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Non si vive di sole Big pharma

A healthcare worker prepares a dose of the Pfizer-BioNtech Covid-19 vaccine at a large vaccination centre open by the Tel Aviv-Yafo Municipality and Tel Aviv Sourasky Medical Center on December 31, 2020 in the Israeli coastal city. - Israel began its third coronavirus lockdown, as Prime Minister Benjamin Netanyahu voiced optimism that a "world record" vaccination drive will restore a degree of normality within weeks. (Photo by JACK GUEZ / AFP) (Photo by JACK GUEZ/AFP via Getty Images)

Con le vaccinazioni eravamo partiti bene. Dopo la Caporetto del contenimento della seconda ondata di pandemia, culminata con i quasi mille morti al giorno di inizio dicembre, l’Italia aveva intrapreso con serietà e tenacia la via della immunizzazione di massa. Come una squadra stremata dopo la sua partita più difficile, il personale sanitario consumato da un anno di lotta al Covid-19 si era rimboccato le maniche per segnare ai supplementari il gol dell’immunizzazione, quello che può chiudere il match. Ma a portare via il pallone ci hanno pensato le aziende farmaceutiche produttrici dei vaccini anti-covid approvati dall’ente regolatore europeo: l’Ema. Tra ritardi nelle forniture, clausole contrattuali sfavorevoli per i cittadini Ue e un’Unione europea, al pari degli Stati membri, colta alla sprovvista dalla strategia di fornitura di Big pharma poco calibrata sulle esigenze dettate dalla salute pubblica e molto di più sul profitto puro.

Tutte cose queste che nel caso di Pfizer hanno provocato un improvviso rallentamento della fornitura stabilito unilateralmente che in Italia ha fatto saltare in pochi giorni il piano di vaccinazione nazionale. Stessa situazione si è verificata con la farmaceutica Moderna che dovrebbe distribuire 1,3 milioni di dosi entro primo trimestre 2021 e che ha comunicato una diminuzione del 20% nella fornitura della prossima settimana. Infine c’è il caso di Astrazeneca. L’accordo con l’Italia prevede l’invio di 8 milioni di dosi nel primo trimestre ma potrebbero arrivarne il 60% in meno a causa di problemi nella «produzione della sostanza basica del vaccino». Questa è la versione del Ceo di AZ, Pascal Soriot il quale ha anche aggiunto che in parte sono stati comunque risolti. Tutto ciò avviene in una situazione di sostanziale opacità dei contratti stipulati tra farmaceutiche e Unione europea per conto dei 27 Paesi Ue.

Al momento solo quelli firmati dalla tedesca Curevac e da Astrazeneca sono stati resi pubblici. Per modo di dire. Come nella trama dei più classici film di spionaggio infatti, i documenti sono disseminati di omissis. Per tutelare segreti imposti in gran parte – a quanto pare – dalle aziende produttrici.
«Nell’accordo con Curevac sono oscurati prezzi, tabelle di consegna, responsabilità delle parti – dice a Left Marc Botenga, europarlamentare del Partito del lavoro belga, uno tra i primi che ha potuto consultarlo -. Di quello con Astrazeneca siamo riusciti a vedere qualcosa in più, perché all’inizio la…


L’inchiesta prosegue su Left del 5-11 febbraio 2021

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Quella frontiera sprangata dal governo italiano

Migrants walk through the snow at the Lipa camp northwestern Bosnia, near the border with Croatia, Saturday, Dec. 26, 2020. Hundreds of migrants are stranded in a burnt-out squalid camp in Bosnia as heavy snow fell in the country and temperatures dropped during a winter spell of bad weather after fire earlier this week destroyed much of the camp near the town of Bihac that already was harshly criticized by international officials and aid groups as inadequate for housing refugees and migrants.(AP Photo/Kemal Softic)

«Il 2 dicembre 2019 sei persone di origine siriana, due delle quali minori provenienti da Idlib, si trovavano nel bosco nei pressi di Pogledalo (Croazia). Impossibilitati a proseguire il cammino per le avverse condizioni atmosferiche contattavano la polizia croata, chiedendo aiuto. Sul posto giungevano tre agenti di polizia con un cane tipo belga Malinois, poi altri sette/otto agenti. Ignorando le richieste di asilo dei cittadini siriani, gli agenti urlavano ed imprecavano contro di loro e li costringevano a stendersi a terra, dando ordine al cane di attaccarli».
Questo un passo tratto dal dossier La rotta balcanica redatto dalla rete associativa RiVolti ai Balcani. Un documento prezioso, che ci è stato consegnato al termine della missione sul confine italo-sloveno. Un lavoro d’inchiesta fatto sul campo, testimonianza preziosa della vitalità e della voglia di non girarsi dall’altra parte delle associazioni triestine impegnate per garantire accoglienza e dignità.

Ci siamo recati sulla frontiera per capire meglio cosa sta accadendo sulla rotta. In Bosnia, in Croazia, e poi sul confine italo sloveno. E riporteremo a Bruxelles l’esito della missione con una specifica iniziativa parlamentare.
Siamo stati in Bosnia per capire come sia possibile accogliere le persone in transito in condizioni disumane, nonostante le cospicue risorse investite dall’Unione Europea. Dal 2018 l’Ue ha fornito 89 milioni di euro alla Bosnia-Erzegovina attraverso partner esecutivi per far fronte alle necessità immediate dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti. Questa cifra comprende anche i 13,8 milioni di euro in aiuti umanitari per fornire assistenza d’emergenza.

Dall’inizio del 2020 oltre 16mila persone sono arrivate in Bosnia. Si stima che vi siano circa 9mila rifugiati e migranti. Tra loro vi sono 500 minori non accompagnati. I posti letto disponibili nel Paese sono non più di 5mila.
Poi la tappa in Croazia, per verificare sul campo la veridicità delle tante testimonianze di migranti, anche minori, sulle violenze della polizia. L’atteggiamento arrogante che ha impedito, di fatto, a quattro europarlamentari di muoversi liberamente su territorio europeo è una pessima spia del modo di agire e pensare delle forze dell’ordine di quel Paese.
Tra gennaio 2019 e gennaio 2021 i volontari del Bvmn (Border violence monitoring network) hanno raccolto le testimonianze di 4.340 persone respinte da ufficiali della polizia croata (v. Left del 22 gennaio), 845 delle quali con uso di…


La versione integrale dell’articolo è pubblicata su Left del 5-11 febbraio 2021

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Il governo “tecnico” non esiste

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 03 febbraio 2021 Roma (Italia) Cronaca : Mario Draghi accetta l’incarico con riserva Nella foto : Mario Draghi lascia la Camera Photo Cecilia Fabiano/LaPresse February 03 , 2021 Roma (Italy) News : Mario Draghi Leaving Montecitorio government palace In The Pic: Mario Draghi

Per disinfettare la scarsa credibilità che sono riusciti ad accumulare in questi anni i partiti (praticamente quasi tutti) si sono accodati alla narrazione fallace del “governo tecnico”, della “responsabilità”, al feticcio “dell’alto profilo” e al “governo voluto dal Presidente”. Vorrebbero convincerci quindi che siano in pratica “costretti” a partecipare al governo Draghi per condonare qualsiasi azione venga compiuta nei prossimi mesi, in caso di insediamento del governo, e poter poi ricominciare a sparare a palle incatenate contro Draghi l’uomo solo al comando che ritornerà utile abbattere quando calerà il consenso popolare di questo o di quel leader.

La definizione di “governo tecnico” è una truffa: è una locuzione che si ritira fuori ogni volta che non si ha il coraggio di assumersi le proprie responsabilità e viene spalmata da certi giornaloni nella speranza di “sospendere la politica” in un liberi tutti che sospenda ogni giudizio. Eppure il prossimo governo Draghi, com’è giusto che sia, sarà un governo politicissimo: cosa c’è di più politico di decidere una maggioranza in Parlamento che si prenda la responsabilità di guidare un Paese in piena pandemia? Non è politica prendersi la responsabilità di scrivere una legge elettorale? Non è politica l’elezione prossima del Presidente della Repubblica? Non è politica decidere le priorità nella spesa dei soldi che arrivano dall’Europa? Non è politica decidere come e quanto ristorare un Paese in piena crisi occupazionale a causa del virus? Non è politica decidere come provare a fare ripartire un Paese?

Dai, non prendiamoci in giro, su. Questa smania di queste ore che ha colpito taluni capi di partito mentre si mettono in disparte in nome del culto di Draghi come se fosse un Babbo Natale da aspettare solo strizzando gli occhi e sperando di sentire il tintinnio delle renne non ha niente a che vedere con quel senso di responsabilità che viene sventolato in queste ore da tutte le parti. Non si appoggia Draghi perché “calcia le punizioni come Baggio” o perché è un “Ronaldo che non può stare in panchina” (a proposito: avrebbe dovuto essere l’inizio di una politica alta ma il livello dell’analisi è puro bar sport) ma ci si prende la responsabilità di ascoltare e porre i propri temi.

I temi, appunto: la scomparsa dei punti programmatici che fino a qualche giorno fa sembravano imprescindibili dimostra un primo preoccupante effetto Draghi che era facilmente immaginabile ovvero la tentazione dei partiti di nascondersi sotto la sua ombra per poi accoltellarlo alle prossime idi. Se davvero è il momento della serietà allora che si faccia i seri e che questo giro di consultazioni apra un dibattito vero su quali siano gli eventuali punti d’intesa di una maggioranza che potrebbe mettere insieme formazioni politiche inconciliabili fino all’altro ieri.

Perché più continueranno le iperboli sul nome di Draghi senza scendere nella discussione dei punti e più si sente l’odore della truffa. Fingono di prendersi Draghi a scatola chiusa perché sognano di rivendercelo, a scatola chiusa.

Buon venerdì.

Fino alla vittoria

Lab technician Alfredo Flores walks from home to home to collect samples for COVID-19 tests in Havana, Cuba, Thursday, May 14, 2020. (AP Photo/Ismael Francisco)

«Facciamo come a Cuba!». Un’istanza che da sempre risuona in ambienti definiti “estremisti”, all’interno dei quali è stata sempre sdegnosamente relegata dai media nostrani a cominciare da quelli che si dicono progressisti. Ma dopo un anno di pandemia, che ha messo a nudo definitivamente cosa può accadere quando la salute pubblica dipende da interessi privati, non è più così e la proposta “sovversiva” è arrivata a richiamare l’interesse anche di autorevoli testate internazionali. Qui da noi a portarla in auge non è stato solo l’effetto dell’intervento delle due brigate mediche cubane durante il primo lockdown che – oltre ovviamente agli effetti benefici – sollevò una commozione sincera e che però si spense dopo gli applausi e lo sventolio di bandierine. In questi ultimi tempi, a fronte delle esiziali inefficienze che i colossi farmaceutici mostrano nella fornitura dei vaccini contro Covid-19, emerge con crescente evidenza l’eccezionale risultato di una piccola isola caraibica con poco più di 11 milioni di abitanti, povera di risorse – e per di più vessata dalle inaccettabili sanzioni degli Stati Uniti – capace di sviluppare ben 4 vaccini contro Covid-19, il 6% di tutti i vaccini in sperimentazione clinica a livello mondiale, e conta dalla primavera di vaccinare tutta la popolazione e di cominciare a rifornire anche qualche Paese povero. Alcune di queste informazioni, che su Left sono comparse già tra giugno e novembre scorso, sono via via dilagate e fra la gente si diffonde lo stupore: «Perché non possiamo fare anche noi come Cuba?». Domanda salutare, ma anche ingenua se non si approfondisce un po’ la questione. Tanto per dire, proprio la Lombardia, che ha beneficiato del soccorso della prima brigata medica, è l’alfiere di un sistema sanitario che è agli antipodi di quello cubano. Lo sconvolgimento indotto dalla pandemia sta introducendo nei movimenti sociali il concetto di “Società della cura”, una società cioè che assuma come principio ispiratore e criterio fondamentale la cura delle persone, dell’ambiente, dei beni comuni. L’organizzazione e la struttura del sistema sanitario è uno dei termometri più sensibili del rapporto fra uno Stato e i suoi cittadini.
E non è una cosa che si cambi dall’oggi al domani. Anzi, è tanto più difficile quando da decenni si è costruito meticolosamente un sistema sanitario a misura degli interessi privati.
La “società della cura” cubana, dal 1959
La Rivoluzione cubana si è esplicitamente proposta fino dal 1959 di mettere al primo posto l’interesse della popolazione e del Paese. Aveva a quel tempo metà degli abitanti di ora, dei quali la maggioranza era analfabeta, e soprattutto nelle campagne non aveva mai visto un medico. Abbiamo già descritto su Left in diversi articoli tra il 2017 e il 2020 le scelte fondamentali, la capillare campagna di alfabetizzazione, l’istruzione gratuita per tutti fino ai massimi livelli, un sistema sanitario universale e gratuito (che da noi è stato smantellato anziché rafforzato), una struttura scientifica avanzata, che negli ultimi 40 anni ha consentito la realizzazione di un’industria biotecnologica di eccellenza mondiale (a dispetto, lo ripetiamo, del soffocante bloqueo) su un modello alternativo a quello capital-intensive dominante ma più efficiente, basato su un ciclo integrato (ricerca-sperimentazione-produzione-commercializzazione-esportazione) e sull’integrazione fra centri di ricerca, università, ospedali. Ma tutto questo…

Cuba all’avanguardia sui vaccini contro Covid-19

Cuba ha accumulato una grande esperienza nell’affrontare epidemie e il primo grande successo della nascente biotecnologia cubana è stato un vaccino contro la meningite meningococcica di tipo B che ha fermato un’epidemia da questo agente negli anni Ottanta. Attualmente il programma di immunizzazione cubano comprende 13 vaccini, di cui 8 prodotti a Cuba e non è sorprendente che l’Avana stia sviluppando dei vaccini specifici contro Sars-CoV-2. Il portafoglio include ben 4 candidati vaccinali specifici che sono in fase di studio clinico (anche avanzata) che dovrebbero contribuire al controllo definitivo di questa malattia sull’isola. Tramite BioCubaFarma il governo ha l’obiettivo di produrre entro l’anno 100 milioni di dosi del vaccino Soberana 02 (sviluppato dall’Instituto Finlay) contro Covid-19 e rispondere così alla propria domanda e a quella di altri Paesi. Si sono dimostrati interessati all’acquisto di Soberana 02: Venezuela, Vietnam, Pakistan, India ed Iran. In particolare è stato raggiunto un accordo con l’Istituto Pasteur dell’Iran per condurre la fase 3 della sperimentazione clinica su 150mila volontari, oltre a quella prevista a Cuba. Più in generale, come ci racconta il chimico-immunologo Fabrizio Chiodo, il quale collabora direttamente allo sviluppo dei vaccini con l’Instituto Finlay, «i vaccini cubani saranno di fondamentale supporto ai Paesi “poveri” ed a quelli sotto embargo Usa. Si tratta di vaccini low-cost – precisa Chiodo – e l’eventuale guadagno pubblico sarà investito in scienza e ricerca». Dal…

*-*

Gli autori: Angelo Baracca è un fisico e storico della scienza. Con Rosella Franconi, biotecnologa e ricercatrice, ha pubblicato il libro “Cuba: Medicina, scienza e rivoluzione, 1959-2014”
(Zambon edizioni, 2019)


La versione integrale dell’articolo è pubblicata su Left del 5-11 febbraio 2021

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Pericoli pubblici

Nonostante il blocco dei licenziamenti c’è stato un crollo dell’occupazione in Italia che colpisce tutte le fasce di età. Il totale dei lavoratori si è ridotto di 101 mila unità, ma di queste 99 mila sono donne. E oltre ai disoccupati sono aumentati anche quelli che un lavoro non lo cercano nemmeno più. Intanto le destre avanzano e sono pronte a soffiare sul fuoco del malessere sociale.

È in questo drammatico quadro, lo ricordiamo, mentre i morti per Covid-19 sono ancora quasi 500 al giorno, che si è consumata la sconsiderata crisi di governo innescata da Matteo Renzi e che fa il gioco delle destre e insieme hanno aperto al governo Draghi.

Di fronte alla situazione gravissima in cui versa il Paese appare lunare, per usare un eufemismo, il teatrino politico («una lotta fra galli» l’ha definita Sabino Cassese) a cui per giorni e giorni abbiamo assistito. Dietro al rituale della crisi di governo c’è e c’è stata una feroce lotta di potere per gestire i 209 miliardi del Recovery fund più i 37 del Mes che Italia viva con altri soggetti della “coalizione Ursula” intendono chiedere. Un fiume di soldi che rappresentano una opportunità di crescita per le cordate relative alle “grandi opere” e che dà potere politico a chi si fa interprete delle loro istanze. Non a caso Italia Viva di Renzi quando era ancora in campo l’ipotesi di un Conte Ter aveva puntato ai ministeri delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico.

Dall’alto del suo 2% il senatore di Rignano, lo ribadiamo ancora una volta, ha avviato e condotto la crisi di governo in modo spregiudicato facendo saltare il tavolo della trattativa, facendo perdere giorni preziosi, in un momento in cui dovremmo essere molto solidi e certi per affrontare gli effetti devastanti della pandemia, per risolvere i problemi gravissimi del piano di vaccinazione di massa. Quali sono i valori alti di interesse per il Paese in nome dei quali Renzi ha acceso la miccia? Avere propri ministri nella compagine di un governo Draghi? Avere  come ministra dell’Istruzione Ascani piuttosto che Azzolina sarebbe un fattore dirimente? Diremmo proprio di no se pensiamo ai disastri della buona scuola renziana. Solo per dirne una.

E che dire dell’eventualità- per stare alla ridda del toto nomime- di Rosato alla difesa, visti i rapporti del segretario di Italia viva con l’Arabia Saudita? Il rottamatore, ricordiamolo, prima ha chiesto che Conte mollasse la delega ai servizi segreti e poi è andato a Riyad a magnificare Mohammad bin Salmān, capo di un regime feudale e totalitario, straparlando di «Rinascimento saudita».

Del resto, di Rinascimento Renzi si è sempre riempito la bocca, evidentemente senza capirne molto, ma sfruttandolo come brand commerciale fin da quando era sindaco di Firenze. Qualcuno dovrebbe avvertirlo che Lorenzo de’ Medici, come uomo di potere, ebbe l’intelligenza di rivolgersi agli artisti per conquistarsi fama e fare egemonia. Non alle armi, non al fondamentalismo e al terrorismo religioso come fa invece il principe saudita.

Vogliamo tornare su questa questione perché ci pare assai grave che chi ha avuto in mano per giorni il pallino della crisi di governo e ora si propone come salvatore della Patria per aver aperto la strada a un governo Draghi se ne sia andato alla chetichella a Riyad per fare i propri affari con il sovrano di un regime come quello saudita che viola i diritti umani, che sfrutta i lavoratori come schiavi («Sono molto invidioso del vostro costo del lavoro», ipse dixit). Parliamo di  un regime che mette in galera le donne se solo si azzardano a guidare l’auto, che fa uccidere i giornalisti scomodi, che ha distrutto un Paese bellissimo, lo Yemen, razziando e uccidendo la popolazione civile con armi di produzione Usa, inglesi e anche italiane. Armi di cui il regime del principe saudita fu rifornito proprio dal governo Renzi che nel 2016 gli accordò una maxi commessa di oltre 19mila bombe.

Finalmente quello sciagurato commercio con un regime dittatoriale è stato interrotto dopo una lunga battaglia parlamentare. Ma a proposito di regimi ancora resta irrisolta la questione della vendita di fregate militari a quello egiziano che ha torturato e ucciso Giulio Regeni e continua a tenere in prigione Patrick Zaki come torniamo a denunciare su questo numero.

Riguardo all’Arabia Saudita anche gli Usa hanno fatto un passo indietro dopo averla armata fino ai denti per anni. Il presidente Biden ha decretato un primo stop. Un passo importante che si aggiunge alla cancellazione, in pochi giorni, dei più inaccettabili provvedimenti che erano stati firmati da Trump.

Come raccontiamo in queste pagine qualcosa sembra muoversi anche sul fronte dell’appoggio unilaterale dato fin qui dagli Usa all’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele e forse anche riguardo all’embargo contro Cuba. La piccola isola caraibica pur dovendo lottare con le difficoltà economiche e con la pandemia sta sviluppando quattro vaccini di Stato. Dalla fine della prossima primavera saranno a disposizione gratuita per la popolazione cubana e in vendita a prezzi low cost ai Paesi poveri e a quelli sotto embargo Usa. Cuba rappresenta un modello alternativo di produzione di vaccini anti-covid indicando una strada che permetterebbe di sottrarsi al ricatto di multinazionali che, anche in momenti di gravi crisi come questo, producendo vaccini finanziati dalla ricerca pubblica perseguono una logica di profitti privati. Di questo ma anche del sistema sanitario universale cubano, gratuito e pubblico, dell’istruzione gratuita per tutti, degli investimenti in ricerca, dell’industria biotecnologica cubana e del sistema di vigilanza BioCubaFarma tornano a parlarci due esperti come il fisico e storico della medicina Angelo Baracca e la ricercatrice Rosella Franconi, a cui si aggiunge la voce di Fabrizio Chiodo, ricercatore che fa parte del team all’Avana.

Se ci è riuscita la piccola Cuba, da 59 anni colpita dal bloqueo Usa, perché non dovremmo riuscirci anche noi? è la domanda che abbiamo rivolto a parlamentari europei, medici, scienziati ed economisti. Il brevetto come diritto monopolistico crea penuria di vaccini, denuncia l’europarlamentare del gruppo Sinistra europea Marc Botenga,  con il quale da molti mesi Left sta lavorando fianco a fianco, insieme a Vittorio Agnolettto .

Abbiamo bisogno di espandere la produzione per arrivare all’immunità di gregge nel più breve tempo possibile. Le strade ci sono. Potrebbero essere sospesi i brevetti in periodi di pandemia come hanno chiesto India e Sudafrica. Si potrebbe ricorrere all’uso di licenze obbligatorie e molto altro ancora si può fare, come scoprirete leggendo questo nuovo numero di Left.


L’editoriale è tratto da Left del 5-11 febbraio 2021

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Messianismo, ancora

Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi inizia oggi il suo giro di consultazioni. Le premesse non sono facili e questo è un punto politico, ci torneremo, ma ciò che conta che ad oggi Draghi l’abbiamo visto arrivare ai vari incontri istituzionali (i presidenti della Camera e del Senato e il presidente del Consiglio uscente), l’abbiamo ascoltato per qualche manciata di secondi in conferenza stampa mentre comunicava di accettare l’incarico con riserva e ne abbiamo potuto osservare l’eleganza del completo e la fulminante capacità di indossare correttamente la mascherina sopra al naso. Oggi inizierà a “fare politica”, oggi.

Eppure fin dalle prime ore di ieri mattina in Italia è scoppiato il messianismo e ancora una volta abbiamo assistito allo sport preferito di certa classe dirigente e di certo mondo dell’informazione: genuflettersi al prossimo leader, anche se ancora con riserva, e affidare a lui tutti i nostri vizi e le nostre fobie come se fosse uno psicoterapeuta e soprattutto comportarsi nel modo che abbiamo sempre criticato ai nostri avversari. Quelli che volevano il programma stampato con tutte le specifiche e i progetti declinati in centinaia di pagine ieri sono diventati barzotti per pochi secondi di discorso di circostanza: “ha sorriso!”, dicono, e in quel sorriso ci stanno infilando in queste ore tutto un ripieno di considerazioni politiche e finanche antropologiche, perfino il fatto che Draghi abbia sbagliato il lato dell’uscita dopo l’incontro con i giornalisti è diventato “un errore che lo rende più umano” come ha avuto il coraggio di scrivere qualcuno. Se fosse stato un avversario politico fino a due giorni fa ci avrebbero fatto un meme con una bella frase da sfottò. Poi ci sono quelli che per mesi ci hanno detto che “contano i fatti” e invece ora strepitano sul fatto che non dare la fiducia a Draghi sarebbe un sacrilegio: non si sa ancora un’idea che sia una di come Draghi abbia intenzione di portarci fuori dalla palude, sono gli stessi che ripetevano il ritornello del “contano le idee non le persone” e oggi si sono inzerbinati alle persone. Perché in fondo ciò che conta è l’atavica e feroce pulsione di gioire nella speranza della sparizione degli avversari, solo quella, solo per quello, un movimento di stomaco come il populismo che dicono di combattere.

In mancanza di temi veri la stampa ieri ha intervistato un centinaio di compagni di classe di Mario Draghi, un autorevole quotidiano che vorrebbe darci lezioni di giornalismo misurato ha scritto un lungo articolo su Mario “alunno brillante che non rinunciava alle battaglie con i cannoli e agli assalti ai prof con le pistole a riso”, Giancarlo Magalli è diventato un testimonial d’eccezione (come Salvini quando riporta le parole di Red Ronnie sul Recovery Fund), ovviamente ci si è buttati a pesce sulla moglie come curioso oggetto ornamentale da raccontare in tutti i suoi angoli d’osservazione. Agiografie dappertutto come se piovesse. Occhi puntati sui mercati come se fossero i giudici supremi della politica (perché è così che piace a molti di loro). Le agenzie di stampa battono convulse: “#Governo, look istituzionale per #Draghi”. Se lo aspettavano in braghette corte e anello al naso, probabilmente. Evviva, evviva. Dovremmo essere felici perché Draghi ha intenzione di relazionarsi con “rispetto” al Parlamento, evviva evviva. Anzi i più sfegatati invitano addirittura Draghi a “spazzare via tutti gli incompetenti in Parlamento”, qualcuno dice che dovrebbe “metterli a cuccia” e dire “faccio io”. Un delirio di incompetenza politica e di miseria istituzionale di un popolo perdutamente innamorato dell’uomo solo al comando, quello che da solo dovrebbe salvare l’Italia e che poi nel caso torna utilissimo da odiare in fretta e furia. Quelli che contestavano i “pieni poteri” che reclamava Salvini oggi vorrebbero un DPCM per affidare “pieni poteri” a Draghi: l’uomo forte al comando è un’idea che ha sempre germi che non portano a nulla di buono. 

Solo che oggi si comincia a fare sul serio e torna in campo il Parlamento, la politica, i partiti. Il primo capolavoro è avere resuscitato Salvini che era scomparso e ora è l’ago della bilancia. Non mi pare davvero una buona notizia. Anche questa volta la possibilità che si possa lavorare per ricostruire un centrosinistra seppur sgangherato sembra andare in frantumi, sarà per la prossima. C’è da trovare una maggioranza in Parlamento con quello che c’è e quel Parlamento è l’espressione democratica di quello che siamo noi. Ora siamo alla luna di miele ma quando ci sarà da parlare di soldi finirà questa tregua fatata e si ricomincerà di nuovo. È un moto circolare: ieri era l’ora dell’inno a Renzi che ci ha liberato da Conte, che ci aveva liberato da Salvini, che ci aveva liberato da Gentiloni, che ci aveva liberato di Renzi. Sempre con la soddisfazione bassa di avere eliminato qualcuno. E vorrebbero essere costruttori.

Ah, per i tifosi che leggono senza intendere: questo non è un articolo di critica preventiva verso Draghi di cui, vale la pena ripetere, al momento non conosciamo le proposte. Questo è un articolo per un pezzo di mondo che chiede “serietà” agli avversari e poi infantilmente tratta la politica come un reality show, anche senza Casalino.

Buon giovedì.

L’impolitica

Foto LaPresse - Massimo Paolone 18 agosto 2020 Rimini (Italia) Cronaca Rimini Meeting 2020 Edizione 41 Special Edition - Incontro inaugurale Nella foto: Mario Draghi Photo LaPresse - Massimo Paolone 18 August 2020, Rimini (Italy) Rimini Meeting 2020 Edition 41 Special Edition - Inaugural meeting In the pic: Mario Draghi

C’è un’aria frizzante questa mattina tra politici e commentatori, quasi tutti felici per avere demolito l’esistente e tutti subito attaccati alle braghe del commissario, tutti con quella felicità della classe che ha appena scoperto che oggi ci sarà il supplente e quindi sicuramente non interroga, non controlla i compiti fatti a casa e forse se va bene non si fa nemmeno lezione.

La giornata di ieri del resto è stata una convulsa regressione verso il gnegneismo che si possa ricordare. Tutti in fila a dare il peggio di sé dentro una trattativa politica che è stata uno spettacolo indecente: i Cinquestelle con Vito Crimi (il pro tempore più duraturo nella storia delle reggenze politiche) issato a difendere perfino l’indifendibile, il Partito Democratico come spesso accade trascinato dalla corrente, Renzi e la sua ciurma a fare finta di trattare come a una recita di fine anno mentre alzava la posta in gioco ogni minuto che passava e divertendosi come un matto. Uno spettacolo indecoroso mentre là fuori morivano le solite 500 persone a cui ci siamo abituati come se fossero brina mattutina.

E così quelli che per settimane ci hanno sfrantumato dicendo che la politica si fa con le idee e non si fa con i nomi ieri sera sono andati a dormire tutti esultanti perché sono riusciti a demolire gli avversari e si sentono rassicurati dall’arrivo del nuovo logo Mario Draghi, come se bastasse un’etichetta per nobilitare un Parlamento farcito di capetti viziati e capricciosi che si sono litigati la merenda fino all’ultimo minuto dell’intervallo e che ora esultano per un probabile governo verde loden. La sola idea che basti il profumo di Draghi perché l’Italia torni a volare è il sintomo più lampante della decadenza di una classe politica che si è fatta implodere, di una classe culturale eternamente appesa al prossimo salvatore e di un giornalismo rassicurato dall’essere fedele al prossimo padrone.

Alla fine in mezzo ai bambini è arrivato il Presidente Mattarella che ormai appare l’unico adulto là dentro e che prova tutti i giorni a metterci una pezza a questa immatura inconcludenza. Ma è lo stesso Mattarella che ieri nel suo discorso ha parlato di un governo «che non debba identificarsi con alcuna formula politica» e vedere esultare la politica per un governo impolitico rende perfettamente l’idea della crisi di rappresentanza democratica che sforna soluzioni costituzionalmente legittime ma che sono tutt’altro che una vittoria. Mario Draghi inevitabilmente perseguirà, com’è nell’anima di ogni governo, interessi e valori che probabilmente riusciranno a cementare una certa idea di centro (tendente a destra) che tanto piacciono a Renzi, a Berlusconi, a Calenda e a tutta quella compagnia di giro ma forse in mezzo a tutta questa esaltazione varrebbe la pena ricordare che le scorie del governo Monti portarono all’esplosione del populismo e di certa destra salviniana. Esulterei un po’ meno, ecco tutto.

Se invece il gioco è quello di convincerci che peggio di com’eravamo messi non potrebbe andare e quindi bisogna esultare perché “un governo Draghi non può fare peggio di questo governo” allora si rientra nel campo del fideismo da tifoserie e nell’infantile speranza che riesce ad accendersi solo quando vede le macerie. E si torna al punto di partenza: un impolitico gioco di specchietti per le allodole. Manca la politica, appunto.

Buon mercoledì.

 

Partoriranno il topolino

Se le cose andranno come sembra che potrebbero andare qualcuno dovrà rispondere dell’avere provocato una crisi politica che è solo un rimpasto travestito da duello finale tanto per aggiungere pathos e meritarsi un po’ di visibilità. Anche perché di pathos, quello vero, quello ruvido che sanguina e che strozza la gola, qui intorno ce n’è già parecchio e non avevamo proprio bisogno di aggiungerci una montagna che partorisce un topolino e che sta tenendo tutto sospeso e tutto bloccato per svolgere una trattativa politica che una politica seria, quella che tende più alla politica che allo spettacolo, avrebbe risolto come le risolvono le maggioranze responsabili.

Anche perché se si annusano gli ultimi venti di questa aria che tira intorno al governo che non c’è sembra che si assisterà all’ennesima trasformazione di una metamorfosi da cui ne escono tutti peggiori. Si è partiti con un presidente del Consiglio che teneva insieme il M5S (quelli che avevano spergiurato di non allearsi mai con nessuno) e Salvini e tutti a braccetto ci dicevano che erano fieri di essere populisti e di essere sovranisti. Quel primo Conte addirittura rivendicava la presenza del sovranismo all’interno della Costituzione e si prendeva scroscianti applausi. Dall’altra parte il Partito democratico ripeteva come un mantra che non si sarebbe mai alleato con il M5S, mai e poi mai, mentre il M5S diceva del Partito democratico che erano un partito di gaglioffi, di pedofili, che rapivano i bambini e che erano il peggio del peggio che si fosse mai visto. Fino a quando il Pd e il M5S (quello che aveva spergiurato di non allearsi mai con nessuno) non si sono presi a braccetto e hanno rinnovato il primo Conte che è diventato il secondo Conte trascinando con loro anche Matteo Renzi che ce l’aveva a morte con chi esce dal Pd per farsi il proprio partito e si è fatto il suo partito e ce l’aveva a morte con i «partitini che provocano la crisi» e ha provocato la crisi. Ora siamo agli stessi attori in campo (più qualche transfugo che avrebbero chiamato «traditore» e che invece ora è diventato «responsabile e costruttore») che vorrebbero fare un governo, loro, per arginare il populismo e il sovranismo.

Ieri hanno discusso di un programma scritto che però hanno deciso di non scrivere. Renzi ha alzato la posta (ma va?) chiedendo più soldi sulle infrastrutture e visto che ci sono hanno anche chiesto il ministero. Poi hanno parlato del Mes, non riescono a mettersi d’accordo sul Mes ma fanno filtrare che sono stati fatti “passi avanti”. Poi hanno parlato di legge elettorale. Eh sì, la legge elettorale: ricordate che avevano rassicurato tutti dopo il taglio dei parlamentari dicendo che era urgente pensare una buona legge elettorale che garantisse l’equilibrio di rappresentanza? Si erano scordati. Ieri al tavolo delle trattative gli è tornata in mente. Poi, siccome dovrebbero essere l’argine di Salvini e dei populisti che vorrebbero governare con l’emotività spicciola, Matteo Renzi ha pensato bene di sparare un tweet che dice così: «A quelli che dicono: “Ma che bisogno c’era di fare la crisi adesso?” Rispondete mostrando una foto dei vostri bambini che giocano in un asilo. Noi oggi stiamo decidendo il loro futuro, i loro debiti». A proposito di bambini e di emotività spicciola. Il più lucido alla fine è parso Tabacci (eh sì, il M5S è stato con Salvini, con Zingaretti, con Renzi e ora anche con Tabacci) che ha fatto notare che forse il programma si dovrebbe discutere con un presidente del Consiglio che per ora non c’è. Pensa te.

Potrebbe finire insomma che si spartiscano le poltrone. Ve lo ricordate quello che all’inizio di tutta questa crisi diceva che non sarebbe finita così? Ecco, sta finendo più o meno così. E se la soluzione sarà questa rimarrà il dubbio che sarebbe bastato parlarsi, di persona, senza spararsi palle incatenate sui giornali e in televisione. Ma vuoi mettere come si sono divertiti? Loro.

Buon martedì.

Vaccini, l’unico antidoto contro lo strapotere di Big pharma

TOPSHOT - Residents look as an artists gives finishing touches to a mural depicting frontline workers carrying a Covid-19 coronavirus vaccine in Kolkata on January 2, 2021. (Photo by Dibyangshu SARKAR / AFP) (Photo by DIBYANGSHU SARKAR/AFP via Getty Images)

Da presidente del Consiglio Conte aveva minacciato azioni legali per i ritardi negli approvvigionamenti di vaccini. E il presidente Usa Biden ha annunciato che ricorrerà al Defense production act per mettere in sicurezza il piano di vaccinazione di massa che dovrà portare a 100 milioni di vaccinati in 100 giorni. Pensata ai tempi della guerra in Corea, questa legge speciale viene ora riconvertita per la guerra al virus. La norma conferisce al presidente ampi poteri per mobilitare risorse e mezzi di produzione di società private per rispondere ad esigenze di difesa nazionale. Significa che l’apparato produttivo e infrastrutturale statunitense ha come priorità la realizzazione, la distribuzione e la somministrazione dei vaccini.

E l’Unione europea? Le grane con le multinazionali con cui sono stati sottoscritti contratti, miliardari e segreti, sono tante e cominciano a pesare. A partire dai ritardi e dalle incertezze nella distribuzione. Ma anche dalle forzature che si teme possano essere operate sui mercati da questo o quello Stato per ottenere i vaccini prima e di più. Mentre si moltiplicano le varianti del virus che allarmano – e l’economia, e la vita delle persone, sono sempre più stremate – il fattore tempo è fondamentale. Come la trasparenza, la congruità e il controllo di ciò che si decide e si fa.

L’ultimo Consiglio europeo, che si è svolto da remoto nei giorni scorsi, si è…


L’articolo prosegue su Left del 29 gennaio – 4 febbraio 2021

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Quando al governo ci sono persone responsabili

Prime Minister Pedro Sanchez, left and 2nd deputy Prime Minister Pablo Iglesias talk during a parliamentary session in Madrid, Spain, Wednesday Oct. 21, 2020. Spanish Prime Minister Pedro Sanchez faces a no confidence vote in Parliament put forth by the far right opposition party VOX. (AP Photo/Manu Fernandez, Pool)

Il governo progressista spagnolo è riuscito a far approvare, a dicembre, con un’ampia maggioranza, la nuova legge di bilancio per il 2021. Per la Spagna non è una notizia marginale, perché si tratta della prima finanziaria approvata dal 2018. Fin qui Sánchez ha dovuto governare senza un proprio bilancio, costretto a prorogare quello elaborato dall’esecutivo di destra di Mariano Rajoy. E non è da sottovalutare l’ampio consenso con cui è stato approvato, ben 189 voti a favore e solo 145 contro. Sono state ribaltate le preoccupazioni iniziate a gennaio 2020 – proprio un anno fa – quando Sánchez ha formato il governo di minoranza, stringendo l’alleanza con Podemos, con due soli voti di scarto. Per ora è fallito il disegno delle destre di far cadere l’esecutivo, sia il tentativo architettato dal Partito popolare e da Vox che hanno mobilitato la rabbia sociale, sia quello più moderato di Ciudadanos che – negando l’appoggio richiesto – ha puntato sulle contraddizioni interne al Psoe, con l’obiettivo di spingerlo a una rottura con Unidas Podemos e con le forze nazionaliste e indipendentiste regionali basche e catalane.

L’espressione governo Frankenstein viene usata in Spagna per definire l’esecutivo di Sánchez e dei suoi sostenitori parlamentari, allude a qualcosa di mostruoso che si tiene insieme non si sa bene come, ma dopo un anno di governo e quasi un anno di pandemia l’approvazione del piano di spesa dello Stato, che riguarda anche i miliardi di euro previsti dal Recovery plan, aumenta le possibilità di Sánchez di rimanere in carica fino alla fine della legislatura.

Le scelte che emergono dai conti approvati inducono a un moderato ottimismo. C’è il cambiamento del modello di sviluppo spagnolo, sono nominate le politiche sociali e fiscali per non lasciare indietro nessuno e si intravede la possibilità di avviare a soluzione la crisi territoriale spagnola, di cui la Catalogna è solo uno dei problemi.
Gli anticipi sui fondi del Next Generation Eu, con l’impegno di riuscire a spendere nei prossimi tre anni tutti i 140 miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa, non basteranno a finanziare lo sforzo necessario alla manovra economica votata. Sono previsti anche aumenti delle imposte sul reddito, sul patrimonio e sulle società, si pensa a un…


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