia dell’ex Carcere nel progetto di recupero, come dimostrano studi, ricerche, progettazioni e verifiche che sono alla base del progetto in corso, a me affidato dal Governo. Un chiarimento è doveroso rispetto a illazioni infondate: il recupero dell’intero ex complesso carcerario non prevede alcun intervento di cubatura aggiuntiva all’esistente, ma solo interventi di restauro conservativo, approvati dal Tavolo istituzionale permanente che presiedo, di cui sono parte la Presidenza del Consiglio, il Ministero della Cultura, il Ministero della Transizione Energetica, la Regione Lazio, l’Agenzia del Demanio, il Comune di Ventotene, la Riserva Naturale Statale e la Area Marina Protetta.
La vera minaccia per Santo Stefano, l’isola che ospita l’ex carcere Borbonico, noto come il Panopticon, è lo stato di abbandono in cui è stato lasciato un Bene culturale e ambientale per oltre 56 anni, nell’indifferenza di tutti, anche di coloro che oggi si ergono a paladini dell’ambiente. Con particolare riguardo al Progetto di approdo (priorità individuata già nell’accordo del
2017), il progetto attuale è stato oggetto di incontri tecnici con tutte le amministrazioni competenti compreso il Ministero dell’Ambiente, la Regione Lazio e il Comune con le due Riserve, e anche se il progetto non può certamente suggerire alcuna identificazione con un “porto”, ciò nonostante abbiamo deciso di sottoporlo alla procedura di Valutazione Impatto Ambientale (VIA) statale, tuttora in corso, allo scopo di dare a tutte le Associazioni e a tutti i Cittadini la possibilità di presentare osservazioni. Come Commissario di Governo vorrei sottolineare che la proposta finale del progetto di approdo sarà certamente il frutto del più alto livello di equilibrio che mi impegno a favorire tra le esigenze di accesso in sicurezza al godimento di un monumento nazionale e la doverosa tutela dei beni ambientali e faunistici dell’Isola. Nessuno spazio dunque quindi per svilire o danneggiare il Capitale naturale ma semmai
rendere meno fragile e degradato questo luogo così simbolico nel rispetto di vincoli e tutele previsti dalle normative.

*L’autrice: Silvia Costa è commissario straordinario per il recupero dell’ex Carcere di Santo Stefano Ventotene

*La foto “Santo Stefano vista da Ventotene” è di Luigi Versaggi – https://www.flickr.com/photos/versaggi/561227851/

*-*

Salviamo l’isolotto di Santo Stefano dal cemento

di Gianluca Peciola

Ho incontrato una vertenza (così mi viene di chiamarla) che riguarda il progetto di recupero e valorizzazione dell’ex carcere borbonico dell’isola di Santo Stefano, che prevede la realizzazione di un sito di alta formazione e di produzione, di attrattività culturale e turistica. Un progetto che prevede una riqualificazione paesaggistica, cantieri scuola, visite guidate, allestimenti museali, eventi e installazioni artistiche. Con la costruzione di un molo di cemento a rappresentare l’infrastruttura di approdo.
Avete presente? Santo Stefano è l’isolotto vicino di mare di Ventotene (nell’arcipelago delle isole pontine, al largo delle coste laziali), a cui è legato per prossimità geografica e per condivisione di storie di reclusioni e confini.
Nel carcere di Santo Stefano hanno trovato “ospitalità” lo scrittore Luigi Settembrini, il politico e patriota Silvio Spaventa, gli anarchici Gaetano Bresci e Giuseppe Mariani; durante il fascismo vi furono imprigionati Sandro Pertini, Umberto Terracini e il futuro senatore del Partito Comunista Italiano, Mauro Scoccimarro. Altri antifascisti vennero confinati nella vicina Ventotene.

Santo Stefano è una roccia piena di Storia, come Ventotene. Insieme trasmettono significati che le trascendono, che le fanno essere, loro malgrado, luoghi simbolicamente espressivi e naturalisticamente e culturalmente attrattivi. Sono parte di una sorta di arcipelago geopolitico del federalismo europeista, di un immaginario che, come per una sorta di contrappasso dei significati, trasuda idee di fratellanza e liberazione, pur essendo state, entrambe le isole, luoghi di segregazione e sofferenza.
Proprio in questi giorni, per connessioni misteriose e forse solo ipoteticamente casuali, mentre leggevo gli atti del progetto e le ragioni dei comitati che lo contrastano, mi ronzavano in testa le parole di Rodolfo il Glabro, spietato narratore apocalittico delle calamità naturali avvenute intorno all’anno Mille: «Pareva che gli elementi lottassero tra loro in reciproco conflitto. Mentre è certo che infliggevano una punizione alla superbia degli uomini».

Leggo il progetto e le ragioni dei comitati, mentre Cop26 fallisce e annega in un mare di buone intenzioni, mentre i siciliani fanno i conti con il significato concreto della parola tornado e l’Europa sognata da Spinelli soccombe tra le “ragioni” dei grandi inquinatori del pianeta, nel corso del G20. Mentre mia figlia mi chiede com’è possibile che a Ventotene, nel mar Tirreno, qualcuno vada a pesca di barracuda e non veda l’ora di incontrare i pesci pagliaccio!
Leggo il progetto e penso che sia animato dalle migliori intenzioni sui temi dell’occupazione, del rilancio del sito, della ristrutturazione del carcere, della riduzione del danno ambientale. Ma tutto questo temo non basti.
Leggo e ho sempre più la certezza che i progetti sull’isola (ora disabitata) costituiscano grafemi di una lingua estranea a quella che il pianeta e l’ambiente ci impongono di acquisire con la massima urgenza.

Se questo arcipelago deve essere la porta simbolica dell’Europa, se l’Europa, come sta accadendo, sta provando veramente a diventare capofila mondiale della battaglia ai cambiamenti climatici, allora appare evidente come ogni progetto che riguardi queste isole, per la loro valenza ambientale (siamo in un’area protetta, nella riserva marina e terrestre statale; il molo terminerebbe a pochi metri dalla foresta di Posidonia Oceanica), politica e di messaggio simbolico, debba avere il segno di una radicale controtendenza rispetto al passato.

Il progetto da 70 milioni, avviato dal governo Renzi (!), in una fase storica pre pandemica, avrebbe dovuto, e forse ancora potrebbe, prendere in considerazione un impianto teorico e realizzativo capace di sintonizzarsi con le emergenze del presente; avrebbe potuto superare i cliché di un’epoca che ci ha portato agli attuali squilibri ambientali. Avrebbe dovuto mettere seriamente in discussione gli assiomi che hanno caratterizzato le stagioni precedenti: la crescita occupazionale tramite lo sviluppo e il consumo (di terra, di energia, di spazi fisici), la produzione di scarti, la contaminazione degli equilibri di ecosistemi delicati attraverso progetti di antropizzazione alieni ai luoghi stessi.

Perché l’immagine di una Europa, quella della speranza, della pace e del riscatto disegnata da Altiero Spinelli, non proviamo a costruirla, come ci dicono comitati e molti esperti, attraverso iniziative, progetti, idee che abbiano in seno gli anticorpi al declino ambientale del pianeta? Il comitato che si oppone agli effetti ambientali del molo e di parte del progetto di riqualificazione propone strade alternative, meno impattanti eppure rispettose della necessità di intervenire per riqualificare. Io penso che, considerata la portata del progetto e la posta in gioco di una partita che va oltre le comunità isolane coinvolte, sia necessario riconsiderare l’opera alla luce del messaggio inequivocabile che ci sta mandando il pianeta.

Zerocalcare, cintura nera di realismo magico

Strappare lungo i bordi, la nuova serie d’animazione di Zerocalcare – e delle molte maestranze che hanno collaborato con lui – parla di noi, dei nati nello scorcio finale del ’900: noi che ci ritroviamo, oggi, sbalzati dalle aspettative che avevamo del mondo e calati in una realtà che non ci appartiene mai fino in fondo.
La potenza narrativa del racconto, le frequenti incursioni nel repertorio ironico del fumettista, la capacità di sviluppare una analisi introspettiva profonda avvalendosi dell’intreccio vorticoso di piani temporali che si sovrappongono continuamente sono lì a testimoniare della qualità del lavoro.

Quel che più impressiona è la capacità di Zerocalcare di evocare compiutamente nello spettatore una riflessione politica. Non voglio dire che la serie debba ritenersi finalizzata esclusivamente o prevalentemente a trainare un messaggio politico. L’aspetto politico del racconto non viene retoricamente evidenziato: come un fiume carsico scorre silenzioso per tutto lo sviluppo della narrazione, riversandosi con energia e dolorosa schiettezza davanti agli occhi dello spettatore nel finale.

Zerocalcare traccia gli itinerari esistenziali di un gruppo di amici che – ad esclusione del protagonista, assorbito da una stasi caratteriale a tratti soffocante – si gettano nel loro percorso di studi, faticando per anni, coniugando studio e lavoro in un microcosmo ostile, Roma, che rende tutto più complicato. La serie racconta, con potenza evocativa e piegature poetiche, i sogni dei ragazzi, il loro slancio vitale, le loro speranze nella possibilità di un miglioramento della condizione umana propria e altrui, mediante la conoscenza, la dialettica, la diffusione delle idee.

Sarah e Alice, amiche del protagonista, studiano all’università e danno ripetizioni per mantenere un minimo di indipendenza dalla famiglia. Lo fanno perché ci credono: Sarah spera un domani di diventare insegnante e di potersi dedicare alla formazione dei più giovani. Alice, invece, si lascia rimbalzare da un master all’altro in attesa di un contratto di ricerca. Si impegnano e lavorano sodo perché intravedono, forse ingenuamente, nella relazione pedagogica tra insegnante e allievo lo strumento per la creazione di una società più giusta e più felice.
A fronte di questo impegno, di questo esercizio non di arrivismi opportunistici, ma di aspettative sane in sé stessi e nel benefici che si può apportare alla società, l’esito dei loro percorsi di studio non sembra restituire alle ragazze ciò a cui avrebbero avuto diritto. Sarah è costretta a rifugiarsi in lavoretti precari e malpagati; e Alice, che non riesce più a mantenersi a Roma, deve tornare a vivere con i genitori a Biella, sua città natale.
La favola della meritocrazia, tanto decantata dalle élites liberali che perseguono la conservazione dell’ordine di cose esistente attraverso la costruzione di…


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Il segno di Plautilla l’architettrice

A Roma, percorrendo l’Aurelia Antica tra porta San Pancrazio e l’ingresso di Villa Pamphilj, s’incontra un tratto di muro a forma di scogliera. Fino al 1849 s’innalzava lì sopra Villa Benedetta, fatta realizzare dal 1663 dall’abate Elpidio Benedetti, l’agente a Roma del potente cardinale di Francia Giulio Mazzarino, su progetto e sotto la direzione della «Signora Plautilla Bricci architettrice». La villa doveva infatti apparire «edificata a similitudine di un vascello sopra uno scoglio». Alta e stretta, e protesa con un corpo arrotondato verso l’esterno come la prua di una nave dal lato della strada, si allungava poi verso nord aprendosi a valle con logge e terrazze per godere del tramonto. Una perlustrazione aerea con Google permette di riconoscere ancora chiaramente la sagoma dell’edificio, le gradonate a curve contrapposte del giardino a ovest e la fontana a est.
Alla pittrice e architettrice Plautilla Bricci (1616 – post 1690/1705?) è dedicata per la prima volta una mostra che rimarrà aperta fino al 19 aprile alla Galleria Corsini di Roma, a cura di Yuri Primarosa.

La mostra si apre, ahimè, con quella che potremmo forse intendere come una provocazione: il primo pannello illustrativo è intitolato “Barocco in rosa”… ma a consolarci subito a fianco c’è un bel ritratto anonimo di una donna che ci guarda simpaticamente con gli strumenti dell’architetto in mano e che viene qui proposto come ritratto di Plautilla.
Il padre Giovanni, pittore, musicista, commediante e poligrafo, mise in scena per lei un bel esordio per farla entrare nel mondo dell’arte delle immagini devozionali: la Madonna con bambino che la ragazza stava dipingendo, con uno stile volutamente arcaizzante, e che si può ammirare nell’ultima sala della mostra, fu «miracolosamente perfettionata» da mano non umana, come attesta la relazione incollata sul retro del quadro stesso. Quando le artiste sono presenti devono essere raccontate come leggendarie, eccezionali, oggetto di prodigi, e quanto meno campionesse di modestia, di condotta virtuosa e votate a una vita virginale.

Il lungo sodalizio a partire dagli anni Sessanta con l’abate Benedetti, architetto dilettante egli stesso, che ne fece la sua artista di fiducia pur senza mai citarla nella sua corrispondenza, le consentì di svolgere la professione di pittrice e poi di architettrice senza doversi sposare o farsi monaca, ottenendo importanti commissioni.
Insieme elaborarono due progetti per il monumento funebre di Mazzarino a Parigi (1657), come pure un ambizioso progetto per la scalinata di Trinità dei Monti (1660), allora oggetto di grandi dibattiti tra i francesi e il papa. In una combinazione monumentale di…


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Il vaccino sospeso

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 10 Agosto 2021 Roma (Italia) Cronaca File per I vaccini Nella Foto : il centro vaccini al San Camillo Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse August 10 , 2021 Roma (Italy) News : Long lane for covid vaccine In the Pic : the San Camillo hospital vaccine centre Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 10 Agosto 2021 Roma (Italia) Cronaca File per I vaccini Nella Foto : il centro vaccini al San Camillo Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse August 10 , 2021 Roma (Italy) News : Long lane for covid vaccine In the Pic : the San Camillo hospital vaccine centre Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 10 Agosto 2021 Roma (Italia) Cronaca File per I vaccini Nella Foto : il centro vaccini al San Camillo Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse August 10 , 2021 Roma (Italy) News : Long lane for covid vaccine In the Pic : the San Camillo hospital vaccine centre

“No vax”, ma non per scelta. Ad oggi, circa il 47% della popolazione mondiale non ha ancora ricevuto nemmeno una dose di vaccino anti-covid. Una percentuale che sale al 95% se si considerano solamente i cittadini dei Paesi a basso reddito. A fronte di una residuale quota di contrari alla vaccinazione, la pressoché totalità di queste persone non si è ancora immunizzata semplicemente perché non ha ancora avuto la possibilità di farlo. Mentre in Italia vengono somministrate le terze dosi, infatti, ci sono zone del mondo in cui anche ricevere la prima – a quasi due anni da inizio pandemia e a un anno dall’approvazione dei primi vaccini – è un miraggio. Una circostanza inquietante da due punti di vista: primo, miliardi di persone risultano ancora totalmente scoperte rispetto al virus; secondo, ciò significa che il patogeno in alcune zone del mondo è ancora libero di circolare pressoché indisturbato e questo ci espone ad un maggior rischio di nuove mutazioni del virus in grado di “bucare”, per così dire, la protezione dei vaccini al momento in uso.

In teoria però, per accelerare la produzione di fiale, una soluzione ci sarebbe: la sospensione temporanea dei brevetti. India e Sudafrica, insieme ad altri cento Paesi, l’avevano chiesta già nell’ottobre 2020, presentando una proposta all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Dopo un primo no, e dopo un anno di attesa, siamo ora arrivati alla “battaglia finale” sui brevetti il cui esito segnerà le sorti dell’emergenza sanitaria globale. Si tratta di una sfida complicata, ma alcuni segnali lasciano ben sperare.

Per capire la situazione, dobbiamo fare un passo indietro. Un anno fa la proposta di India e Sudafrica faceva riferimento agli accordi Trips sulla proprietà intellettuale adottati dal Wto, che prevedono la possibilità di deroghe particolari ai brevetti per i Paesi più poveri che devono fare fronte ad emergenze sanitarie. A marzo 2021 i Paesi più industrializzati, tra cui Usa, Ue, Gran Bretagna, Svizzera, Giappone, Australia, Canada e Brasile hanno però respinto al mittente la richiesta. Un “no” che l’Europa ha motivato sostenendo che la lentezza nella diffusione dei vaccini non sarebbe dovuta ai brevetti bensì alla limitata capacità produttiva. Secondo uno studio realizzato da Public citizen con l’Imperial college, però, se la deroga fosse stata adottata, nell’arco di un anno si sarebbero potute produrre otto miliardi di dosi vaccinali a basso costo.

Ora, dal 30 novembre al 3 dicembre si svolge la riunione interministeriale del Wto, in cui con tutta probabilità si dovrà arrivare alla decisione definitiva sulla sospensione dei brevetti sui vaccini anti-covid. Rispetto allo scorso marzo, la situazione è piuttosto diversa, per almeno tre motivi. Primo, nella scorsa primavera Biden ha aperto ad una moratoria sui brevetti e nelle ultime settimane la Casa Bianca ha fatto pressing nei confronti dei propri partner per…

***Aggiornamento***
La riunione del Wto in programma a partire dal 30 novembre è stata posticipata a causa dei pericoli legati ad Omicron, la nuova variante di Covid-19.

 


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Uno tsunami femminista sulla sinistra iberica

(L-R) The vice-president of the Government, Yolanda Díaz; the spokesperson of the Movement for Dignity and Citizenship in Ceuta, Fátima Hamed Hossain; the spokesperson of Más Madrid, Mónica García; and the mayor of Barcelona, Ada Colau, pose in a photograph at the event Otras Políticas, on November 13, 2021, in Valencia, Valencian Community, (Spain). The meeting aims to talk from their respective female leadership with a "serene" vision of politics. The event under the slogan 'OtrasPolíticas' and organized by Oltra's party (Iniciativa-Compromís), brings together five women from the progressive arc who come unlinked to their acronyms, as a reflection on political experiences under female leadership to expose their personal vision of certain policies. 13 NOVEMBER 2021;VALENCIA;FEMALE;OTHER POLITICS Jorge Gil / Europa Press 11/13/2021 (Europa Press via AP)

Il Teatro Olympia di Valencia è stata la cornice per un evento dallo slogan temerario “Altre politiche” che ha visto coinvolte la sindaca di Barcellona, Ada Colau, la deputata di Más Madrid, Mónica García, la vicepresidente della Generalitat Valenciana, Mónica Oltra, leader di Compromís, la ministra del Lavoro e dell’economia sociale, Yolanda Díaz di Izquierda Unida e la deputata di Ceuta, Fátima Hamed, portavoce del Movimento per la dignità e la cittadinanza, diventata molto popolare a causa dei suoi scontri con il leader locale di Vox intollerante all’hijab indossato da Fatima. La scusa dell’incontro era una chiacchierata, come loro stesse l’hanno definita, rilassata. Il teatro completamente pieno e le tante persone rimaste fuori in attesa sono stati il segnale che le aspettative di consenso e partecipazione erano state largamente superate.

Le cinque donne progressiste, le più rilevanti della attuale scena politica spagnola, si sono messe a discutere fra loro, comodamente sedute sul palco, e già solo così hanno messo in risalto la necessità che la politica si basi sul dialogo, su «ascoltare e lasciarsi convincere, essere sensibili ed empatiche a ciò che la gente dice». Una leadership tutta al femminile – o per meglio dire tutta femminista – con la voglia di cambiare il Paese e con una idea per farlo: unire la sinistra in una piattaforma che scavalca i partiti e mette al centro i giovani, le donne, la politica della cura e l’ambientalismo. Ognuna di loro ha sottolineato di «voler fare politica nella vita quotidiana, per riportare la politica rumorosa e chiassosa a una politica comune, delle persone, dei problemi materiali, facendosi carico del dolore, degli aneliti e delle aspettative» della cittadinanza tutta.

Questo incontro è la prima vera novità dopo quasi due anni di pandemia, caratterizzati da un confronto politico aspro, dai toni sempre troppo alti rispetto a un Paese in difficoltà per un’emergenza sanitaria, che ha svelato l’imprescindibilità di parlare di cure primarie, e per una crisi sociale, con la metà dei salariati del Paese che soffre una qualche forma di precarietà «sintomo di una società malata, in cui alle persone viene di fatto impedito di condurre una vita dignitosa».
Spesso si dice che un progetto politico per conquistare consenso, per essere credibile, debba entusiasmare e motivare molte persone. Queste cinque donne hanno fatto rivivere per un giorno la…


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Civica, ecologista e femminista: prove di una piattaforma a sinistra

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 29 Settembre 2021 Roma (Italia) Cronaca: Il candidato sindaco Roberto Gualtieri partecipa, con Nicola Fratoianni, a un'iniziativa della lista Sinistra Civica Ecologista con il giornalista Luca Telese a San Lorenzo Nella Foto : l’iniziativa in piazza dell’Immacolata Photo Cecilia Fabiano/ LaPresse September 29, 2021 Rome (Italy) News : The mayoral candidate Roberto Gualtieri participates, with Nicola Fratoianni, in an initiative of the Sinistra Civica Ecologista list with the journalist Luca Telese in San Lorenzo In the Pic : the initiative

In Italia un pezzo di protagonismo in queste ultime elezioni amministrative lo hanno conquistato sul campo le liste a carattere civico, ecologista e femminista in giro per l’Italia. Dall’esperienza di Sinistra Ecologista a Torino a Milano Prossima, da Napoli Solidale Socialista, Civica e Ecologista all’esperienza della Coalizione civica per Bologna coraggiosa ecologista solidale.
Anche nella capitale la lista di Sinistra Civica Ecologista ha conseguito risultati importanti al livello cittadino e municipale.
Si tratta di esperienze che hanno contato ai fini del risultato della coalizione, che hanno costruito un loro immaginario ed espresso allo stesso tempo un numero significativo di rappresentati nelle istituzioni.

Abbiamo convocato a Roma per sabato 27 novembre un meeting nazionale dal titolo di Pragmatica, per mettere a confronto queste realtà. Un’occasione per immaginare insieme un coordinamento nazionale e magari anche una piattaforma programmatica comune, un passaggio che sappia andare oltre la dimensione municipale ed elettorale per traguardare un livello nazionale di visione e capacità di proposta politica.
Un nuovo spazio di sinistra capace di rimettere al centro del dibattito l’educazione e la sanità pubbliche, la crisi climatica, la lotta alle disuguaglianze sociali e alla precarietà sul lavoro.

Pragmatica parte da una necessità e da una possibilità: quella di rigenerare il campo progressista contro le destre e iniziare a discutere di una piattaforma municipalista e confederata tra storie politiche differenti, ma accomunate dall’ambizione di contare dentro e fuori gli spazi istituzionali per farsi portavoce di una transizione giusta e solidale, femminista ed ecologista per il presente.

Una rete di carattere nazionale che abbia come filo conduttore la difesa dei diritti civili, un’attenzione verso le involuzioni democratiche, la bandiera del femminismo come potenza trasformatrice della società e del metodo democratico e solidale. Per offrire sbocchi di orizzonte alle sfide sociali, economiche ed ecologiche che derivano da crisi differenti. Crisi che vedono incombere in Italia e in Europa la minaccia di una destra nazionalista e xenofoba, che spesso cresce nei sondaggi e nella rappresentanza istituzionale sfruttando le contraddizioni della globalizzazione neoliberista e perfino in alcuni casi la connivenza delle forze socialdemocratiche e liberali.

Contro tutto questo noi pensiamo che il femminismo possa tornare ad essere il paradigma su cui declinare una nuova esperienza di sinistre civiche su base nazionale, proprio come pratica consapevole del bisogno di reti e legami comunitari. Come strumento che risponde efficacemente all’esclusivismo dei nazionalismi e al conservatorismo politico in generale. Il femminismo come pratica politica che assume i bisogni insoddisfatti, la necessità che il concetto di cura sia la base della comunità coesa e solidale.

E accanto al femminismo il comune, il bene comune. Mettendosi in rete, scambiando buone pratiche. Senza l’assillo della leadership individuale, ma con l’ambizione di lavorare a un progetto collettivo. Dove la comunicazione sia importante almeno quanto l’insediamento territoriale.
Per questo è corretto fare appello ancora una volta a una cultura della responsabilità collettiva, ad un orizzonte di comunità, non a una cultura narcisistica basata unicamente sui diritti individuali.
Per questo sabato pomeriggio dopo il nostro incontro nazionale di Pragmatica saremo tutti e tutte insieme, alla manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne in Piazza della Repubblica con Non Una Di Meno. Un momento in qualche modo fondativo per la nostra rete.
Fianco a fianco, per un’Italia migliore.

*Gli autori: Michela Cicculli e Sandro Luparelli sono consiglieri dell’Assemblea Capitolina

 

Federterra, la storia e gli ideali per creare una società nuova

Quello che abbiamo vissuto in occasione del 120° anniversario della nascita di Federterra il 24 e 25 novembre è stato un appuntamento importante, per la Flai ma anche per la Cgil, per il valore storico di questa ricorrenza perché ci ha permesso di ripercorre la nascita della nostra organizzazione, che è un patrimonio comune non solo all’interno della Confederazione, ma che è riconosciuta dalla storiografia, dal mondo accademico e della cultura come parte fondamentale della storia del nostro Paese. Abbiamo voluto, però, che questa nostra iniziativa avesse anche un altro valore ed un’altra finalità. Abbiamo cercato un approccio non rituale, che non fosse una commemorazione ma un momento di riflessione, un’opportunità per interrogarci non solo sul nostro passato, ma anche sul nostro presente e soprattutto sulle sfide future che ci attendono.

Nel cercare di rispondere a questo interrogativo abbiamo chiesto, attraverso la voce viva di attori, direttamente alla storia di darci una mano e siamo partiti da quella che ci è sembrata la fonte migliore a cui riferirci, ovvero gli atti del congresso costitutivo di Federterra del 1901, conservati presso l’archivio storico della Flai intitolato a Donatella Turtura. Vi parteciparono 704 leghe in rappresentanza di circa 152mila lavoratori che allora erano soci delle Leghe di miglioramento e resistenza.

Da quella prima lettura, ci siamo sperimentati, scoprendo che è possibile raccontare e raccontarci in modo diverso e nuovo. Abbiamo deciso così di riportare alla luce i momenti più importanti del Congresso del 1901, gli interventi delle lavoratrici e dei lavoratori che vi parteciparono, le discussioni che lo animarono, la passione e la voglia di riscatto che erano alla base di quella prima assise dei lavoratori della terra. Ci è sembrato che dare loro corpo e voce nuovamente, ascoltarli, riflettere con loro fosse il modo più utile e meno scontato per accendere una luce sugli eventi di quel novembre del 1901 e farne un terreno di confronto ed elaborazione utile per il nostro presente. Per questo abbiamo affidato ad un gruppo di giovani attori, la compagnia Ergatès, il compito di condurci attraverso questo viaggio nella nostra storia, e per farlo al meglio abbiamo scelto di tornare proprio a Bologna dove avvenne quell’evento. Lo spazio del 120° di Federterra non poteva che essere quello in piazza Nettuno. Perché fu proprio lì, in Palazzo dei Notai, dirimpetto in quella stessa piazza, che si svolse il Congresso costitutivo di Federterra nel 1901.
La storia ci ha stupiti, come spesso accade. Man mano che la lettura degli atti del congresso è andata avanti, infatti, è emersa in maniera sempre più evidente l’attualità dei

*L’autore: Giovanni Mininni è segretario generale Flai Cgil


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Ai turchi non è consentito dire no al nucleare

Mersin 2015-03-24 MERSIN, TURKEY - MARCH 24: Climbers of Greenpeace dangle anti-nuclear banners from the 38th and 45th floors of the 52-storey Radisson Blu Hotel in Akdeniz intracity district of Mersin, Turkey on March 24, 2015. Anil Bagrik / Anadolu Agency Photo: Anil Bagrik / AA / TT / kod 10611 Scanpix/LaPresse Only Italy

Si avvicina il 2023 e i preparativi del sultano Erdoğan per festeggiare il centenario della nascita della sua Turchia promettono fuoco e fiamme: una presunta missione lunare, la costruzione del nuovo Pentagono (un complesso monumentale più grande di quello americano) e, per non farsi mancare nulla, l’inaugurazione della prima centrale nucleare del Paese ad Akkuyu, cittadina sulla costiera meridionale del Mediterraneo con vista su Cipro nord. Notizia degli ultimi giorni è che a questa centrale, nata dalla partnership del governo turco con la compagnia russa Rosatom, ne seguiranno altre.

Due, precisamente. Il 9 novembre Erdoğan ha annunciato che dopo il completamento di quella di Akkuyu, in Turchia verrà costruito un secondo e un terzo impianto. Per non lasciare che la sua fama venga smentita, il presidente turco ha anche preso di mira le persone contrarie al progetto, dicendo che chi si oppone al nucleare agisce con “secondi fini”. «Quando 443 centrali nucleari sono ancora attive in 32 Paesi del mondo, coloro che pensano che sia meglio che la Turchia non possieda l’energia nucleare esprimono negligenza, se non tradimento. È ovvio che coloro che criticano gli sforzi della Turchia sul nucleare hanno agito con intenzioni diverse dalla sensibilità verso l’ambiente», ha affermato Erdoğan in maniera subdola, aggiungendo così alla già lunga lista dei suoi oppositori anche coloro che manifestano contro questo tipo di attività.

Tra questi in prima linea Pinar Demircan, ricercatrice e coordinatrice di Nükleersiz, gruppo di riferimento nella lotta al nucleare in Turchia. «Il motivo per cui il mio Paese costruisce centrali nucleari non è legato al fabbisogno di elettricità ma serve soltanto a garantire ai capitalisti turchi nuove opportunità di guadagno» dice Demircan a Left. «Dal punto di vista politico – prosegue – questo dà l’opportunità di essere sostenuti alle elezioni».

Il movimento antinucleare turco risale alla concessione della licenza per la costruzione della centrale di Akkuyu, avvenuta nel 1977: 22 anni prima la Turchia aveva firmato l’accordo Atom for peace. Il Paese della mezzaluna, essendo uno dei primissimi a firmarlo, desiderava costruire centrali nucleari commerciali dopo la fondazione nel 1956 dell’istituzione turca per l’energia atomica. I suoi piani nucleari, però, non sono mai stati realizzati a causa di motivi politici, sociali ed economici, e il progetto di Akkuyu ha subito forti ritardi. Ma i cittadini ancora una volta si sono imbattuti in progetti simili a causa del crescente autoritarismo dal 2010. In un primo momento è stato firmato un accordo governativo tra…


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Un lavoro pulito

È ormai chiara a tutti l’importanza della fase di passaggio alla quale stiamo andando incontro, caratterizzata dalla messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr. La parola “transizione” ha acquistato un valore del tutto particolare e viene accompagnata ai vari settori di attività che verranno investiti dalle ingenti risorse messe a disposizione per il Paese. Non a caso si parla di una transizione ecologica, nonostante l’esito controverso della Cop26; di una transizione digitale, che implica potenti fattori di innovazione sui modelli organizzativi delle imprese e della pubblica amministrazione; di una transizione infrastrutturale, sia materiale che immateriale, che dovrebbe ridisegnare l’ossatura del sistema logistico italiano e una linea di difesa contro il dissesto idrogeologico. Tutto questo, però, andrebbe accompagnato ad una riflessione circa il carattere sociale di questa transizione, che per il momento appare ancora relativamente in ombra e che ha quindi bisogno di scelte, anche simboliche, che confermino la volontà del governo di andare verso una crescita, non solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa.

Vorrei evidenziare alcune proposte che rappresentano un discrimine importante per modellare i futuri assetti economici, produttivi e sociali. Facciamo alcuni esempi: il primo è relativo alla destinazione delle risorse del Pnrr, per quanto riguarda un tema caldo come quello del fisco. Se i miliardi messi a disposizione – otto – saranno utilizzati per diminuire il costo del lavoro è un conto, se dovessero andare alla diminuzione dell’Irap, è tutto un altro. A nostro avviso va privilegiata un’azione che affronti un nodo da sempre presente in Italia, che è rappresentato dall’eccessivo scarto fra lo stipendio o il salario che il lavoratore mette nelle proprie tasche e il costo del lavoro a carico dell’impresa, che è all’incirca il doppio. Recenti indagini a livello europeo hanno messo in evidenza come, negli ultimi decenni, l’Italia sia l’unico Paese a registrare una perdita di potere d’acquisto dei salari a differenza di altri Paesi che registrano crescite importanti. Diminuire il costo del lavoro, inoltre, può significare che la manovra può andare a vantaggio delle imprese o dei lavoratori, oppure essere equamente distribuita tra di essi. Si tratta di un argomento non secondario.
Un secondo esempio è rappresentato dalla quantità significativa di risorse messe a disposizione nel Pnrr per una riforma degli ammortizzatori sociali. La linea sostenuta dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, è andata nella giusta direzione: quella di un allargamento delle tutele in senso universale verso quei settori, come il lavoro autonomo, tradizionalmente non tutelati di fronte alle crisi. È andata, inoltre, verso l’investimento in formazione che diventa centrale nelle sue tre tipologie essenziali: una formazione per le persone che il lavoro non ce l’hanno, o il lavoro lo hanno perduto, per…

*L’autore: Cesare Damiano già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare


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