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Livorno 1921, il tormento di una nascita – Sommario del libro di Left

Introduzione

Cent’anni dopo
di Fabio Vander

Capitolo 1

11
Livorno, cronaca di una scissione annunciata
di Rita De Petra

28
Un dopoguerra incendiario
di Leda Di Paolo

44
Marx e l’Internazionale dei lavoratori
di Anna Schettini

61
Il difficile, generoso, cammino
della sinistra
di Giampiero Minasi

78
La battaglia culturale di Gramsci dirigente del Pci
di Noemi Ghetti

95
Le scissioni della sinistra italiana dal 1989 ai nostri giorni
di Edoardo Raimondi

Capitolo 2 – Interviste
a cura di Rita De Petra

106
Giovanni Cerchia:
Il Pci e la via italiana al socialismo

114
Francesco Somaini:
Cosa ci insegna la storia del socialismo italiano

129
Giovanni Russo Spena:
La sinistra o è anticapitalista o non è

136
Andrea Ventura:
La razionalità disumana dell’uomo economico

Intanto

Intanto, mentre in Parlamento si consuma una crisi di governo che ha ancora bisogno di tempo per dispiegarsi, spiegarsi, risolversi e dirci di qualcosa di significativo davvero, intanto succedono cose, in Italia e nel mondo, e noi qui con le orecchie tese ad ascoltare parlamentari che sputano nel microfono le loro rivendicazioni che sono personali ma che vengono rivendute come temi politici. E va bene.

Intanto ieri è morto Emanuele Macaluso. Un gigante comunista. Uno che a 96 anni ancora si svegliava alle 6 del mattino e leggeva la pila di giornali, mentre la stragrande maggioranza di questi si cerca tutte le mattine su Google e conta i mi piace sui social. Uno che nel 1944 andò a tenere un comizio a Villalba, uno dei feudi della mafia, a sfidare il boss Calogero Vizzini e gli spararono addosso. Uno che si faceva cinquanta chilometri a piedi per fare politica in un periodo in cui i sindacalisti uccisi erano all’ordine del giorno. A quei tempi la lotta alla mafia non consisteva nell’indossare una mascherina o nel twittare un foto. Ieri l’hanno ricordato tutti, commossi, compresi quelli che hanno tradito quelle idee perché sono stati incapaci di modernizzarle.

Intanto ieri Biden ha scelto Rachel Levine come sottosegretaria alla sanità, che sarà quindi la prima donna transgender ad essere assegnata a un incarico federale dal Senato. Tutto questo mentre intorno all’insediamento del nuovo presidente Usa ci sono le stesse forze militari di un assedio. Qui ancora si discute della bufala genitore 1 – genitore 2.

Intanto in Bosnia l’inferno congelato dei migranti vicino al confine croato continua tra freddo, fame e immobilismo. Gli ultimi brandelli di decenza dell’Europa si sono surgelati lì. Qualcuno ne scrive. Pochi ne leggono. Pochissimi ne parlano. Nessuna istituzione interviene.

Intanto a Patrick Zaki hanno rinnovato la detenzione per altri 15 giorni. Zaki ormai da quasi un anno ha sprecato la sua vita in arresto senza accuse chiare, senza un processo equo e con parecchia solidarietà di facciata, quella facile da dare ma che non condiziona niente, non serve a niente.

Intanto, a proposito della sua idea di assegnare i vaccini in base al Pil, l’assessora lombarda Letizia Moratti dice che è stata solo una frase fraintesa. Ma dai. E poi è uscita la registrazione della sua frase che invece nella registrazione è chiarissima. E niente, a posto così.

Intanto i vaccini sono in ritardo.

Ah, a proposito, intanto ieri ci sono stati oltre 600 morti. Dicono che sia retorico ricordare che si muore mentre quelli si arrovellano in Parlamento. Sarà. Ma vale la pena ricordarlo. Perché se vi è capitato di assistere alla discussione parlamentare di questi ultimi due giorni vi renderete conto che il livello generale è di una bassezza che fa spavento, che offende i morti e pure i vivi. Che uno si aspetterebbe generosità in un momento drammatico e invece arrivano solo quintali di grettezza. Va bene così.

Buon mercoledì.

È che ci vorrebbero felici di essere schiavi

Food and supplies delivery man in motion blur. He is rushing on a destination in a downtown district. Belgrade, Serbia

Ieri ha fatto molto discutere un articolo pubblicato da La Stampa, a firma di Antonella Boralevi, che racconta di tale Emiliano Zappalà, un rider felicissimo di essere rider, secondo Boralevi, che pedala per 100 km al giorno e guadagna come un manager dopo avere dovuto chiudere il suo studio da commercialista a causa dell’epidemia. Il sottotesto dell’articolo (in cui si attacca anche il reddito di cittadinanza) è in sostanza questo: se siete poveri è colpa vostra che non avete voglia di fare un cazzo perché il mondo del lavoro è pieno di grandi opportunità. Insomma, il solito articolo da libberisti (con due b) che vedono in giro un mondo perfetto e che tacciano coloro che rivendicano diritti come fastidiosi lagnosi.

“Si chiama Emiliano Zappalà, ha 35 anni. Aveva aperto uno studio di commercialista, il Covid gliel’ha fatto chiudere. E lui, invece di chiedere il reddito di cittadinanza, si è messo a lavorare. Dove? In uno dei settori che il Covid ha reso vincenti: la consegna a domicilio. Business raddoppiato in 10 mesi, come il numero degli addetti”, si legge nel pezzo di Boralevi. E già l’incipit è roba da orticaria. E poi: “Come racconta in un’intervista al Messaggero, da quasi un anno il Dottor Zappalà è un rider di Deliveroo. Cioè fa circa 100 chilometri al giorno in bicicletta, con un borsone giallo sulle spalle e consegna pizze e pranzi e spesa. Guadagna 2000 euro netti al mese e, certi mesi, anche 4000. Uno stipendio da manager. Ed è felice”. Felice, capito?

Il pezzo ovviamente è diventato subito combustibile per infiammare gli stomaci contro gli sfaticati che si lamentano e che non producono. Tutto perfettamente in linea con una certa narrazione che vorrebbe risolvere il problema della povertà e dei diritti del lavoro semplicemente negando. Se è felice Emiliano Zappalà dovremmo essere felici tutti. Ovvio. Ah, il grande sogno americano.

Peccato però che Emiliano Zappalà non esista e che quell’articolo sia completamente falso. E c’è da scommettere che tutti quelli che l’hanno rilanciato siano gli stessi che inorridiscono per le fake news in internet, ci metto la firma.

Emiliano Zappalà si chiama Emanuele (vabbè, ha solo sbagliato il nome, una giornalista, a proposito di meritocrazia e di cura nel proprio lavoro), ha studiato da commercialista ma non lo è mai diventato e quindi non ha mai aperto uno studio che quindi non è mai stato costretto a chiudere per la pandemia. Anzi i chilometri che percorre li macina su un motorino. Quindi si perde anche il culto dell’attività fisica, che peccato. Raggiunto da un giornalista de La fionda racconta di avere avuto mesi positivi, di lavorare molte ore al giorno e di guadagnare in media 1.600 euro al mese. Niente stipendio da manager, insomma. Anzi a voler indagare per bene si vede che proprio un Emiliano Zappalà risulta tra i firmatari del contratto siglato da Assodelivery e Ugl, un contratto che introdusse un “cottimo mascherato” e per questo è stato sconfessato e ritenuto illegittimo dallo stesso ministero del Lavoro. Tra l’altro, denunciano molti rider, “la sottoscrizione del contratto è stata utilizzata dalle aziende per ricattare più o meno velatamente i lavoratori: chi non firma, viene estromesso dalle piattaforme”. Insomma Zappalà è molto aziendalista, senza dubbio. E infatti dal suo profilo Linkedin rilancia con molto entusiasmo le comunicazioni aziendali di Deliveroo.

Quindi per l’ennesima volta la favola che avrebbe dovuto colpevolizzare i disoccupati si rivela semplice fuffa buona solo ad alimentare pregiudizi. Un bell’editoriale che si basa tutto su una notizia falsa e su una pregiudiziale narrazione a favore dello schiavismo felice. Perché loro ci vorrebbero così: mica solo schiavi, addirittura anche felici.

A proposito: “è un fatto o no?” chiedeva Antonella Boralevi in chiusura del suo saccente articolo. No, signora Boralevi. No.

Buon martedì.

Meno mercato della salute, molto più Stato

A medical student holds a placard reading "Who will cure you ?" as medical students, newly qualified doctors and doctors in training stage a protest outside Milan's Central railway station on May 29, 2020, asking for an educational reform of medical training, as the country eases its lockdown measures aimed at curbing the spread of the COVID-19 infection, caused by the novel coronavirus. (Photo by Piero Cruciatti / AFP) (Photo by PIERO CRUCIATTI/AFP via Getty Images)

Se dovessi stilare una scala di priorità della sinistra sul fronte della sanità per il 2021, al primo posto metterei la costituzione di un’industria farmaceutica pubblica europea. I cui prodotti siano esenti da brevetti e considerati a disposizione dell’umanità. Compresi quelli sviluppati in collaborazione col privato. La ricerca scientifica sui farmaci, oggi in mano alle case farmaceutiche private, deve tornare ad avere una forte presenza pubblica, grazie ad interventi sia italiani che europei. Oggi ci troviamo in una situazione doppiamente inaccettabile. Da un lato miliardi di persone nel Sud del mondo non possono accedere a farmaci prodotti privatamente o persino con una compartecipazione pubblica. Dall’altro, persone nell’emisfero Nord che possono usufruirne ma a fronte di costi insostenibili da parte dello Stato.

Possiamo fare l’esempio dei vaccini per il Covid-19 per il cui sviluppo sono stati trasferiti miliardi dal pubblico al privato affinché realizzasse un prodotto che il pubblico ha dovuto ricomperare dal privato. Una follia, per questo abbiamo lanciato in Ue l’Iniziativa dei cittadini europei “Right2cure – No profit on pandemic” per spingere la Commissione a tutelare la salute di tutti. Ma c’è anche l’esempio delle cure per l’epatite C, con l’antivirale sofosbuvir, oppure i farmaci per l’Aids, ecc. E si potrebbe continuare.

Al secondo posto, in questa lista di obiettivi, c’è quello di avere in Italia un…


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Prove tecniche di assalto al Palácio, il piano di Bolsonaro per restare al potere

Brazilian President Jair Bolsonaro attends the National Flag Day celebration at Planalto Palace in Brasilia, on November 19, 2020. (Photo by EVARISTO SA / AFP) (Photo by EVARISTO SA/AFP via Getty Images)

Il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, dopo aver visto le scene dell’assalto di Capitol Hill da parte degli estremisti di destra, adepti di QAnon e adoratori di Donald Trump, li ha immediatamente assolti, giustificando le loro azioni violente: era il popolo che stava protestando per conclamati brogli elettorali. «C’era gente che aveva votato tre o quattro volte! Pure i morti avevano votato da quelle parti». La mancanza di fiducia della gente ha generato il problema, così ha sentenziato, chiosando con una previsione allarmante che sapeva di auspicio: «Se nel 2022 ci sarà il voto elettronico, qui succederà lo stesso!».
Le intenzioni di Jair Bolsonaro di spingere il Brasile a una guerra civile nel caso non venga riconfermato al Palacio do Planalto, la sede presidenziale in Brasilia, sono spesso emerse dalle sue parole e azioni. Con una chiara strategia attuata sin dall’inizio dal suo governo, ha spianato le porte ai militari, dandogli oltre 6mila incarichi governativi, prima occupati da civili. Un sogno non nuovo per J. M. Bolsonaro, anzi trentennale, desiderato e voluto dalle sue prime apparizioni in Tv.

Nel libro A escolha, pubblicato a ottobre del 2020, l’ex presidente Michel Temer ha rivelato candidamente un importante retroscena sul processo di impeachment a Dilma Rousseff, al quale aveva partecipato con grande entusiasmo. L’ex-presidente strappata dal potere avrebbe «disturbato i militari» con l’istituzione della Comissão nacional da verdade, che aveva raccolto una vastissima documentazione sulla dittatura militare brasiliana (1964-1985) e sui crimini commessi. L’intenzione di Rousseff di modificare la legge di amnistia che aveva graziato militari responsabili di omicidi, sequestri e torture agli oppositori del regime era inaccettabile per gli alti vertici delle Forze armate. Il potere le doveva essere tolto con qualsiasi pretesto, scrive Temer nel suo libro.

È dall’incontenibile desiderio di autoproclamarsi un dittatore che derivano i discorsi di odio di Bolsonaro verso la sinistra e le minoranze, così come le misure intraprese per armare “il suo popolo”, cioè, chiunque sia disposto ad imbracciare un’arma per difenderlo “quando arriverà il momento”, ovvero, le elezioni presidenziali del 2022.
I preparativi sono già iniziati. Il 15 aprile del 2020, di fronte all’inerzia dello Stato, la Suprema corte brasiliana ha dichiarato che sindaci e governatori potevano promulgare misure d’isolamento e di distanziamento sociale per fermare il dilagare della pandemia di Covid-19. Per i giudici della Corte, Bolsonaro stava utilizzando i suoi poteri per mettere in atto «una politica pubblica di carattere genocida», promuovendo assembramenti e sminuendo le misure raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità. Con un sistematico attacco sui social network, J. M. Bolsonaro scaricò la…


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L’osceno teatrino

Quando qualcuno provoca una crisi di governo bisognerebbe capire esattamente cosa abbia in testa. Se si va a rileggere le parole della conferenza stampa di Matteo Renzi pare ovvio che in Italia esista un serio problema di democrazia (l’ha detto a chiare lettere lui) e che Giuseppe Conte sia il male generatore di tutti i mali di tutti gli italiani. Per carità, ognuno è libero di fare ciò che vuole, assumendosene tutte le responsabilità, però provocare una crisi, soprattutto in questo momento, e poi ribussare alla porta per chiedere di rientrare è qualcosa che sfugge a ogni logica. “Se il presidente del consiglio Conte scioglie alcuni nodi irrisolti all’interno della maggioranza di governo, noi ci siamo”, ha detto ieri il renziano Davide Faraone. “Se Conte fa marcia indietro siamo pronti”, ha aggiunto. Sulla stessa linea anche la ministra Bellanova che dice al Pd “ci uniscono tante cose, disponibili a fare ripartire l’agenda di governo”. Al di là del dato politico c’è anche un dato prettamente comunicativo: se Renzi pensa di essere un grande comunicatore dovrebbe osservare che la sua mossa è incomprensibile ai più.

In mezzo c’è Conte che sogna di personalizzare la sfida. E questa non è una buona notizia, no, per niente. Perché raccogliere qualche votastro in giro per il Senato, nonostante rientri legittimamente nei meccanismi di una democrazia parlamentare, non è mai un bel vedere e non lascia certo l’idea di un governo forte e che possa durare. Continua a ripetere di voler andare alla conta ma alla conta i conti non tornano. La politica è una ridda di opinioni ma la matematica è fatta dai numeri e i numeri mancano. La svolta editoriale di chi ha fucilato con quintali di editoriali i cambi di casacca in Parlamento e che ora parla di “responsabili” e di “costruttori” non è un bel vedere. Anche questo, almeno questo, anche no.

Le crisi di governo denudano tutti e tutti ne escono peggiori. Siamo perfino riusciti a riabilitare quel Clemente Mastella, sì, proprio quello, non è un omonimo, chiamato alla pesca a strascico per raccogliere gente. In sostanza si ripetono ciclicamente le stesse dinamiche e quelli che prima le condannavano ora si impegnano a nobilitarle provando a sputare un dizionario nuovo e così tutto si capovolge, perde di senso, perde serietà. Negli ultimi giorni si è discusso a lungo di una telefonata privata tra Calenda e Mastella resa pubblica dal candidato al Campidoglio (che ha un solo parlamentare, uno solo). Pensate come ci siamo ridotti.

Ora si attendono gli ultimi sviluppi. E in fondo la sensazione è quella, ancora una volta, di avere assistito a uno svilente teatrino. Chissà chi ci guadagna, chissà chi ci ha guadagnato. Chissà se ce lo meritavamo, un inizio anno così.

Buon lunedì.

Gli orfani di Potus e i “demoni” di QAnon

A Qanon believer speaks to a crowd of President Donald Trump supporters outside of the Maricopa County Recorder's Office where votes in the general election are being counted, in Phoenix, Thursday, Nov. 5, 2020. (AP Photo/Dario Lopez-MIlls)

«Buongiorno e ben svegliati, adesso avete capito che siamo in guerra. E la guerra si fa con i militari. Le mosse di prima erano solo di preparazione al terreno ad essi. Il presidente Trump vuole e deve rimanere garante della costituzione. Non può essere lui ad esercitare la leva dell’acceleratore per tornare al potere!». Recita come una chiamata alle armi questo messaggio comparso su Telegram in una chat di QAnon appena dopo che la notizia dell’assalto a Capitol Hill è diventata virale. Migliaia di persone si sono radunate attorno al palazzo del Congresso statunitense per contestare il risultato delle elezioni presidenziali e sostenere la richiesta di Donald Trump al vicepresidente Mike Pence e al Congresso di rifiutare la proclamazione di Joe Biden alla Casa Bianca. Tumulti che sono costati la vita a 4 persone, l’arresto di 52 rivoltosi e il disinnesco di 4 ordigni artigianali da parte delle forze dell’ordine. Un entusiasmo che è andato presto a scemare, ed è totalmente scomparso quando il collegio elettorale ha confermato il risultato espresso dal voto.

«Io stesso non mi fido più di nessuno, ma la guerra non è ancora terminata, è solo iniziata. E per come sta messo il mondo, Trump è forse l’unica possibilità che ci è rimasta per quanto riguarda gli uomini… sulla Terra. Comunque vedremo cosa accadrà da oggi al 20 gennaio e poi il 28 gennaio. Penso che ci sarà qualcosa di grosso che ci riguarderà tutti e scuoterà un po’ il mondo». Questo post su Facebook è comparso il 9 gennaio in una pagina QAnon italiana. Un tentativo di risposta a chi aveva creduto ciecamente nel Potus e ora lo dà per spacciato. Fra le informazioni dell’account si può leggere: «Stai lottando contro le forze del male che non è possibile vedere senza quelle lenti» e il simbolo del personaggio dei fumetti The punisher (eroe caro all’ultra destra americana) campeggia come immagine di profilo. Fra le decine di post presenti, quasi la maggior parte in questi giorni tratta le elezioni Usa, scalzando quasi del tutto il vecchio trend, fatto di disinformazione sui vaccini e incitamenti alla disobbedienza contro le regole dei vari Dpcm del governo Conte II.

L’assalto alla sede del Congresso statunitense è stato ripreso da tutti i media mondiali. Le immagini del manipolo di uomini che irrompe nel tempio della democrazia americana, ammantati con i simboli dell’Alt-right e capeggiati dallo “sciamano QAnon”, rimarranno molto a lungo nella nostra memoria, forse alla pari con il crollo delle Torri gemelle durante gli attentati dell’11 settembre 2001. Un epilogo forse prevedibile stando agli hashtag presenti su Twitter da mesi come #StopTheSteal e #OccupyCapitols, che aumentavano la loro viralità in tutti i social e si sommavano alla…


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Giampiero Vigorito: A Stereonotte la musica non dormiva mai

«La musica per chi vive e lavora di notte». Mezzanotte in punto e scatta la sigla di “Viaggiando” – scritta appositamente da Roberto Colombo – e si parte per un lungo viaggio notturno fino all’alba delle 5 e 45 del mattino in compagnia di cinque conduttori che, (cosa rivoluzionaria per l’epoca) avevano accuratamente preparato le proprie scalette musicali portandosi i propri vinili da casa.
Grazie alla pubblicazione di Rai Stereonotte, il volume appena uscito per i tipi di Iacobelli Editore, stiamo rivivendo l’epopea del programma trasmesso in diretta dagli studi Rai di via Po 14 che dal 1982 rivoluzionò l’ascolto notturno, grazie all’intuizione di un coraggioso funzionario – Pierluigi Tabasso – e a un gruppo di giovani conduttori – tra cui Ernesto Assante, Marco Boccitto, Alberto Castelli, Massimo Cotto, Alex Righi, Teresa De Santis, Enrico Sisti, Fabrizio Stramacci, e Giancarlo Susanna ed Ernesto De Pascale (questi ultimi scomparsi) – che per la maggior parte si erano fatti le ossa trasmettendo dalle radio libere (si chiamavano ancora così) e scrivendo sulle nuove riviste rock allora in prepotente ascesa.

Fu così che tra il 1982 ed il 1995 l’etere notturno fu inondato da uno tsunami di musica di qualità, non solo rock di ogni tempo e da ogni latitudine, da Elvis Presley ai Talking Heads, ma anche folk e blues, black & soul music, ska, reggae, jazz, musiche dal mondo, ritmi africani, canzone d’autore, senza steccati o pregiudizi di ogni sorta.
Il libro, introdotto da una interessante prefazione “storica” di Carlo Massarini, ripercorre quell’esperienza unica attraverso le testimonianze sia dei diretti protagonisti, sia di personaggi del mondo della musica e dello spettacolo in generale, da Renzo Arbore a Eugenio Finardi, Edoardo Bennato, Ligabue, Paolo Fresu, Fiorella Mannoia e tanti altri. Il curatore, Giampiero Vigorito, conduttore radiofonico, critico musicale, ma anche giornalista sportivo di lungo corso, ha vissuto in prima persona quell’avventura.

Come è nata l’idea del libro, e come mai proprio in questo momento?
In realtà l’idea covava sotto la cenere da parecchi anni. Il progetto iniziale era quello di raccogliere il meglio delle lettere che all’epoca ci arrivavano dagli ascoltatori. Bisogna tener conto che, per precisa scelta editoriale dell’ideatore del programma, non avevamo telefono, né fax, né numero verde, e quindi ogni settimana arrivavano in redazione centinaia di lettere degli ascoltatori, che Tabasso distribuiva poi personalmente ai singoli conduttori. Parliamo oltretutto di un’epoca in cui non…


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Tomaso Montanari: La sinistra è ricerca e libero pensiero

FLORENCE, ITALY - DECEMBER 20: Italian art historian and author Tomaso Montanari portrait session at his own home in Firenze on December 20, 2019 in Florence, Italy. (Photo by Roberto Serra - Iguana Press/Getty Images)

Esattamente un anno fa Tomaso Montanari pubblicava il libro Dalla parte del torto, per la sinistra che non c’è, un appassionato pamphlet che oggi ci appare più attuale e urgente che mai, dopo un anno di pandemia, mentre la crisi avanza e con essa si allarga la forbice delle disuguaglianze.

Nel volume edito da Chiarelettere, lo storico dell’arte che non ha mai disgiunto l’impegno accademico da quello civile fa una lucida disamina critica della deriva del centrosinistra folgorato sulla via di Damasco dal neoliberismo blairiano e poi, negli anni, impegnato a rincorrere le destre sul loro terreno: la legge Turco-Napolitano che istituì la detenzione amministrativa per i migranti aprendo la strada alla legge Bossi-Fini e ai decreti Salvini, la guerra umanitaria in Jugoslavia e la riforma del Titolo V (D’Alema), la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio (Monti) sono solo alcune “perle” di una «sinistra di destra» che ha portato la sinistra quasi all’estinzione. In occasione del centenario della scissione del 1921 fra comunisti e socialisti (di cui ci occupiamo con un libro edito da Left) in questa storia di copertina torniamo a interrogarci sulle radici di questa profondissima crisi, cercando idee ma anche proponendo un pensiero nuovo per ripartire.

Su questi assi si è sviluppata questa nostra conversazione con il saggista e docente dell’Università per stranieri di Siena che nelle settimane scorse, dopo aver espresso in tv una legittima opinione sulla svendita di Firenze (che è sotto gli occhi di tutti) è stato investito da una ingente richiesta danni del sindaco Pd, Dario Nardella.

Tomaso Montanari come sta la sinistra in questo  difficile inizio del 2021?

Vedo un totale smarrimento delle ragioni fondanti della sinistra. Mi pare emblematica in questo senso la canea ingaggiata, non dalle destre come ci si potrebbe aspettare, ma da esponenti di centrosinistra verso chi (come Fabrizio Barca, ndr) condannando i fatti di Capitol Hill ha parlato anche di disuguaglianza. Gli assaltatori perlopiù sono stati descritti dai media come un manipolo di fascisti folcloristici. Ciò è certamente vero ma dietro ci sono 74 milioni di persone che hanno votato per Trump e rappresentano la parte più povera dell’America. Non sono i più poveri in assoluto – i neri non sono elettori Trump – ma quelli che sono stati tagliati fuori da un certo tenore di vita, dall’istruzione, dalla conoscenza. C’è un impoverimento della conoscenza dietro questa svolta distopica che assume la forma di una guerra fra populisti e meritocratici (dove la meritocrazia è cristallizzazione della disuguaglianza). In Italia la reazione di Italia viva è stata rimuovere il problema stesso delle disuguaglianza. Non c’è nulla di sinistra in questo. In realtà questo tipo di centrosinistra italiano ed europeo ha soltanto una vocazione a tutelare lo stato delle cose; il che significa agire a favore dei sicuri, dei salvati dei protetti. È la negazione più totale di una sinistra che si pone l’obiettivo di ribaltare l’ordine delle cose a favore degli esclusi, dei sommersi, dei “marginali”. È da cercare in tutto questo la causa dell’astensione. Io penso che sia proprio lì il popolo di sinistra. Va cercato tra quelli che non votano più, non tra quanti votano a destra.

Tu scrivi che la sinistra dovrebbe ripartire dalle lotte quotidiane, da un fronte del lavoro che tenga dentro anche quello povero, sfruttato, precario. Penso per esempio all’importante lotta sindacale dei riders. Ma c’è il rischio che queste lotte siano parziali e il quadro resti parcellizzato?

Castelvecchi ha appena ripubblicato i diari di Bruno Trentin, a mio avviso una delle menti più lucide degli ultimi anni in Italia e per questo isolato. Mi hanno fatto pensare a una questione che mi appare oggi come fondamentale: il punto non è come far andare la sinistra al governo, non è neanche la rappresentanza parlamentare, ma è quella che chiamerei la sinistra di ogni giorno.

Una nuova militanza?

La sinistra di ogni giorno per me è la capacità di governarsi più che di governare; è la restituzione alle donne e agli uomini della capacità di prendere in mano la propria vita. Lavoro significa poter vivere dignitosamente, il lavoro libera dalla schiavitù, dal ricatto e dall’oppressione. Questo è un problema che va affrontato prima di tutto a livello culturale e di formazione. Io penso che ci sia un enorme lavoro da fare sul senso comune, sulla visione del mondo. C’è il potere con la P maiuscola che è quello dei governi, della politica intesa come volontà di potenza per dirla con Bobbio. Ma c’è anche un darsi potere, un empowerment, che è quello della liberazione delle coscienze, della capacità di uno sguardo critico radicale nella vita di ogni giorno. Su questo sono impegnate associazioni, comitati, lotte dal basso che cambiano la vita, prima di tutto, di chi le fa, in primis da un punto mentale e morale. Non è un ripiegamento, è una premessa a cui abbiamo rinunciato. Il che spiega perché poi non si riesca ad avere tutto il resto.

In un momento come quello drammatico che stiamo vivendo, la questione del lavoro si lega ancor più strettamente a quella della giustizia sociale e della democrazia?

Il lavoro è importante anche come presa di coscienza dei propri diritti. La lotta di classe c’è, ma è fatta dall’altro verso il basso in maniera devastante e vincente ormai da tanti anni, tanto che il punto oggi è ricostruire un lessico comune, potersi capire… ed è quasi impossibile, in verità. Questo è il primo sforzo da compiere. C’è un lavoro da fare sul piano del pensiero e della lettura della realtà, perché di fronte a certi eventi ci siano elementi comuni di giudizio, che oggi non ci sono.

Qui veniamo al ruolo cardine svolto dalla scuola, bistrattata in Italia, e all’importanza dell’università su cui pesa l’essere stata «aziendalizzata», come tu scrivi. C’è un deficit molto grave anche nel centrosinistra nel valutare l’importanza dell’istruzione?

Io credo che quello che stiamo vedendo con la didattica a distanza sia gravissimo. Non solo, banalmente, perché la scuola è chiusa. Mi spiego: io avrei anche potuto accettare che, dovendo chiudere tutto a causa della pandemia, prima poi saremmo arrivati al punto di dover chiudere anche la scuola. Ma non è stato fatto questo e soprattutto non è stato impostato così il discorso. La scuola doveva essere l’ultima barriera, l’ultima barricata, l’ambito su cui investire tutto. Ma è successo invece quello che, purtroppo, è accaduto anche nella sanità e per le terapie intensive. Con il Covid, del resto, sono venuti al pettine i nodi che ci portiamo dietro da trent’anni.

Calamandrei parlava della scuola come organo costituzionale, ma neanche il centrosinistra ha fatto propria questa visione. Perché?

Della scuola non importa nulla a nessuno. Il fatto che sia il Pd il partito che preme di più per chiudere le scuole in presenza è incredibile. Evidenzia che si è perduto l’idea stessa del valore sociale dirimente della scuola. Essa è il luogo dove si superano o si perpetuano le disuguaglianze. Lì si gioca tutto, perché è lì che si possono mitigare e superare le differenze familiari. Rimandare i ragazzi a casa, costringerli in famiglia con la didattica a distanza, significa cristallizzare le disuguaglianze, aumentarle entropicamente e far perdere anche la speranza di un cambiamento. Ci stiamo giocando una generazione. Non sul piano cognitivo, come si dice. Il problema non è tanto da quali medici saremo operati, ma quale coscienza civile avremo. Questa è davvero una responsabilità enorme. Ed è un paradosso che sia una simile ministra M5s a difendere la scuola, mentre il Pd – e devo dire anche Leu – la vogliono tenere chiusa. Io sono esterrefatto, è la cosa più grave a cui stiamo assistendo. C’è un totale menefreghismo: abbiamo tenuto le discoteche aperte ad agosto per chiudere le scuole a settembre. Abbiamo fatto lo shopping natalizio per non riaprire le scuole a gennaio. Ci stiamo suicidando. Si sta suicidando la sinistra, non la destra: Salvini è all’opposizione.

Se la sinistra è lotta all’oppressione è anche riscatto, liberazione dall’ignoranza. L’articolo 9 della Carta tutela la libertà di ricerca come ricerca di base, ma anche, tu sottolinei, come ricerca della conoscenza. Come fare in modo che la politica e la cultura mainstream riconoscano l’importanza di questo aspetto che oggi è completamente negato?

Ci sono due aspetti. Il primo appartiene proprio alle scienze di base, alle scienze dure. Vediamo cosa sta succedendo sui vaccini… l’ha dovuto dire il papa che non ci dovrebbero essere brevetti sui vaccini. Il paradosso è che i soldi pubblici servono a finanziare vaccini che producono profitti privati. L’amministratore delegato della Pfizer ha venduto 5 milioni di azioni personali nel giorno in cui l’azienda ha annunciato il vaccino. Non riusciamo nemmeno ad avere un’idea di ricerca i cui frutti siano bene comune dell’umanità. Anche su questo aspetto agisce la dittatura del mercato.

Il secondo aspetto?

Riguarda appunto il tema della conoscenza intesa in un senso più largo. L’articolo 9 fu scritto dopo il fascismo. Il ventennio era cominciato bruciando i libri ed era finito con la complicità all’Olocausto nazista degli ebrei e dei diversi. C’è un elemento di continuità: la persecuzione della conoscenza, la persecuzione del pensiero libero, non solo del pensiero critico. Quella idea che la Repubblica si fondasse sulla ricerca comprendeva anche l’idea che si fondasse proprio sulla ricerca della verità e quindi sul dissenso come valore.

Oggi la libertà di ricerca e di pensiero in che modo viene sostenuta o osteggiata dalle istituzioni?

Ora siamo in un momento in cui si vorrebbe abolire la libertà dei parlamentari imponendo il vincolo di mandato, grazie al riflesso autoritario del M5s. Dall’altra parte Matteo Renzi propone che il rettore non venga più eletto dai docenti universitari e dagli studenti e dal personale tecnico amministrativo pro quota. Vorrebbe che fosse nominato dal cda. E questo mentre le università si sono date già dei cosiddetti codici etici, che in realtà sono liberticidi e paiono pensati apposta per stroncare il pensiero critico. Tutto questo cospira a fare dell’Università un luogo di formazione tecnocratica di funzionari dello status quo, non più un luogo rivoluzionario e di sedizione del pensiero critico come dovrebbe essere. Una università che non diffonde pensiero critico e coscienza civile non è una università. Io penso che il modello insuperato sia ancora quello del Galileo di Brecht. La libertà di pensiero deve poter trovare nell’università la sua massima garanzia, la conoscenza non deve avere nessun limite. Ora invece siamo passati agli uffici studio di Confindustria, la quale per altro non ha veri uffici studio, tanto che non riesce nemmeno a fare ricerca per il profitto. Siamo messi così.


L’articolo prosegue su Left del 15-21 gennaio 2021

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Lo scippo dell’acqua

https://www.flickr.com/photos/40969298@N05/14501625397/in/album-72157645760735142/ Joe BruskyStai Water Is A Right Tonight, we stand before one of the largest bodies of water in the world in solidarity with the people of Detroit. They’re shutting off water to the city’s most impoverished and vulnerable populations despite a recent United Nations report stating the action "constitutes a violation of the human right to water and other international human rights." Turn on the water!

L’entrata in Borsa dell’acqua è il risultato di una lunga serie di passaggi. All’inizio c’è stata la “petrolizzazione” dell’acqua. L’hanno annunciata, proclamata sin dagli anni 70. La “petrolizzazione dell’acqua” (di cui ho parlato la prima volta nel libro Le manifeste de l’eau del 1998) ha guidato la maniera di immaginare e vedere l’acqua nelle società industrializzate e “sviluppate”. Cosi, nel 2020 l’oro nero (il petrolio) ha una compagna “ufficiale”, l’oro blu (l’acqua).
La mercificazione dell’acqua è stata al centro della “petrolizzazione”. Il petrolio è una merce. Anche l’acqua lo è diventata. Il petrolio è una risorsa/merce non rinnovabile, l’acqua è rinnovabile ma l’abbiamo resa, specie sul piano della qualità buona per usi umani, una risorsa scarsa in via di rarefazione. Il valore economico del petrolio, il solo che conta nel suo caso, è determinato in Borsa. La politica energetica delle nostre società non è decisa principalmente dai poteri pubblici ma dal prezzo del petrolio grezzo stabilito dai mercati finanziari.

Con l’entrata in Borsa, il prezzo dell’acqua, il cui valore per la vita va largamente al di là della sua utilità economica, sarà, fra non molto, un prezzo mondiale e la politica idrica mondiale (ma anche continentale e “nazionale”) sarà dettata dagli operatori attivi nei vari mercati finanziari, per di più speculativi. La mercificazione dell’acqua minerale è stata ancora più rapida e massiccia. In pochi decenni l’acqua minerale è diventata il bene di consumo commerciale i fra i più preferiti dalla pubblicità televisiva. I poteri pubblici si sono sbarazzati del suo governo svendendone la gestione dell’uso e della sua cura alle grandi compagnie multinazionali quali Nestlé, Danone, Coca-Cola, PepsiCola…

Poi è venuta… la privatizzazione dell’acqua e la sua monetizzazione e finanziarizzazione (bancarizzazione compresa)
I poteri pubblici hanno oramai poco da dire. Sono in posizione subordinata in moltissimi Paesi del mondo dove i poteri decisionali sono passati, a seguito della privatizzazione della gestione dei servizi idrici, nelle mani di società private per le quali l’acqua è puramente un prodotto utilitario. Non per nulla le società di gestione sono chiamate utilities. Nell’Unione europea, con l’adozione della Direttiva quadro europea sull’acqua dell’anno 2000, i poteri reali di decisione nel campo dell’acqua sono stati affidati agli stakeholders (i portatori d’interesse) le cui scelte, specie per le società multiutilities e, ad ogni modo, delle società idriche quotate in borsa, sono valutate e giudicate dai…

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L’autore: Riccardo Petrella è professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio).
È autore de “Il manifesto dell’acqua”, Ed. Gruppo Abele, 2001, (edizione originale “Le manifeste de l’eau”, 1998), promotore del Comitato internazionale per il contratto mondiale dell’acqua sin dal 1997 e dell’Agorà degli abitanti della terra


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